L'approccio matematico tradizionale può teoricamente fornire risultati esatti nell’analisi strutturale, ma la sua applicazione pratica è estremamente limitata e complessa. Questo deriva dall’enorme sforzo necessario per formulare e risolvere problemi riguardanti strutture di grandi dimensioni, caratterizzate da un elevato numero di gradi di libertà. La risoluzione classica è pertanto riservata a telai molto semplici o singoli elementi con condizioni di carico e di vincolo elementari.

Il metodo degli elementi finiti (MEF) si colloca tra i metodi numerici più efficaci, assieme al metodo delle differenze finite e al metodo degli elementi di contorno. Esso consente di approssimare un sistema strutturale originale, che idealmente possiede un numero infinito di gradi di libertà, tramite un modello matematico semplificato con un numero finito di gradi di libertà. Questo processo si traduce nella sostituzione delle equazioni differenziali e delle condizioni di continuità e vincolo originali con un sistema di equazioni matriciali, le quali possono essere risolte in maniera sistematica. In tal modo, oltre a ridurre la complessità del problema, si aggirano le difficoltà intrinseche nell’affrontare direttamente il problema al contorno classico.

Nell’ambito dell’analisi lineare di strutture intelaiate, la progettazione parte dalla scelta preliminare di sezioni e dimensioni degli elementi, basata sull’esperienza. Successivamente, la struttura viene idealmente suddivisa in elementi lineari collegati nei nodi, ciascuno identificato da un numero. Per ogni elemento si formulano quindi le equazioni di rigidezza in funzione dei gradi di libertà nodali, garantendo che l’equilibrio venga soddisfatto in modo debole o medio. Attraverso una trasformazione dalle coordinate locali degli elementi a quelle globali della struttura, e mantenendo la compatibilità nodale e l’equilibrio tra gli elementi collegati, si assemblano tutte le equazioni elementari in un sistema globale di rigidezza. Impostando infine opportune condizioni al contorno geometriche, si stabilizza cinematicamente la struttura, eliminando i moti rigidi, situazione riconosciuta dal fatto che la matrice globale di rigidezza risulti definita positiva. Per un dato insieme di carichi, le deformazioni nodali vengono calcolate risolvendo questo sistema globale, e successivamente si determina la risposta locale degli elementi, come sforzi e tensioni, per verificare la validità della scelta delle sezioni.

Il processo di discretizzazione o idealizzazione costituisce dunque il primo e più delicato passo dell’analisi con elementi finiti. Esso richiede la definizione di ipotesi geometriche, proprietà delle sezioni, tipologie di connessione, materiali, condizioni al contorno e carichi. Solo attraverso tali ipotesi è possibile trasformare una struttura originariamente continua e complessa in un modello matematico con gradi di libertà finiti, idoneo a una valutazione precisa. La preparazione di tutti questi dati, chiamata fase di preprocessing, precede l’esecuzione dell’analisi vera e propria e rimane il passaggio più oneroso e critico in termini di tempo ed errori umani, specialmente per strutture di grandi dimensioni o con geometrie complesse.

Si consideri che nel contesto di questa analisi lineare si assumono piccole deformazioni e assenti spostamenti iniziali, pertanto non si prendono in considerazione gli effetti non lineari della variazione geometrica. In altre parole, la configurazione iniziale non deformata coincide con quella attuale durante l’analisi, e le componenti quadratiche o prodotti incrociati delle deformazioni sono trascurabili. Ciò implica che le tensioni e le deformazioni si possano descrivere mediante la teoria delle deformazioni infinitesime, semplificando di molto il problema.

Questo tipo di analisi può essere considerata un caso particolare di analisi non lineare, in cui il carico viene applicato in un unico passo e le differenze tra formulazioni totali e aggiornate sono nulle. Le equazioni di equilibrio si riducono quindi a un unico sistema lineare, dove il lavoro esterno è bilanciato dalle deformazioni elastiche, senza alcun contributo da effetti geometrici o materiali non lineari.

È fondamentale comprendere che l’analisi lineare rappresenta la base e prerequisito imprescindibile per affrontare le analisi non lineari più complesse. Conoscere la formulazione, la simbologia e la procedura per derivare le matrici di rigidezza elementari nel contesto lineare permette di affrontare con maggiore sicurezza le successive estensioni non lineari, basate su formulazioni aggiornate come quella lagrangiana. Questo collegamento metodologico consente di gestire sistemi strutturali sempre più sofisticati, mantenendo il rigore matematico e la coerenza fisica nella modellazione.

La preparazione accurata e rigorosa del modello strutturale e dei dati di input è ciò che determina la validità e l’efficacia dell’intero processo di analisi. Gli errori nella definizione degli elementi, delle proprietà o delle condizioni di vincolo possono portare a risultati errati o non affidabili, rendendo vana ogni ulteriore elaborazione numerica. Perciò, oltre alla conoscenza teorica delle formule e dei procedimenti, è indispensabile una attenta valutazione critica e iterativa dei dati inseriti, in modo da affinare progressivamente il modello fino a ottenere una rappresentazione fedele della realtà strutturale.

Come si generano i momenti e le coppie in strutture non lineari tridimensionali?

Il concetto di momento e coppia non si limita esclusivamente all’interpretazione tradizionale come risultanti di tensioni, ma può essere esteso a meccanismi conservativi specifici, come evidenziato dai meccanismi quasi-tangenziali e semi-tangenziali. Questi ultimi rappresentano una generalizzazione delle coppie, dove le forze dirette agiscono con bracci di leva orientati lungo assi specifici, come l’asse y o z, generando momenti che variano in modo significativo in presenza di rotazioni finite.

Un esempio di questo è il cosiddetto torque di tipo St. Venant, o semi-tangenziale (ST), che induce momenti ΔMy e ΔMz simili a quelli generati da coppie convenzionali, ma con proprietà particolari nelle rotazioni. I meccanismi di coppia quasi-tangenziale di prima (QT-1) e seconda specie (QT-2) generano invece momenti che si distinguono per le loro dipendenze rotazionali: nel primo caso si ha ΔMy proporzionale alla rotazione θz, mentre nel secondo ΔMz è proporzionale a −θy.

I momenti flettenti, normalmente trattati come risultanti di tensioni, possono essere reinterpretati attraverso queste definizioni di momenti quasi-tangenziali o semi-tangenziali, modificando così la comprensione delle loro trasformazioni in presenza di rotazioni tridimensionali. Le equazioni fondamentali mostrano che tali momenti subiscono variazioni dipendenti dalle rotazioni attorno agli assi spaziali, sottolineando come l’approccio tradizionale di considerare solo la direzione e la grandezza del momento sia insufficiente per descrivere fenomeni più complessi, specialmente in analisi non lineari.

Queste proprietà rotazionali non sono un mero esercizio teorico, bensì elementi fondamentali nell’impostazione delle condizioni di equilibrio per giunti strutturali che connettono membri non collineari, e nella definizione delle condizioni al contorno naturali nei nodi sottoposti a carichi applicati. In particolare, in analisi di instabilità (buckling), è cruciale che tutte le quantità fisiche e relazioni siano riferite alla configurazione deformata (C2), per catturare correttamente il comportamento non lineare della struttura.

La formulazione aggiornata lagrangiana adottata per gli elementi trave tridimensionali riflette questo concetto: tutte le quantità, tensioni e deformazioni, sono riferite alla configurazione più recente (C1) e le equazioni di equilibrio sono linealizzate attorno a questa, considerando incrementi di deformazione piccoli ma non trascurando gli effetti non lineari. Il lavoro virtuale esterno, generato dall’aumento delle trazioni superficiali tra la configurazione C1 e C2, si trasforma in energia di deformazione e potenziale, causando il passaggio della struttura da una configurazione all’altra.

Le componenti di deformazione ritenute rilevanti per una trave tridimensionale sono tre, corrispondenti alle tensioni di Cauchy 1τxx, 1τxy, 1τxz e alle corrispondenti componenti di deformazione incrementale, che sono scomposte in parti lineari e non lineari. Tale scomposizione consente di isolare la componente di energia dovuta alle deformazioni lineari, espressa in funzione degli spostamenti trasversali e torsionali, integrando i contributi della flessione, della trazione e della torsione sulla sezione trasversale della trave.

Il risultato è un’espressione dell’energia di deformazione che ingloba i moduli di elasticità E e di rigidità G, e le proprietà geometriche della sezione quali momenti di inerzia Iy, Iz e la costante di torsione J, espressa attraverso integrali sul volume e la superficie della trave. Questa formulazione è essenziale per la costruzione di modelli di elementi finiti aggiornati in analisi non lineari, dove le interazioni tra rotazioni finite e stati tensionali devono essere accuratamente rappresentate.

L’interpretazione di momenti e coppie come fenomeni dipendenti da meccanismi quasi-tangenziali o semi-tangenziali aiuta a comprendere come le rotazioni influenzino i risultati strutturali, soprattutto nelle connessioni complesse di strutture spaziali. Questo si riflette in una necessità imprescindibile di adottare una formulazione rigorosa e coerente con la fisica del problema, capace di includere tutte le trasformazioni meccaniche in condizioni realistiche di carico e deformazione.

Per una comprensione più profonda, è fondamentale tenere presente che l’equilibrio in strutture non lineari deve sempre essere riferito alla configurazione attuale deformata, e che le proprietà di rotazione di momenti e coppie non sono trascurabili nelle analisi di instabilità o grandi deformazioni. La distinzione tra momenti tradizionali e quelli definiti come quasi-tangenziali o semi-tangenziali permette di cogliere gli effetti di accoppiamento tra torsione, flessione e rotazioni spaziali, indispensabili per una modellazione fedele di strutture reali.