Nel tentativo di comprendere la natura profonda della vita, è inevitabile confrontarsi con la questione della replicazione. Nei sistemi viventi convenzionali, la capacità di replicarsi è strettamente legata all’esistenza di un codice genetico, solitamente sotto forma di DNA o RNA. Questo codice funge da modello molecolare che conserva e trasmette l’informazione genetica necessaria alla costruzione di un sistema con la stessa struttura e funzione dell’originale. Von Neumann, in un’analisi classica, afferma che un sistema replicativo deve includere tre elementi: una descrizione di sé stesso (informazione), un costruttore universale che legge e realizza la struttura, e un meccanismo di copia universale. Nella biologia molecolare, questi elementi sono identificabili rispettivamente nel DNA, nei ribosomi e negli enzimi di replicazione.
Tuttavia, il modello dell’autogen propone una prospettiva radicalmente diversa. Esso non contiene un modello molecolare indipendente, come il DNA, ma ciò non implica che sia privo di una funzione replicativa. Al contrario, nella dinamica strutturale dell’autogen si realizza simultaneamente la descrizione e la costruzione. La rete catalitica reciproca e la struttura di contenimento incarnano informazione strutturale—non codificata linearmente, ma distribuita nei rapporti topologici e funzionali tra i componenti. Questa informazione strutturale non è un segnale da interpretare dall’esterno, ma un insieme di vincoli interni che limitano e orientano le possibilità di auto-costruzione.
Nel momento in cui le condizioni ambientali sono favorevoli, la rete catalitica reciproca attiva la produzione di nuovi componenti che, secondo i vincoli dell’informazione strutturale, ricostruiscono il contenimento. Questo processo di crescita e ricostruzione mostra una capacità implicita di generazione, rendendo l’autogen analogo a un costruttore universale. Anche in caso di danneggiamento, se un frammento conserva parte della struttura originaria e l’ambiente fornisce i reagenti necessari, può avere luogo una rigenerazione. Ciò implica che l’informazione strutturale, seppur distribuita e non centralizzata, è sufficiente a guidare la replicazione funzionale dell’autogen. La replicazione non dipende dalla copia fedele di una sequenza simbolica, ma dalla ricostruzione emergente di una organizzazione coerente.
Questa visione porta inevitabilmente a confrontarsi con l’accusa di circolarità interpretativa: come è possibile attribuire capacità interpretative a un sistema la cui stessa esistenza è ciò che dovrebbe spiegare l’interpretazione? Per rispondere, è necessario mostrare che l’autogen è un sistema teleonomico, capace di normatività e interpretazione operativa. Deacon ha sostenuto che l’autogen manifesta normatività, individuazione, autonomia e auto-mantenimento ricorsivo. L’autogen si distingue fisicamente e funzionalmente dal suo ambiente circostante, mantenendo attivamente le proprie condizioni di esistenza attraverso processi interni che si sostengono reciprocamente.
L’autonomia dell’autogen non deriva dalla separazione passiva, ma dalla produzione attiva delle proprie condizioni di confine, riparando e replicando le strutture critiche necessarie per il proprio mantenimento. In questo senso, esso può essere considerato un sistema intrinsecamente teleologico nel senso kantiano, dove ogni parte esiste per le altre e per il tutto. Ogni processo contribuisce alla persistenza dell’intero, e la possibilità del fallimento (come nel caso di interruzione catalitica o danno al contenimento) introduce una dimensione normativa. Non tutto ciò che può accadere all’interno del sistema è ugualmente valido: esistono configurazioni “giuste” che mantengono il sistema, e configurazioni “sbagliate” che lo destabilizzano.
Questa normatività introduce implicitamente una competenza interpretativa. L’autogen non “interpreta” nel senso umano del termine, ma discrimina operativamente tra configurazioni che sostengono la propria esistenza e quelle che la minano. Tale interpretazione operativa può essere compresa attraverso il concetto di “code-duality”, secondo Hoffmeyer ed Emmeche, dove l’informazione strutturale agisce sia come vincolo che come segno. Non vi è bisogno di un codice esplicito: i vincoli strutturali si trasformano in segnali funzionali attraverso l’interazione tra dinamiche interne e ambiente.
Questo approccio permette di riformulare criticamente la questione dell’informazione genetica e del suo significato semantico. In biologia molecolare, termini come trascrizione, traduzione, codice, ridondanza, proofreading sono comunemente utilizzati. Alcuni sostengono che si tratti solo di metafore funzionali, prive di autentico contenuto semantico. Altri, invece, vedono nella genetica una forma reale di semiosi, anche se spesso manca una teoria esplicita dell’interpretazione. La nozione di informazione come pura trasmissione meccanica—come espressa nel dogma centrale della biologia molecolare—è insufficiente a spiegare la capacità dei sistemi viventi di generare significato a partire da vincoli fisici.
Il dogma centrale sostiene che una volta che l’informazione è passata dal DNA alla proteina, non può più tornare indietro. L’informazione è intesa come determinazione precisa della sequenza—delle basi nucleotidiche o degli amminoacidi. Tuttavia, questa concezione lineare e unidirezionale trascura il fatto che ciò che rende “informativa” la sequenza è il contesto strutturale e funzionale in cui essa opera. Senza un sistema in grado di interpretare operativamente tali sequenze—ovvero senza una dinamica in grado di attribuire senso pratico a quella determinazione—l’informazione rimane inerte.
Per comprendere la vita, dunque, non basta descrivere meccanismi. Occorre riconoscere la presenza di sistemi capaci di mantenere e interpretare la propria organizzazione in modo ricorsivo e normativo. L’autogen, in quanto sistema senza modello molecolare centralizzato ma dotato di informazione strutturale operativa, sfida le nostre concezioni classiche di replicazione, informazione e interpretazione. Non replica simboli, ma organizzazioni; non legge un codice, ma risponde a vincoli; non trasmette informazioni, ma perpetua significati operativi.
Per rendere pienamente intelligibile il funzionamento di un autogen, è fondamentale comprendere che il concetto di informazione non si esaurisce nella metafora del codice. L’informazione biologica autentica è quella che acquista senso solo nel contesto di un sistema capace di auto-interpretazione materiale. Ogni autogen, pur privo di un genoma tradizionale, è un archivio dinamico del proprio progetto, inscritto nei rapporti tra le sue parti. Ed è proprio questa isomorfia funzionale, ricostruibile anche dopo una frammentazione, che rende la sua replicazione non solo possibile, ma vitale.
Come le Relazioni Indicali Determinano il Significato nella Lingua
Nel contesto della semantica, quando si fa riferimento a un nome proprio come "George Washington", si stabilisce una connessione causale e storica che si riflette nei legami indicali tra le parole in una frase. Il nome proprio agisce come un simbolo che si collega a una descrizione, come nel caso della frase "George Washington fu il primo presidente degli Stati Uniti". In questo esempio, il nome "George Washington" è indissolubilmente legato alla descrizione "il primo presidente degli Stati Uniti", stabilendo una relazione indicale che permette alla parola di riferirsi a un evento o a un'entità nella realtà storica. La catena causale che si genera dalla storicità del nome si riflette nel modo in cui le parole si collegano a determinati riferenti.
Questa analisi rivela come le relazioni indicali possano essere trasmissibili tra simboli e leggi semiotiche. La transitorietà delle relazioni indicali serve come punto di congiunzione tra i segni del senso (sinnsigns) e i segni legislativi (legisigns), che si intrecciano per determinare i riferimenti delle rappresentazioni simboliche. A questo proposito, il ruolo fondamentale dei pronomi e degli articoli emerge chiaramente. Un pronome, come "esso", sostituisce un sostantivo per evitare ripetizioni e facilitare la fluidità della frase. Nell'esempio "Un cane ha delle macchie. Esso ama inseguire i gatti", il pronome "esso" rimanda al cane, un riferimento che, pur essendo indeterminato, dipende dal contesto.
I pronomi personali, d'altra parte, sono più complessi. "Io" fa sempre riferimento alla persona che enuncia la frase, mentre "tu" si riferisce alla persona a cui si sta parlando. I pronomi di terza persona, invece, possono riferirsi a una persona definita o indefinita, a seconda del contesto. Questo meccanismo di riferimento è particolarmente interessante perché il significato di un pronome si costruisce in relazione alla situazione comunicativa in corso.
Anche le interiezioni e le frasi di una sola parola dipendono dalla continuità spaziale-temporale o causale con i segni di senso per fissare il loro riferimento. Per esempio, una frase come "Guarda!" acquista un significato solo se è pronunciata in un contesto specifico, dove la posizione della persona che parla e la direzione del suo gesto stabiliscono cosa viene indicato dal "guarda!". In modo simile, un’esclamazione come "Wow! Che bello!" ha un significato che dipende interamente dal contesto in cui viene pronunciata, e dalla comprensione che il pronome "esso" si riferisce a qualcosa che è visibile o percepibile in quel momento.
Ma come si comportano le descrizioni fittizie o le metafore in un tale sistema semantico? Nelle descrizioni di fiction, come nel caso della frase "Il Re Scimmia Sun Wukong causa il Caos in Cielo", non c'è una corrispondenza diretta con la realtà. Queste descrizioni non possiedono una correlazione indicale con il mondo reale, in quanto né Sun Wukong né l'evento descritto esistono nella realtà. Tuttavia, nonostante l'assenza di un referente concreto, queste descrizioni sono comunque interpretate grazie alla somiglianza con oggetti e eventi reali, stabilendo una relazione indicale attraverso la struttura simbolica.
Allo stesso modo, le metafore funzionano attraverso una rete di relazioni iconiche e indicali. Per esempio, quando si dice "La pietra è dura", "Il tuo cuore è duro" e "Questo edificio è un prodotto del funzionalismo sovietico", il termine "duro" viene usato in tre contesti distinti, ma che condividono un elemento comune: la difficoltà di cambiare. Sebbene le proprietà fisiche della pietra siano molto diverse dalla natura emotiva di una persona, entrambi i casi possono essere intesi come espressioni di rigidità o immodificabilità, grazie alla relazione iconica che permette di vedere un punto di connessione tra concetti apparentemente diversi.
Questa connessione tra segni simbolici e oggetti reali, o anche immaginari, è fondamentale per la comprensione dei sistemi simbolici e linguistici. Il simbolo, pur non facendo riferimento a un oggetto concreto, conserva comunque il suo potere rappresentativo attraverso le relazioni indicali che mantiene con altri simboli all'interno di una rete simbolica. Questo tipo di rappresentazione è alla base delle generalizzazioni logiche e categoriali che permettono di classificare oggetti, eventi e processi. Ad esempio, diverse tigri vengono riconosciute come membri della stessa specie grazie alla loro somiglianza fisica. La categoria grammaticale di un sostantivo, verbo, aggettivo o avverbio è una generalizzazione che si fonda su questa relazione iconica.
In definitiva, anche nelle descrizioni fittizie e nelle metafore, la relazione indicale rimane fondamentale per determinare il significato dei simboli, che a loro volta si intrecciano per creare significati condivisi. Sebbene una metafora o una descrizione di fantasia non faccia riferimento a qualcosa di concreto, gli esseri umani riescono comunque a interpretarle e ad attribuire loro significati grazie alle somiglianze con il mondo reale e alla rete di relazioni indicali che si stabilisce tra i vari segni.
Come si sviluppano i sistemi di segnalazione e la comunicazione nel gioco dei segnali
Nel contesto delle teorie semantiche e dei giochi di segnalazione, la convenzione linguistica e il significato rappresentato da un segno non possono essere spiegati unicamente attraverso la semplice relazione tra un segnale e la sua rappresentazione. La teoria dei giochi di segnalazione, pur offrendo una visione utile, non è sufficiente a coprire la complessità del fenomeno semantico e semiotico che si nasconde dietro la convenzione del segno e della sua relazione referenziale. La vera difficoltà nell’approccio classico ai giochi di segnalazione sta nel fatto che questi trascurano l’aspetto semiotico fondamentale: il segno non è solo un veicolo di informazioni, ma anche un indicatore di un rapporto più ampio con la realtà e la sua rappresentazione.
La semiotica di Peirce ci offre una comprensione più ricca del concetto di convenzione: il segno e la sua relazione referenziale sono due aspetti distinti ma interdipendenti. Mentre i giochi di segnalazione tradizionali si concentrano principalmente sul primo aspetto, trascurano come la relazione tra segnale e oggetto rappresentato (ovvero il mondo) sia altrettanto cruciale per comprendere il significato completo di una comunicazione. Questo, infatti, è uno degli aspetti chiave che può chiarire i casi di incomprensione reciproca, in quanto senza una comprensione adeguata di come il segnale e l’oggetto siano legati attraverso convenzioni condivise, la comunicazione risulta incompleta o mal orientata.
Il modello dei giochi di segnalazione di Lewis e Skyrms, che analizza le interazioni comunicative tra mittenti e destinatari, si fonda su un principio semplice ma potente: la comunicazione emerge quando entrambi i partecipanti condividono un interesse comune, e attraverso i segnali inviati, le informazioni sugli stati del mondo vengono trasmesse e correttamente interpretate. Nel gioco di segnalazione, il mittente ha la possibilità di percepire lo stato del mondo e inviare segnali, ma non può compiere atti; il destinatario, invece, non percepisce lo stato ma può reagire agli impulsi ricevuti. Ciò che lega questi due attori è la necessità di agire in modo complementare per ottenere il massimo beneficio, una configurazione che definisce una relazione informativa tra loro.
L’interesse di questo modello si trova nel fatto che ogni segnale ha un valore informativo che dipende dalle strategie adottate sia dal mittente che dal destinatario. La strategia del mittente, che associa ogni stato a uno specifico segnale, e la strategia del destinatario, che interpreta i segnali e li traduce in azioni, si combinano per creare una relazione informativa (F). La coerenza tra queste due strategie è ciò che genera una comunicazione di successo, dove il segnale ha un significato chiaro e condiviso, e le azioni sono appropriate rispetto agli stati.
Nel contesto di un gioco di segnalazione semplice, come quello proposto da Lewis, i partecipanti si trovano di fronte a una scelta cruciale: come possono i segnali, privi di contenuto a priori, essere associati correttamente agli stati del mondo e alle risposte adeguate? Ogni atto deve corrispondere a uno stato del mondo, ma i segnali inizialmente non hanno una relazione prestabilita con gli stati o le azioni. Questo problema, che è definito come "problema di coordinamento stato-atto", trova la sua soluzione nei giochi di segnalazione, dove i segnali diventano il mezzo attraverso cui i partecipanti comunicano le informazioni sugli stati.
Le diverse strategie adottabili dai mittenti e dai destinatari creano una matrice di payoff, dove ciascuna combinazione di scelte strategiche porta a un risultato differente, che può essere migliore o peggiore a seconda della corrispondenza tra segnali e azioni. Il concetto di equilibrio di Nash, introdotto da Lewis, è essenziale per comprendere come i segnali possono diventare un sistema stabile di comunicazione. Un equilibrio di Nash stretto implica che nessuno dei partecipanti possa migliorare il proprio risultato cambiando unilateralmente la propria strategia. In altre parole, quando un gioco di segnalazione raggiunge un equilibrio di Nash stretto, il segnale inviato dal mittente è automaticamente associato a un’azione corretta da parte del destinatario, e questo sistema diventa stabile.
Tuttavia, la domanda che si pone è: come viene scelto un sistema di segnalazione tra quelli possibili? Perché i giocatori mantengono il sistema di segnalazione scelto, anche quando esistono più opzioni efficaci? Lewis risponde a questa domanda basandosi sul concetto di "accordo precedente" e sulla salienza del sistema di segnalazione, ma questi approcci non risolvono completamente il problema del circolo vizioso sollevato da Quine. La vera sfida, come osserva Skyrms, è che senza un preesistente sistema di segnalazione, non è possibile che si crei la conoscenza comune necessaria per stabilire un equilibrio. In altre parole, per capire come i sistemi di segnalazione emergano e si stabilizzino, dobbiamo guardare all’evoluzione dei segnali stessi e al loro ruolo nella comunicazione naturale.
Secondo Skyrms, l’evoluzione dei sistemi di segnalazione è un processo spontaneo. L’interazione tra individui porta all’apprendimento collettivo di segnali e alla loro evoluzione attraverso la dinamica evolutiva dei giochi. Questo significa che, nel lungo periodo, una strategia di segnalazione prende il sopravvento sulla popolazione, diventando una strategia evolutivamente stabile. In un gioco di segnalazione, una strategia è evolutivamente stabile se, in confronto a qualsiasi altra strategia alternativa, essa porta a un payoff superiore o uguale quando giocata contro la propria versione, mentre ogni altra strategia offre un risultato peggiore se giocata contro di essa.
La teoria dei giochi di segnalazione non si limita quindi a un semplice modello di comunicazione tra due attori; essa apre la strada a una comprensione più profonda dei processi di evoluzione del linguaggio e delle convenzioni sociali, mostrando come l’informazione possa emergere spontaneamente e stabilizzarsi attraverso la cooperazione e l’apprendimento reciproco.
Come l'Informazione È Intesa: Teorie e Interpretazioni Filosofiche
L'informazione, come concetto, si sviluppa attraverso diverse teorie, molte delle quali hanno radici filosofiche e scientifiche, rendendola un argomento di studio che abbraccia numerosi ambiti del pensiero umano. Da un punto di vista filosofico, l'informazione non è solo una questione tecnica, ma un fenomeno che incide profondamente sul nostro modo di pensare, comunicare e interpretare il mondo. Alcuni dei principali studi riguardano il concetto di "comunicazione", la sua evoluzione, e le implicazioni ontologiche e epistemologiche di ciò che consideriamo informazione.
In ambito teorico, l'informazione è talvolta vista come una entità astratta, come una forma di "contenuto" che può essere trasmesso o ricevuto attraverso vari canali. Questo concetto trova la sua espressione nei lavori di Claude Shannon, che ha fondato la teoria matematica dell'informazione, ma si collega anche a una visione più ampia che ne considera la valenza semantica e pragmatica. Shannon, pur concentrandosi sulla quantità e la trasmissione di segnali, lascia aperta la questione del "significato" e dell'interpretazione, che è un punto cruciale per i filosofi. La filosofia della comunicazione, come esplorata da autori come Grice, Wittgenstein e Carnap, ci invita a riflettere sul legame tra segno, significato e contesto.
Le teorie probabilistiche, da una parte, tentano di descrivere l'informazione come una misura di incertezza o entropia. La probabilità diventa così un mezzo per quantificare il grado di incertezza riguardo a un messaggio, mentre l'entropia viene vista come un parametro che descrive la quantità di informazione contenuta in un sistema. D'altra parte, altre teorie, come quelle di Dretske e Deacon, hanno esplorato l'informazione come un fenomeno evolutivo e semiotico, legato all'autogenesi e al significato che esso porta con sé nel contesto biologico e cognitivo.
Il concetto di "informazione naturale", sviluppato da autori come Bateson, Varela e Weber, estende la riflessione sull'informazione ai processi biologici e cognitivi. Qui, l'informazione non è solo un oggetto passivo da trasmettere, ma diventa una forza attiva che partecipa alla formazione della vita e della cognizione. Le teorie autopoietiche, per esempio, vedono l'informazione come una struttura che sostiene e mantiene la vita attraverso un continuo processo di autoregolazione. In questa visione, l'informazione è intrinsecamente legata al concetto di "finalità naturale", una finalità che non è imposta dall'esterno, ma che emerge dall'organizzazione interna dei sistemi viventi.
Alcuni filosofi, come Heidegger, hanno suggerito che l'informazione non si limita a essere un mezzo di comunicazione, ma è anche costitutiva del nostro rapporto con il mondo. Infatti, la comprensione dell'informazione implica anche una riflessione sul "modo di essere" degli oggetti e degli eventi. In altre parole, ciò che conosciamo come "informazione" non è mai neutrale: essa è sempre filtrata dalla nostra percezione e dalle nostre strutture interpretative.
Nel contesto della comunicazione sociale, la questione del "significato" diventa ancor più complessa, poiché la comunicazione avviene non solo attraverso segni e segnali, ma anche attraverso convenzioni e norme sociali. In questa luce, le teorie della significazione come quelle di Peirce e Saussure pongono l'accento sulla natura convenzionale dei segni, dove il significato di un segno è stabilito non da un attributo intrinseco, ma da un consenso sociale. L'informazione, dunque, è tanto un fenomeno semantico quanto un fenomeno sociale, legato ai processi di interazione tra individui e gruppi.
Inoltre, l'informazione può essere vista come un elemento dinamico che si adatta alle necessità evolutive di un sistema. L'approccio darwiniano all'informazione, come sviluppato da autori come Sterelny e Smith, considera l'informazione come un prodotto dell'evoluzione biologica, in cui i segnali e le informazioni si adattano per favorire la sopravvivenza degli organismi. In questo contesto, l'informazione non è solo un mezzo di trasmissione, ma una risorsa evolutiva che agisce all'interno di sistemi complessi.
Una sfida importante nell'analisi dell'informazione riguarda il problema della determinazione del contenuto. Mentre alcune teorie affermano che l'informazione ha un contenuto oggettivo e definito, altre suggeriscono che il contenuto dell'informazione sia sempre indeterminato, dipendente dal contesto in cui viene ricevuto e interpretato. Questa indeterminatezza del contenuto è una caratteristica centrale nelle teorie di Grice, che esplorano come la comunicazione e l'intenzione siano legate non solo al segnale, ma anche alla sua interpretazione.
Un ulteriore aspetto cruciale riguarda la relazione tra informazione e coscienza. In molte teorie filosofiche contemporanee, l'informazione è vista come la base su cui si costruisce la nostra esperienza cosciente. L'informazione, quindi, non è solo qualcosa che riceviamo dall'esterno, ma una struttura che organizza e dà senso alla nostra esperienza interna.
Per comprendere appieno il concetto di informazione, è necessario considerare la sua dimensione ontologica e epistemologica. L'informazione non è solo un mezzo per comunicare, ma una struttura fondamentale che forma e modella la nostra comprensione del mondo. In questa prospettiva, le teorie dell'informazione ci aiutano non solo a comprendere i fenomeni comunicativi, ma anche a esplorare le basi stesse della conoscenza e della percezione.

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