Gli investimenti in attivi illiquidi, come il capitale di rischio, gli immobili e i fondi di private equity, presentano un vantaggio percepito dovuto al premio di illiquidità, cioè un guadagno extra per gli investitori che assumono il rischio di non poter accedere facilmente al loro capitale. Tuttavia, questo premio è spesso difficile da valutare correttamente, e numerosi bias possono distorcere i dati relativi ai ritorni di tali asset. È essenziale trattare i rendimenti degli attivi illiquidi con grande cautela, in quanto i sopravvissuti con rendimenti sopra la media e la tendenza a registrare i ritorni solo quando le valutazioni sono elevate tendono a generare stime dei ritorni troppo ottimistiche e stime del rischio distorte verso il basso. Di fatto, i ritorni riportati degli attivi illiquidi spesso risultano essere troppo belli per essere veri.

L'effetto del bias di selezione sui rendimenti degli attivi illiquidi può essere estremamente significativo. Studi come quelli di Cochrane (2005) sulle venture capital, che inizialmente stimano un alpha dei ritorni logaritmici di oltre il 90%, riducono drasticamente tale valore a -7% quando si corregge per il bias di selezione. Anche nel settore immobiliare, Fisher et al. (2003) hanno dimostrato che, correggendo il bias di selezione, i ritorni medi sugli investimenti immobiliari scendono dall'1,7% allo 0,3%, mentre le stime della deviazione standard aumentano di un fattore 1,5. Questo fenomeno si spiega in parte dal periodo di campionamento, che include anche le crisi del mercato immobiliare degli anni '90 e dei primi anni 2000, e non tiene conto del boom del mercato immobiliare nel decennio successivo.

Il premio di illiquidità è la compensazione che gli investitori ricevono per non poter accedere immediatamente al proprio capitale, ma anche per la possibilità di affrontare una crisi di illiquidità. Esistono diverse modalità per sfruttare questo premio:

  1. Allocazione passiva verso classi di attivi illiquidi, come gli immobili.

  2. Selezione di titoli illiquidi all’interno di una classe di attivi, con l’obiettivo di scegliere quelli più difficili da liquidare.

  3. Essere un market maker a livello di singoli titoli.

  4. Strategie dinamiche a livello di portafoglio complessivo.

La teoria economica suggerisce che esista un premio per il rischio di illiquidità, sebbene questo possa essere esiguo. In alcuni modelli, in cui il rischio di illiquidità non ha un impatto significativo sui prezzi, tale rischio viene “assorbito” tra gli agenti. In altre parole, ogni individuo potrebbe essere influenzato dall’illiquidità—magari per l’incapacità di consumare o per la modifica delle sue partecipazioni—ma gli altri agenti non sono vincolati e agiscono in momenti differenti, condividendo il rischio tra di loro. In equilibrio, quindi, gli effetti dell’illiquidità potrebbero essere trascurabili. Tuttavia, la grande domanda riguarda se il premio di illiquidità sia realmente grande o se il suo impatto sia molto limitato.

La difficoltà nel misurare l’effettivo premio di illiquidità è dovuta a diversi fattori. Ad esempio, non esistono indici di mercato affidabili per le classi di attivi illiquidi. Nessun investitore può ottenere esattamente i ritorni dell'indice NCREIF per il mercato immobiliare, poiché l'indice stesso non è investibile e i portafogli degli investitori includono una frazione minore dei beni contenuti nell'indice. Questo implica che gli investitori affrontano un rischio idiosincratico maggiore, che, pur potendo aumentare i ritorni in alcuni casi, può anche avere effetti negativi.

Inoltre, nei mercati illiquidi, è difficile separare il rischio di fattore dalla competenza del gestore. Negli investimenti liquidi, come nei mercati azionari o obbligazionari, esistono fondi indicizzati a basso costo che permettono di separare il ritorno sistematico dalla capacità di gestione. Al contrario, negli attivi illiquidi ogni investimento è fortemente influenzato dalla competenza del gestore, il che porta a problemi di agency che possono annullare i benefici derivanti dal premio di illiquidità.

La relazione tra il grado di illiquidità di una classe di attivi e il ritorno medio è oggetto di dibattito. Il modello tradizionale suggerisce che maggiore è l'illiquidità di un asset, maggiore dovrebbe essere il premio. Tuttavia, come evidenziato dalla ricerca di Ang, Goetzmann e Schaefer (2011), l’evidenza empirica a favore di questo presupposto è contrastata. I dati dei ritorni, sebbene sembrino suggerire un premio maggiore per le classi di attivi illiquidi, devono essere corretti per tenere conto dei bias di selezione, della frequenza delle osservazioni e di altri fattori di rischio non correlati all’illiquidità stessa.

In conclusione, anche se la teoria economica e alcuni dati empirici suggeriscono l’esistenza di un premio per l’illiquidità, la realtà degli investimenti illiquidi è complessa e spesso diversa dalle aspettative. La corretta comprensione dei rischi, dei bias di selezione e delle problematiche legate alla gestione degli investimenti illiquidi è cruciale per evitare stime fuorvianti dei ritorni e per prendere decisioni informate in merito a questi asset.

Come la Teoria del Principale-Agenzia Influenza la Gestione degli Investimenti e la Scelta dei Fondi

La teoria del principale-agenzia, applicata alla gestione delegata di portafogli, offre una chiave di lettura fondamentale per comprendere le dinamiche di mercato e le decisioni di investimento. Sebbene le intuizioni di base siano facilmente comprensibili, il suo impatto sui flussi finanziari, sulle scelte di investimento e sulla gestione del rischio rimane centrale per chi gestisce risorse ingenti, come i fondi pensione o i grandi investitori istituzionali.

In molti casi, i flussi di capitale, come quelli che influenzano gli indici di valore e crescita BARRA, seguono andamenti contraddittori: una volta che un titolo viene incluso in un indice, si osserva un aumento significativo dei flussi di capitale, ma questo movimento è spesso di breve durata e dipende strettamente dal tipo di indice e dalla composizione degli investitori. Boyer (2012) ha osservato che questo fenomeno si intensifica solo dopo l’introduzione degli indici BARRA nel 1992, dimostrando che la reazione agli eventi di inclusione ed esclusione è un elemento chiave nella dinamica dei prezzi, particolarmente rilevante per gli investitori istituzionali.

Un altro aspetto critico che emerge dalla teoria del principale-agenzia è il ruolo centrale della governance nelle decisioni di investimento. Le istituzioni che riescono a mantenere una struttura di governance solida e indipendente, come quella del Canada Pension Plan Investment Board (CPPIB), sono in grado di resistere alle pressioni del mercato e di perseguire strategie di lungo periodo. Tali strutture garantiscono non solo la protezione degli interessi degli investitori, ma anche l'accesso a premi di liquidità e a una gestione più mirata dei rischi. La governance solida permette inoltre agli asset owner di evitare gli errori tipici di chi è troppo influenzato dai flussi di mercato o dalle pressioni a breve termine.

Il concetto di momentum, che è strettamente legato a queste dinamiche di flusso e contro-flusso, è un altro elemento rilevante. Si osserva il fenomeno del momentum in tutte le classi di asset liquide: azioni, obbligazioni, materie prime e valute. Le istituzioni finanziarie, in quanto attori predominanti in questi mercati, sono i principali responsabili di queste oscillazioni, mentre nei mercati over-the-counter, dove dominano gli investitori individuali, non si rilevano gli stessi effetti di momentum. Questo dimostra come le istituzioni siano in grado di influenzare il mercato in modi che gli investitori privati, meno organizzati e più reattivi, non possono.

Quando si parla di fondi comuni o di altre forme di investimento delegato, la struttura contrattuale e le modalità di remunerazione sono fondamentali. La teoria del principale-agenzia ci insegna che un investitore non deve essere sorpreso se l’agente (ad esempio, un manager di un fondo) non agisce sempre nel migliore interesse del principale (l’investitore). Questa realtà, purtroppo, è spesso ignorata, e ciò porta alla creazione di contratti che favoriscono più l’agente che il principale. In molti casi, il fondo comune di investimento non riesce a generare rendimenti positivi per gli investitori, poiché la maggior parte dei fondi non è in grado di battere il mercato dopo aver pagato le commissioni.

Un esempio lampante di come la governance e la gestione strategica siano cruciali per evitare errori catastrofici è il caso del fondo pensione di New York, il NYSCRF. Come sottolineato in un editoriale del New York Times, l’ottimizzazione della gestione degli investimenti non dipende solo dal numero di persone coinvolte, ma dalla qualità della governance e dal processo decisionale del consiglio di amministrazione. Un consiglio di amministrazione, purtroppo, non è una soluzione magica se non si presta attenzione alle modalità con cui viene nominato, al suo ruolo nelle decisioni strategiche e alla sua relazione con gli agenti esterni, come i gestori di fondi.

Un altro aspetto critico della teoria del principale-agenzia nella gestione degli investimenti riguarda la scelta dei benchmark. Benchè i benchmark tradizionali, come l'S&P 500, siano ampiamente utilizzati, la teoria suggerisce che questi possano non essere i più adatti per motivare i gestori di portafoglio. L’adozione di benchmark basati su fattori può ridurre i conflitti di agenzia, creando incentivi più equilibrati e dando ai gestori maggiore libertà per generare valore senza essere vincolati ai limiti imposti dai tradizionali benchmark di mercato. La trasparenza, la divulgazione delle informazioni e la reputazione del gestore sono altre leve fondamentali per creare un sistema di incentivi che premia l'efficacia e l'impegno del gestore.

Infine, la teoria del principale-agenzia evidenzia anche la differenza tra gli interessi dei principali e degli agenti. Gli agenti, come dimostrato dalle esperienze di Greg Smith con Goldman Sachs, tendono a privilegiare il loro interesse economico personale a discapito degli interessi del cliente. Un asset owner deve quindi essere sempre consapevole che, sebbene l’agente sia stato scelto per gestire gli investimenti, il suo interesse primario potrebbe non essere quello di massimizzare i benefici per il principale. Di conseguenza, la gestione degli investimenti richiede un’attenta considerazione delle motivazioni degli agenti e la progettazione di contratti che riducano il rischio di conflitto di interesse.

Una corretta applicazione della teoria del principale-agenzia è cruciale per gli investitori istituzionali e per chi gestisce grandi masse di capitale. Un’efficace struttura di governance, combinata con una corretta strategia di investimento, permette di navigare le acque turbolente del mercato senza cedere alla tentazione di seguire il gregge, ma anzi capitalizzando sulle opportunità che derivano dalla capacità di mantenere la rotta a lungo termine.