Non si può escludere che, nei decenni successivi al 2018, i lavori digitali diventino così standardizzati e i software così facili da utilizzare da ridurre significativamente il premio salariale attualmente goduto dai lavoratori qualificati. Questa resta tuttavia una questione aperta. Il calo relativo e persistente della posizione reddituale della metà inferiore degli americani rappresenta non solo un evento economico cruciale, ma anche una dinamica con profonde implicazioni politiche. È fondamentale comprendere quali siano i motori di questa polarizzazione del reddito negli Stati Uniti e come essa si confronti con situazioni analoghe in Europa, Giappone, Cina e altri paesi. La società digitale può infatti modificare le condizioni di organizzazione degli interessi politici delle classi sociali più povere, ma non è chiaro se in meglio o in peggio.

Un punto di particolare rilievo riguarda il livello assoluto del reddito reale dei lavoratori mediani: esso è sufficiente a garantire uno standard di vita dignitoso anche per il 10% più povero? I crediti d’imposta sono essenziali soprattutto per coloro che guadagnano molto poco sul mercato del lavoro, ma il sistema politico offre davvero dei sostegni adeguati attraverso fondi pubblici?

Un altro elemento importante è la stagnazione dei salari reali per i lavoratori non qualificati e semi-qualificati negli Stati Uniti, che potrebbe essere collegata ai rapidi tassi di crescita delle esportazioni cinesi in alcuni settori, con conseguente calo dei prezzi dei prodotti che vengono anche fabbricati negli USA. Se i beni rilevanti, come gli schermi televisivi, non sono più prodotti in modo significativo negli Stati Uniti, l’aumento delle importazioni di beni di consumo a basso costo porta comunque a un incremento del reddito reale attraverso la riduzione dei prezzi, specialmente di prodotti legati al settore digitale (ICT). Tuttavia, resta aperta la questione se i salari reali riflettano effettivamente la crescita della produttività del lavoro: se i salari reali aumentassero in linea con la produttività, la quota di reddito da lavoro non diminuirebbe. Secondo Feldstein (2008), guardando ai cinquant’anni precedenti, la risposta è sì, soprattutto se si considerano anche i benefici non salariali.

Dal punto di vista statistico, il reddito mediano reale degli Stati Uniti è cresciuto molto poco negli ultimi decenni, mentre il PIL reale pro capite ha continuato a salire, determinando un divario crescente tra PIL reale e reddito mediano reale delle famiglie. Una parte di questa discrepanza deriva dal fatto che il numero di persone per famiglia è diminuito, facendo aumentare il numero totale delle famiglie più rapidamente della popolazione. Ciò implica che misure basate sul reddito per famiglia, come il reddito mediano, tendano a crescere più velocemente se non si corregge per la composizione familiare.

L’avanzamento tecnologico, bias verso le competenze più elevate, ha aumentato la domanda relativa di lavoratori qualificati, accentuando così le disparità salariali. Storicamente, nel periodo 1870-1915, il premio per le competenze era elevato, poi declinò con l’elettrificazione, per risalire nuovamente con l’era informatica a partire dal 1978. Oggi i redditi più alti derivano in larga misura da ricchezze accumulate sotto forma di rendimenti da azioni, obbligazioni, immobili e altri asset.

Secondo i dati del Survey of Consumer Finances (SCF) della Federal Reserve, la disuguaglianza di ricchezza negli Stati Uniti è ancor più marcata di quella di reddito e si è accentuata considerevolmente dagli anni ’80 a oggi. La quota detenuta dal 5% più ricco è aumentata dal 54% nel 1989 al 63% nel 2013, mentre la metà inferiore della popolazione deteneva appena l’1% della ricchezza totale nel 2013, rispetto al 3% del 1989. Questa concentrazione della ricchezza ha conseguenze profonde sulle opportunità di mobilità sociale e sulle capacità di partecipazione politica delle classi meno abbienti.

Nel contesto educativo, le risorse familiari giocano un ruolo fondamentale nel sostenere le opportunità per i figli. La disparità di ricchezza si riflette quindi anche nella qualità e accessibilità dell’istruzione, accentuando le disuguaglianze di partenza e limitando la possibilità di migliorare la propria condizione economica attraverso il capitale umano.

È importante considerare che la crescita del PIL e la tecnologia digitale non garantiscono automaticamente un miglioramento generalizzato degli standard di vita. Senza adeguate politiche redistributive e meccanismi di supporto ai redditi più bassi, il progresso tecnico può accentuare le disparità e alimentare tensioni sociali. L’evoluzione del mercato del lavoro, l’adeguatezza dei sistemi di welfare e il ruolo dello Stato sono dunque elementi centrali per comprendere e affrontare le dinamiche di disuguaglianza in un mondo sempre più digitale.

Qual è il Vantaggio Economico dei Paesi Europei Rispetto agli Stati Uniti in Termini di Reddito Disponibile e Servizi Sanitari?

In molti paesi europei, il numero di giorni di ferie pagate è significativamente più alto rispetto agli Stati Uniti, il che comporta un vantaggio economico tangibile per le popolazioni di queste nazioni. Negli Stati Uniti, la legislazione non prevede giorni di ferie obbligatori pagati, mentre in Francia, Germania, Italia, Spagna e Regno Unito il numero di giorni va dai 20 ai 28 giorni all’anno. Questo porta a un reddito effettivo più alto, poiché, sebbene il salario nominale possa essere simile a quello di un lavoratore negli Stati Uniti, la differenza nei giorni di ferie e nelle spese sanitarie cambia notevolmente la situazione.

Ad esempio, in Francia e nel Regno Unito, il reddito effettivo di un lavoratore è circa il 10% superiore rispetto a quello di un lavoratore negli Stati Uniti. Se si considerano le differenze tra le ferie e le spese sanitarie, l'effettivo reddito disponibile nominale (cioè corretto per queste differenze) evidenzia un ulteriore vantaggio per i lavoratori in Europa rispetto ai colleghi americani. Tale vantaggio emerge non solo nel confronto diretto dei salari ma anche quando si include l'impatto dei sistemi sanitari.

Quando si prendono in considerazione anche i "redditi ombra" (economia sommersa), la distanza economica tra gli Stati Uniti e i paesi europei, come Francia e Germania, si allarga ulteriormente. In questi paesi, infatti, l'economia sommersa rappresenta circa il 16% del PIL, mentre negli Stati Uniti è solo il 9%. I paesi scandinavi, ad esempio, pur avendo un sistema fiscale elevato, vedono una porzione più grande della loro economia che opera nell'ombra, attestandosi intorno al 20% del PIL.

Le spese sanitarie relative al PIL sono un altro elemento che influisce sul calcolo del reddito effettivo disponibile. Negli Stati Uniti, le spese sanitarie rappresentano il 17,15% del PIL, una percentuale notevolmente più alta rispetto a paesi come la Svizzera o la Francia. Tuttavia, questo non si traduce necessariamente in un migliore sistema sanitario. Infatti, nonostante le spese elevate, la speranza di vita negli Stati Uniti è circa tre anni inferiore rispetto alla media dell'Europa occidentale. Questo divario è in gran parte dovuto a un sistema sanitario frammentato, costoso e inefficace, in cui le spese per le cure mediche, le assicurazioni e la retribuzione dei medici sono superiori rispetto a paesi come la Germania o la Francia, dove l'assicurazione sanitaria è universale e più controllata.

Inoltre, negli Stati Uniti c'è una parte significativa della popolazione che non ha alcuna assicurazione sanitaria, nonostante siano disponibili forme di assistenza come Medicare per gli over 65. Questa situazione si riflette in un sistema che è costoso per la società nel suo complesso, ma che non garantisce uguali benefici in termini di qualità della vita o aspettativa di vita. In contrasto, i paesi europei, con i loro sistemi di assicurazione universale e la regolamentazione pubblica, riescono a ottenere risultati simili, se non migliori, con una spesa inferiore.

Il sistema sanitario negli Stati Uniti, pur essendo all’avanguardia in alcune aree, è anche molto dispendioso, soprattutto in termini di trattamenti ospedalieri e apparecchiature mediche, dove i costi sono tra i più alti del mondo. Le tariffe ospedaliere negli Stati Uniti sono spesso opache e variano considerevolmente da una regione all'altra, il che crea disparità nel trattamento dei pazienti, in particolare per quelli privi di assicurazione sanitaria. Inoltre, il sistema di assicurazione sanitaria è altamente dipendente dalle politiche aziendali, che offrono copertura sanitaria ai propri dipendenti come parte di un pacchetto più ampio, ma in questo processo si crea un incentivo per le aziende a sovrappagare per i servizi medici.

La differenza nei costi sanitari tra Stati Uniti ed Europa non si limita solo alla spesa diretta per la salute ma include anche le differenze nei modelli di pagamento, nei costi dei medici e nelle pratiche di assicurazione. In Europa, i pazienti tendono a essere più protetti da una rete di sicurezza che garantisce l'accesso alle cure a un costo inferiore rispetto agli Stati Uniti, dove le disparità sono più marcate e la qualità delle cure può dipendere dalla posizione economica e dallo stato di salute dell'individuo.

Per capire pienamente queste dinamiche, è importante considerare non solo il salario nominale ma anche i benefici indiretti offerti da un sistema di ferie e sanità universali. Questi fattori contribuiscono a una qualità della vita superiore, che va oltre la semplice misurazione del reddito. L'analisi delle differenze tra i paesi non deve quindi limitarsi solo al confronto del reddito, ma deve tener conto anche degli aspetti sociali e della qualità dei servizi pubblici offerti, che hanno un impatto diretto sul benessere complessivo della popolazione.

Quali effetti ha una politica commerciale aggressiva sul deficit della bilancia corrente degli Stati Uniti?

Una delle risposte al persistente deficit della bilancia corrente degli Stati Uniti potrebbe consistere nell'attuazione di alcune misure economiche mirate, come un incremento del tasso di risparmio nazionale, il che potrebbe essere ottenuto tramite incentivi fiscali adeguati. Finora, sotto l'amministrazione Trump, tali misure non sono state visibili. Inoltre, il governo degli Stati Uniti dovrebbe considerare di ridurre il rapporto tra deficit pubblico e PIL, oltre ad aumentare la quota degli investimenti pubblici nel PIL. Questo approccio potrebbe attenuare l’effetto negativo di un alto rapporto deficit-PIL sulle risorse finanziarie, come dimostra un’analisi empirica su un campione di 31 paesi (Pepel-Srebrny, 2017). Inoltre, alcuni investimenti in infrastrutture potrebbero stimolare la crescita delle esportazioni a lungo termine, in particolare quelli focalizzati sulla riduzione dei costi internazionali di transazione e trasporto.

Tuttavia, va notato che, sebbene gli investimenti in infrastrutture possano ridurre i costi di transazione internazionali, potrebbero anche facilitare le importazioni, il che rende ambigua l'efficacia di tali investimenti nel migliorare la bilancia corrente. La relazione tra investimenti in infrastrutture e l'andamento della bilancia commerciale dipende in modo significativo dalla natura degli stessi: se tali investimenti spingono ad aumentare le importazioni in misura maggiore rispetto alle esportazioni, l’effetto finale potrebbe essere negativo per la bilancia commerciale.

Combinando queste misure, si potrebbe raggiungere un bilancio equilibrato della bilancia corrente in meno di cinque anni, partendo dal principio che le esportazioni nette di beni e servizi, in un contesto macroeconomico, siano semplicemente il risultato della somma dei risparmi privati e pubblici, al netto degli investimenti privati. Da questa prospettiva, l’approccio fiscale adottato dall'amministrazione Trump, che prevede una riduzione delle imposte e un aumento delle spese pubbliche relative al PIL, risulta essere incoerente con gli obiettivi dichiarati dal Presidente. L'idea di ridurre il deficit commerciale o il rapporto della bilancia corrente sul PIL potrebbe infatti essere ostacolata da tali politiche, le quali potrebbero accrescere la spesa e il debito pubblico senza affrontare efficacemente le cause strutturali del deficit.

La politica commerciale protezionistica proposta da Trump, sebbene mirata a ridurre il deficit commerciale, ha il potenziale di compromettere la stabilità internazionale. Le misure protezionistiche, come l'imposizione di dazi o altre barriere non tariffarie, generano aumenti nei prezzi per i consumatori. Tuttavia, i produttori dei paesi esportatori (come la Cina) potrebbero vedere ridotto il prezzo netto a cui offrono i loro prodotti sul mercato internazionale, sostenendo parte del peso del dazio. In un paese come gli Stati Uniti, che possiede numerose multinazionali con investimenti diretti esteri in paesi come la Cina, l'introduzione di dazi può comportare una serie di effetti economici complessi.

In primo luogo, se la domanda interna del paese importatore è particolarmente elastica, cioè se esistono molte alternative ai prodotti importati, l’effetto del dazio sui prezzi può essere significativo. Questo fenomeno riduce il prezzo netto per il paese esportatore, ma al contempo aumenta la domanda di beni prodotti localmente, determinando così un effetto di sostituzione. Tuttavia, le riduzioni nelle esportazioni causate dal dazio riducono il reddito e la produzione nel paese esportatore, con effetti negativi sull’economia di quest'ultimo.

Inoltre, gli effetti sulle multinazionali statunitensi che operano in Cina sono complessi. Se le tariffe sulle importazioni portano a una diminuzione delle esportazioni dalla Cina, i profitti delle filiali statunitensi in quel paese potrebbero subire un calo, portando a un abbassamento dei trasferimenti di profitti verso gli Stati Uniti. Questo fenomeno ha un effetto negativo sulla ricchezza degli Stati Uniti, con conseguente riduzione degli afflussi netti di capitale internazionale. A lungo termine, tale evoluzione potrebbe tradursi in un indebolimento delle posizioni di investimento nel paese.

Seppur il dazio possa portare a una riduzione delle importazioni, nel contesto di tassi di cambio flessibili, i meccanismi di aggiustamento sono incerti. Mentre la riduzione delle importazioni può rafforzare la bilancia commerciale e quindi favorire un apprezzamento della valuta, la riduzione dei flussi di capitale o i danni alle multinazionali possono portare a un depotenziamento del dollaro. La conseguente volatilità valutaria aggiunge ulteriori incertezze all’equilibrio economico, con effetti difficili da prevedere.

Un altro aspetto rilevante riguarda gli altri esportatori, come l'Unione Europea. I produttori europei potrebbero approfittare dell’aumento dei prezzi degli importi provenienti dalla Cina, aumentando i loro prezzi per beneficiare dell’innalzamento dei costi settoriali. Questo genera una pressione inflazionistica negli Stati Uniti, ma potrebbe anche portare a un effetto positivo in termini di reddito reale per l’Unione Europea, dato che alcune merci cinesi non più esportabili verso gli Stati Uniti potrebbero essere vendute a prezzi inferiori all’Europa. Questo stimolo al commercio potrebbe compensare parzialmente gli effetti negativi delle tariffe statunitensi sui produttori cinesi.

Le tariffe imposte dagli Stati Uniti potrebbero inoltre provocare un effetto domino a livello internazionale, con altri paesi che potrebbero adottare misure simili in risposta, aumentando il rischio economico globale. La percezione di un aumento della rischiosità potrebbe spingere gli investitori a ridurre i loro investimenti, con conseguenti effetti negativi sulle economie più dipendenti dal commercio estero, come quelle di Germania, Corea del Sud, Giappone, Italia, Francia e altri paesi. L'incertezza sui flussi di commercio e capitale potrebbe quindi avere un impatto significativo sugli investimenti globali.

In generale, l’introduzione di tariffe come parte di una politica economica aggressiva non si limita ad avere effetti a breve termine sull'equilibrio commerciale, ma può alterare in modo significativo il comportamento degli investitori e dei produttori internazionali, aumentando il rischio percepito e riducendo l’efficienza globale del mercato.