La discussione sui modelli di assicurazione sanitaria e di disuguaglianza economica nelle maggiori economie mondiali — Stati Uniti, Unione Europea e Cina — non è soltanto una questione di sistemi politici, ma una riflessione più ampia sulle dinamiche del capitalismo globale, sulla sostenibilità delle riforme sociali e sulla capacità delle istituzioni pubbliche di rispondere agli squilibri strutturali. Nel contesto della globalizzazione, la legittimità dei modelli di welfare viene messa alla prova non solo dalle tensioni interne, ma anche dalla possibilità concreta di apprendere e adattare politiche da altri sistemi, che siano europei, nordamericani o alternativi come quelli di Svizzera o Singapore.

Il coefficiente di Gini, indicatore sintetico della disuguaglianza nei redditi, mostra un quadro rivelatore: nel 2010, negli Stati Uniti il valore si attestava a 0,380, superiore a quello dell’UE (0,303), riflettendo una concentrazione della ricchezza molto più accentuata. Anche il rapporto S10:S1, che confronta la quota di reddito detenuta dal 10% più ricco con quella del 10% più povero, segnalava una disparità marcata: 22,8 negli USA, contro 13,8 nell’UE. Il divario nei decili P90:P10 evidenziava inoltre una struttura retributiva ben più segmentata nella società americana.

Al di là delle cifre aggregate, l’impatto delle riforme politiche, in particolare quelle dell’amministrazione Obama, offre spunti analitici cruciali. La riforma sanitaria del 2010, l’Affordable Care Act (ACA), fu concepita non solo per estendere la copertura sanitaria, ma anche per ridurre la vulnerabilità economica legata alla malattia e contribuire indirettamente alla riduzione della disuguaglianza. Secondo il Consiglio dei Consulenti Economici della Presidenza USA, l’ACA e le riforme fiscali attuate tra il 2009 e il 2017 portarono a una riduzione significativa delle disuguaglianze: il Gini index si ridusse del 3%, mentre il rapporto tra i redditi medi dell’1% più ricco e il 20% più povero calò di oltre il 20%.

Tuttavia, questi progressi vennero rapidamente attenuati — o addirittura invertiti — con l’elezione di Donald Trump, la cui amministrazione attuò politiche economiche e fiscali che favorivano nuovamente i ceti più abbienti. La riforma fiscale del 2016, unita a un programma di smantellamento dell’Obamacare, segnò un ritorno a un approccio economico fortemente incentrato sul mercato e sulla deregulation. La retorica populista, l’ostilità verso il multilateralismo e una visione nazionale-protezionista hanno ridefinito il ruolo degli Stati Uniti nel sistema globale, generando effetti indiretti ma concreti anche in Europa e in Asia.

L’analisi della povertà evidenzia ulteriori contraddizioni. Sebbene la percentuale di famiglie sotto la soglia di p

Qual è l'impatto delle politiche protezionistiche di Trump sulla globalizzazione e sulle disuguaglianze economiche?

La crescente interconnessione globale ha subito un duro colpo con l’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti. Le sue politiche economiche, in particolare quelle protezionistiche, hanno avuto un impatto significativo sulla globalizzazione, che ha portato con sé sia sfide che opportunità per i paesi in via di sviluppo e per quelli industrializzati. Se da un lato Trump ha promesso di proteggere i posti di lavoro degli statunitensi, soprattutto dei lavoratori delle classi medio-basse, dall'altro lato ha danneggiato i processi di integrazione economica internazionale, che erano il motore di un'economia globale in espansione.

Le politiche di Trump, come l'introduzione di dazi doganali su paesi come la Cina, il Messico, e persino alcuni alleati NATO, si sono rivelate controproducenti. Sebbene il presidente abbia giustificato le sue azioni con argomentazioni di sicurezza nazionale, specialmente nei settori dell'alluminio e dell'acciaio, l'esito è stato una crescente instabilità nei mercati internazionali e una maggiore incertezza economica. L'imposizione di tariffe ha avuto ripercussioni negative non solo sugli Stati Uniti, ma anche sulle economie globali, facendo lievitare i costi e riducendo l’efficacia del commercio internazionale.

In parallelo, l'aumento delle disuguaglianze economiche è stato uno degli effetti collaterali inevitabili delle politiche interne di Trump. Nonostante il suo discorso populista mirato a conquistare i lavoratori a bassa qualifica, la realtà delle sue azioni economiche è stata ben diversa. Le riforme fiscali promosse dalla sua amministrazione hanno beneficiato principalmente i redditi più alti, mentre la classe media e bassa ha visto poco o nessun beneficio tangibile. La riduzione delle imposte, di fatto, ha favorito i più ricchi, riducendo la capacità dello stato di sostenere i più vulnerabili.

A livello internazionale, Trump ha anche adottato una posizione di maggiore isolamento, non sostenendo più l’integrazione europea e riducendo il ruolo degli Stati Uniti nelle organizzazioni multilaterali, come l'Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC). La sua retorica ha alimentato movimenti populisti in altre parti del mondo, portando a un periodo di crescente protezionismo, nazionalismo e scetticismo verso la cooperazione internazionale. Con la Brexit e il distacco del Regno Unito dall'Unione Europea, la visione del mondo incentrata sugli Stati Uniti ha trovato nuovi sostenitori anche in Europa, facendo aumentare le pressioni per allontanarsi dalle politiche di integrazione regionale e multilateralismo.

Tuttavia, le politiche protezionistiche non sono sostenibili a lungo termine. Le economie dei paesi coinvolti rischiano di subire danni significativi. Se Trump dovesse distruggere il sistema multilaterale che ha regolato i flussi economici e commerciali per decenni, il risultato sarebbe un mondo più disordinato e conflittuale, simile a quello dell’Ottocento, dove ogni paese agisce principalmente nel proprio interesse, senza regole comuni che ne garantiscano la stabilità.

In tale contesto, l’Unione Europea ha un ruolo cruciale da giocare. Se le politiche di Trump dovessero continuare a minare l’ordine internazionale, l’Europa potrebbe trovarsi nella posizione di difendere i valori del liberalismo, dello stato di diritto e del multilateralismo. Ciò richiederebbe tuttavia ampie riforme interne, nonché un forte impegno a livello globale per difendere il sistema delle organizzazioni internazionali, dimostrando che un'economia di mercato sociale è ancora una valida alternativa al modello capitalistico dominante.

Nel medio termine, è prevedibile che l'Unione Europea possa assumere un ruolo di leadership nella difesa di un sistema economico aperto e regolamentato, ma solo se riuscirà a convincere paesi come la Cina a collaborare in modo costruttivo. Questo potrebbe essere l’unico modo per evitare un’ulteriore frammentazione del sistema economico globale, ma ci vorrà un impegno significativo per mantenere il sistema multilaterale in vita, mentre gli Stati Uniti potrebbero dover passare attraverso un periodo di riflessione e riforma prima di riassumere una posizione guida nel contesto internazionale.