Il moto browniano, che prende il nome dal botanico Robert Brown che per primo lo osservò nel 1827, rappresenta un fenomeno fisico affascinante che offre un'illuminante finestra sulle leggi microscopiche della materia. Si tratta del movimento irregolare delle particelle sospese in un fluido, causato dalle collisioni casuali con le molecole del fluido stesso. Questo fenomeno, in apparenza caotico e imprevedibile, è il risultato diretto dei movimenti termici delle molecole e delle particelle, e la sua osservazione ha avuto implicazioni fondamentali nella formulazione della teoria cinetica dei gas e, più in generale, nella nostra comprensione della materia a livello atomico.

Quando le particelle vengono osservate al microscopio, la loro traiettoria appare discontinua, come se venissero spostate da urti casuali con le molecole del liquido, eppure non si allontanano mai significativamente dal loro punto di partenza. Questo tipo di movimento, descritto da Einstein e Smoluchowski all'inizio del XX secolo, dimostra come la termodinamica classica non sia più sufficiente a spiegare i fenomeni su scala microscopica. Infatti, se la teoria del moto browniano fosse confermata attraverso esperimenti precisi, essa avrebbe implicazioni profonde sulla validità della teoria molecolare della materia e sulla determinazione della dimensione degli atomi.

Un esempio interessante di esperimento che mostra il moto browniano è quello che coinvolge una particella di polvere osservata in condizioni di bassa pressione e zero gravità, come illustrato dalla figura 5.16. Qui, le posizioni della particella sono registrate a intervalli di 2 millisecondi, mostrando chiaramente l'irregolarità del movimento. Questa irregolarità non è casuale, ma segue leggi statistiche precise, che possono essere descritte dal modello del cammino casuale.

Il cammino casuale, concetto che nasce nel contesto della teoria delle probabilità, fornisce una descrizione matematica del moto delle particelle sotto l'influenza di urti casuali. Il modello del cammino casuale è ispirato a una metafora piuttosto curiosa, quella di un marinaio ubriaco che, dopo essere uscito da una taverna, compie passi casuali in tutte le direzioni. Se consideriamo ogni passo come un evento indipendente e casuale, possiamo calcolare la probabilità che il marinaio si trovi a una certa distanza dal punto di partenza dopo un certo numero di passi. Il problema fu proposto per la prima volta nel 1905 dal matematico Karl Pearson e risolto da Lord Rayleigh, che fornì la soluzione esatta in termini di distribuzioni binomiali.

Nel caso di un cammino casuale in una dimensione, la probabilità di trovare il marinaio in una posizione specifica, dopo n passi, segue una distribuzione binomiale, che può essere approssimata da una distribuzione gaussiana per un numero di passi sufficientemente grande. La figura 5.17 mostra l'andamento di questa distribuzione per diversi valori di n, evidenziando come la distribuzione si approssimi sempre più a una curva a campana (distribuzione normale) man mano che il numero di passi aumenta. Il massimo della distribuzione si trova sempre al punto di partenza (m=0), suggerendo che il marinaio, pur avendo camminato in modo caotico, ha la massima probabilità di trovarsi vicino al punto di partenza.

Questa teoria ha implicazioni fondamentali, non solo per la fisica statistica, ma anche per la comprensione dei fenomeni aleatori in generale. Il concetto di cammino casuale viene utilizzato in vari campi, come la teoria dei giochi, la biologia (ad esempio per descrivere il movimento di cellule o molecole) e l’economia, dove il prezzo di un’azione può essere modellato come un cammino casuale.

Il moto browniano, osservato per la prima volta in modo empirico, ha quindi portato alla formulazione di teorie cruciali che hanno influenzato profondamente le scienze fisiche e matematiche. Essa ha fornito una conferma sperimentale della teoria atomica della materia, stabilendo la validità della concezione molecolare della sostanza e ponendo fine a molti dibattiti scientifici precedenti.

Importante è anche notare che il moto browniano non è solo un fenomeno di laboratorio; esso si ripercuote nella nostra vita quotidiana, sebbene non sempre con la stessa evidenza. Le leggi della probabilità e della statistica che regolano il movimento delle particelle sono alla base di numerosi fenomeni naturali, dalle fluttuazioni nei mercati finanziari fino al comportamento delle popolazioni biologiche in ecologia. La capacità di descrivere questi fenomeni con modelli matematici sofisticati è un aspetto cruciale per la comprensione di sistemi complessi, in cui l’individualità di ogni componente è superata dal comportamento collettivo delle parti.

Come funziona realmente la conduzione del calore nel corpo umano? Un'analisi critica del mito della birra fredda per dimagrire

L’idea che bere una birra fredda possa aiutare a perdere peso si basa su un ragionamento apparentemente semplice: il corpo deve consumare energia per riscaldare la birra, portandola dalla temperatura di 8 °C a quella corporea di circa 37 °C. Questo trasferimento di calore, secondo la legge della conduzione termica, comporta una sottrazione di energia dall’organismo. Tuttavia, un'analisi quantitativa più approfondita dimostra che questa convinzione è ingannevole.

La capacità termica della birra è equivalente a quella dell’acqua, circa 4,19 kJ per chilogrammo per grado Kelvin. Per riscaldare 0,5 kg di birra fredda alla temperatura corporea è necessario fornire al corpo un quantitativo di energia pari a circa 61 kJ. Questo valore, però, va confrontato con l’apporto calorico fornito dalla birra stessa, che è intorno ai 900 kJ per la stessa quantità. Ne deriva che, complessivamente, il bilancio energetico è largamente positivo, quindi il consumo di birra tende a incrementare, e non a ridurre, le riserve di energia dell’organismo, favorendo così un aumento di peso.

Al contrario, bere acqua fredda sembra avere un effetto diverso. Studi scientifici hanno evidenziato che l’assunzione di 0,5 litri di acqua a temperatura ambiente (circa 22 °C) può incrementare il metabolismo basale per circa un’ora, con un aumento del 30% rispetto al valore normale. Circa il 40% di questo effetto è attribuibile al riscaldamento dell’acqua nel corpo, mentre il restante 60% dipende da una stimolazione metabolica complessiva. Ciò suggerisce che l’impatto termogenico dell’acqua fredda è dovuto non solo alla semplice conduzione del calore, ma anche a processi metabolici più complessi che ne amplificano l’effetto.

Passando ad un confronto più generale delle capacità termiche specifiche dei materiali, l’acqua si distingue nettamente per il suo valore elevato, circa 4,19 kJ/(kg K), molto superiore a quello del ferro (0,45 kJ/(kg K)) o del legno (1,7 kJ/(kg K)). Questo significa che per ottenere un aumento di temperatura di 10 °C, l’acqua richiede quasi dieci volte più energia rispetto al ferro. Tale caratteristica dell’acqua ha profonde implicazioni non solo in campo termodinamico, ma anche ambientale e biologico. Ad esempio, la grande capacità termica dell’acqua influenza il clima, contribuendo a mitigare le temperature in prossimità di mari e grandi laghi. A livello domestico, invece, questa caratteristica comporta un elevato consumo di energia per riscaldare l’acqua necessaria alla cottura o all’igiene personale.

Nella pratica, la specifica capacità termica non è un valore universale e immutabile, ma dipende dal tipo di sostanza e dallo stato fisico, come nel caso dei gas. La differenza tra capacità termica a pressione costante (cp) e a volume costante (cV) diventa significativa soprattutto nei gas, influenzando l’energia necessaria per riscaldare un volume d’aria o di altri gas in condizioni diverse.

Infine, è importante considerare che nei processi termici reali, come la cottura in forno, gran parte dell’energia fornita non si trasferisce direttamente al cibo, ma viene dispersa nei materiali circostanti, come le pareti del forno, o dispersa verso l’esterno. Questo implica che l’efficienza energetica reale dei processi di riscaldamento dipende da molteplici fattori, tra cui l’isolamento e le caratteristiche del sistema complessivo.

È dunque fondamentale comprendere che il semplice trasferimento di calore, sebbene alla base di molti processi fisiologici e tecnici, deve essere valutato sempre nel contesto complessivo degli apporti energetici e delle reazioni metaboliche o fisiche coinvolte. La capacità termica, il bilancio energetico e la dinamica del metabolismo sono elementi integrati che definiscono come il corpo umano e i sistemi fisici rispondono alle variazioni di temperatura e all’assunzione di sostanze.

Qual è il Ciclo Termodinamico di un Pompa di Calore Carnot?

Il ciclo di Carnot per una pompa di calore è uno degli esempi più significativi di come l'energia termica possa essere trasferita da un ambiente freddo a uno caldo utilizzando principi di termodinamica. Questo ciclo è composto da quattro fasi, ognuna delle quali ha un comportamento ben definito e una serie di relazioni matematiche che la caratterizzano.

Nel primo passo del ciclo, l’aria viene compressa in modo adiabatica, ossia senza scambio di calore con l'ambiente esterno, fino a raggiungere la temperatura della casa (TH = 20°C). L'equazione adiabatica p vκ = costante descrive il processo in cui la pressione e il volume si modificano in modo inversamente proporzionale al parametro adiabatico κ. Alla fine di questa fase, quando la temperatura TH viene raggiunta, il volume specifico dell'aria risulta essere vB = 0,615 m³/kg, come calcolato nell'esempio a pagina 212 del testo. La pressione corrispondente si determina usando l'equazione di stato dei gas ideali, che porta ad una pressione di pB = 1,37 bar. Così, durante questa fase, l’aria viene compressa da una pressione iniziale di 1 bar fino a 1,37 bar, con una variazione di temperatura da −5 °C a 20 °C. Per questa compressione, si compie lavoro WA→B, ma non avviene alcun scambio di calore poiché il processo è adiabatica (il cilindro deve essere ben isolato termicamente).

Nel secondo passo, avviene una compressione isoterma (B → C) a temperatura costante di 20 °C. In questa fase, l’aria viene compressa ulteriormente, ma questa volta c'è uno scambio di calore con l’ambiente, con una quantità di calore QH che entra nell’interno della casa. Maggiore è la compressione, maggiore è il lavoro da compiere, ma anche il calore trasferito. La compressione avviene fino a una pressione finale di pC = 2 bar, con un volume specifico in C che risulta essere vC = 0,420 m³/kg. In questa fase, il lavoro WB→C è il risultato del processo isoterma.

Nel terzo passo, l’aria viene espansa adiabatica (C → D) per riportarla alla temperatura esterna più bassa TL. Durante questa espansione, il volume specifico aumenta, come descritto nell'equazione vD = vC (pC / pD)^(1/κ), che porta a un volume specifico di vD = 0,525 m³/kg. La pressione in D, determinata ancora una volta usando l'equazione di stato dei gas ideali, risulta essere pD = 1,46 bar. In questo passaggio, l’espansione del gas compie lavoro, ma non c'è scambio di calore, dato che il processo è adiabatica.

Infine, nel quarto passo, avviene un’espansione isoterma (D → A) a temperatura esterna di −5 °C. In questa fase, l’aria si espande isotermicamente per trasferire calore dall'esterno al gas nel cilindro, completando il ciclo. Quando si raggiungono il volume iniziale vA e la pressione iniziale pA, il ciclo può essere considerato concluso. La relazione che caratterizza il processo isotermico p v = costante viene verificata.

Questa rappresentazione del ciclo in un diagramma p-v evidenzia chiaramente le fasi del ciclo di Carnot: nelle fasi di compressione (A → B e B → C) il volume specifico diminuisce mentre la pressione aumenta, mentre nelle fasi di espansione (C → D e D → A) accade il contrario. Le curve adiabatica, che seguono la relazione p ∝ v^−κ, appaiono più ripide rispetto alle curve isotermiche, dove la relazione è p ∝ v^−1. Il diagramma p-v aiuta a visualizzare il lavoro svolto durante il ciclo, che corrisponde all'area grigia delimitata dalle curve nel grafico.

Il ciclo di Carnot è una macchina termica ideale, ma la sua efficienza dipende dalla differenza di temperatura tra le due riserve termiche. Per una pompa di calore, questa efficienza è fondamentale per determinare la quantità di lavoro necessaria per trasferire il calore dall'ambiente freddo a quello caldo. Ogni passaggio del ciclo implica un calcolo preciso del lavoro e del calore, utilizzando le equazioni della termodinamica, come l’equazione dei gas ideali per determinare le pressioni e i volumi specifici, e il calcolo del lavoro in un processo isoterma attraverso l'integrazione della relazione p v = costante.

In un contesto pratico, la scelta dei parametri per ciascuna fase del ciclo (come la compressione o la temperatura a cui avviene il trasferimento di calore) dipende dalle condizioni tecniche specifiche dell’applicazione. Per esempio, nella scelta della pressione finale pC e del volume specifico vC durante la compressione isoterma, si tiene conto delle limitazioni del sistema, come la capacità del compressore e le condizioni termiche della casa che deve essere riscaldata.

La comprensione approfondita del ciclo di Carnot e della sua applicazione alle pompe di calore offre una base teorica solida per l’ottimizzazione delle prestazioni termiche dei sistemi energetici. Ma, oltre a ciò, è importante comprendere come la termodinamica applicata influenzi le prestazioni reali di un sistema in relazione alle perdite energetiche inevitabili, alle inefficienze nei materiali e alle fluttuazioni ambientali.

Come si interpreta la seconda legge della termodinamica attraverso il bilancio di entropia?

L’analisi dell’entropia permette di comprendere in profondità la distinzione tra lavoro e calore nella prima legge della termodinamica. Nel caso di un gas ideale sottoposto a una compressione isoterma reversibile, l’entropia del sistema diminuisce, poiché il calore, considerato “di qualità inferiore”, viene ceduto all’ambiente. Questo processo avviene lentamente, in modo che il sistema resti in equilibrio termico con l’ambiente esterno, mantenendo costante la temperatura e quindi l’energia interna, che dipende solo dalla temperatura nel caso di un gas ideale.

La diminuzione di entropia è dunque associata a un aumento della qualità dell’energia all’interno del sistema: il gas compresso possiede un’energia che può essere sfruttata per compiere lavoro, rappresentando quindi uno stato “più prezioso”. L’energia utile (lavoro) entra nel sistema, mentre l’energia meno utile (calore) esce, incrementando la capacità del sistema di svolgere un lavoro utile.

Tuttavia, l’aspetto più profondo si trova nell’osservazione che l’entropia non è una quantità conservata. La legge fondamentale che emerge dall’osservazione sperimentale è che l’entropia generata internamente, indicata come ∆iS, non può mai essere negativa. Ciò significa che nei processi naturali l’entropia può solo aumentare o rimanere costante, ma mai diminuire spontaneamente.

Nei sistemi isolati, nei quali non vi è scambio di calore con l’esterno, l’entropia può solo rimanere invariata o aumentare. Questo principio è alla base dell’irrevocabilità dei processi naturali: tutti i processi con aumento di entropia interna (∆iS > 0) sono irreversibili. La reversibilità è quindi un’ideale teorico raggiungibile solo in processi perfettamente lenti e senza dissipazioni.

La seconda legge non vieta la diminuzione di entropia di un sistema se questa è compensata da un trasferimento di entropia verso l’esterno; ciò si osserva ad esempio nella compressione isoterma del gas. L’entropia può essere “spostata” attraverso i confini del sistema, ma la produzione interna di entropia resta sempre positiva o nulla.

È cruciale comprendere che l’entropia non è una sostanza fisica che può essere creata o distrutta; è piuttosto un concetto astratto, un’utile grandezza che descrive la qualità dell’energia e la direzione dei processi termodinamici. L’aumento di entropia riflette l’irreversibilità e la perdita di “valore” energetico, cioè la diminuzione della capacità di compiere lavoro utile.

Anche le macchine più sofisticate non possono sfuggire a questa legge fondamentale: nessun dispositivo, per quanto efficiente, può evitare l’aumento complessivo di entropia. Questo vincolo ha implicazioni universali, che si estendono dal comportamento delle particelle microscopiche fino ai sistemi biologici e ai processi naturali su scala macroscopica.

Il rigore del secondo principio si manifesta anche localmente: non è possibile che in una parte del sistema l’entropia venga distrutta se non vi è una corrispondente produzione maggiore altrove, in quanto questo violerebbe la legge. Infine, la validità della termodinamica e del concetto di entropia si limita ai sistemi sufficientemente grandi da poter essere descritti statisticamente; nelle scale atomiche più piccole, infatti, entrano in gioco fluttuazioni statistiche che richiedono una diversa interpretazione.

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