"Oh, Simorgya!" gridò Lavas Laerk. "Abbiamo trovato la tua casa del tesoro!" La stanza in cui finiva il corridoio era quadrata e con il soffitto notevolmente più basso rispetto a quello del corridoio. Lì e qua erano sparsi alcuni scrigni neri, visibilmente gonfi e umidi, con legature pesanti. Il pavimento era più fangoso, le pozze d'acqua più numerose e la fosforescenza più intensa. Un rematore con la barba bionda balzò in avanti mentre gli altri esitavano. Strappò il coperchio del primo scrigno, ma il legno, morbido come il formaggio, cedette facilmente, rivelando una sostanza nera e vischiosa. Si chinò di nuovo per afferrarlo e, con uno strattone, staccò la maggior parte della parte superiore, rivelando una superficie di oro lucido e gemme bagnate dalla melma. Su di essa, un granchio, simile a una creatura marina, scivolò via, fuggendo attraverso un buco nel retro. Con un grido di ingordigia, gli altri si lanciarono sugli scrigni, spingendo, graffiando e persino colpendo con le spade il legno spugnoso. Due di loro, litigando su chi dovesse aprire il prossimo scrigno, finirono per cadere su di esso, facendolo andare in pezzi sotto di loro, rimanendo immersi tra gioielli e fango.

Lavas Laerk, però, rimase fermo nello stesso punto da cui aveva lanciato il suo primo grido di scherno. Fafhrd, dimenticato accanto a lui, si rese conto che Lavas Laerk sembrava distrutto dall'idea che la sua ricerca dovesse giungere a un termine, come se fosse alla disperata ricerca di qualcosa di più, qualcosa che andasse oltre oro e gioielli, qualcosa che potesse saziare la sua volontà folle.

Poi notò che Lavas Laerk stava fissando qualcosa intensamente: una porta quadrata, ricoperta da uno strato di melma ma apparentemente d'oro, che si trovava di fronte all'ingresso del corridoio. Su di essa era scolpito un mostro marino, simile a una coperta ondulata e stranamente vivente. Lavas Laerk rise, il suono gutturale, e si diresse verso la porta, avanzando senza esitazioni. Nella sua mano, Fafhrd riconobbe con sorpresa l'anello che Lavas Laerk gli aveva sottratto. Lavas Laerk spinse la porta, ma essa non si mosse. Provò a inserire l'anello nella serratura d'oro e girò. La porta si mosse leggermente con il successivo colpo che Lavas Laerk diede. Allora Fafhrd comprese con un'improvvisa e potente realizzazione, che tutto ciò che era successo, da quando la sua freccia aveva colpito il pesce, era stato voluto da qualcuno o qualcosa. Qualcosa che desiderava sbloccare quella porta. E fuggì giù per il corridoio come se un'onda gigantesca lo stesse inseguendo.

Il corridoio, immerso nell'oscurità, sembrava pallido e insidioso come un incubo. La fosforescenza sembrava strisciare come se fosse viva, rivelando creature sconosciute in ogni angolo. Fafhrd si affrettò, inciampò e corse più velocemente di quanto gli sembrasse possibile, ma ogni suo movimento sembrava rallentato, come se fosse intrappolato in un sogno opprimente. Non guardava più che davanti a sé, ma dal suo angolo di vista spuntavano ricordi e dettagli di ciò che aveva visto prima: le alghe che strisciavano, le sculture mostruose, gli occhi di polpo che fissavano in modo inquietante. Le sue mani e il suo corpo brillavano ovunque il fango li avesse contaminati. Un piccolo quadrato di oscurità si fece strada tra la fosforescenza, e si lanciò verso di esso. Cresceva rapidamente. Era l'uscita della caverna. Fafhrd la attraversò e corse fuori nell'oscurità della notte.

"Simorgya" è il nome che Fafhrd pronuncia con una risata crudele, come se la sua mente fosse finalmente giunta alla conclusione che cercava, consapevole che ciò che stava per accadere avrebbe segnato una fine definitiva, ma con una maledizione tremenda. Simorgya è un'isola misteriosa, che sembra emettere un'energia strana, una presenza che tutto corrompe. Fafhrd ha vissuto il suo incontro con questa realtà aliena, ma il terrore che ha suscitato è tanto reale quanto l'impossibilità di comprenderlo appieno.

Mentre la nave dei due avventurieri galleggiava nel mare aperto, Fafhrd non parlava, ma il suo volto tradiva il tormento di un pensiero che non riusciva a sfuggire. Anche quando la tempesta li travolse, il mare sembrava volerli inghiottire, ma la consapevolezza di qualcosa di più grande, qualcosa di insondabile e potenzialmente fatale, li spingeva a lottare contro il destino. Il loro viaggio verso casa fu segnato da una serie di tempeste e difficoltà che li cambiarono, non solo fisicamente, ma spiritualmente.

Tuttavia, la vera natura di Simorgya rimase un mistero anche per il Mouser, che, pur avendo avuto un'intuizione di ciò che Fafhrd stava tentando di comprendere, non riusciva a vedere la totalità del quadro. La figura misteriosa dei "mantelli neri", che inizialmente sembrava solo una visione confusa, assunse una connotazione ben più sinistra. Quei "mantelli" non erano semplicemente capi di abbigliamento, ma rappresentavano qualcosa di altrettanto arcano e incomprensibile. L'avventura di Fafhrd e del Mouser mostra come il desiderio umano di scoprire e dominare il mistero possa spesso portare alla frustrazione e al terrore, più che alla comprensione.

Simorgya è il simbolo di un mistero che sfida la logica, una terra che affonda sotto il peso della sua stessa corruzione. La sua scomparsa non rappresenta la fine, ma piuttosto l'inizio di una nuova comprensione di ciò che è stato, di ciò che esiste al di là delle possibilità umane. E il fatto che Fafhrd maledica l'isola non segna solo il suo rifiuto di comprenderla, ma anche il suo rifiuto di accettare che una forza così imponente possa esistere senza spiegazioni. La sua lotta, più di ogni altra cosa, è una lotta contro l'ignoto, contro quel che non può essere razionalizzato né vinto.

La magnificenza dei giardini del re Zokkar: tra arte, splendore e terrore

I giardini creati dal re Zokkar, il sovrano antico, erano un’opera straordinaria, un riflesso della sua grandezza e della potenza del suo regno. Alcuni palazzi che vi sorgevano erano più magnifici di qualsiasi altra costruzione a Thraa, Ilarnek o Kadatheron. Alti e imponenti, alcuni di questi palazzi sembravano sfiorare il cielo stesso, eppure, quando venivano illuminati da torce immerse nell'olio di Dother, le loro pareti rivelavano pitture di re e armate, scene di grande splendore che avevano il potere di stordire chiunque le contemplasse.

Le colonne di questi palazzi, fatte di marmo tinto, erano incise con disegni di una bellezza senza pari, e i pavimenti, realizzati con mosaici di berillo, lapislazzuli, sardonica e carbuncolo, erano disposti in modo tale da far sembrare che chi vi camminasse fosse immerso in un campo di fiori sollevati. Le fontane, disposte con arte raffinata, spruzzavano acque profumate che arricchivano l’atmosfera, creando un contrasto perfetto con l’architettura maestosa.

Il palazzo dei re di Mnar e delle terre vicine era il più splendente di tutti. Il trono, posto su due leoni d’oro che si accovacciavano, era tanto alto che chiunque vi fosse seduto sembrava sollevarsi al di sopra del mondo. Il trono stesso era scolpito in un’unica imponente sezione di avorio, la cui origine rimaneva un mistero irrisolto. In quel palazzo c’erano numerose gallerie e anfiteatri dove si svolgevano battaglie tra uomini, leoni ed elefanti, intrattenendo i re e i loro cortigiani. Talvolta, gli anfiteatri venivano inondati d’acqua proveniente da imponenti acquedotti che trasportavano le acque del lago, dando vita a battaglie navali o scontri tra nuotatori e creature marine mortali.

Anche le torri-templi di Sarnath erano straordinarie. Costruite con una pietra multicolore mai vista altrove, le torri s’innalzavano per migliaia di cubiti, la più alta tra di esse ospitava i sommi sacerdoti, la cui magnificenza rivaleggiava con quella dei sovrani. Le enormi sale del piano inferiore erano luoghi di devozione, dove si riunivano folle in adorazione di Zo-Kalar, Tamash e Lobon, i principali dei di Sarnath. I loro templi, immersi nell'incenso, apparivano come troni divini. Ma ciò che colpiva maggiormente erano le statue degli dèi: così realistiche, così vicine alla vita, che sembrava che i divini stessi potessero scendere dal loro trono di avorio e parlare con i fedeli.

Nel centro di Sarnath si trovavano i giardini creati dal re Zokkar. Immensi e circondati da una muraglia alta, questi giardini erano coperti da una grande cupola di vetro che permetteva alla luce del sole, della luna e delle stelle di filtrare al loro interno. Durante l'estate, brezze fresche e profumate venivano fatte circolare con astuti ventilatori, mentre in inverno i giardini venivano riscaldati da fuochi nascosti, mantenendo sempre una sensazione di primavera. Piccoli ruscelli serpeggiavano su ciottoli lucidi, dividendo prati verdi e aiuole dai colori vivaci, mentre numerosi ponti attraversavano i corsi d'acqua. Molteplici erano le cascate che scendevano con grazia, mentre piccoli stagni fioriti accoglievano cigni bianchi che si muovevano tra i fiori. Il suono degli uccelli rari accompagnava quello dell’acqua che scorreva, creando una melodia naturale che incantava i visitatori.

I giardini erano anche luoghi di riposo e meditazione, con piccole cappelle e templi dedicati a divinità minori, dove si poteva pregare o semplicemente riflettere in tranquillità. Ogni anno si celebrava la festa della distruzione di Ibb, una ricorrenza che riuniva l’intera città in un tripudio di cibo, vino, danze e canti. Era un’occasione per onorare i sacrifici di coloro che avevano distrutto antiche creature, e la memoria di questi esseri e dei loro dèi era derisa dai danzatori e musicisti che indossavano corone di rose raccolte proprio nei giardini di Zokkar.

Ma nonostante l’apparente prosperità e la felicità che sembravano regnare a Sarnath, c’era chi, tra i sacerdoti, cominciava a nutrire timori. Si sussurrava che l’effige di mare verde, una statua sacra, fosse scomparsa misteriosamente, e che Taran-Ish, uno dei più anziani sacerdoti, fosse morto di paura, lasciando un avvertimento inquietante. Alcuni sacerdoti dicevano di aver visto luci strane riflettersi sull'acqua del lago e di aver notato che la roccia Akurion, solitamente visibile, stava scomparendo lentamente nell’acqua.

A distanza di mille anni dalla distruzione di Ibb, la città di Sarnath celebrò il suo millesimo anniversario con una festa ancora più opulenta. Dall’intero regno di Mnar giunsero principi e viaggiatori da Thraa, Ilarnek, e Kadatheron. La città era un tripudio di banchetti e feste, e il re Nargis-Hei si abbandonò ai piaceri della carne e del vino. Tuttavia, proprio in quella notte fatidica, una visione sinistra apparve. Le luci verdi e le ombre che si sollevarono dal lago, insieme alle strane nebbie che avvolgevano la città, furono l’inizio di un terrore indicibile.

Alla mezzanotte, le porte di bronzo della città si spalancarono, e un’orda di persone impazzite riempì la pianura, fuggendo dalla città in preda a un terrore indescrivibile. Le voci di coloro che avevano visto cosa si nascondeva nel palazzo del re Nargis-Hei parlavano di esseri verdi, senza voce, con occhi prominenti e labbra flaccide, che danzavano portando vassoi d’oro e rubini, mentre incendi mortali ardevano sopra di essi. La bellezza dei giardini e la maestosità dei palazzi vennero travolte da una catastrofe che nessuno avrebbe potuto prevedere.

Sarnath, che una volta era stato il centro del mondo, si stava avvicinando alla sua fine. La sua grandiosità, tanto ammirata dai contemporanei, non sarebbe riuscita a resistere alla furia del destino che, come le nebbie verdi che dal lago salivano a inghiottire la città, avrebbe cancellato ogni traccia di quella magnificenza.

Come si sopravvive nel Paese dei Ciechi: Una riflessione sulla percezione e l'adattamento

Nel Paese dei Ciechi, dove la vista non è mai esistita, ogni individuo vive la sua realtà percettiva senza che la sua esistenza sia messa in discussione. L'arrivo di Nunez, un uomo che può vedere, interrompe questa monotona visione del mondo. La sua condizione di visivo lo pone subito in una posizione di incomprensione e, soprattutto, di conflitto con le leggi non scritte della comunità. Il contrasto tra ciò che Nunez percepisce come normale e ciò che i ciechi ritengono giusto e naturale diventa la spina dorsale di un'esperienza di solitudine, lotta e, infine, adattamento.

Il primo impatto di Nunez con i ciechi è un miscuglio di incredulità e orgoglio. Quando viene avvicinato da un gruppo di ciechi, Nunez, ridendo, inizialmente sottovaluta la loro capacità di percepire il pericolo. Ma presto si rende conto che non solo non possono vedere, ma che ogni loro movimento, ogni loro gesto, è regolato da una percezione che non ha nulla a che vedere con la vista. Il loro mondo è guidato dall'udito, dal tatto e da un senso innato dell'ambiente che li circonda. La sua visione del mondo, che fino a quel momento gli era sembrata una risorsa unica e indiscutibile, diventa un'arma che non sa come usare in un ambiente dove la vista non esiste nemmeno come concetto.

L'interazione di Nunez con i ciechi non è solo fisica, ma anche psicologica. La sua ribellione iniziale, il suo tentativo di far valere il suo potere come "l'uomo che può vedere", incontra subito il muro dell'incomprensione. I ciechi non percepiscono la vista come un vantaggio, ma come una disabilità. Per loro, Nunez è solo un altro individuo incapace di adattarsi alle leggi naturali della loro esistenza. Ogni gesto, ogni tentativo di difesa da parte di Nunez, viene interpretato come un atto di follia. La sua percezione della realtà, così diversa dalla loro, non è solo inutile, ma potenzialmente pericolosa. E così, Nunez si trova a dover affrontare la dura realtà di un mondo che non è pronto ad accogliere la sua visione, ma piuttosto a rifiutarla e a umiliarla.

Il momento cruciale arriva quando Nunez si rende conto che la sua unica via di salvezza non è più la lotta, ma l'adattamento. Dopo aver sperimentato la paura, la solitudine e l'impossibilità di cambiare il corso degli eventi, Nunez cede alla realtà del Paese dei Ciechi. La sua ribellione si dissolve, sostituita da una rassegnata sottomissione. Non è più l’uomo che può vedere, ma uno degli altri, uno che è costretto a conformarsi a un sistema che non gli appartiene. La sua identità, costruita attorno alla sua vista, cede il passo a un'esistenza fatta di compromessi e rinunce. Ma, nonostante tutto, Nunez trova la sua via d'uscita nella relazione con Medina-sarote, una giovane cieca che non è mai stata in grado di attrarre gli altri uomini del Paese dei Ciechi a causa della sua bellezza non conforme. Nunez la vede come un faro di speranza, il suo unico legame con un mondo che sta lentamente perdendo la sua rilevanza.

Nel Paese dei Ciechi, la realtà non è universale, ma è definita da ciò che la comunità considera "normale". Per Nunez, la visione del mondo è il fondamento della sua esistenza, ma nel Paese dei Ciechi, questo privilegio è inutilizzabile. La morale della storia non risiede nella vittoria della vista sulla cecità, ma nella comprensione che ogni percezione è relativa e che, in un mondo completamente diverso, la "verità" è un concetto fluido, determinato dalla percezione collettiva di una società. Nunez non è il re, come pensava inizialmente, ma un individuo che deve adattarsi, un uomo che non solo ha perso il controllo della sua realtà, ma ha dovuto imparare a vivere in una realtà che non riconosce più come sua.

Eppure, la storia non finisce con la sottomissione di Nunez. La sua crescita interiore, pur nella dolorosa accettazione della sua condizione, segnala qualcosa di fondamentale: l’importanza di adattarsi a un mondo che cambia, l’impossibilità di imporre il proprio punto di vista quando questo è in contraddizione con la percezione collettiva degli altri. La vera sfida per Nunez è stata capire che la lotta non può durare per sempre, e che in molti casi, la chiave per la sopravvivenza è adattarsi, per quanto difficile possa essere, piuttosto che cercare di forzare una realtà che non ci appartiene.

Sebbene Nunez non sia mai completamente in grado di integrare il Paese dei Ciechi come il suo nuovo "dominio", la sua esperienza offre uno spunto importante per riflettere su come la percezione della realtà possa essere soggettiva. In fondo, ciò che rende un mondo vivibile è il sistema di convinzioni condiviso tra coloro che lo abitano. E mentre Nunez inizialmente lotta per essere accettato come una figura speciale, alla fine si rende conto che, in effetti, è il suo modo di vedere che è fuori posto in questo nuovo contesto.