La matematica, pur essendo spesso considerata un campo separato dalla scienza empirica, svolge un ruolo fondamentale nella spiegazione dei fenomeni osservabili. Questa interdipendenza tra scienza e matematica non è una novità, ma assume una rilevanza ancora maggiore nell'ambito delle spiegazioni scientifiche, soprattutto quando si tratta di teorie matematiche avanzate come la teoria dei numeri o delle dipendenze controfattuali matematiche. A questo proposito, il dibattito sulla "necessità" della matematica nelle scienze empiriche è stato rinnovato dalla revisione dell'argomento dell'indispensabilità, che esamina come e perché alcune strutture matematiche siano indispensabili per la comprensione e la modellizzazione dei fenomeni naturali.
Nel contesto di questa discussione, il "rinnovato argomento dell'indispensabilità" mira a rispondere alla domanda fondamentale: fino a che punto la matematica è veramente indispensabile per le scienze empiriche? La posizione tradizionale, nota come l'argomento dell'indispensabilità di Quine e Putnam, sostiene che la matematica non solo descrive ma è anche essenziale per spiegare i fenomeni empirici. Tuttavia, le critiche a questa visione si concentrano su questioni di "circolarità" nell'argomento e su come interpretare le connessioni tra teoria matematica e realtà fisica.
L'argomento dell'indispensabilità è stato ulteriormente sviluppato in modi che vanno oltre le limitazioni della versione originaria. L'idea di "indispensabilità migliorata" propone che la matematica non solo sia necessaria, ma che abbia una forma di dipendenza controfattuale che la collega in modo intrinseco ai fenomeni empirici. Questo tipo di dipendenza suggerisce che, se i fenomeni empirici fossero diversi, anche le leggi matematiche che li descrivono dovrebbero essere modificate, rivelando una connessione dinamica e controfattuale tra la matematica e la scienza.
Inoltre, un aspetto cruciale della questione riguarda la "teoria dei numeri", che, sebbene sembri essere una delle aree più astratte della matematica, risulta essere fondamentale in molti modelli scientifici. Ad esempio, nella fisica teorica, i numeri primi e le strutture algebraiche vengono utilizzati per descrivere le simmetrie fondamentali delle particelle e le leggi naturali. La matematica, pur apparentemente lontana dalla realtà empirica, si rivela quindi essenziale nella strutturazione delle leggi fisiche, attraverso un'interazione che non può essere ridotta a una mera applicazione di strumenti utili, ma che è integrata nella stessa spiegazione della realtà.
Uno degli aspetti che necessita di maggiore attenzione riguarda il modo in cui queste teorie matematiche vengono "applicate" nelle scienze. Molti scienziati e filosofi hanno discusso come la matematica possa essere utilizzata in modo pratico per modellizzare fenomeni che non sono immediatamente osservabili, come le particelle subatomiche o le distorsioni spazio-temporali. Ma, come suggerito dalla filosofia della matematica, la questione non è solo quella dell'applicazione della matematica: si tratta di comprendere come queste strutture astratte possano non solo descrivere, ma spiegare e predire fenomeni empirici.
In aggiunta alla teoria dei numeri, la discussione sulla matematica controfattuale deve essere arricchita da un'esplorazione delle implicazioni epistemologiche. La matematica non è solo un linguaggio per esprimere teorie scientifiche, ma un elemento essenziale nella costruzione di spiegazioni che connettono il mondo ideale delle astrazioni con quello empirico dei dati osservabili. Questo fenomeno di "dipendenza controfattuale" implica che, per una completa comprensione di qualsiasi fenomeno naturale, non solo la matematica sia necessaria, ma che essa sia anche costitutiva di come noi formiamo e interpretiamo le teorie scientifiche.
Infine, è fondamentale considerare che la matematica, in quanto linguaggio universale della scienza, non è un campo statico. Le scoperte moderne in teoria dei numeri e nelle strutture matematiche complesse offrono nuovi strumenti che possono rivelarsi cruciali per la comprensione dei fenomeni naturali in modi che vanno oltre le applicazioni tradizionali. La filosofia della matematica, quindi, non deve solo concentrarsi sull'indispensabilità della matematica nelle scienze empiriche, ma anche esplorare come le nuove frontiere matematiche possano aprire nuove strade per spiegare e predire il comportamento della natura.
L'esperienza della matematica: rappresentazione o spiegazione?
Un punto centrale nelle discussioni contemporanee sulla matematica e il suo ruolo nella scienza è la sua funzione esplicativa nei confronti dei fenomeni empirici. Tuttavia, nonostante la sua indiscutibile utilità, la matematica è frequentemente vista come un mero strumento descrittivo, piuttosto che un agente esplicativo. Questo solleva interrogativi fondamentali su come la matematica interagisca con il mondo fisico e se essa possa veramente essere considerata una parte integrante delle spiegazioni scientifiche.
Alcuni autori, come Melia (2000), Daly e Langford (2009), e Saatsi (2011), sostengono che la matematica non abbia una vera e propria funzione esplicativa. In altre parole, la matematica serve principalmente a rappresentare i fatti fisici, senza influenzare direttamente il processo di spiegazione. È, secondo questa visione, la realtà fisica stessa a portare il peso esplicativo, mentre la matematica funge da indice che consente di formalizzare la relazione tra gli oggetti o i fenomeni osservati.
Ad esempio, consideriamo la misurazione della distanza tra due oggetti. Quando si esprime la distanza come "a dista 3 metri da b", il numero "3" rappresenta semplicemente la relazione spaziale tra i due oggetti, senza essere parte integrante della relazione stessa. In modo analogo, quando si misura la temperatura di un sistema fisico, come nel caso "il sistema fisico S è a 40 gradi Celsius", il numero 40 non è parte del sistema fisico, ma ne rappresenta una caratteristica. In questi casi, la matematica non offre una spiegazione del fenomeno, ma piuttosto una descrizione numerica che ci permette di comprendere la relazione tra gli oggetti in questione.
Nel contesto delle spiegazioni più complesse, tuttavia, alcuni sostengono che la matematica diventi imprescindibile. Per esempio, la Teorema di Borsuk-Ulam, che descrive particolari proprietà topologiche, è vista da Baker e Colyvan (2011) come un caso in cui la matematica non può essere semplicemente sostituita. La sua funzione non è solo rappresentare un fenomeno, ma entrare nel cuore della spiegazione stessa. Ma anche in questo caso, l'interpretazione corretta della matematica e la sua distinzione dalla fenomenologia fisica sono cruciali per evitare di attribuire alla matematica una capacità esplicativa che in realtà non possiede.
La questione diventa ancora più complessa quando si considera la relazione tra spiegazione e rappresentazione. Saatsi (2011) mette in evidenza che spesso non viene fatta una distinzione chiara tra questi due concetti. Rappresentando un fenomeno, la matematica ci offre una comprensione più profonda, ma ciò non implica che essa spieghi effettivamente il fenomeno. Per esempio, l'uso di un'equazione che descrive il movimento di una pietra lanciata in aria può essere visto come una rappresentazione del suo stato, ma non come una spiegazione del perché la pietra si fermi a un certo punto.
La distinzione tra spiegazione e rappresentazione è fondamentale, poiché porta a una riflessione critica sulla natura stessa delle spiegazioni scientifiche. In effetti, secondo una visione spesso associata al funzionalismo e al fitticismo, la matematica non è da considerarsi come una verità letterale, ma come uno strumento che ci aiuta a descrivere e a capire il mondo. Gli oggetti matematici, dunque, pur essendo utili nella costruzione di teorie scientifiche, non devono essere visti come entità ontologicamente esistenti. Questo approccio solleva la questione del "compromesso ontologico": se la matematica è solo un mezzo per rappresentare la realtà, allora l’impegno ontologico verso gli oggetti matematici potrebbe essere un'illusione.
A proposito di questa discussione, alcuni filosofi, come Bueno (2012), suggeriscono che la separazione tra quantificazione logica e impegno ontologico possa dissipare l'apparente contraddizione tra le teorie matematiche e la loro interpretazione fisica. In altre parole, pur se utilizziamo oggetti matematici per costruire teorie scientifiche, ciò non implica che tali oggetti esistano realmente nel mondo fisico. Questa visione si collega al fitticismo, una posizione che nega l'esistenza di oggetti matematici pur riconoscendo la loro utilità.
Un esempio classico che illustra questa distinzione è quello di una pietra lanciata nell'aria. L'equazione che descrive il movimento della pietra, con il suo valore pari a zero in un dato momento, non spiega da sola perché la pietra si fermi. Essa rappresenta semplicemente un fenomeno fisico, ma non ne è la causa. Ciò dimostra che la matematica, pur essendo essenziale nella formulazione delle teorie fisiche, non è necessariamente una spiegazione di ciò che sta accadendo nel mondo fisico.
In conclusione, sebbene la matematica sia un elemento fondamentale per la scienza, la sua funzione rimane principalmente quella di rappresentare, piuttosto che di spiegare. La sua utilità nella descrizione dei fenomeni fisici è indiscutibile, ma è necessario mantenere una chiara distinzione tra ciò che è un fenomeno fisico e la sua rappresentazione matematica. La filosofia della matematica ci offre strumenti per riflettere su queste distinzioni, aiutandoci a comprendere meglio il ruolo che la matematica gioca nella costruzione delle teorie scientifiche, senza sovrapporre la descrizione alla spiegazione.
Cosa rende un mondo impossibile simile a quello reale nei controfattuali con contraddizioni matematiche?
La semantica standard dei mondi possibili, così come formulata da David Lewis, fallisce nel trattare adeguatamente i controfattuali con antecedenti impossibili — i cosiddetti "counterpossibili". In tali casi, dove l’antecedente viola apertamente principi logico-matematici (come gli assiomi di Peano), la teoria classica assegna verità banale: ogni contropossibile è automaticamente vero. Ma questa conclusione, per quanto formalmente corretta all’interno di un sistema classico, distrugge ogni possibilità di usare i contropossibili per fini esplicativi, in particolare nelle scienze formali dove i cambiamenti locali a concetti fondamentali possono avere rilevanza epistemica.
Per evitare questa trivializzazione, si propone di estendere il criterio di somiglianza tra mondi — cioè di "vicinanza" — oltre i confini dei mondi possibili, fino a includere mondi impossibili. Tali mondi possono ospitare contraddizioni, e tuttavia essere trattati semantico-logicamente per esplorare relazioni di dipendenza controfattuale. In questa prospettiva, la somiglianza tra mondi dipenderebbe non solo da proprietà intrinseche condivise, ma anche dalla struttura della deviazione rispetto al mondo attuale.
In particolare, la modifica di concetti numerici — come l’introduzione di un nuovo operatore di moltiplicazione che altera il significato del numero 13 — genera contraddizioni con la teoria standard dei numeri naturali. La logica classica reagisce con l’esplosione: una sola contraddizione permette di derivare qualsiasi enunciato. Tuttavia, una logica paraconsistente può tollerare queste contraddizioni senza collassare in una verità banale universale. Una tale logica consente che in un mondo in cui 0 = 1, non ogni proposizione sia vera — salvaguardando così l’informatività del contropossibile.
Ma anche con una logica paraconsistente, rimane una questione fondamentale: alcune contraddizioni che emergono non sono meramente logiche, ma strutturali. Se 0 = 1, viene meno l’intera idea di successione — la colonna portante del sistema numerico naturale. Non si tratta più solo di contenere una contraddizione, ma di preservare una nozione minima di "struttura numerica". In logica intuizionista, la contraddizione 0 = 1 definisce addirittura la negazione: ciò rafforza la centralità di questa uguaglianza come segno di collasso semantico.
Un ulteriore problema è la legittimità stessa dell’invocazione di una logica paraconsistente. Un realista potrebbe obiettare che una tale scelta è arbitraria, dettata dalla necessità teorica di rendere i contropossibili non triviali, più che da un’imposizione ontologica. Anche se accettiamo questa logica, resta ancora la difficoltà di spiegare cosa significa effettivamente parlare dello "stesso" numero, o della "stessa" struttura, dopo aver modificato le regole fondamentali che li definiscono. Se cambiamo la funzione moltiplicativa in modo tale che 6 × 2 ≠ 12 ma produce ancora qualcosa che chiamiamo "13*", allora quale rapporto c’è tra questo 13* e il 13 dell’explanandum?
La distanza semantica tra antecedente e conseguente, in un controfattuale impossibile, si riflette nell’impossibilità di far corrispondere proprietà rilevanti tra i due. Il conseguente fa ancora riferimento a “13”, perché l’explanandum è radicato nei dati empirici. Ma l’antecedente, alterato dal cambiamento locale nella struttura aritmetica, contiene “13*” — una forma che ha perso il suo legame con la linea numerica originaria. Per mantenere una connessione rilevante, ci si aspetterebbe che il conseguente contenga anch’esso “13*”, ma ciò lo renderebbe incapace di spiegare il fenomeno iniziale, proprio perché quel fenomeno è espresso tramite il “13” standard. La mutazione semantica imposta dalla modifica dell’operatore moltiplicativo rompe l’equivalenza tra antecedente e conseguente, compromettendo la funzione esplicativa del contropossibile.
A questo punto, l’intera operazione sembra richiedere una riformulazione concettuale di cosa significhi “vicinanza” tra mondi, soprattutto quando uno dei mondi in questione viola assiomi fondamentali. Jago suggerisce una via alternativa: misurare la somiglianza in termini di deviazioni minime. Un mondo con una sola deviazione dall’aritmetica standard può essere considerato più vicino al mondo attuale rispetto a uno con due o più deviazioni. Ma anche questa proposta richiede un presupposto non banale: che si possa stabilire una sovrapposizione minima tra antecedente e conseguente. E questo implica ch
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