I test sierologici sono fondamentali per diagnosticare l'amebiasi invasiva, come gli ascessi epatici o la colite amebica. Questi test sono altamente sensibili (95%-99%), tranne nel caso della fissazione del complemento. Tuttavia, sono negativi nei portatori asintomatici. Tra i test più utilizzati troviamo l'agglutinazione al lattice, la reazione di emagglutinazione (IHA), la diffrazione gel di precipitazione (GDP) e il dosaggio enzimatico (ELISA). Quest'ultimo, benché altamente sensibile, rimane positivo anche dopo molti anni, indicando un'infezione pregressa. Il test GDP diventa negativo circa sei mesi dopo l'infezione ed è particolarmente utile per i pazienti provenienti da aree endemiche con esposizione pregressa all'amebiasi. Un tasso elevato di GDP in un paziente con ascesso epatico suggerisce la presenza di un ascesso amebico, anche in caso di infezione pregressa.

Il trattamento dell’ascesso epatico piogenico (PLA) è basato su un approccio combinato, che include antibiotici sistemici e drenaggio percutaneo, ed è diventato il trattamento preferito per la gestione di questi casi. La scelta della terapia dipende dalle dimensioni dell’ascesso: quelli inferiori a 3 cm possono essere trattati con antibiotici e un monitoraggio ravvicinato per verificarne la risposta, mentre gli ascessi più grandi necessitano di drenaggio percutaneo. Gli antibiotici empirici devono coprire anaerobi, gram-negativi, aerobici gram-positivi ed enterococchi. Le opzioni antibiotiche più comuni includono cefotaxime, metronidazolo, piperacillina/tazobactam e carbapenemi. In caso di infezione enterococcica, il metronidazolo va combinato con vancomicina e gentamicina. Se il trattamento antibiotico non è sufficiente, il drenaggio percutaneo diventa indispensabile, soprattutto per ascessi di dimensioni superiori a 5 cm o per quelli complicati da più cavità. Il drenaggio percutaneo combinato con antibiotici endovenosi offre una percentuale di guarigione del 76%, mentre il solo drenaggio chirurgico porta a un tasso del 61%. Per i pazienti con malattie biliari sottostanti, la risoluzione dell'ostruzione biliare è fondamentale per la guarigione.

Per l'ascesso epatico amebico, il trattamento prevede l'uso di metronidazolo per via orale o endovenosa, efficace nell'amebiasi extraintestinale. La durata del trattamento è di solito tra i 7 e i 10 giorni, con un tasso di risposta che si osserva entro 96 ore. La cura supera l'85%, ma la presenza di parassiti nell'intestino persiste nel 40%-60% dei pazienti trattati, motivo per cui viene raccomandato un farmaco luminale per prevenire la recidiva. Metronidazolo e paromomicina non dovrebbero essere somministrati contemporaneamente, in quanto la diarrea provocata dalla paromomicina rende difficile valutare la risposta al trattamento. Nel caso di un fallimento terapeutico dopo 3-5 giorni di trattamento, o se l’ascesso è di grande dimensione e rischia di rompersi, si può considerare il drenaggio percutaneo. Il drenaggio chirurgico è riservato ai casi in cui l’ascesso sia inaccessibile al drenaggio con ago. È importante inviare il liquido dell’ascesso per la colorazione di Gram e la coltura per escludere una sovrainfezione batterica.

Le complicanze dell'ascesso epatico piogenico, se non trattato, sono gravi e possono portare a un tasso di mortalità del 100%. Le complicanze principali includono la rottura dell'ascesso nella cavità peritoneale, causando ascessi subfrenici, periepatici o subepatici, o peritonite. La rottura può anche verificarsi nella cavità pleurica, provocando un'empiema, o nel pericardio, con pericardite e tamponamento. Nei pazienti con infezione da Klebsiella pneumoniae, la sepsi può dar luogo a embolie settiche che interessano polmoni, cervello e occhi.

Nel caso di ascessi amebici, le complicazioni sono simili. Poiché gli ascessi sono prevalentemente localizzati nel lobo destro del fegato, la rottura nel pericardio è rara, ma può verificarsi nel 1%-2% dei casi. Tuttavia, se l'ascesso si sviluppa nel lobo sinistro, il rischio di rottura pericardica aumenta. Altri rischi includono l'empiema, che può evolvere in ascessi polmonari o fistole broncopleuriche.

L'approccio al trattamento, quindi, deve essere attentamente personalizzato, considerando la dimensione dell'ascesso, la tipologia di infezione, la risposta al trattamento e le condizioni generali del paziente. La diagnosi precoce e il trattamento tempestivo sono fondamentali per ridurre il rischio di complicanze fatali e migliorare la prognosi del paziente.

Quali sono le manifestazioni cliniche della malattia celiaca e della colite infiammatoria?

La malattia celiaca può presentarsi in combinazione con l'artrite, con le manifestazioni reumatiche più comuni che includono la poliartrite simmetrica (~25%), che coinvolge prevalentemente le articolazioni grandi come ginocchia e caviglie, con una prevalenza minore per anche e spalle. In circa il 50% dei casi, l'artrite può precedere i sintomi enteropatici, e sorprendentemente, risponde positivamente a una dieta priva di glutine nel 46%-60% dei pazienti. Questo aspetto evidenzia un legame sottile ma importante tra le malattie autoimmuni e le disfunzioni gastrointestinali. In questi pazienti, la gestione della dieta è un pilastro del trattamento, non solo per i sintomi addominali, ma anche per la riduzione dei disturbi articolari, come dimostrato da diversi studi clinici.

Al contempo, altre condizioni correlate, come l'enteropatia autoimmune e le malattie infiammatorie croniche intestinali (IBD), possono aggravare la situazione. Ad esempio, nel contesto delle IBD, circa il 30% dei pazienti con colite ulcerosa e il 70% dei pazienti con malattia di Crohn si sottoporranno a chirurgia per trattare la loro patologia. Secondo lo studio PUCINNI, che ha esaminato i pazienti con IBD sottoposti a intervento intra-addominale entro 12 settimane dall'esposizione a inibitori del TNF (TNFi), non è stato osservato un aumento significativo delle infezioni post-operatorie rispetto ai pazienti non esposti a questi farmaci. Tuttavia, l'uso pre-operatorio di corticosteroidi, il fumo, la resezione intestinale pregressa e il diabete sono fattori di rischio indipendenti per infezioni post-operatorie in questi pazienti.

Altre malattie autoimmuni, come la colangite biliare primitiva (PBC), sono frequentemente associate a patologie autoimmuni extraepatiche. Circa l'80% dei pazienti con PBC ha anche malattie autoimmuni extraepatiche, tra cui la sindrome di Sjögren, l'ipotiroidismo autoimmune, la sclerodermia, l'artrite reumatoide, la dermatomiosite, il lupus eritematoso sistemico e la fibrosi polmonare idiopatica. Questa connessione tra disturbi epatici e altre malattie autoimmuni implica che una valutazione approfondita dei pazienti con PBC sia cruciale per una gestione completa e olistica del loro stato di salute.

Per quanto riguarda la cirrosi epatica, la valutazione per un trapianto di fegato diventa fondamentale una volta che il paziente ha sviluppato complicazioni come ascite, encefalopatia epatica o emorragia varicosa, e se il punteggio del modello per la malattia epatica terminale (MELD) è ≥15. Questo punteggio è un indicatore che aiuta a determinare la gravità della cirrosi e la necessità di un trapianto di fegato. È essenziale che il trattamento di questi pazienti sia tempestivo e che la gestione delle complicazioni sia accurata, per evitare l'aggravarsi della condizione e la morte del paziente.

La diagnosi di malattie epatiche ereditarie, come l'emocromatosi e l'alfa-1-antitripsina, non richiede una biopsia epatica, sebbene in alcuni casi possa essere utile per la stadiazione della fibrosi, specialmente se i livelli degli enzimi epatici o della ferritina sono elevati al momento della diagnosi. Una corretta gestione di queste condizioni è fondamentale per evitare danni epatici irreversibili. In aggiunta, è importante che i pazienti con emocromatosi siano seguiti attentamente per la prevenzione delle complicanze correlate, come le malformazioni epatiche e le malattie cardiache.

Un altro aspetto rilevante è la gestione dei corpi estranei nell'esofago. Questi dovrebbero essere rimossi entro 24 ore per ridurre al minimo le complicanze e aumentare le probabilità di successo. I pazienti asintomatici con oggetti nello stomaco non necessitano sempre di endoscopia, ma oggetti più grandi di 2,5 cm o più lunghi di 6 cm, come matite o pennelli, devono essere rimossi per evitare complicazioni legate al passaggio nell'intestino.

In conclusione, la gestione delle patologie autoimmuni, come la malattia celiaca e le malattie infiammatorie croniche intestinali, richiede un approccio multidisciplinare che consideri le implicazioni a livello sistemico e la necessità di una diagnosi precoce. La gestione nutrizionale, l'uso di farmaci immunosoppressori e il trattamento tempestivo delle complicazioni sono essenziali per il benessere a lungo termine del paziente. È altresì fondamentale che i pazienti siano monitorati per altre malattie autoimmuni concomitanti, che possono influire sulla prognosi e sul trattamento.