La disfunzione defecatoria (DD) rappresenta un disturbo frequente della defecazione, caratterizzato dall’incapacità acquisita di coordinare i muscoli addominali e del pavimento pelvico per evacuare le feci. Questo quadro patologico si manifesta attraverso tre meccanismi principali: il rilascio paradosso dello sfintere anale, una ridotta capacità di rilassamento dello sfintere anale stesso e forze propulsive addominali e rettali insufficienti per facilitare l’espulsione delle feci. Le cause di DD sono molteplici e includono sforzi eccessivi, gravidanza e stress psicologico. Inoltre, i pazienti affetti da DD possono presentare un transito intestinale rallentato; perciò, prima di valutare il transito colico, è cruciale escludere qualsiasi forma di disfunzione defecatoria.

Il muscolo puborettale svolge un ruolo chiave nella fisiologia della defecazione. A riposo, agisce come una sling che mantiene una trazione anteriore tonica sul retto, creando un angolo anorettale compreso tra 80 e 110 gradi, che impedisce il passaggio involontario delle feci. Durante la defecazione, il puborettale, il pavimento pelvico e lo sfintere anale esterno si rilassano sincronicamente; l’angolo anorettale si raddrizza di circa 15 gradi, il perineo si abbassa da 1,0 a 3,5 cm e lo sfintere si distende, consentendo così il passaggio delle feci.

Un’altra condizione associata alla stitichezza ostruttiva è il rettocele, che consiste in una protrusione anteriore della parete rettale attraverso un indebolimento del setto rettovaginale, la parete fasciale che separa il retto dalla vagina. Questa patologia, più frequente nelle donne con fattori di rischio quali l’invecchiamento, l’obesità, lesioni ostetriche, gravidanze multiple e presenza di DD, può causare difficoltà defecatorie significative.

La valutazione clinica del paziente con stitichezza deve essere approfondita. Un’anamnesi dettagliata include la data di insorgenza e la durata dei sintomi, la frequenza e la consistenza delle feci, la presenza dell’urgenza defecatoria, la sensazione di evacuazione incompleta e la necessità di sforzi o manovre manuali per completare l’evacuazione. È essenziale indagare la presenza di altri sintomi gastrointestinali quali nausea, vomito, dolore addominale o rettale, disfagia, emorragie, perdita di peso, febbre, storia familiare di tumori gastrointestinali e anemia da carenza di ferro. L’assunzione di farmaci e integratori, così come una valutazione dei possibili abusi, completano il quadro anamnestico.

La Scala di Bristol per la Forma delle Feci è uno strumento validato e di fondamentale importanza nella valutazione della stitichezza, permettendo una classificazione della consistenza fecale che si correla direttamente con il tempo di transito intestinale. I pazienti sono invitati a identificare il tipo di feci secondo sette categorie, dalla forma di piccoli noduli duri (tipo 1) a feci completamente liquide (tipo 7).

L’esame obiettivo sistemico deve includere valutazioni addominali, neurologiche e muscoloscheletriche per escludere cause secondarie di stitichezza. L’esame rettale digitale è particolarmente rilevante e comprende ispezione, valutazione della sensibilità perineale, palpazione rettale e manovre per valutare il tono sfinterico, la forza di contrazione e il rilascio degli sfinteri e del muscolo puborettale. Si valuta inoltre la discesa perineale e la presenza di eventuali prolassi o intussuscezioni mucose.

Non è indicata una batteria di esami di laboratorio routinari nella stitichezza senza segni di allarme, quali modificazioni improvvise delle abitudini intestinali, emorragie, perdita di peso o storia familiare di neoplasie. Solo in presenza di sospetti per cause secondarie, si eseguiranno test mirati.

L’approccio diagnostico richiede una sequenza metodica e coordinata, nella quale la disfunzione defecatoria e la presenza di anomalie anatomiche o funzionali siano valutate con attenzione per offrire un trattamento mirato.

È importante sottolineare che la stitichezza è un sintomo complesso, spesso multifattoriale, che richiede un approccio integrato. La fisiologia della defecazione implica un delicato equilibrio tra muscoli, nervi e strutture anatomiche; pertanto, alterazioni in una sola componente possono generare un quadro sintomatologico rilevante. Il paziente deve essere seguito con un’attenta valutazione sia clinica che funzionale, comprendendo che molteplici fattori, tra cui quelli psicologici, possono influire sull’equilibrio e sulla motilità intestinale. La conoscenza approfondita della fisiologia anorettale e delle potenziali disfunzioni permette di indirizzare meglio le strategie terapeutiche, che spesso necessitano di un approccio multidisciplinare e personalizzato.

Quali diagnosi differenziali considerare di fronte a dolori addominali acuti in una paziente con iperglicemia e test di gravidanza positivo?

Nel contesto di una paziente che presenta crepitii basali polmonari, glicemia elevata, β-HCG positivo e dolore addominale, il processo diagnostico richiede un approccio sistematico e multidisciplinare. L’iniziale valutazione clinica, unita ai primi test laboratoristici e strumentali, deve mirare a escludere condizioni potenzialmente letali e a restringere la diagnosi differenziale in modo efficiente.

I test inizialmente richiesti comprendono l’emocromo completo, il pannello metabolico completo, amilasi e lipasi, β-HCG, esame delle urine, RX torace e addome. Questo insieme di indagini consente di ottenere un panorama biochimico e anatomico essenziale per orientare le successive decisioni.

L’emocromo mostra leucocitosi (13 × 10⁹/L) e un ematocrito del 30%, suggerendo uno stato infiammatorio o infettivo e una potenziale emoconcentrazione relativa o anemia. L’amilasi è moderatamente aumentata, mentre la lipasi è normale, dato che depone contro una pancreatite franca ma non la esclude del tutto. Gli enzimi epatici risultano nella norma. Il valore di glucosio plasmatico è significativamente elevato (400 mg/dL), accompagnato da una riduzione del bicarbonato (18 mEq/L), compatibile con un quadro di acidosi metabolica. L’RX torace è negativo per polmonite o altre patologie toraciche, ma l’addome mostra segni radiografici di ileo, cioè stasi intestinale senza ostruzione meccanica.

Alla luce di questi dati, le diagnosi differenziali si riducono a chetoacidosi diabetica (DKA), pancreatite non complicata, e gravidanza ectopica. La positività del test di gravidanza richiede immediatamente un’ecografia pelvica, che rivela materiale intrauterino, escludendo quindi l’ipotesi di gravidanza ectopica. Il pancreas appare normale, senza segni ecografici di infiammazione né calcoli alla colecisti, e le ovaie sono nella norma.

La positività dei chetoni ematici conferma la diagnosi di DKA, che si manifesta qui come evento scatenante del quadro addominale, mimando un addome chirurgico in una paziente gravida. Il riscontro di una gravidanza intrauterina indica che l’iperglicemia non è secondaria a fenomeni endocrini paraneoplastici o a stress metabolici transitori, ma inserita in un contesto metabolico disfunzionale più ampio, verosimilmente legato a un diabete pregestazionale o a un diabete di nuova insorgenza.

È fondamentale sottolineare come la DKA possa presentarsi con segni sistemici poco specifici: dolore addominale, nausea, vomito, tachipnea e alterazione dello stato mentale. In gravidanza, la soglia per la DKA è più bassa, e l’acidosi può svilupparsi anche con glicemie non particolarmente elevate. La gestione terapeutica richiede un equilibrio attento tra idratazione, insulinoterapia, correzione dell’acidosi e monitoraggio fetale.

Va inoltre considerato che l’ileo, visibile alla radiografia, è una conseguenza fisiopatologica della DKA, e non un segno di ostruzione intestinale organica. In questi casi, un intervento chirurgico intempestivo, basato su un’errata interpretazione dei dati clinici e radiologici, può comportare rischi evitabili.

È fondamentale, in ogni paziente con dolore addominale acuto, mantenere un approccio ampio alla diagnosi differenziale. Nonostante il sospetto clinico possa inizialmente orientarsi verso patologie chirurgiche come colecistite, pancreatite o appendicite, la presenza di alterazioni metaboliche significative deve sempre indurre a considerare cause sistemiche, come la DKA. L'integrazione tra valutazione clinica, esami laboratoristici e imaging resta il cardine per evitare errori diagnostici.

L'importanza di una rivalutazione costante del quadro clinico non può essere sottovalutata. Il processo diagnostico non è lineare, ma dinamico. I risultati dei test possono e devono modificare la lista delle ipotesi, permettendo una gestione più mirata ed efficace. In contesti come quello descritto, dove coesistono sintomi respiratori, alterazioni metaboliche e gravidanza, è essenziale non farsi ingannare da diagnosi apparenti, ma mantenere uno sguardo critico e sistemico.

La presenza di una gravidanza intrauterina, pur rassicurante rispetto all'ipotesi di gravidanza ectopica, non deve ridurre la vigilanza clinica: la gravidanza stessa rappresenta una condizione di vulnerabilità metabolica. La chetoacidosi diabetica, se non riconosciuta e trattata tempestivamente, può determinare esiti severi sia per la madre che per il feto.

È importante che il lettore comprenda che il dolore addominale in gravidanza, soprattutto in presenza di alterazioni metaboliche, non deve essere affrontato esclusivamente come urgenza chirurgica. La complessità dell’addome acuto impone una riflessione diagnostica ampia, integrata e costantemente aggiornata, in cui anche condizioni apparentemente metaboliche possano mimare patologie chirurgiche.