Nel corso di vari studi condotti su diversi campioni di partecipanti, è stato osservato che le persone tendono ad essere più inclini a credere in messaggi che mettono in evidenza i pericoli piuttosto che i benefici. Sebbene le manipolazioni di framing, come quelle utilizzate da Hilbig e Fessler et al., siano efficaci, esse presentano il problema che una manipolazione di una dichiarazione negativa per renderla positiva può portare a descrizioni dei benefici che consistono principalmente nell'evitare pericoli, non riuscendo quindi a distinguere chiaramente tra i due tipi di informazione. Per affrontare questo problema, Fessler, Pisor e Holbrook (2017) hanno creato dichiarazioni tematicamente accoppiate, ognuna delle quali descriveva un pericolo e un beneficio non correlato. Per esempio, una dichiarazione come "Il cavolo contiene tallio, un metallo pesante tossico che la pianta assorbe dal suolo" è stata affiancata da una dichiarazione che diceva "Mangiare carote porta a un miglioramento significativo della vista". In studi condotti con partecipanti americani, i ricercatori hanno trovato ulteriori evidenze di una credulità negativamente inclinata.

Tuttavia, sebbene la credulità negativamente inclinata venga generalmente considerata una caratteristica tipica della cognizione umana, è evidente che esistono delle variazioni individuali in tale tratto. Diversi fattori determinano queste variazioni. In primo luogo, i costi e i benefici della credulità negativamente inclinata dipendono dalla probabilità che un pericolo sconosciuto descritto in un determinato messaggio esista realmente. Uno degli aspetti che influisce sulle stime individuali di questa probabilità è la frequenza di altri pericoli. I pericoli tendono, infatti, a coesistere. Se un ecosistema ospita una specie di predatore pericoloso o un fungo mortale, è probabile che ospiti anche altre specie pericolose. Allo stesso modo, un quartiere caratterizzato da piccoli crimini sarà spesso soggetto anche a crimini più gravi. Le persone che vivono in ambienti pericolosi tendono quindi ad avere una credulità negativamente inclinata più sviluppata, poiché la presenza di numerosi pericoli noti aumenta la probabilità che un messaggio che descrive un pericolo sconosciuto sia accurato.

In secondo luogo, indipendentemente dai problemi legati al pericolo, le persone valutano la plausibilità delle nuove informazioni rispetto alla loro conoscenza preesistente. Di conseguenza, i messaggi che sono coerenti con la comprensione preesistente sono visti come più plausibili di quelli che non lo sono. Questo aspetto suggerisce un ulteriore percorso in cui le credenze riguardanti la frequenza dei pericoli influenzano la valutazione di dichiarazioni che descrivono pericoli sconosciuti. Se una persona crede che il proprio ambiente sia pericoloso, troverà le nuove informazioni sui pericoli più congruenti con la propria comprensione, rendendole più plausibili.

Un altro fattore da considerare è la differenza tra le persone nella capacità di affrontare i pericoli. Alcuni individui dispongono di risorse fisiche e sociali maggiori per far fronte ai pericoli, mentre altri hanno meno risorse a disposizione. Di conseguenza, la minaccia rappresentata da una determinata fonte di pericolo varia da persona a persona, influenzando di conseguenza l’utilità della credulità negativamente inclinata.

Inoltre, esistono differenze di personalità che influiscono sulla propensione a correre rischi, incluse quelle che determinano quanto il mondo venga percepito come pericoloso. Le persone differiscono nell'estensione della loro inclinazione verso il rischio, con conseguenti variazioni nel modo in cui reagiscono ai pericoli. La tendenza a percepire il mondo come un luogo pericoloso si associa in particolare con le persone di orientamento politico conservatore. Gli studi hanno infatti mostrato che i conservatori tendono a vedere il mondo come più pericoloso rispetto ai liberali. Questo fenomeno può essere interpretato nel contesto delle diverse strategie sociali: il conservatorismo tende a enfatizzare il mantenimento delle pratiche culturali e sociali esistenti, mentre il liberalismo si orienta verso l’innovazione e il cambiamento. Poiché le pratiche esistenti hanno resistito ai pericoli del passato, i conservatori sono maggiormente inclini a percepire i pericoli in modo acuto, mentre i liberali, più disposti all’innovazione, potrebbero interpretare i pericoli come minacce meno immediate.

Un altro aspetto importante riguarda l'ansia e la sua correlazione con la credulità negativamente inclinata. Le persone che si sentono più ansiose tendono a credere di più alle voci riguardanti pericoli imminenti, poiché una preoccupazione costante per le minacce aumenta la vulnerabilità alle informazioni allarmistiche. In effetti, le preoccupazioni riguardanti i pericoli rafforzano la predisposizione a credere a voci o informazioni che parlano di minacce.

Infine, un'ulteriore considerazione riguarda la variabilità individuale nella percezione della pericolosità del mondo, che risulta strettamente legata alle differenze politiche e personali. Come osservato negli studi sui partecipanti americani, l'orientamento politico gioca un ruolo fondamentale nel determinare quanto una persona percepisca il mondo come un luogo pericoloso e nella misura in cui reagisce a queste minacce. Questo tipo di credulità, negativamente inclinata, non si limita solo alla semplice percezione di pericoli, ma può anche influenzare il comportamento sociale e politico, con possibili implicazioni sul modo in cui le persone interagiscono con l'ambiente e la comunità.

Come le Normative sui Media Influenzano la Lotta contro la Disinformazione e le Fake News

Le leggi sui media e la diffusione di notizie false hanno una lunga storia, radicata nell'evoluzione della comunicazione e nella necessità di proteggere la società da manipolazioni e destabilizzazioni. La Francia, ad esempio, con la legge del 29 luglio 1881, che è stata aggiornata per i tempi moderni, stabilisce che "tutta la pubblicazione, diffusione o riproduzione di notizie false, con qualsiasi mezzo, come monete contraffatte o falsificate, attribuite erroneamente a terzi, che, compiute in mala fede, abbiano turbato o possano turbare la pace pubblica, sono punibili con una multa di 45.000 euro". Quando queste azioni compromettono la disciplina o il morale militare, o ostacolano lo sforzo bellico nazionale, la multa può salire fino a 135.000 euro. Questa formulazione, che risale al XIX secolo, testimonia quanto le tecniche di destabilizzazione attraverso l'informazione siano antiche e quanto siano ancora rilevanti nel XXI secolo. L'importo della multa, convertito in euro, è l'unica modifica significativa, poiché il contenuto della legge rimane praticamente invariato.

Nel 2018, la Germania ha fatto un passo ulteriore, introducendo la legge sulla regolamentazione dei social media, nota come Netzwerkdurchsetzungsgesetz (NetzDG). Questa legge obbliga le piattaforme social a rimuovere i messaggi "manifesta­mente illegali" entro 24 ore dalla segnalazione, con un margine di sette giorni per le situazioni più complesse. Le sanzioni in caso di inadempimento possono arrivare fino a 50 milioni di euro, una cifra che riflette la serietà con cui viene trattato il problema della disinformazione. In un contesto globale dove le informazioni viaggiano rapidamente, la reazione rapida è cruciale per contrastare l'impatto negativo delle fake news.

In parallelo, i media tradizionali hanno trovato nuove opportunità nel discredito delle grandi piattaforme tecnologiche. È stato avviato un movimento verso l'affermazione dell'esperienza giornalistica, con l'apertura di pagine web dedicate al "fact-checking" come Decodex de Le Monde o Desintox de Libération. Questi strumenti consentono di verificare le notizie e contrastare le informazioni errate prima che possano diffondersi. Facebook, ad esempio, ha collaborato con giornalisti de Le Monde per monitorare la disinformazione sulla piattaforma, rivelando, nel 2017, oltre 2.800 notizie false diffuse su 1.198 pagine, delle quali 147 sono state chiuse dal sito. Sebbene questi numeri possano sembrare limitati rispetto ai 33 milioni di utenti francesi di Facebook, evidenziano la portata del problema.

La manipolazione dell'opinione pubblica, infatti, è una strategia antica al servizio degli interessi del potere. Winston Churchill affermava che la verità dovrebbe essere "accompagnata da una guardia del corpo di bugie". La disinformazione, diversamente dalla camuffata falsità, gioca sulle emozioni del pubblico e alimenta le credenze errate. Il lavoro dello storico Rémi Kauffer spiega come la delusione porti spesso ad una maggiore predisposizione a credere in ciò che non è vero. La propaganda non è quindi solo un mezzo per nascondere la verità, ma per manipolare le percezioni e le decisioni della società.

Nel contesto della lotta contro la disinformazione, molti stati, come la Francia, hanno creato piattaforme di contro-messaggistica. Un esempio è il sito web "stop-djihadisme.gouv.fr", che offre risposte concrete, video e spiegazioni ai numerosi inviti a unirsi alla lotta jihadista che circolano sui social. Tuttavia, la sfida per i governi democratici è complessa: contrastare la propaganda terroristica utilizzando la stessa piattaforma di comunicazione è difficile. Le organizzazioni terroristiche spesso si avvalgono di un linguaggio emotivo e sensazionalistico, mentre i governi devono rispondere con dati ragionati e veritieri, utilizzando mezzi comunicativi che appaiono meno coinvolgenti per il pubblico.

Il contenuto delle piattaforme social è un campo di battaglia in cui le interpretazioni possono variare notevolmente a seconda del contesto culturale e nazionale. Le risposte a contenuti problematici, come quelli legati al terrorismo o alla disinformazione politica, sono spesso influenzate dalle differenti norme sociali e dai valori locali. In questo senso, le piattaforme stesse rivestono un ruolo fondamentale, ma la gestione della loro responsabilità rimane complessa.

L'approccio ideale non risiede nell'automazione totale dei processi di moderazione attraverso algoritmi, che rischiano di essere aggirati da coloro che desiderano diffondere messaggi problematici. Esempi come l'uso degli emoji su Twitter per veicolare messaggi offensivi o ideologici dimostrano la difficoltà di definire linee guida universali per la moderazione online. In un mondo digitale sempre più complesso, il rafforzamento delle capacità individuali di pensiero critico e di discernimento è fondamentale. Non si tratta di proteggere i consumatori di tecnologia dall'esposizione a contenuti discutibili, ma di educarli a riconoscere e reagire in modo consapevole.

L'educazione gioca un ruolo cruciale nel contrasto alla disinformazione. Insegnare a pensare criticamente, a verificare le fonti e a sviluppare una visione più articolata delle notizie è essenziale per proteggere le democrazie. L'investimento nella conoscenza dei cittadini non solo aiuterà a combattere la disinformazione, ma sarà fondamentale anche per affrontare le sfide future legate alla digitalizzazione e all'evoluzione delle tecnologie, come la robotizzazione e la realtà aumentata.

Come le piattaforme social e la propaganda computazionale modellano la società contemporanea

Nel contesto odierno, le piattaforme social sono diventate un terreno fertile per la diffusione della propaganda computazionale, un fenomeno che sfrutta algoritmi e tecniche automatizzate per manipolare le opinioni pubbliche e influenzare il dibattito politico. Sebbene molte piattaforme, come Facebook, abbiano annunciato piani per contrastare la propaganda computazionale, le loro risposte sono spesso reattive, limitandosi a rispondere a episodi isolati piuttosto che affrontare il problema a un livello sistemico. Affrontare questo fenomeno implica una riflessione più profonda sulla società e non solo sulla regolamentazione delle tecnologie. La propaganda, infatti, ha successo quando riesce a entrare in sintonia con le convinzioni preesistenti degli individui.

Un elemento fondamentale è che le persone tendono a credere alle informazioni che confermano le proprie opinioni. Non è l'informazione errata di per sé a costituire il problema, ma la predisposizione delle persone a credere in essa. Le loro convinzioni influenzano la loro capacità di verificare la veridicità delle informazioni ricevute. Pertanto, il contrasto alla propaganda computazionale non dovrebbe concentrarsi sulla regolamentazione dei contenuti o sulla rimozione delle informazioni false, ma piuttosto sullo sviluppo delle capacità di pensiero critico, sulla promozione di un accesso equo e imparziale alle informazioni e sul contrasto alla tendenza degli individui a cercare solo ciò che conferma le loro convinzioni.

Le piattaforme social commerciali hanno aggravato la tendenza degli utenti a esporsi solo a contenuti che rispecchiano le proprie preferenze, creando così un ambiente informativo sempre più omogeneo. Sebbene ci fosse grande speranza che Internet permettesse l'accesso a informazioni più diverse, l'effetto è stato l'opposto. La sovrabbondanza di contenuti ha spinto gli utenti a interagire con fonti già conosciute e di fiducia. Questo fenomeno ha ridotto la varietà delle informazioni consumate online, rendendo più difficile il confronto con opinioni e fatti divergenti. In questa realtà, le piattaforme social, piuttosto che sfidare le convinzioni degli utenti, si preoccupano di offrire contenuti che li facciano sentire a loro agio, evitando qualsiasi elemento che possa minare la loro visione del mondo.

La crescente diffusione della disinformazione è alimentata dalla preferenza individuale per contenuti che gratificano istantaneamente, indipendentemente dal fatto che tali contenuti siano di bassa qualità o emotivamente manipolativi. Non importa se qualcuno ritenga che i titoli sensazionalistici e provocatori siano futili o stupidi, se un utente clicca su questi contenuti, sta contribuendo alla diffusione del fenomeno, alimentando i ricavi pubblicitari delle piattaforme e rafforzando il messaggio che quel tipo di contenuto è desiderato. Quando le azioni online e le informazioni degli utenti diventano merci attraverso le quali le piattaforme social guadagnano, gli utenti devono essere più consapevoli delle conseguenze delle loro interazioni.

Il cambiamento delle dinamiche sociali e politiche dovuto alla commercializzazione delle piattaforme social porta con sé un'altra implicazione: l'impulso costante a rimanere informati. Le piattaforme promuovono un flusso continuo di contenuti "caldi", argomenti di tendenza e notizie che alimentano la sensazione di urgenza. Questo incentivo perpetuo a consumare contenuti si intreccia con una retorica di popolarità che favorisce la produzione di informazioni, che si concentrano più sulla novità che sulla verità. Sebbene esista un ideale di "mercato delle idee", dove le informazioni corrette e utili dovrebbero emergere naturalmente, la realtà è che i temi di tendenza non sono necessariamente quelli più informativi o utili, ma sono progettati per mantenere alta l'attenzione degli utenti, spesso con contenuti sponsorizzati e manipolati.

Le piattaforme social non sono neutrali. Sebbene l'algoritmo di ciascuna piattaforma sembri un'entità automatica e imparziale, in realtà il loro funzionamento è modellato da logiche economiche che mirano a massimizzare i ricavi pubblicitari. Ogni azione dell'utente viene misurata e trasformata in un dato che ha valore commerciale. Questo processo non solo alimenta la disinformazione, ma consente anche che l'opinione pubblica venga modellata da forze esterne che spesso non sono comprese dagli utenti stessi. Gli utenti non comprendono appieno il funzionamento di queste piattaforme e, pertanto, non sono in grado di riconoscere chi sta manipolando le informazioni e perché.

In definitiva, la diffusione della propaganda computazionale è intimamente legata alla natura commerciale delle piattaforme social su cui essa circola. Mentre le piattaforme continuano a sviluppare algoritmi che favoriscono l'intrattenimento piuttosto che l'informazione veritiera, il panorama informativo diventa sempre più frammentato e manipolato. La consapevolezza di questi meccanismi è essenziale per capire come le opinioni pubbliche siano influenzate dalle forze commerciali e politiche, e per sviluppare una resistenza individuale e collettiva contro la manipolazione dell'informazione.

Perché siamo creduloni? L’evoluzione della credulità nell’acquisizione della cultura

L’evoluzione dell'essere umano è intimamente legata alla sua capacità di acquisire e trasmettere informazioni culturali. Per comprendere le ragioni di questa caratteristica, bisogna tornare indietro nel tempo e considerare l'interazione tra la cultura e i meccanismi psicologici che la sostengono. Nel corso di centinaia di migliaia di anni, la nostra specie ha sviluppato una crescente capacità di accumulare e sfruttare informazioni culturali, che ha influenzato la nostra sopravvivenza e adattamento. La cultura, infatti, non è un fenomeno statico, ma un processo che si evolve costantemente, alimentato dalla capacità degli individui di raccogliere, comprendere e utilizzare le conoscenze trasmesse dagli altri.

Questo processo di accumulazione culturale è alla base di un’interazione tra diversi meccanismi psicologici, che permettono agli individui di navigare in ambienti sociali e fisici complessi. La psicologia evolutiva suggerisce che non esista una "capacità per la cultura" monolitica, ma piuttosto una serie di meccanismi specifici e distinti, ognuno dei quali si occupa di un particolare aspetto della comprensione culturale. Ad esempio, mentre alcuni meccanismi sono dedicati alla valutazione della plausibilità delle informazioni, altri si occupano di identificarne la veridicità o di percepire i rischi. Tra questi, un aspetto fondamentale è la credulità: l'attitudine a credere nelle informazioni, anche quando la base di prova o la logica non sono chiare.

L’evoluzione ha reso la credulità una caratteristica cruciale per il successo sociale e culturale. In un contesto in cui le informazioni venivano tramandate oralmente, la capacità di fidarsi delle informazioni ricevute, pur senza avere prove dirette della loro veridicità, poteva determinare il successo o il fallimento nell'affrontare le sfide della vita quotidiana. Eppure, sebbene la credulità fosse necessaria, essa porta con sé anche rischi considerevoli. Se un individuo è troppo credulone, può acquisire credenze errate che influenzano negativamente il suo comportamento, a volte in modi dannosi o improduttivi. Addirittura, la credulità eccessiva può rendere una persona vulnerabile all’inganno da parte di attori malintenzionati.

Il concetto di credulità non è uniforme. Esiste un livello ottimale di credulità, che varia in base alla natura delle informazioni e al contesto. Per esempio, quando si tratta di pericoli, la credulità è utile perché permette di prendere precauzioni anche di fronte a rischi non completamente compresi. La credenza in informazioni errate riguardanti un pericolo può essere meno dannosa che non credere affatto. Al contrario, quando le informazioni riguardano benefici, la situazione è più complessa, e un eccesso di credulità può portare a decisioni sbagliate senza proteggere realmente l'individuo.

Da un punto di vista evolutivo, è stato ipotizzato che il cervello umano sia più incline a credere alle informazioni riguardanti i pericoli che a quelle riguardanti i benefici. Questa inclinazione è strettamente legata al bias di negatività, un fenomeno psicologico per cui le informazioni relative a minacce o perdite hanno un impatto maggiore sulla nostra attenzione e sulle nostre emozioni rispetto alle informazioni positive. Questo bias ha avuto un’importanza evolutiva, poiché i pericoli, se non affrontati, possono compromettere la sopravvivenza in maniera immediata e devastante.

Studi empirici confermano questa predisposizione verso la credulità negativa. Le persone tendono a credere più facilmente a informazioni negative, come ad esempio quelle relative ai pericoli dei prodotti commerciali, piuttosto che a quelle che ne evidenziano la sicurezza. Tale comportamento si osserva anche nei media: le notizie negative, come quelle riguardanti crisi economiche o disastri, influenzano maggiormente l’opinione pubblica rispetto a quelle positive.

Alcuni esperimenti hanno esplorato questo fenomeno confrontando la risposta delle persone a informazioni presentate in maniera negativa rispetto a quelle presentate in modo positivo. Ad esempio, studi hanno dimostrato che i partecipanti tendono a credere più facilmente che i cani di razza German Shepherd siano pericolosi quando si parla degli attacchi che causano, rispetto a quando si sottolineano le loro qualità di animali fedeli e intelligenti. Questo dimostra come la psicologia umana sia naturalmente orientata a percepire e accettare come vero ciò che è negativo, forse per una strategia evolutiva di protezione da possibili minacce.

Questa predisposizione a credere a informazioni negative non è solo un fenomeno psicologico, ma ha anche profonde implicazioni culturali e sociali. La capacità di trasmettere conoscenza, pur con le sue distorsioni e imprecisioni, è ciò che permette alle società di affrontare sfide complesse. È per questo che, sebbene la credulità sia una risorsa evolutiva, il rischio di credere a informazioni false o incomplete è sempre presente. È quindi fondamentale sviluppare un equilibrio tra l’acquisizione di conoscenze culturali e la capacità critica di valutarle.

In definitiva, la nostra evoluzione psicologica ha modellato la nostra attitudine verso la cultura e l’informazione. La credulità è una componente essenziale del nostro adattamento sociale, ma deve essere gestita con attenzione. Sebbene essenziale per l’apprendimento e la trasmissione di informazioni, una credulità eccessiva può portare a danni o, peggio, a manipolazioni. È necessario comprendere questo equilibrio per navigare nel mondo delle informazioni culturali e per evitare le trappole che possono nascere da una fiducia cieca.