Nel contesto odierno di crescente digitalizzazione, i consigli di amministrazione delle imprese devono affrontare una sfida fondamentale: governare il rischio informatico in modo efficace, senza necessariamente includere esperti di cybersecurity tra i propri membri. Il processo di selezione dei componenti del consiglio, influenzato da azionisti e proprietari, raramente privilegia competenze in ambito tecnologico o di sicurezza digitale. Tuttavia, la mancanza di tali profili all’interno del board non esime i consiglieri dalla responsabilità di presidiare adeguatamente i rischi cyber.

Per colmare questo gap di competenze, il consiglio può avvalersi di strumenti alternativi. L’organizzazione di briefing approfonditi e indipendenti, condotti da esperti di cybersecurity, consente di ottenere una valutazione oggettiva sull’efficacia dei programmi aziendali di sicurezza. È altresì utile il ricorso a consulenti esterni, revisori o legali, che offrono una visione trasversale dei rischi cyber in diversi settori. In aggiunta, i consiglieri dovrebbero partecipare regolarmente a programmi di formazione sulla cybersecurity, sia interni che esterni, e condividere le conoscenze acquisite con il resto del board, favorendo una cultura condivisa della sicurezza digitale.

L’alfabetizzazione digitale non è solo una prerogativa tecnica: i membri del consiglio devono possedere una visione ampia del rischio d’impresa e comprendere chiaramente dove risiedono le responsabilità operative e strategiche in materia di cybersecurity. In alcune aziende, il compito di supervisione ricade su un comitato dedicato, su singoli dirigenti o sull’intero consiglio. Tuttavia, è essenziale distinguere tra supervisione e gestione operativa del rischio cyber: la prima è compito del consiglio, la seconda della struttura esecutiva. Questo distinguo è vitale per garantire un’efficace protezione dell’organizzazione.

Nonostante l’impegno, è illusorio pensare che un’impresa possa proteggersi da ogni tipo di attacco informatico. La crescente interconnessione globale e l’evoluzione costante delle minacce rendono impossibile una difesa assoluta. I cybercriminali, spesso dotati di risorse più avanzate rispetto alle imprese stesse, rappresentano una minaccia elusiva, difficile da identificare e perseguire. Di fronte a tale scenario, i consigli di amministrazione devono agire con lucidità, potenziando l’accesso a fonti indipendenti di competenza in sicurezza informatica e creando sistemi interni di controllo incrociato.

Alcune aziende, ad esempio, adottano strutture di reporting multiple che riflettono differenti prospettive: quella del responsabile della gestione dei rischi informatici, quella di chi ne valuta l’impatto, e quella del manager operativo. Questa pluralità di visioni consente al consiglio di sfidare costruttivamente le strategie adottate, identificando lacune e opportunità di miglioramento.

Un ulteriore problema critico è la qualità delle informazioni ricevute dal consiglio sulla sicurezza informatica. Secondo dati della National Association of Corporate Directors, circa il 25% dei consiglieri delle società quotate negli Stati Uniti si dichiara insoddisfatto della qualità dei report forniti dalla direzione. Tra le criticità evidenziate figurano la difficoltà di interpretazione dei dati, l’inadeguatezza delle informazioni ai fini decisionali e la scarsa trasparenza generale. Per ovviare a ciò, il consiglio deve definire chiaramente il formato, la frequenza e il livello di dettaglio dei report attesi, imponendo alla direzione l’uso di un linguaggio orientato al business e non eccessivamente tecnico.

Un altro fattore da non sottovalutare è il potenziale bias nei report prodotti dalla struttura IT. È stato osservato che circa il 60% del personale informatico non segnala tempestivamente i rischi cyber, aspettando che diventino difficilmente gestibili o con conseguenze già manifeste. Per contrastare questa tendenza, è fondamentale promuovere una cultura aziendale improntata alla trasparenza e al dialogo aperto, in cui la comunicazione sui rischi non venga percepita come una minaccia interna, ma come un dovere verso la resilienza collettiva.

Il consiglio deve anche pretendere dall’alta direzione l’adozione di un framework di gestione dei rischi informatici esteso all’intera impresa, dotato di risorse adeguate in termini di competenze e budget. Le strutture organizzative moderne sono spesso il risultato di eredità storiche che mantengono decisioni e funzioni frammentate. È compito del consiglio forzare un’integrazione tra le varie unità, superando logiche dipartimentali per affrontare la cybersecurity in modo olistico e interconnesso.

Tale approccio deve iniziare da un’analisi rigorosa del profilo di rischio cyber specifico dell’azienda. Senza una mappatura adeguata del proprio ecosistema digitale e delle vulnerabilità esistenti, ogni strategia risulterà inefficace. La comprensione prof

Come può il C-suite garantire la resilienza informatica dell'organizzazione?

La resilienza informatica non è più una questione confinata all’ambito tecnico o delegabile esclusivamente al reparto IT. La responsabilità di garantire la sicurezza delle informazioni e la continuità operativa in seguito a incidenti cyber è una prerogativa che coinvolge attivamente i vertici aziendali. Il C-suite – composto da CEO, CIO, CISO e altre figure apicali – deve possedere non solo una comprensione strategica del rischio informatico, ma anche una piena consapevolezza del proprio ruolo nella prevenzione, nella risposta e nella gestione degli attacchi.

La preparazione della leadership inizia dalla strutturazione e dall’implementazione di un piano dettagliato di prevenzione e risposta agli incidenti. Questo implica la nomina di personale qualificato per rilevare tempestivamente eventi cyber, analizzare le dinamiche dell’attacco, limitare l’impatto e mettere in atto azioni correttive. A ciò si accompagna la necessità di destinare risorse adeguate alla realizzazione di tale piano, superando la logica del minimo indispensabile e affrontando con realismo la complessità degli attacchi contemporanei.

Uno degli aspetti più critici è il fattore umano. Sebbene sia raro che i dirigenti di alto livello diventino insider malevoli, i dipendenti di basso livello rappresentano un potenziale punto di vulnerabilità. L’abuso di privilegi concessi – una delle cause principali delle violazioni secondo Bianculli – rende imprescindibile per il C-suite monitorare e limitare i livelli di accesso, prevenendo l’esposizione non necessaria di dati sensibili. In questo contesto, la politica di sicurezza informatica assume un valore strategico: essa non solo disciplina l’accesso e l’uso delle risorse digitali, ma costituisce anche un argine normativo contro comportamenti rischiosi.

La diffusione della policy BYOD (bring your own device) è un ulteriore elemento di rischio. Nata per favorire la flessibilità e migliorare il benessere lavorativo, essa ha introdotto vulnerabilità notevoli. Uno studio citato da Bianculli mostra che un'azienda su cinque che ha adottato la policy ha subito una violazione legata a malware mobili o reti Wi-Fi insicure. Nonostante ciò, solo una minoranza ha incrementato il budget destinato alla sicurezza informatica, mentre una parte significativa delle imprese non prevede investimenti aggiuntivi. La responsabilità del C-suite è dunque anche quella di sensibilizzare il consiglio di amministrazione e tutti i livelli dell’organizzazione sui costi reali, tangibili e intangibili, che comporta l’esposizione a rischi non mitigati.

Altrettanto critico è il divario di competenze e risorse. Organizzazioni con bilanci limitati e scarsa disponibilità di esperti sono inevitabilmente più esposte. Il C-suite deve adottare aspettative realistiche e orientare gli investimenti in modo strategico, consapevole che la mancanza di personale specializzato può rendere vani anche i migliori intenti. Dove le risorse sono scarse, l’intelligenza nella loro allocazione diventa determinante.

La formazione continua dei dipendenti è un pilastro nella difesa informatica. L’inconsapevolezza costituisce un vettore di attacco tanto pericoloso quanto il malware stesso. Le sessioni di training devono essere regolari, aggiornate e personalizzate. I vertici, in particolare CIO, CISO e CEO, devono farsi promotori di una cultura della sicurezza, identificando i vettori più comuni di attacco –

Come gestire la sicurezza informatica aziendale attraverso il management: strategie, metodi e misure efficaci

Il Chief Information Officer (CIO), il Chief Information Security Officer (CISO) e il Chief Executive Officer (CEO) devono garantire che la prima linea di difesa dell’azienda sia rappresentata da soluzioni tecnologiche in grado di identificare in modo proattivo la presenza di malware polimorfici all’interno dei sistemi informatici. I programmi anti-malware scelti da questi dirigenti dovrebbero essere progettati per impedire l'accesso a server dannosi e prevenire la perdita di dati. È essenziale che il CIO, il CISO e il CEO elaborino strategie efficaci, come l’applicazione tempestiva delle patch, per mantenere i sistemi informatici dell’organizzazione protetti da attacchi informatici.

Con l’emergere dei rischi informatici aziendali e degli attacchi informatici, il C-suite deve adottare misure straordinarie per prevenire e mitigare le conseguenze di tali incidenti di sicurezza informatica. Alcune di queste misure includono la disconnessione di determinati sistemi informatici da Internet e lo spegnimento di segmenti di rete a rischio di compromissione da parte degli attaccanti. Inoltre, il CIO, il CISO e il CEO devono considerare l’alto livello di sofisticazione degli strumenti utilizzati dai criminali informatici per lanciare attacchi prima di implementare misure di sicurezza. Un esempio potrebbe essere l’automazione di alcune operazioni aziendali per prevenire o mitigare gli attacchi informatici lanciati tramite sistemi automatizzati. Tale automazione consentirebbe, infatti, di affrontare un volume elevato di minacce informatiche.

La selezione di una soluzione di sicurezza informatica adeguata è cruciale per proteggere l’organizzazione. Un sistema di sicurezza deve essere in grado di analizzare sia il traffico in uscita che quello in entrata su Internet per rilevare minacce informatiche e prevenire l’infiltrazione da parte di criminali informatici. In generale, il consiglio di amministrazione si aspetta che il CIO, il CISO e il CEO identifichino le vulnerabilità dell'infrastruttura aziendale che potrebbero compromettere la crescita futura dell’organizzazione o la sua situazione finanziaria attuale. La gestione aziendale deve quindi esplorare soluzioni potenziali per risolvere questi problemi di sicurezza informatica.

Il riconoscimento dei rischi informatici e l'integrazione di misure di sicurezza informatica sono essenziali per garantire la continuità aziendale e la protezione degli asset aziendali. Pertanto, l’obiettivo principale di questi dirigenti dovrebbe essere l’integrazione di misure di sicurezza informatica in ogni fase delle operazioni aziendali. Inoltre, la gestione deve sviluppare un piano di prevenzione e risposta che migliori la sicurezza delle informazioni e protegga l’azienda dagli attacchi informatici. Un altro aspetto fondamentale è l'elaborazione di un piano di continuità aziendale che consenta all’organizzazione di affrontare le conseguenze di una potenziale violazione della sicurezza informatica.

I dirigenti devono inoltre selezionare metriche e indicatori chiave di prestazione (KPI) adeguati per valutare l’esposizione dell’azienda alle minacce interne, alla perdita di informazioni sensibili e al furto di dati. Se il CIO, il CISO e il CEO non sono in grado di misurare l'efficacia delle misure di sicurezza informatica, non saranno in grado di monitorare l’impatto di queste misure nella prevenzione e mitigazione degli attacchi. Poiché le minacce informatiche sono in continua evoluzione e la tecnologia necessaria per prevenirle si sviluppa rapidamente, il C-suite deve implementare procedure di valutazione che facilitino l'efficace misurazione delle misure di sicurezza. La selezione delle giuste metriche e KPI è, infatti, fondamentale per la valutazione delle prestazioni della sicurezza informatica.

L'analisi di questi indicatori fornisce al C-suite una panoramica di come il team di sicurezza stia operando in un determinato periodo. Le metriche di sicurezza informatica forniscono informazioni quantitative che possono essere utilizzate per dimostrare ai membri del consiglio di amministrazione l’efficacia delle azioni intraprese dal CIO, dal CISO e dal CEO per garantire l'integrità e la protezione delle informazioni riservate e degli asset aziendali. Inoltre, l'analisi dei KPI e delle metriche permetterà ai dirigenti di comprendere quali misure di sicurezza sono efficaci o inefficaci, influenzando così le decisioni future sull’adozione di misure di sicurezza per nuovi progetti.

In aggiunta, la generazione di report tramite metriche di sicurezza informatica è un aspetto importante del ruolo del CIO, del CISO e del CEO, i cui compiti sono sempre più influenzati dagli interessi degli azionisti, dai regolatori e dal consiglio di amministrazione. Molti membri del consiglio di amministrazione, soprattutto nel settore finanziario, hanno doveri regolatori e fiduciari che li obbligano a gestire i rischi informatici e a garantire la protezione delle informazioni personali identificabili. In questo contesto, normative come il Gramm-Leach-Bliley Act, il Personal Information Protection and Electronic Documents Act (PIPEDA), il Prudential Standard CPS 234 e la NYDFS Cybersecurity Regulation, nonché leggi di protezione dei dati extraterritoriali come il GDPR dell'Unione Europea, il CCPA della California e la LGPD del Brasile, hanno accentuato l’importanza per il C-suite di analizzare e monitorare attentamente le metriche di sicurezza informatica.

Per concludere, tra gli esempi di metriche di sicurezza informatica che il C-suite potrebbe monitorare ci sono: il monitoraggio dei dispositivi non identificati nelle reti interne, la preparazione dei dispositivi aziendali con patch aggiornate e l’integrazione di sistemi di rilevamento delle intrusioni nella rete aziendale. Una corretta configurazione dei dispositivi IoT e il monitoraggio costante dei rischi derivanti dall'uso di dispositivi non aziendali sono essenziali per evitare vulnerabilità critiche. La continua evoluzione delle minacce informatiche richiede un approccio flessibile e tempestivo nell’adozione di misure di difesa sempre più sofisticate.

Quali metriche di cybersicurezza dovrebbe monitorare il top management?

Nella governance moderna della sicurezza informatica, le metriche rappresentano strumenti indispensabili per tradurre fenomeni tecnici complessi in elementi decisionali comprensibili per il vertice aziendale. La C-suite — composta da CEO, CIO e CISO — ha la responsabilità non solo di conoscere ma anche di utilizzare attivamente indicatori chiave che consentano di valutare la postura di sicurezza, anticipare i rischi, e rispondere in modo efficace agli attacchi.

La frequenza dei tentativi di intrusione costituisce uno dei segnali principali per identificare l'interesse che i cybercriminali nutrono verso un'organizzazione. Il numero stesso di accessi non autorizzati, rilevati attraverso i log dei firewall o strumenti di rilevazione delle intrusioni, è un primo parametro essenziale: esso mostra quanto frequentemente gli attori malevoli tentano di violare le difese aziendali.

Altrettanto cruciale è il numero di incidenti informatici effettivamente verificatisi. Monitorare quante volte le difese sono state superate o le risorse informative compromesse fornisce un indicatore chiaro della resilienza del sistema e dell'efficacia delle contromisure adottate.

Il tempo medio di rilevamento (Mean Time to Detect - MTTD) rappresenta un altro elemento strategico. Questo dato misura quanto tempo intercorre prima che un’anomalia venga identificata dal team di sicurezza. È una lente precisa sulla capacità dell’organizzazione di accorgersi tempestivamente di un attacco in corso. Complementare al MTTD è il tempo medio di risoluzione (Mean Time to Resolve - MTTR), che riflette la velocità con cui l’organizzazione è in grado di contenere e neutralizzare una minaccia dopo averla rilevata. Un altro dato connesso, il tempo medio di contenimento, mostra quanto velocemente i vettori di attacco vengano isolati nei vari endpoint.

Le valutazioni di cybersicurezza di prima parte — assegnate internamente e comunicate con scale intuitive, come i punteggi a lettera — hanno il vantaggio di rendere i dati di sicurezza accessibili anche ai non esperti. Elementi come il rischio di phishing, vulnerabilità note, tecniche di ingegneria sociale e stato del DNSSEC e DMARC rientrano in queste valutazioni, offrendo un quadro sintetico e continuo dello stato di sicurezza in tempo reale. Tali punteggi dovrebbero essere inclusi nei report diretti al consiglio di amministrazione e condivisi durante briefing interni.

La valutazione media della sicurezza dei fornitori è altrettanto determinante. Essa consente alla direzione di avere visibilità sui rischi esterni, in particolare quelli provenienti da terze o quarte parti. Il monitoraggio continuo di questi attori permette una gestione proattiva del rischio esteso e offre l’opportunità di rafforzare le politiche di vendor management.

Un'altra metrica critica è la cadenza di applicazione delle patch, sia internamente che lato fornitore. Il ritardo nell’implementazione delle patch espone a vulnerabilità ben conosciute e sfruttate rapidamente, come accadde con l’attacco WannaCry, reso possibile dalla lentezza con cui le aziende colpite applicarono la patch per la vulnerabilità EternalBlue, pur se già disponibile.

La gestione degli accessi, con particolare attenzione agli utenti con privilegi amministrativi, è un altro aspetto sottovalutato ma ad alto rischio. Limitare i diritti di accesso, applicare controlli granulari e ridurre l’escalation dei privileg