La diarrea infiammatoria si manifesta tipicamente con feci frequenti, di volume ridotto, spesso mucoidi o ematiche, accompagnate da tenesmo, febbre e dolore addominale marcato. Questo quadro clinico riflette una compromissione della mucosa intestinale, che può derivare da patologie primarie come le malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI) o da processi secondari, principalmente infezioni invasive. Tra gli agenti patogeni invasivi si annoverano batteri come Salmonella, Shigella, Campylobacter, Escherichia coli enteroemorragico (EHEC, in particolare il ceppo O157:H7), enteroinvasivo, e altri ceppi produttori di tossina Shiga, oltre a Clostridium difficile, Entamoeba histolytica e Yersinia enterocolitica. Le cause non infettive includono colite ulcerosa, morbo di Crohn, enterite da radiazioni, patologie ischemiche e vascolari, e diverticolite. Dal punto di vista diagnostico, la presenza di leucociti fecali, calprotectina e lattoferrina nelle feci può supportare la diagnosi di infiammazione intestinale, sebbene questi test non siano sempre indispensabili e non influenzino sostanzialmente la gestione acuta.

La diarrea non infiammatoria, invece, è generalmente di origine infettiva ma causata da patogeni non invasivi che determinano una diarrea di tipo secretorio tramite produzione di tossine o altri meccanismi. Tra gli agenti eziologici più comuni si trovano Vibrio cholerae, Escherichia coli enterotossigenico (ETEC), tossine stafilococciche e clostridiali, virus, protozoi come Cryptosporidium e Giardia. Questa forma è caratterizzata da feci abbondanti, acquose e prive di sangue, con minore coinvolgimento sistemico rispetto alla forma infiammatoria.

Le categorie più vulnerabili agli esiti severi delle malattie diarroiche acute sono i bambini molto piccoli, gli anziani e gli immunocompromessi. Nei Paesi in via di sviluppo, soprattutto in Africa sub-sahariana e Asia, la diarrea rappresenta una delle principali cause di mortalità pediatrica sotto i 5 anni, con oltre 800.000 decessi annui attribuiti a queste malattie. Nei paesi sviluppati, la diarrea del viaggiatore colpisce fino a 20 milioni di persone ogni anno, rappresentando la malattia più comune tra i viaggiatori.

Il rotavirus è un agente virale prevenibile tramite vaccinazione che rimane una causa primaria di diarrea nei bambini e negli anziani, con un impatto significativo sulla morbilità e mortalità globale. L’introduzione del vaccino ha ridotto drasticamente sia l’incidenza degli episodi gravi che la portata virale nelle popolazioni vaccinate. In Occidente, il Norovirus rappresenta invece la principale causa di gastroenterite acuta sia sporadica che epidemica, con milioni di casi annuali e un notevole carico sulle strutture sanitarie. La trasmissione avviene principalmente da persona a persona, con ceppi pandemici di tipo GII.4 responsabili della maggior parte delle epidemie.

L’eziologia della diarrea sanguinolenta o della dissenteria acuta è attribuibile prevalentemente a patogeni invasivi batterici quali Shigella, Salmonella non tifoidea, Campylobacter, STEC e EHEC, ma anche ad amebe come Entamoeba histolytica. L’impatto del cambiamento climatico non è trascurabile, poiché temperature più elevate favoriscono la diffusione di Shigella e Salmonella, aumentando il rischio di episodi dissenterici.

Le diverse forme di Escherichia coli diarrigena si distinguono per meccanismi patogenetici e presentazioni cliniche: l’ETEC produce tossine termolabili o termostabili causando diarrea acquosa tipica del viaggiatore; l’EPEC danneggia la mucosa intestinale con un effetto caratteristico di “attacco e spoliazione”, ed è causa principale di diarrea infantile nei paesi in via di sviluppo; l’EIEC invade la mucosa intestinale provocando una sindrome simile alla shigellosi; l’EAEC determina diarrea persistente, soprattutto nei bambini e nei pazienti con HIV; lo STEC/EHEC è noto per causare diarrea sanguinolenta, con la possibile complicanza della sindrome emolitico-uremica. L’uso di antibiotici nello STEC/EHEC è controverso a causa del rischio associato di sviluppare questa complicanza.

L’epidemiologia della shigellosi rivela che, mentre nei paesi a basso reddito la specie predominante è Shigella flexneri, nei paesi ad alto reddito è più diffusa Shigella sonnei, con Shigella dysenteriae associata a focolai in condizioni di emergenza. Nei paesi sviluppati, la shigellosi è spesso correlata a contesti di asili nido o gruppi a rischio come gli uomini che hanno rapporti sessuali con uomini.

Per quanto riguarda la gestione, l’antibiotico-resistenza è una problematica crescente, specialmente per i viaggiatori in aree come il Sud-Est asiatico, dove l’uso empirico di chinoloni per la diarrea del viaggiatore è sconsigliato a causa dell’elevata resistenza di Campylobacter. Azitromicina rappresenta invece il trattamento di scelta nelle forme febbrili con sangue o muco nelle feci, mentre nei casi lievi è possibile un approccio conservativo senza antibiotici.

Il consumo di ostriche crude espone al rischio di contrarre agenti patogeni enterici quali Vibrio parahaemolyticus e Norovirus, patogeni che si concentrano in questi molluschi filtratori e che possono essere veicolati da contaminazioni ambientali legate all’inquinamento umano.

Nei pazienti immunocompromessi, la natura e il tipo di deficit immunitario sono determinanti per il rischio e la gravità della diarrea acuta, poiché questi individui possono essere suscettibili a infezioni opportunistiche o presentare forme cliniche atipiche.

È fondamentale comprendere che la distinzione tra diarrea infiammatoria e non infiammatoria non è solo diagnostica, ma ha implicazioni terapeutiche e prognostiche. L’identificazione precisa dell’agente eziologico, pur non sempre immediata, guida l’approccio terapeutico più appropriato e la prevenzione delle complicanze. L’evoluzione dell’antibiotico-resistenza impone una valutazione attenta dell’uso di antibiotici, soprattutto nei contesti di viaggi internazionali e in presenza di fattori di rischio specifici. Inoltre, le dinamiche epidemiologiche di alcune infezioni sono influenzate da fattori ambientali e sociali, come il cambiamento climatico e la globalizzazione, che contribuiscono a modificare la distribuzione e la diffusione dei patogeni responsabili di diarrea. L’adozione di misure preventive efficaci, tra cui la vaccinazione e la corretta gestione delle fonti alimentari e ambientali, è imprescindibile per ridurre il peso globale di queste malattie.

Che cosa ci insegna l'impattamento alimentare nell'esofago e la diagnosi di Esofagite Eosinofila?

Un paziente, senza segnalare bruciore di stomaco o altri sintomi gastrointestinali, è stato portato d'urgenza alla sala endoscopica, dove si è sottoposto a una disimpattamento endoscopico del bolo alimentare. Durante l'esame, è stato trovato un grosso pezzo di pollo nell'esofago distale con una lesione superficiale. Questo pezzo di pollo è stato trattato con una pinza da biopsia e spinto oltre la giunzione gastroesofagea nello stomaco. Contestualmente, sono stati prelevati campioni per biopsia, che hanno evidenziato una forte eosinofilia esofagea, con oltre 70 eosinofili per campo ad alta potenza. Il paziente ha ricevuto la diagnosi di Esofagite Eosinofila (EoE) e ha iniziato il trattamento con fluticasone (440 mcg due volte al giorno). Un'endoscopia di follow-up ha mostrato l'assenza di eosinofili esofagei, ma è stata rilevata una stenosi alla giunzione gastroesofagea, che è stata trattata con una dilatazione mediante pallone attraverso il gastroscopio.

Il paziente ha avuto un decorso positivo per diversi anni, senza sintomi durante il trattamento con fluticasone e con l'uso di un inibitore della pompa protonica (PPI). Dopo due anni, il fluticasone è stato sospeso e una biopsia di follow-up sei mesi dopo ha evidenziato l'assenza di eosinofilia. Completato il programma di formazione medica, il paziente si è trasferito in un'altra regione, ma sfortunatamente ha sviluppato un nuovo impattamento alimentare. Di conseguenza, il trattamento con fluticasone è stato ripreso e da allora il paziente è rimasto sotto trattamento continuativo.

Il caso descritto evidenzia diversi aspetti importanti per la gestione e la comprensione dell'esofagite eosinofila. La diagnosi tempestiva e l'approccio terapeutico mirato sono essenziali per prevenire complicazioni gravi come l'impattamento alimentare e la stenosi esofagea. Inoltre, è importante monitorare continuamente il paziente, anche dopo il trattamento iniziale, poiché l'EoE può recidivare e richiedere un aggiustamento del trattamento. La gestione di questa patologia implica non solo il controllo dei sintomi ma anche la prevenzione delle riacutizzazioni, che potrebbero compromettere ulteriormente la qualità della vita del paziente.

Un aspetto che emerge chiaramente è l'importanza dell'endoscopia come strumento diagnostico fondamentale in situazioni di sospetto di disfunzioni esofagee, come nel caso di impattamento alimentare. La presenza di eosinofili nel tessuto esofageo suggerisce la diagnosi di EoE, una condizione che, se non trattata, può portare a gravi alterazioni morfologiche dell'esofago, inclusi stenosi e cicatrizzazione. La rimozione del bolo alimentare durante l'endoscopia, unita alla terapia medica con corticosteroidi inalatori (come il fluticasone), rappresenta un approccio terapeutico efficace, anche se le recidive non sono infrequenti.

Al lettore va sottolineato che l'EoE non è solo una condizione di difficoltà nella deglutizione, ma una patologia che può evolvere in problematiche strutturali e funzionali gravi dell'esofago. È fondamentale una diagnosi precoce per evitare danni a lungo termine. Gli impatti nutrizionali e la gestione dietetica sono altrettanto cruciali. Gli episodi di impattamento alimentare possono essere ridotti con una corretta pianificazione dietetica, che eviti alimenti che potrebbero essere difficili da deglutire, soprattutto nei pazienti più vulnerabili.

Il trattamento farmacologico è un aspetto importante, ma non sufficiente da solo. È necessario un approccio multidisciplinare che coinvolga specialisti in gastroenterologia, nutrizione e chirurgia, quando necessario. I pazienti dovrebbero essere educati sulla necessità di seguire rigorosamente le indicazioni terapeutiche, monitorare l'evoluzione dei sintomi e riferire tempestivamente eventuali segni di recidiva.

In conclusione, la gestione dell'esofagite eosinofila e degli impattamenti alimentari esige un approccio olistico che combini interventi medici, nutrizionali e, quando richiesto, chirurgici. La prevenzione delle complicanze gravi e il miglioramento della qualità della vita del paziente devono essere al centro di ogni piano terapeutico.

Quali sono i tumori neuroendocrini e la loro diagnosi istologica?

I tumori neuroendocrini, noti anche come carcinoidi, sono neoplasie che derivano dalle cellule neuroendocrine e sono generalmente ben differenziati. I carcinoidi possono essere funzionali o non funzionali in relazione alla produzione ormonale. Nel caso dei carcinoidi ileali, è comune la produzione di serotonina, mentre nei carcinoidi duodenali prevale la produzione di gastrina. Sebbene l'architettura istologica di questi tumori vari in base alla localizzazione e alla differenziazione, i carcinomi neuroendocrini ben differenziati presentano una disposizione delle cellule che ricorda strutture trabecolari, a nidi o glandolari, e le cellule sono caratterizzate da citoplasma scarso e da un pattern cromatico "sale e pepe" nei nuclei ovoidali con nucleoli poco evidenti. La presenza di mitosi è rara.

Un aspetto cruciale nella diagnosi di un carcinoide è la valutazione della capacità metastatica del tumore. Sebbene tutte le neoplasie neuroendocrine abbiano un potenziale metastatico, i tumori che producono gastrina, somatostatina o serotonina tendono ad avere un comportamento più aggressivo e mostrano una tendenza maggiore a metastatizzare. I carcinoidi sono quindi neoplasie che devono essere monitorate attentamente per evitare la diffusione, soprattutto in stadi avanzati. In alcuni casi, la differenziazione tra un carcinoide e altre neoplasie più aggressive, come il carcinoma neuroendocrino a piccole cellule, diventa fondamentale. I carcinomi neuroendocrini a piccole cellule sono tumori fortemente maligni, che si caratterizzano per una morfologia a piccole cellule, necrosi e alta attività mitotica.

Il tumore neuroendocrino del duodeno è uno dei più comuni, e una diagnosi precisa si basa sull'analisi dei marker immunoistochimici, tra cui la reattività con cromogranina A, sinaptofisina e CD56. Un altro tumore neuroendocrino significativo è il gangliocitoma paragangliomatoso, che è solitamente benigno ma può raggiungere dimensioni superiori ai 2 cm e propagarsi ai linfonodi.

La diagnosi di questi tumori non si limita all'analisi istologica, ma richiede una comprensione profonda della variabilità dei tumori neuroendocrini e delle loro caratteristiche biologiche, inclusa la produzione ormonale e la risposta ai trattamenti.

Nel contesto di tumori complessi come quelli neuroendocrini, la diagnosi precoce e la comprensione delle potenzialità metastatizzanti sono essenziali per determinare il piano terapeutico. Anche se i tumori ben differenziati hanno un andamento relativamente favorevole, è importante seguire costantemente i pazienti per rilevare segni di recidiva o di progressione.

L'approccio diagnostico, oltre alla biopsia tradizionale, può includere l'uso di tecniche di imaging avanzate e test genetici, che permettono di comprendere meglio la biologia del tumore e la sua suscettibilità a specifici trattamenti. La valutazione istologica, unita alla ricerca di potenziali recidive, fornisce una base solida per determinare il trattamento più appropriato, che può variare da interventi chirurgici a terapie farmacologiche mirate.

L'analisi della diffusione tumorale e della sua capacità di invadere strutture vicine è fondamentale anche nella gestione di altri tumori gastrointestinali, come nel caso delle neoplasie mesoappendicolari, dove la dimensione del tumore e l'invasione del mesoappendice rappresentano indicatori chiave di malignità.

In conclusione, il trattamento dei tumori neuroendocrini richiede un approccio multidisciplinare che coinvolga non solo la chirurgia, ma anche la terapia medica mirata. L’uso di marker immunoistochimici e la comprensione dei comportamenti biologici di questi tumori sono essenziali per una gestione efficace e per ottimizzare la prognosi a lungo termine del paziente.