Il passaggio dalla gestione politica alla gestione commerciale delle industrie, ispirato dal pensiero di John Locke, ha trasformato in modo significativo le dinamiche di potere moderne. Mentre la tradizione politica si fondava su un delicato equilibrio tra le due componenti sociali, i grandi e il popolo, oggi, nel contesto della gestione industriale, sembra che questa tensione sia diventata più difficile da articolare. La gestione scientifica proposta da Peter Drucker e Frederick Taylor, che prometteva prosperità economica, ha finito per favorire principalmente le classi manageriali, a scapito dei lavoratori. Questo processo ha creato una frattura tra le due componenti della società, ma con la capacità di essere ricomposte in un unico corpo politico.

L'emergere di Donald Trump come figura politica ha portato un ritorno alle dinamiche machiavelliane, dove la tensione tra le due fazioni politiche — grandi e popolo — diventa nuovamente centrale. Trump, come "principe" moderno, si presenta come alleato del popolo contro le élite manageriali. La sua figura evoca un mondo in cui le strategie di Machiavelli si intrecciano con i problemi politici odierni, dove la globalizzazione e la meccanizzazione attraverso la robotica hanno trasformato l’America in un contesto sempre più lontano da quello descritto da Drucker.

Secondo il pensiero di Arthur Milikh, Trump si inserisce nel solco di una tradizione che risale ai padri fondatori degli Stati Uniti, in particolare a quella visione proposta da Alexander Hamilton. La sua proposta di "rendere di nuovo grande l'America" è un richiamo al progetto federalista di usare il commercio come strumento per rafforzare la potenza nazionale. La visione hamiltoniana non si fondava sull'espansione militare come in Europa, ma su un potere basato sullo scambio commerciale competitivo. In questo contesto, Trump non solo si lega alle tradizioni politiche americane, ma propone un nuovo paradigma economico, dove la potenza degli Stati Uniti sarebbe garantita dalla sua capacità di competere a livello globale nelle dispute economiche.

Un altro approccio interessante viene da Feisal Mohamed, che esamina l’applicazione del pensiero di Carl Schmitt alla politica contemporanea, in particolare alle misure adottate da Trump, come il "bando musulmano" e la grazia a Joe Arpaio. Schmitt aveva teorizzato che la politica dipendesse dalla distinzione amico/nemico, e questa dicotomia sembra emergere nella retorica e nelle azioni di Trump, che appaiono come una manifestazione di una "dittatura commissariale". Sebbene non critichi Trump in modo univoco, Mohamed sottolinea come l'esercizio del potere esecutivo da parte del presidente rientri in una tradizione che affonda le radici nell’idea di un presidente che può prendere decisioni politiche decisive al di sopra delle leggi, in una sorta di stato di eccezione.

La filosofia politica ha da sempre indagato le caratteristiche che rendono un governante capace di governare efficacemente. La riflessione su Trump come statista o demagogo si inserisce in questo ampio dibattito. Secondo Patrick Lee Miller, esistono diverse modalità di ignorare la verità. Il filosofo cerca la verità in modo disinteressato, mentre il sofista manipola la verità per scopi egoistici. La demagogia, in questo contesto, è una forma particolare di sofismo, che Trump ha abbracciato in modo consapevole nel momento in cui è diventato presidente. Trump, secondo Miller, non si limita a ignorare la verità, ma la manipola con scopi tirannici, creando una realtà alternativa in cui la verità è subordinata alla sua volontà di potere.

Bernard Dobski, da parte sua, evita i confronti diretti tra Trump e figure come Hitler o Stalin, ritenendoli fuorvianti. Piuttosto, egli trova un’analogia più utile con Cleone, il leader politico ateniese descritto da Tucidide. Come Trump, Cleone era un "adulatore del demos", che utilizzava l’emozione popolare per rafforzare il suo potere. Tuttavia, Dobski non dipinge Cleone solo come un personaggio negativo, ma riconosce anche le sue virtù che permisero ad Atene di mantenere la sua egemonia per un certo periodo. La retorica di Trump, simile a quella di Cleone, si concentra sull’orgoglio nazionale e sull’idea che l'America meriti di essere grande, anche se questa affermazione non viene mai pienamente giustificata.

Le riflessioni su Trump e il suo rapporto con la tradizione politica americana richiedono una comprensione profonda delle radici della democrazia statunitense e delle sue contraddizioni. La tensione tra i principi repubblicani e le forze economiche moderne — come la globalizzazione e la meccanizzazione — pone il paese di fronte a sfide senza precedenti. Comprendere queste dinamiche è essenziale per chi desidera navigare nel panorama politico contemporaneo e per chi vuole riconoscere il significato delle scelte politiche di oggi.

Come la Charisma e la Legittimità Influenzano le Politiche Moderne: Riflessioni sulla Campagna di Trump

Il concetto di legittimità politica, elaborato da Max Weber, offre una chiave fondamentale per comprendere la vittoria di Donald Trump nelle elezioni presidenziali del 2016. La sua ascesa rappresenta un esempio lampante di come la politica moderna possa essere plasmata dalla figura del leader carismatico, una figura che sfida le tradizionali strutture di potere e di legittimazione. Weber distingue tre principali forme di legittimazione: tradizione, legalità e carisma. Tra queste, è il carisma che, in momenti di crisi o di incertezza, può risultare particolarmente potente nel conferire autorità a un leader.

La carica emotiva e l'appeal di Trump si sono manifestati proprio nel suo carisma personale, che ha contrastato l’immagine di Hillary Clinton, percepita da molti come una politica tradizionale e distante dalle reali preoccupazioni della gente comune. Clinton ha mancato di rispondere adeguatamente alla sfida di Trump, concentrandosi troppo sull'affidamento alle istituzioni americane, che già da tempo mostrano segni di crisi di legittimità. In un contesto dove le strutture tradizionali sono state messe in discussione, la figura di Trump, con la sua retorica personalista e spesso demagogica, è riuscita a capitalizzare sul desiderio di cambiamento e sulla frustrazione popolare.

Max Weber ha teorizzato che il carisma non è solo una qualità personale, ma qualcosa che può essere incanalato nelle istituzioni e nei gruppi sociali. Questo processo di "istituzionalizzazione" del carisma è ciò che permette a un leader di trasformare la sua influenza personale in un potere durevole. Tuttavia, Weber vedeva il carisma come qualcosa di fragile e dipendente dalla capacità del leader di rimanere fedele ai propri valori e di ispirare il proprio seguito. In Trump, tuttavia, si nota una divergenza significativa da questa visione ideale. Il suo carisma, purtroppo, non è stato accompagnato da una solida visione politica, e questo pone seri interrogativi sulla sostenibilità di un potere carismatico che non sia sorretto da principi ideologici forti.

L'elezione di Trump ha messo in evidenza un’altra dimensione del carisma: la sua capacità di sferrare attacchi diretti e spesso aggressivi contro l’establishment politico, un atteggiamento che ha risuonato profondamente con una parte significativa della popolazione americana. Questo aspetto del carisma non si limita alla retorica, ma si manifesta anche nelle politiche e nelle azioni del suo governo, che si sono spesso distinte per l’incertezza, la polarizzazione e il rifiuto delle convenzioni precedenti. In questo senso, Trump ha incarnato un’idea di leadership che sfida la razionalità e la coerenza, ma che esercita un fascino innegabile su chi si sente escluso dal processo politico tradizionale.

Le riflessioni di Weber sul carisma e sulla legittimità pongono dunque una questione fondamentale: fino a che punto il carisma può sostituire la stabilità delle istituzioni politiche? La crisi di legittimità che ha caratterizzato gli Stati Uniti prima e dopo le elezioni del 2016 è sintomatica di un fenomeno globale, in cui i partiti tradizionali e le istituzioni politiche stanno perdendo credibilità. Tuttavia, la soluzione proposta da Trump non è stata quella di rafforzare le strutture democratiche, ma di sfruttare la potenza del suo carisma per destabilizzare ulteriormente il sistema esistente.

In un simile scenario, è essenziale considerare non solo l’appeal emotivo di un leader, ma anche la sua capacità di proporre soluzioni reali e sostenibili per le sfide sociali, economiche e politiche. La politica, in definitiva, non può essere ridotta a un semplice gioco di personalità o a una lotta per la supremazia carismatica. Deve essere accompagnata da un impegno concreto verso il benessere collettivo, e da una consapevolezza che la legittimità politica si costruisce anche attraverso il rispetto delle regole e la protezione dei diritti fondamentali.

Il fenomeno Trump, sebbene emblematico del potere del carisma nella politica contemporanea, ci obbliga a riflettere sulle conseguenze di una politica che, purtroppo, può facilmente sfociare nella manipolazione delle masse e nella creazione di un clima di instabilità. Il carisma da solo non è sufficiente per costruire una leadership legittima e duratura. È necessario che un leader, oltre a possedere qualità personali eccezionali, sia in grado di rispondere alle sfide politiche con una visione coerente e ben fondata.

Chi decide nello stato d’eccezione? Sovranità e potere nella crisi della legalità

L’idea di sovranità formulata da Carl Schmitt si concentra su un paradosso che attraversa ogni ordine politico moderno: la decisione sovrana nasce là dove il diritto tace. “Sovrano è chi decide sullo stato d’eccezione”, scrive Schmitt in Teologia politica, individuando in questa formula la chiave per comprendere la natura ultima del potere. La norma, per esistere, presuppone la possibilità della sua sospensione; la legalità si fonda su una frattura originaria che la stessa legge non può colmare.

L’articolo 48 della Costituzione di Weimar, oggetto di un ampio commento schmittiano, rappresenta l’esempio emblematico di questa tensione: in nome della salvezza dello Stato, il Presidente poteva sospendere i diritti fondamentali. La dittatura, per Schmitt, non era un’anomalia ma una funzione necessaria dell’ordine politico, una forma di potere che si attiva quando la costituzione non basta più a garantire l’esistenza stessa dello Stato. In questo senso, la dittatura commissaria — distinta dalla dittatura sovrana — è vista come un meccanismo giuridico legittimo, mentre la seconda segna la dissoluzione dell’ordine legale in nome di un potere costituente che si dichiara al di sopra della legge.

La riflessione schmittiana, a lungo confinata al contesto della Repubblica di Weimar e poi macchiata dalla sua adesione al nazionalsocialismo, ha ritrovato nuova attualità nelle democrazie contemporanee. La nozione di “stato d’eccezione” è stata ripresa da Giorgio Agamben per descrivere la condizione in cui il potere politico sospende i diritti in nome della sicurezza, trasformando l’emergenza in un paradigma stabile di governo. Le decisioni esecutive americane dopo l’11 settembre, e ancora quelle durante l’amministrazione Trump — dai decreti sull’immigrazione ai bombardamenti in Siria — mostrano come l’eccezione sia diventata il linguaggio ordinario della sovranità.

Nei casi giuridici che hanno accompagnato la stagione dei “travel bans”, la discussione non ha riguardato solo la legittimità di un atto presidenziale, ma la natura stessa del potere sovrano in una repubblica costituzionale. La giurisprudenza americana, oscillando tra deferenza e controllo, ha finito per riprodurre il dilemma schmittiano: può la legge giudicare la decisione che la sospende? E, se sì, con quali strumenti, se la decisione si pone come condizione di possibilità della legge stessa?

Paul Kahn, riprendendo e adattando Schmitt al contesto statunitense, ha mostrato come la politica americana, soprattutto nella “guerra al terrore”, abbia sviluppato una propria teologia politica. Il sacrificio, la violenza, il ricorso alla forza in nome della libertà — tutti elementi che, pur radicati in un discorso liberale, tradiscono una fede sovrana che oltrepassa la ragione costituzionale. La democrazia, in questo quadro, si regge su un paradosso: essa difende la legalità mediante atti che la sospendono, e afferma la libertà ricorrendo a gesti autoritari.

In Schmitt, l’unità politica nasce dal nemico: il politico è definito dalla distinzione tra amico e nemico. L’eccezione non è solo un evento straordinario, ma il momento in cui il potere rivela la propria essenza decisionale. È per questo che, anche nelle società pluraliste e costituzionali, il sovrano continua a essere colui che decide quando la normalità è finita.

È importante comprendere che lo “stato d’eccezione” non è soltanto un fatto giuridico o una misura emergenziale. È un dispositivo di pot