L'indagine di Robert Mueller sull'ingerenza russa nelle elezioni presidenziali del 2016 e sul possibile ostacolo alla giustizia ha sollevato numerosi interrogativi, soprattutto riguardo le decisioni che hanno plasmato la sua conduzione. Una delle principali preoccupazioni riguarda la mancata testimonianza del presidente Donald Trump. Nonostante il suo coinvolgimento centrale nelle dinamiche di campagna e nelle presunte collusioni con i russi, Mueller ha deciso di non chiedere un'intervista al presidente, una scelta che ha suscitato ampie discussioni. Alcuni esperti legali, come Neal Katyal, hanno argomentato che la ragione di questa omissione fosse la forza delle prove, che già bastavano a supportare l'accusa di ostacolo alla giustizia. Tuttavia, questo punto di vista non spiega completamente perché Mueller, che stava cercando di approfondire i legami tra la campagna di Trump e la Russia, non abbia ritenuto essenziale ascoltare il presidente. La sua testimonianza avrebbe potuto fare chiarezza su aspetti cruciali, come le sue conoscenze riguardo possibili crimini e l'impatto di eventuali pressioni esterne sulla sua amministrazione.

Un altro punto problematico riguarda il comportamento del team legale di Trump, che in entrambe le indagini (quella di Mueller e quella sull'impeachment) ha adottato una strategia di ostacolo agli investigatori, rendendo difficile il lavoro di raccolta delle prove. Le tattiche di "stonewalling", per usare il termine tecnico, hanno avuto successo nel rallentare le indagini e, purtroppo, hanno mostrato come il sistema legale degli Stati Uniti possa essere vulnerabile di fronte a simili strategie. La decisione di non proseguire con una battaglia legale per ottenere più prove ha indebolito l'efficacia dell'indagine stessa.

Un episodio emblematico di questa strategia riguarda la testimonianza di Donald Trump Jr. durante le indagini. Nonostante fosse un partecipante centrale alla riunione chiave al Trump Tower nel giugno 2016, che ha visto la campagna di Trump incontrare rappresentanti del governo russo, non fu mai interrogato. La sua mancata convocazione, probabilmente dovuta alla sua intenzione di avvalersi del Quinto Emendamento per non auto-incriminarsi, ha sollevato non poche perplessità. Il fatto che un personaggio di tale rilevanza non fosse stato sottoposto a un’interrogazione appropriata dimostra come le difficoltà pratiche possano ostacolare un'indagine approfondita, facendo sembrare l'inchiesta incompleta.

Inoltre, l'inadeguatezza dell'indagine riguarda anche la sfera finanziaria. Mueller ha limitato l'ambito delle sue indagini, evitando di esplorare adeguatamente i legami economici tra Trump e i suoi associati russi. La casa Bianca ha definito questo argomento come una “linea rossa”, ma questa giustificazione non è sufficiente per spiegare l’assenza di un’indagine più profonda. Le connessioni finanziarie di Trump, specialmente quelle con Deutsche Bank, e i sospetti riguardanti i suoi favori verso leader autocratici, dovrebbero essere state esplorate con maggiore attenzione. Non farlo ha lasciato una lacuna significativa nell’inchiesta, considerando anche il fatto che alcuni dei suoi più stretti collaboratori, come il consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton, avevano già sollevato dubbi sulle sue inclinazioni verso regimi autoritari.

La durata dell'indagine di Mueller, che si è conclusa in appena 674 giorni, è stata relativamente breve, soprattutto se confrontata con altre indagini simili, come quella di Kenneth Starr contro i Clinton, che è durata ben quattro anni. Questa rapidità non è solo una questione di tempo, ma di risorse e di approfondimento. Nonostante la pressione esercitata per terminare l'indagine, la velocità con cui Mueller ha concluso il suo lavoro ha inevitabilmente ridotto la quantità di prove e la capacità di investigare a fondo su temi rilevanti, come le violazioni delle leggi sulle finanze delle campagne. Le leggi statunitensi vietano che le campagne ricevano contributi da parte di stranieri, ma Mueller ha deciso di non perseguire le violazioni in questo campo, limitandosi a un’analisi superficiale. La decisione di non portare avanti le indagini su questi temi ha sollevato preoccupazioni tra gli esperti legali, che ritengono che la legge in materia di finanziamento delle campagne potrebbe essere inadeguatamente applicata in futuro.

Un altro aspetto fondamentale dell'indagine di Mueller è la sua conclusione riguardo all'ostacolo alla giustizia. Sebbene l'indagine abbia identificato diversi episodi che potrebbero configurarsi come tentativi di ostacolare la giustizia, Mueller ha deciso di non raccomandare alcuna accusa penale. La sua decisione è stata influenzata dalla posizione espressa dal Dipartimento di Giustizia, che ritiene che un presidente in carica non possa essere incriminato. Tuttavia, questo principio è stato messo in discussione da numerosi esperti legali, che ritengono che il presidente debba essere trattato come qualsiasi altra persona se le sue azioni violano la legge.

In ultima analisi, l'indagine di Mueller ha operato all'interno di un confine molto ristretto, quello della legge penale, senza mai entrare nel merito della moralità o della fiducia pubblica. Mueller non ha mai avuto il mandato di valutare se Trump avesse tradito o meno la fiducia degli americani, ma si è limitato a cercare di provare che fossero stati violati specifici reati. Questa è una distinzione importante, poiché la valutazione della condotta di Trump potrebbe essere oggetto di un giudizio completamente diverso da parte della storia, dei cittadini o dei politici.

L'approccio limitato di Mueller, che ha ignorato alcune questioni cruciali come il “quid pro quo” con la Russia e la sua relazione con altri regimi autoritari, ha avuto un impatto significativo non solo sulle conclusioni legali, ma anche sul modo in cui viene percepito il comportamento del presidente e le sue azioni durante il mandato.

Come le divisioni politiche e le lotte ideologiche minacciarono la giovane Repubblica Americana

La storia dei primi anni della Repubblica Americana è intrisa di conflitti ideologici e di lotte politiche che hanno avuto il potenziale di distruggere la nazione ancora prima che essa avesse avuto modo di consolidarsi. L’Accordo di Jay, trattato di amicizia, commercio e navigazione con la Gran Bretagna, è solo uno degli esempi di come l’intera nazione fosse in bilico tra la possibilità di un’alleanza e la guerra, tra la stabilità e il caos. Il trattato venne visto da molti come una resa alle potenze europee, una concessione troppo grande che minacciava di tradire gli ideali di indipendenza appena conquistati. I cittadini furono pronti a manifestare la loro rabbia, a contestarlo ferocemente, e i protagonisti politici che ne erano coinvolti ne pagarono le conseguenze. Alexander Hamilton, uno dei principali sostenitori del trattato, venne addirittura lapidato pubblicamente. Le strade erano in tumulto e le folle si scagliavano contro chiunque osasse difenderlo.

Nel giugno del 1795, gli Stati Uniti si trovavano a un punto di crisi. Il presidente George Washington fu richiamato dalla sua residenza a Mount Vernon a Filadelfia dal suo segretario alla guerra, Timothy Pickering. Quest'ultimo, insieme a Edmund Randolph, nuovo segretario di stato scelto da Thomas Jefferson, avrebbe svolto un ruolo centrale in un momento drammatico per la nazione. Randolph, infatti, venne accusato di tradimento: pareva che stesse intraprendendo negoziati segreti con la Francia, nel tentativo di indirizzare la politica estera degli Stati Uniti verso una posizione favorevole alla Francia, in cambio di tangenti. Washington, pur non avendo prove schiaccianti, comprese che un simile scandalo avrebbe danneggiato ulteriormente la fragile politica estera e decise di firmare il trattato prima di affrontare Randolph.

L'anno successivo, nel 1796, la battaglia politica attorno al trattato di Jay continuò. La Camera dei Rappresentanti cercò di bloccare i fondi necessari per l'attuazione del trattato, richiedendo anche che Washington rivelasse tutti i documenti delle trattative. Washington, con fermezza, rispose che non avrebbe mai ceduto a tali richieste, minacciando di rendere necessario un impeachment per avere accesso a tali informazioni. Nonostante ciò, l'intelligenza politica degli esponenti della maggioranza riuscì a evitare la crisi. Il trattato venne implementato, portando la nazione a una stabilità internazionale che avrebbe garantito la sua forza negli anni successivi, permettendo agli Stati Uniti di affrontare con successo i conflitti futuri, come la guerra del 1812.

Tuttavia, il conflitto non riguardava solo la politica estera. La lotta tra Hamilton, con i suoi Federalisti, e Jefferson, leader dei Democratico-Repubblicani, si intensificò. Washington, sconvolto dalla crescente divisione, si allontanò progressivamente da Jefferson, concludendo i suoi giorni in una rottura definitiva con l’uomo che aveva sostenuto nei primi anni della Repubblica. La tensione tra i due uomini rifletteva la crescente polarizzazione che avrebbe segnato la politica americana nei secoli a venire. Persino John Adams, successore di Washington, rifiutò di partecipare all'inaugurazione del suo successore, Thomas Jefferson, segnando un altro episodio di disunione politica.

Questa dinamica di lotte politiche interne, tra rancori personali e divergenze ideologiche, rappresenta una costante della politica americana. Sebbene oggi la politica americana sembri attraversare periodi di estrema divisione, questi conflitti non sono inediti. Anzi, come dimostrano gli eventi descritti, la lotta tra fazioni politiche diverse ha sempre fatto parte del processo di consolidamento della democrazia, che è spesso più fragile di quanto sembri.

In effetti, i conflitti e le crisi che segnarono i primi anni della Repubblica ci mostrano che la nazione si trovava su un filo sottile, sospesa tra il fallimento e il successo. Le divisioni politiche che oggi ci sembrano così destabilizzanti non sono un fenomeno esclusivo dei nostri tempi, ma una costante che ha caratterizzato la nascita stessa della nazione. Tuttavia, questo non deve farci sentire meno preoccupati per lo stato attuale della politica. Al contrario, la lezione che emerge da quei primi anni di lotte politiche e alleanze fragile è che la stabilità non è mai garantita. Se oggi siamo testimoni di divisioni, non dobbiamo dimenticare che quelle divisioni possono ancora mettere a rischio il nostro sistema, come è successo in passato.

Il fatto che nel corso della storia si siano verificate divisioni simili non deve farci abbassare la guardia, né dovremmo trarre la conclusione che nulla di male possa accadere se la politica rimane polarizzata. In verità, come dimostra la Guerra Civile, la divisione politica non risolta può portare a conflitti violenti, a divisioni irreparabili e, in alcuni casi, alla distruzione di un’intera nazione. È dunque cruciale comprendere che le sfide politiche odierne non sono da sottovalutare, ma devono essere affrontate con la consapevolezza che le cicatrici del passato sono ancora fresche e i pericoli di una nazione lacerata restano sempre in agguato.