La pancreatite cronica (CP) è una malattia che può evolvere in diverse complicazioni, alcune delle quali gravi e difficili da gestire. Una delle complicazioni più comuni è lo sviluppo delle pseudocisti, che si verificano nel 20-40% dei pazienti. Le pseudocisti dovrebbero essere sospettate in pazienti con CP stabile che presentano dolore addominale o lombare persistente, o la comparsa di una massa epigastrica che può causare sintomi ostruttivi come nausea, vomito e ittero.
Le pseudocisti possono essere acute, con risoluzione entro sei settimane, o croniche, senza risoluzione spontanea e persistenti oltre sei settimane. La loro gestione dipende dalla presenza di sintomi. Le pseudocisti asintomatiche sono generalmente trattate in modo conservativo, mentre quelle sintomatiche richiedono drenaggio, che può essere percutaneo, endoscopico o chirurgico, in base alla posizione, dimensione, esperienza del medico e relazione con i dotti pancreatici. La chirurgia è di solito indicata nei casi in cui il drenaggio percutaneo o endoscopico risulti tecnicamente non fattibile o inefficace, o in caso di sospetto di malignità. In casi più complessi, la drenaggio endoscopico viene eseguito tramite una cistogastrostomia o cistoduodenostomia, utilizzando stent appositi per garantire un drenaggio adeguato.
Un’altra complicazione significativa della pancreatite cronica è l'ostruzione del dotto biliare comune distale, che si verifica nel 5-10% dei pazienti. Questa ostruzione è causata dalla compressione della porzione intrapancreatica del dotto biliare da edema, fibrosi o pseudocisti, con conseguente ittero, dolore e dilatazione dei dotti, fino a potenziale colangite. Se non trattata, può evolvere in colangite sclerosante secondaria e cirrosi biliare. La diagnosi si sospetta in presenza di un aumento dei livelli di fosfatasi alcalina e può essere confermata tramite esami di imaging, come la colangiopancreatografia a risonanza magnetica (MRCP). Il trattamento iniziale prevede la decongestione biliare, che può essere eseguita tramite stent biliare endoscopico, sebbene questo richieda frequenti cambi di stent a causa di ostruzioni o migrazione. In alternativa, la resezione chirurgica o il bypass biliare possono essere utilizzati per garantire una soluzione duratura, specialmente nei pazienti più giovani o in quelli che presentano ricadute dopo il trattamento endoscopico.
Un’altra complicazione importante è l'ostruzione duodenale, che si manifesta nel 5% dei pazienti con CP e causa nausea, vomito, perdita di peso e sensazione di sazietà precoce. La diagnosi è confermata tramite una serie gastrointestinale superiore, mentre il trattamento prevede inizialmente una terapia di supporto, con intervento chirurgico (gastrojejunostomia) nei casi persistenti. Se è presente anche ostruzione biliare, può essere necessario un bypass biliare o la resezione chirurgica della testa del pancreas.
Le fistole pancreatiche sono un'altra complicazione che può verificarsi dopo drenaggio percutaneo o chirurgico delle pseudocisti. La gestione iniziale di queste fistole prevede la somministrazione di analoghi della somatostatina, come l'octreotide, per ridurre la secrezione pancreatica, spesso in combinazione con alimentazione jejunale o nutrizione parenterale totale. Quando possibile, si deve eseguire una colangiopancreatografia retrograda endoscopica (ERCP) per localizzare la sede della perdita del dotto pancreatico. Se la fistola è trattabile, il posizionamento di uno stent transpapillare è molto efficace (>90%). Tuttavia, nei casi di completa disconnessione del dotto pancreatico, potrebbe essere necessario un intervento chirurgico.
In alcuni pazienti con CP, l'accumulo di liquidi pancreatici nell'addome o nel torace, noto come ascite pancreatica o effusione pleurica pancreatica, può verificarsi. La diagnosi si basa sulla presenza di elevate concentrazioni di amilasi, lipasi e albumina nel liquido ottenuto tramite paracentesi o toracentesi. Trattamenti palliativi, come la paracentesi o toracentesi, possono essere utili fino a quando non si riesce a controllare il danno al dotto pancreatico.
Un’altra complicazione rara, ma significativa, è l'ipertensione portale e le varici gastriche, che possono derivare dalla trombosi della vena splenica, una condizione che si verifica nel 12% dei pazienti con CP. Questo fenomeno porta all'ipertensione venosa intrasplenica, splenomegalia e la formazione di varici gastriche collaterali. Sebbene l'emorragia massiva possa verificarsi, è poco comune. Il trattamento di scelta in caso di sanguinamento persistente è la splenectomia, ma possono essere tentate anche l'embolizzazione della arteria splenica o il posizionamento di uno stent nella vena splenica in casi selezionati.
La pancreatite cronica può anche essere associata a carenze di vitamine liposolubili (A, D, E, K), sebbene queste carenze non siano particolarmente indicative di CP in assenza di altre manifestazioni cliniche.
È importante che i medici e i pazienti siano consapevoli delle complicazioni potenzialmente devastanti della pancreatite cronica. La diagnosi tempestiva e il trattamento appropriato possono migliorare significativamente la qualità della vita dei pazienti e prevenire complicazioni più gravi.
Quali sono le opzioni terapeutiche nella gestione del sanguinamento del tratto gastrointestinale inferiore (LGIB)?
Il sanguinamento del tratto gastrointestinale inferiore (LGIB) è una condizione clinica complessa, che presenta una varietà di opzioni diagnostiche e terapeutiche. La gestione di questa patologia dipende da molteplici fattori, tra cui la gravità del sanguinamento, la stabilità emodinamica del paziente, e la localizzazione e causa del sanguinamento stesso.
Innanzitutto, è importante notare che circa il 70% dei casi di LGIB non si ripresentano dopo un primo episodio, mentre il restante 30% può richiedere un trattamento o addirittura un intervento chirurgico se il sanguinamento persiste. La diagnosi iniziale si basa su un’accurata valutazione clinica, spesso accompagnata da endoscopia, tomografia computerizzata (CT) e, in alcuni casi, angiografia. Nonostante la colonoscopia urgenti possa essere eseguita, non ci sono prove definitive che essa migliori i risultati clinici rispetto alla colonoscopia elettiva, fatta durante il ricovero.
Nel caso di pazienti con rischio di sanguinamento grave, è fondamentale sospendere o modificare l’uso di farmaci antitrombotici come l’acido acetilsalicilico (ASA) e gli anticoagulanti. In particolare, l’ASA utilizzato per la profilassi cardiovascolare primaria dovrebbe essere sospeso e, in alcuni casi, interrotto permanentemente. In caso di sanguinamento significativo o continuo, un trattamento endoscopico è spesso necessario, con opzioni terapeutiche come la coagulazione con plasma argonico (APC), l’elettrocauterizzazione, o l’uso di clip emostatiche.
Per quanto riguarda i farmaci anticoagulanti, le raccomandazioni variano in base alla gravità del sanguinamento. I pazienti in trattamento con warfarin, per esempio, potrebbero necessitare di una somministrazione di concentrato di complessi protrombinici (PCC) o di vitamina K in caso di sanguinamento grave, mentre gli anticoagulanti diretti come Apixaban o Rivaroxaban potrebbero essere trattati con Andexanet alpha o PCC, a seconda della gravità e della localizzazione del sanguinamento. È essenziale consultare un ematologo per la gestione dei farmaci in corso e per la valutazione della necessità di inversione della coagulazione.
In alcuni casi di angiodisplasie, che sono anomalie vascolari che possono causare sanguinamenti ricorrenti, il trattamento endoscopico è altamente efficace, ma richiede un’attenta valutazione della localizzazione della lesione. Le angiodisplasie coliche più frequentemente si trovano nel colon destro, e il trattamento con APC è indicato solo se vi è una perdita di sangue significativa. In queste situazioni, è importante ricordare che il trattamento endoscopico può comportare il rischio di perforazione, soprattutto nel colon destro con pareti sottili. L’iniezione di soluzione salina prima del trattamento APC può ridurre questo rischio.
Per i pazienti che non rispondono ai trattamenti endoscopici o che presentano un sanguinamento massivo, è possibile ricorrere alla chirurgia, ma questa è generalmente riservata a casi molto gravi. La chirurgia in questi pazienti è associata a un rischio elevato di morbilità e mortalità e dovrebbe essere presa in considerazione solo quando altre opzioni terapeutiche non sono efficaci.
Inoltre, la tomografia computerizzata (CTA) e l’angiografia cateterica (CA) possono essere utilizzate come strumenti diagnostici di seconda linea per localizzare la fonte di sanguinamento. Sebbene queste tecniche siano utili, non dovrebbero sostituire l’endoscopia, che resta il gold standard per la diagnosi di LGIB. L’angiografia può essere terapeutica in caso di sanguinamento persistente, consentendo l’embolizzazione selettiva per fermare il flusso sanguigno.
In sintesi, la gestione del LGIB è multidisciplinare e deve essere adattata alle circostanze cliniche specifiche del paziente. Nonostante l’endoscopia rimanga il trattamento principale, la valutazione tempestiva dell’uso dei farmaci anticoagulanti e antitrombotici, la disponibilità di tecniche diagnostiche avanzate come CTA e CA, e l’uso appropriato dei trattamenti endoscopici possono significativamente migliorare gli esiti per i pazienti con LGIB.
Come gestire le complicazioni chirurgiche e le patologie addominali acute?
Il trattamento del volvolo cecale non presenta indicazioni chirurgiche urgenti in assenza di complicazioni, ma è comunque consigliata una resezione, poiché la detorsione endoscopica del cieco ha raramente successo. Nel caso del volvolo sigmoideo senza necessità urgente di intervento chirurgico, l'endoscopia ha tassi di successo iniziali che vanno dal 60% al 95% ed è raccomandata per valutare la viabilità del colon, detorsionare e decomprimere l'intestino. Se la detorsione endoscopica fallisce, è necessario un intervento chirurgico urgente di resezione del sigma. Se, invece, la detorsione endoscopica ha successo, si consiglia comunque una resezione elettiva del sigma durante lo stesso ricovero, una volta che il paziente ha superato la fase acuta, per evitare il rischio di recidiva a lungo termine che varia dal 42% al 78%, nonché il rischio associato di mortalità. In generale, la resezione offre il tasso più basso di recidiva. Le tecniche come la sigmoidopexy endoscopica o le operazioni non resezionanti (detorsione semplice con o senza pexia o con colostomia) sono limitate a casi con rischi chirurgici proibitivi per pazienti non idonei alla resezione.
Nel trattamento del megacolon tossico associato alla colite ulcerosa, è fondamentale un'aggressiva reidratazione, riposo intestinale, antibiotici ad ampio spettro e corticosteroidi endovenosi. Le valutazioni cliniche serie e le radiografie addominali sono imprescindibili per monitorare eventuali dilatazioni coliche o perforazioni imminenti. Se non si osservano miglioramenti entro 48 ore, è spesso necessaria una colectomia totale con ileostomia.
Il trattamento della sindrome di Ogilvie, che si verifica in assenza di ischemia o perforazione, prevede la sospensione di narcotici e anticolinergici, il trattamento di infezioni, il riposo intestinale, la reidratazione e il ripristino degli elettroliti. Se la terapia di supporto non è efficace, il trattamento farmacologico con neostigmina è indicato, con un tasso di successo fino al 90%, pur considerando il rischio cardiaco prima della somministrazione. Se la neostigmina non è efficace o è controindicata, si ricorre alla decompressione endoscopica. Sebbene la colonscopia presenti un tasso di perforazione pari all'1%-3%, in alcuni casi si può optare per una cecostomia per via endoscopica, radiologica interventistica o chirurgica.
In caso di dolore addominale superiore e dorsale dopo una colangiopancreatografia retrograda endoscopica (ERCP), si devono considerare immediatamente i livelli di lipasi sierica e una TAC o una serie di radiografie gastrointestinali superiori. La pancreatite post-ERCP è la complicanza più frequente (2%-10%), mentre la perforazione duodenale è rara (~0,5%). La pancreatite di solito ha un decorso benigno e può essere trattata in modo conservativo. Una TAC o una serie radiografica possono solitamente localizzare un'infiammazione del duodeno. In alcuni casi, un’endoscopia ripetuta può consentire una riparazione endoscopica, ma non è sempre affidabile per localizzare lesioni, in particolare quelle di piccole dimensioni.
Il rischio di perforazione colica dopo una colonscopia è pari a circa 0,5 ogni 1000 procedure. In assenza di segni di peritonite diffusa, il trattamento prevede riposo intestinale, antibiotici e osservazione. Per piccole perforazioni, la riparazione laparoscopica precoce (entro 24 ore) è un'alternativa valida, con resezione e anastomosi primaria riservati a lesioni più gravi o con tessuti devitalizzati. Altre complicanze, come il sanguinamento operatorio o la rottura della milza, sono più rare.
Esistono anche cause non chirurgiche di dolore addominale acuto. Tra le più comuni si annoverano la chetoacidosi diabetica, l'ipercalcemia, l'infarto miocardico, la polmonite, i calcoli ureterali e la gastroenterite. La raccolta di una storia clinica accurata, esami ripetuti e un uso razionale delle indagini diagnostiche sono essenziali per evitare interventi chirurgici non necessari.
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