Gli ascessi epatici possono essere classificati in due grandi categorie: piogeni e amebici. Gli ascessi piogeni sono i più comuni, costituendo circa l'80% di tutti gli ascessi nei paesi occidentali, e sono causati da infezioni batteriche, che coinvolgono batteri Gram-negativi o Gram-positivi, sia aerobici che anaerobici, o da infezioni fungine. Gli ascessi amebici, invece, sono più frequenti in aree endemiche come l'India, l'Africa sub-sahariana, il Messico e l'America Latina, e sono causati dall'infezione da Entamoeba histolytica. La distinzione tra i due tipi di ascessi è cruciale, poiché il trattamento per ciascuno di essi differisce significativamente.

Gli ascessi piogeni si verificano più frequentemente negli uomini anziani, con un'incidenza circa 2,5 volte superiore rispetto alle donne. L'incidenza di questi ascessi è in aumento a causa di un maggiore ricorso alla strumentazione del tratto biliare, e a un numero crescente di pazienti con diabete, immunosoppressione, resezione epatica, trapianto di fegato o patologie maligne, tutti fattori di rischio noti. La presentazione clinica è spesso aspecifica, con sintomi come febbre, astenia, anoressia, perdita di peso e dolore nell'ipocondrio destro. La febbre è assente nel 20% dei casi, e solo il 37% dei pazienti presenta la classica combinazione di febbre e tenerezza nell'ipocondrio destro. Inoltre, irritazione del diaframma può causare dolore irradiato alla spalla destra, tosse o singhiozzo. La durata media dei sintomi prima del ricovero ospedaliero è di circa 26 giorni, a causa della natura subacuta della malattia.

Gli ascessi amebici, sebbene più rari, colpiscono circa dieci volte più spesso gli uomini rispetto alle donne. Negli Stati Uniti, questi ascessi riguardano principalmente uomini giovani di origine ispanica che provengono da aree endemiche o che hanno viaggiato in paesi in via di sviluppo. Di solito, l'ascesso amebico si sviluppa tra le 8 e le 20 settimane (con una media di 12 settimane) dopo che il paziente ha lasciato una zona endemica, ma può comparire anche anni dopo l'esposizione. Un ascesso amebico può comparire anche senza sintomi pregressi di enterite amebica, o dopo un episodio di enterite che può durare da 4 giorni a 20 settimane. A differenza degli ascessi piogeni, quelli amebici sono spesso accompagnati da un quadro clinico più acuto: la febbre si manifesta nel 85% dei casi, e il dolore addominale è localizzato nell'ipocondrio destro. Se il processo coinvolge la superficie diaframmatica del fegato, può verificarsi dolore pleurico destro, dolore irradiato alla spalla, tosse o singhiozzo. I sintomi gastrointestinali si riscontrano nel 10-30% dei pazienti e comprendono nausea, vomito, crampi addominali, distensione, diarrea e stipsi.

Dal punto di vista laboratoristico, i test di routine non sono diagnostici per determinare se si tratti di un ascesso piogeno o amebico. Tuttavia, i pazienti con ascesso epatico presentano frequentemente leucocitosi, anemia normocitica, elevazione della proteina C-reattiva e della velocità di sedimentazione degli eritrociti. L'eosinofilia è generalmente assente in entrambi i tipi di ascesso. Più del 90% dei pazienti ha un aumento maggiore della fosfatasi alcalina (AP) rispetto alle transaminasi (AST e ALT). L'iperbilirubinemia si osserva in caso di coinvolgimento biliare e si presenta meno frequentemente negli ascessi criptogenetici. La presenza di ittero in caso di ascesso amebico, sebbene rara (10%), è segno di malattia grave. L'ipoprotemia, in particolare la riduzione dell'albumina sotto i 2 g/dL, è un indicatore di prognosi sfavorevole. Le colture ematiche sono positive in meno del 50% dei casi di ascesso piogeno, mentre il 75%-90% degli aspirati dall'ascesso risultano positivi alla colorazione di Gram per la presenza di batteri. Nel caso degli ascessi amebici, l'aspirazione dell'ascesso non è diagnostica, poiché i trofozoiti sono localizzati solo nella parete dell'ascesso.

Le fonti più comuni di ascesso epatico piogeno sono la malattia del tratto biliare, che costituisce il 35% dei casi. Inizialmente, la malattia da calcoli biliari era la causa principale, ma recentemente le stenosi biliari maligne sono diventate la causa principale degli ascessi piogeni legati alla bile. Gli ascessi possono anche manifestarsi come complicanza tardiva di interventi come la sfinterotomia endoscopica o l'anastomosi bilio-intestinale chirurgica. Tumori maligni del pancreas, del dotto biliare comune e dell'ampolla di Vater costituiscono il 10%-20% degli ascessi epatici di origine biliare. L'invasione parassitaria del tratto biliare da parte di vermi o tricocefali può anch'essa causare infezione biliare e ascesso epatico. Gli ascessi di origine biliare tendono ad essere multipli e di piccole dimensioni, coinvolgendo entrambi i lobi del fegato. Meno comunemente, gli ascessi piogeni si possono sviluppare come complicanza di batteriemia, quando i batteri si seminanano nel fegato attraverso la vena porta da malattie addominali sottostanti come diverticolite, appendicite, neoplasie gastrointestinali e malattia infiammatoria intestinale. Fino al 40% dei casi di ascesso piogeno non ha una fonte evidente di infezione, e sono quindi definiti criptogenetici. Il diabete è particolarmente comune tra i pazienti con ascesso epatico criptogenetico. Infezioni locali distanti, come endocardite o gravi malattie dentali, possono portare a infezione epatica attraverso il flusso sanguigno arterioso epatico.

I principali microrganismi responsabili degli ascessi epatici piogeni includono batteri Gram-negativi, che sono coinvolti nel 50%-70% dei casi, tra cui Escherichia coli e Klebsiella pneumoniae, quest'ultima particolarmente prevalente in Asia, nei pazienti con diabete o malattia maligna. La Klebsiella pneumoniae, in particolare il ceppo genetico K1, è nota per la sua virulenza e può causare complicazioni settiche gravi, tra cui coinvolgimento oculare o del sistema nervoso centrale, anche in pazienti altrimenti sani. Gli organismi Gram-positivi aerobici rappresentano circa il 25% delle infezioni, mentre le infezioni anaerobiche sono comuni, ma la loro prevalenza è difficile da quantificare a causa delle difficoltà nel coltivare organismi anaerobici. Gli ascessi fungini sono stati osservati in pazienti immunocompromessi e in quelli con patologie ematologiche maligne.

Incontinenza Fecale: Cause, Diagnosi e Trattamenti

L'incontinenza fecale (IF) è un disturbo molto comune, ma spesso sottovalutato e non adeguatamente riportato. Si stima che la sua prevalenza vari dal 7% al 15% nella popolazione adulta non ospedalizzata o non istituzionalizzata, ma può raggiungere il 33% negli adulti ospedalizzati e il 70% nelle persone ricoverate in case di riposo. Un aspetto interessante è che la prevalenza dell’IF nelle donne dopo il parto vaginale è diminuita dal 13% all'8% negli ultimi 20 anni, probabilmente grazie a miglioramenti nelle cure ostetriche, come una minore incidenza di parti strumentali e un uso più selettivo dell'episiotomia.

Le cause dell'incontinenza fecale sono molteplici e possono essere suddivise in due categorie principali: neurologiche e muscolari. Le lesioni neurologiche, sia centrali che periferiche, sono tra le cause più comuni. Tra le condizioni neurologiche centrali ci sono sclerosi multipla, demenza, ictus, tumori cerebrali e lesioni del midollo spinale. Le cause neurologiche periferiche comprendono lesioni della cauda equina, neuropatia diabetica e neuropatia alcool-correlata. Anche malattie come la malattia di Crohn, la colite ulcerosa e le infiammazioni dovute alla radioterapia possono compromettere la compliance e l'accoglienza del retto, portando a episodi di IF.

La diagnosi di IF richiede un'accurata anamnesi e un esame fisico. Poiché i pazienti con incontinenza spesso si sentono imbarazzati a discutere il loro problema, è fondamentale porre domande dirette sullo stato di incontinenza fecale, cercando di capire la frequenza e la gravità degli episodi, la presenza di urgenza rettale e eventuali sintomi notturni. Inoltre, è necessario esplorare la storia medica del paziente, indagando su condizioni neurologiche preesistenti, diabete, traumi anali passati, interventi chirurgici e, nel caso delle donne, la storia ostetrica.

Un altro aspetto cruciale nella valutazione di un paziente con IF è l'esame fisico, che deve includere un’accurata valutazione delle funzioni cognitive e neurologiche. Un esame rettale digitale e perineale è essenziale per identificare eventuali anomalie anatomiche, come il prolasso rettale. Esami specifici come l’ultrasonografia endo-anale o la risonanza magnetica defecografica possono fornire informazioni utili per individuare difetti anatomici nei muscoli sfinterici e altre disfunzioni.

Per quanto riguarda il trattamento dell'incontinenza fecale, esistono diverse opzioni terapeutiche, che possono essere farmacologiche o non farmacologiche. Tra le soluzioni farmacologiche, i farmaci che migliorano la consistenza delle feci, come i lassativi a base di fibra, possono essere utili. Alcuni farmaci, come il loperamide, il colestiramina, la clonidina e la fenilefrina topica, hanno dimostrato effetti positivi sull’IF, sebbene le evidenze siano ancora deboli. Altri farmaci che rallentano il transito intestinale, come l’atropina e la difenossilato, possono essere impiegati in caso di necessità. Gli antidepressivi triciclici, che spesso causano stipsi, possono essere utilizzati in alcuni pazienti per il loro effetto sul rallentamento del transito intestinale.

Terapie non farmacologiche includono la biofeedback, che si è dimostrata efficace nel migliorare la forza dello sfintere anale e la coordinazione tra i muscoli addominali, glutei e sfinteri anali. Inoltre, l'iniezione di agenti di riempimento nel canale anale, come il dextanomer in acido ialuronico stabilizzato o gli elastomeri di silicone, può essere utilizzata per migliorare il funzionamento dello sfintere. Un'altra opzione terapeutica è la stimolazione nervosa sacrale (SNS), che può essere temporaneamente testata con un dispositivo stimolante per verificare l'efficacia prima di procedere con l’implantazione permanente. La stimolazione tibiale percuteanea, simile alla SNS, è un’altra opzione che ha mostrato risultati promettenti. Inoltre, il trattamento con ablazione a radiofrequenza, che crea lesioni termiche nei muscoli sotto la mucosa, sta guadagnando attenzione, sebbene i risultati siano ancora contrastanti e necessitino di ulteriori studi. La neuromodulazione translumbosacrale, che utilizza la stimolazione magnetica ripetitiva dei nervi dei plessi lombare e sacrale, è una terapia recente che ha mostrato buone evidenze nel trattamento dell’IF.

Quando le terapie conservatorie non sono efficaci, può essere necessario un intervento chirurgico. In particolare, i pazienti con difetti anatomici, come la rottura dello sfintere anale esterno, possono trarre beneficio da un intervento chirurgico. Tuttavia, le evidenze sui benefici a lungo termine degli interventi chirurgici sono limitate. La riparazione dello sfintere anale o la sfinteroplastica non sempre danno risultati duraturi, e in alcuni casi, può essere necessario ricorrere alla colostomia, specialmente nei pazienti che non sono candidati per altri trattamenti o che non rispondono alla gestione medica.

È importante che i lettori comprendano che, nonostante i numerosi trattamenti disponibili, l'approccio all’incontinenza fecale deve essere personalizzato e gestito con attenzione, considerando le esigenze e le condizioni specifiche di ciascun paziente. Una diagnosi precoce e una gestione adeguata possono migliorare significativamente la qualità della vita dei pazienti, riducendo l'impatto psicologico e sociale di questa condizione debilitante.

Come viene gestito il sanguinamento da varici esofagee e quali sono le implicazioni del follow-up?

Le varici esofagee rappresentano una complicanza critica della cirrosi epatica e, in caso di sanguinamento, richiedono un intervento tempestivo e mirato per prevenire la recidiva emorragica e le complicazioni correlate. L’approccio terapeutico più consolidato combina la terapia farmacologica con beta-bloccanti non selettivi e il trattamento endoscopico mediante legatura elastica delle varici (EVL, endoscopic variceal ligation). L’obiettivo della terapia farmacologica è la riduzione della pressione venosa portale, con l’uso di propranololo o nadololo titolati per mantenere una frequenza cardiaca a riposo di 55–60 battiti al minuto, evitando un abbassamento della pressione sistolica sotto i 90 mmHg.

Dopo un episodio di sanguinamento, il monitoraggio endoscopico ripetuto rappresenta la pietra angolare per assicurare l’eradicazione delle varici. Le sedute di EVL vanno ripetute ogni 1–4 settimane fino alla scomparsa delle varici, seguite da controlli periodici a 3–6 mesi e successivamente ogni 6–12 mesi. Un breve trattamento con inibitori della pompa protonica (PPI) per circa 10 giorni può essere considerato per ridurre l’ulcerazione post-legatura, anche se non vi sono prove sufficienti che ciò diminuisca le complicazioni emorragiche.

Nei pazienti trattati con successo mediante shunt portosistemici transjugulari (TIPS), la ripetizione dell’endoscopia non è generalmente necessaria, ma è fondamentale il monitoraggio per la possibile insorgenza di encefalopatia epatica. In tali casi, la profilassi con rifaximina può essere indicata. È essenziale considerare che un episodio di emorragia da varici rappresenta un evento di scompenso epatico e pertanto il paziente deve essere inserito in un percorso di cura presso un centro specializzato per il trapianto di fegato.

Le procedure alternative come la obliterazione transvenosa retrograda o anterograda con occlusione mediante palloncino sono tecniche radiologiche emergenti utili nei pazienti con sanguinamento da varici gastriche, soprattutto in presenza di encefalopatia epatica o controindicazioni al TIPS, sempre in associazione a shunt gastrorenali.

È importante comprendere che il sanguinamento da varici è solo una manifestazione acuta di una malattia epatica avanzata; pertanto, l’approccio terapeutico non si limita alla gestione dell’emorragia ma implica una valutazione globale dello stato epatico, con particolare attenzione alla prevenzione delle complicanze future e alla pianificazione di strategie terapeutiche a lungo termine. La compliance alla terapia farmacologica e il corretto svolgimento del follow-up endoscopico sono cruciali per ridurre il rischio di recidive e migliorare la prognosi.

La gestione del paziente con sanguinamento da varici richiede quindi un equilibrio tra interventi urgenti, terapie preventive e supporto multidisciplinare. Solo attraverso un’attenta valutazione clinica e un follow-up strutturato si può ridurre la mortalità associata a questa condizione, garantendo al contempo una migliore qualità di vita.

Tumore epatico, biopsia e interventi percutanei: un'analisi delle complicazioni e delle indicazioni

La crescita del tumore seminato è una preoccupazione nota nell'ambito delle biopsie epatiche, ma l'American Association for the Study of Liver Diseases ha suggerito che questo rischio sia stato sopravvalutato in letteratura precedente. Vari fattori sono considerati influenti nel rischio di semina tumorale, tra cui la dimensione dell'ago, il numero di passaggi dell'ago, il passaggio attraverso il parenchima normale, nonché la differenza tra sistemi coassiali e a singolo ago. Tuttavia, a causa della mancanza di prove robuste, non si può ancora trarre una conclusione definitiva. Nonostante ciò, è fondamentale discutere questa potenziale complicanza con il paziente prima della procedura, senza che essa costituisca una controindicazione assoluta alla biopsia con ago fine (FNA) o alla biopsia con core. Questo tipo di intervento rimane una scelta valida in quei pazienti in cui la diagnosi è incerta e un'indagine precisa può modificare il piano terapeutico.

Le lesioni cistiche, come i sospetti cistadenomi o cistadenocarcinomi dell'ovaio o del pancreas, non devono essere campionate per via percutanea, nemmeno con aghi di piccole dimensioni. Questo approccio è associato a un rischio significativo di semina lungo il tratto dell'ago e alla successiva comparsa di pseudomixoma peritoneale o carcinomatosi peritoneale, complicazioni che richiedono una gestione particolarmente attenta.

Interventi percutanei guidati da immagini sono un'opzione consolidata per la gestione di diverse condizioni dolorose. Un esempio tipico è il blocco del plesso celiaco, indicato per diagnosticare il dolore mediato simpaticamente e per il trattamento del dolore in condizioni acute come la pancreatite acuta, o in caso di dolore addominale associato a neoplasie epatiche. In aggiunta, la neurolisi del plesso celiaco, che può essere realizzata con fenolo o alcool, si rivela utile nel trattamento del dolore cronico da neoplasie retroperitoneali, come il cancro del pancreas, o nel dolore cronico benigno, come quello associato alla pancreatite cronica.

Esistono anche altri blocchi percutanei guidati da immagini che si utilizzano per trattare dolori simpaticamente mediati di organi pelvici o del perineo, come nel caso di tumori maligni o dolore proctalgia fugax, e possono essere indicati in caso di enterite da radiazioni. La gestione del dolore pelvico può includere anche il blocco del plesso ipogastrico, mentre il blocco del ganglio impari è indicato per il trattamento del dolore perineale, rettale o genitale, come nel caso del cancro rettale.

Quando si tratta di masse epatiche, la necessità di una biopsia percutanea dipende da una serie di fattori clinici e radiologici. Le masse benigne, come gli emangiomi, l'iperplasia nodulare focale e gli adenomi, presentano caratteristiche distintive nelle immagini di alta qualità. In questi casi, la biopsia spesso non è necessaria se i segni clinici sono compatibili. Tuttavia, se le caratteristiche cliniche o radiologiche non sono chiare, la biopsia può essere eseguita in sicurezza. In particolare, l'epatocarcinoma (HCC) può spesso essere diagnosticato senza biopsia utilizzando i criteri LI-RADS (Liver Imaging Reporting and Data System), che forniscono una guida precisa nell'identificare caratteristiche specifiche dell'HCC.

Per quanto riguarda le complicanze, il rischio di crisi carcinoide durante la FNA di metastasi epatiche da carcinoma carcinoide è significativo. I pazienti con tumori carcinoidi presentano sintomi clinici distintivi che possono essere confermati tramite esami biochimici. Qualora la biopsia fosse necessaria, è fondamentale che le preparazioni adeguate siano effettuate e che siano prontamente disponibili farmaci e attrezzature di supporto, come l'octreotide, per prevenire crisi ipotensive gravi.

Gli ascessi epatici piogenici, spesso trattabili con drenaggio percutaneo, rappresentano un altro esempio di intervento percutaneo. In genere, gli ascessi di dimensioni inferiori a 3 cm sono trattati con antibiotici, mentre quelli di dimensioni superiori a 4 cm necessitano di drenaggio percutaneo (PCD). È fondamentale monitorare la risoluzione completa della lesione tramite imaging di follow-up. Nei casi in cui non si osservi una risoluzione, è consigliabile eseguire una biopsia per escludere un possibile tumore occulto.

Anche gli ascessi amebici, sebbene rispondano generalmente al trattamento antibiotico, possono richiedere PCD in caso di risposta insufficiente. Gli ascessi localizzati nella parte periferica o nel lobo sinistro del fegato sono particolarmente suscettibili a rottura verso lo spazio peritoneale, pericardico o pleurico, rendendo necessario un trattamento percutaneo.

Infine, la gestione delle cisti epatiche semplici ed epiteliali può includere il drenaggio percutaneo e la scleroterapia. Sebbene le cisti epatiche siano generalmente asintomatiche e non richiedano trattamento, quelle sintomatiche possono essere trattate con l'aspirazione e la scleroterapia, utilizzando agenti sclerosanti come l'etanolo o la tetraciclina, per ridurre il volume e migliorare la qualità della vita del paziente.

Oltre agli aspetti tecnici e clinici, è essenziale che i lettori comprendano l'importanza di un approccio personalizzato nella gestione delle lesioni epatiche e delle patologie correlate. Le complicazioni, sebbene possibili, non devono scoraggiare l'uso di tecniche moderne di biopsia e intervento percutaneo, che, se effettuate con le giuste precauzioni, rappresentano strumenti cruciali nella diagnosi e trattamento delle malattie epatiche. Inoltre, il monitoraggio post-operatorio è fondamentale per garantire l'efficacia del trattamento e per identificare tempestivamente eventuali complicanze.

Qual è l'approccio chirurgico ideale per la gestione dell'ulcera peptica complicata e delle sue recidive?

L'aggiunta di un intervento definitivo per l'ulcera è riservata ai pazienti con una storia che suggerisce un alto tasso di recidiva, come i fumatori o i consumatori cronici di FANS. La decisione di aggiungere un intervento chirurgico definitivo dipende dalle capacità e dall'esperienza del chirurgo e può comportare una vagotomia tronculare laparoscopica con piloroplastica o, nei rari casi, una vagotomia selettiva altamente laparoscopica. Le indicazioni relative per la conversione a una procedura aperta includono la posizione posteriore dell'ulcera e una localizzazione inadeguata. La presenza di un'ulcera gastrica perforata con sospetto di malignità può richiedere una conversione per una diagnosi definitiva.

La riparazione laparoscopica di un'ulcera perforata è associata a tassi di complicazioni, durata della degenza e dolore inferiori rispetto agli interventi chirurgici aperti. Tuttavia, le tecniche minimamente invasive dovrebbero essere utilizzate solo quando lo stato clinico del paziente lo consente e il chirurgo è sicuro nell'applicarle.

Nelle situazioni in cui si verifica un'emorragia gastrointestinale causata da un'ulcera peptica, esistono dei fattori predittivi di rebleeding, cioè di nuova emorragia in ospedale. Tra questi, l'instabilità emodinamica (pressione arteriosa sistolica inferiore a 100 mm Hg, frequenza cardiaca superiore a 100-110 battiti al minuto), una grandezza dell'ulcera superiore ai 1-2 cm, la localizzazione dell'ulcera (parete posteriore duodenale e curvatura minore alta), la presenza di emorragia attiva durante l'endoscopia, l'ematoocrito inferiore al 30%, la coagulopatia, l'ematemesi, e l'incapacità di liberare lo stomaco con una lavanda aggressiva. La classificazione di Forrest descrive i fattori di rischio endoscopici per il rebleeding.

Il trattamento preferenziale per un'ulcera peptica sanguinante è la terapia endoscopica. Se il paziente ha una recidiva dell'emorragia, si deve tentare una nuova terapia endoscopica. Se l'emorragia persiste o ricorre dopo due tentativi di controllo endoscopico, il prossimo intervento sarà chirurgico o di embolizzazione angiografica. L'intervento chirurgico è indicato quando il sanguinamento continua dopo il fallimento della terapia endoscopica e dell'embolizzazione angiografica, se queste opzioni non sono disponibili, o in caso di emorragia massiva con instabilità emodinamica, in cui non vi è tempo per tentare soluzioni meno invasive.

Le opzioni operative per il controllo di un'ulcera gastrica sanguinante sono varie. L'esportazione dell'ulcera è la scelta migliore. Le ulcere gastriche sanguinanti richiedono un'escissione e una biopsia per escludere la malignità. Le ulcere gastriche piccole (meno di 2 cm) possono essere generalmente escisse in modo facile e sicuro, con l'aggiunta di un intervento che riduca l'acidità per i pazienti con ipersecrezione acida. Ulcere gastriche di dimensioni maggiori, quelle della curvatura minore, le ulcere sanguinanti associate a gastrite, e le ulcere che penetrano nel pancreas richiedono un intervento più radicale e tecnicamente impegnativo (resezione subtotale, resezione del 75% o quasi totale [95%] della gastrectomia) per controllare l'emorragia.

Per quanto riguarda l'ulcera duodenale sanguinante, la scelta migliore è la sutura semplice dell'ulcera sanguinante. Il controllo del letto dell'ulcera si ottiene eseguendo una duodenotomia anteriore con legatura diretta del vaso sanguinante o plicatura completa del letto dell'ulcera. Se un'ulcera duodenale posteriore ha eroso l'arteria gastroduodenale, il sanguinamento può essere abbondante. In pazienti con malattia ulcerosa refrattaria alla terapia medica o che assumono FANS cronici, si eseguirà un intervento definitivo per l'ulcera. Questo può consistere in una vagotomia tronculare con piloroplastica o in una vagotomia tronculare con antrectomia. Un altro approccio prevede il controllo dell'ulcera duodenale sanguinante attraverso un'incisione piloroplastica, in cui una vagotomia tronculare completa l'intervento definitivo per l'ulcera.

Nel trattamento dell'ostruzione gastrica da ulcera peptica, che può risultare da una riacutizzazione di ulcera in presenza di cicatrici croniche nel piloro e nel duodeno, la chirurgia è necessaria in più del 75% dei pazienti. L'intervento chirurgico ha come obiettivo principale il sollievo dall'ostruzione e la realizzazione di un intervento definitivo per l'ulcera. L'approccio chirurgico più comune è la vagotomia tronculare con antrectomia e ricostruzione Billroth II, a meno che il moncone duodenale non possa essere chiuso in modo sicuro. In questo caso, si lascia una duodenostomia per controllare le secrezioni fino alla chiusura del moncone per intenzione secondaria.

La gestione endoscopica e laparoscopica dell'ostruzione gastrica da ulcera peptica presenta dei vantaggi, ma la terapia medica da sola può fallire se non si tratta l'infezione da H. pylori. La dilatazione con palloncino può essere utile, ma senza il trattamento dell'infezione da H. pylori, la recidiva e il fallimento dell'intervento sono più frequenti. La vagotomia tronculare laparoscopica combinata con piloroplastica o antrectomia con gastrojejunostomia ha avuto successo in modo sicuro e con bassa morbidità, ma la scelta della gestione laparoscopica o aperta dipende dall'esperienza del chirurgo.

Infine, le operazioni chirurgiche per le ulcere peptiche, come la vagotomia tronculare e la resezione, presentano un rischio di complicanze a lungo termine, ma una ridotta recidiva per alcune di esse. La decisione finale dell'intervento chirurgico dipende dalla valutazione di questi fattori, dall'esperienza del chirurgo e dalle preferenze del paziente.