Le foreste tropicali secche (TDF) sono un ecosistema unico e complesso che ha attirato l'attenzione degli studiosi, in particolare grazie a ricerche recenti condotte da un gruppo dell'Università di Edimburgo (Pennington et al., 2009). Sebbene il termine "foresta tropicale secca" venga comunemente utilizzato per descrivere una varietà di formazioni forestali che si trovano in diverse aree tropicali del mondo, non esiste un consenso univoco su quali siano i fattori ecologici e evolutivi che determinano la presenza di tali foreste. La questione di fondo resta: quali sono i fattori che distinguono le foreste tropicali secche dalle savane? E perché esistono così tante variabilità all'interno di questo bioma, anche a livello globale?

Uno degli aspetti centrali che definiscono le foreste tropicali secche è la loro distribuzione geografica e l'impatto delle condizioni climatiche locali. Le foreste tropicali secche non sono omogenee, e la loro classificazione globale richiede un sistema che possa catturare questa eterogeneità. Pennington et al. (2006) hanno proposto una suddivisione delle TDF in 22 "nuclei" basati sulla congruenza geografica e sulla composizione floristica. Questa suddivisione è utile a livello continentale, ma non riesce a riflettere le differenze tra le TDF nei vari angoli del mondo. Per questo motivo, è stato necessario un sistema che consideri i fattori climatici che influenzano la posizione e la durata della stagione secca e l'azonalità di alcuni substrati.

Il sistema DRYFLOR (DRYFLOR et al., 2016), che si concentra principalmente sulle TDF del Sud America e Mesoamerica, ha offerto nuovi strumenti per classificare questo bioma. Tuttavia, sorprendentemente, le TDF africane non sono facilmente riconoscibili come "foreste secche" in molte classificazioni internazionali, nonostante la loro abbondanza nelle regioni del Sud Africa e del Centro Africa. La ricerca ha portato a scoprire che le TDF africane, in particolare quelle della regione del Corno d'Africa, presentano una varietà di biomi che sono poco esplorati ma molto interessanti. Qui, per esempio, le foreste di Acacia-Commiphora si estendono lungo le coste del Corno d'Africa, sfidando le previsioni climatiche sulle foreste tropicali.

Le TDF, in effetti, non sono solo dipendenti dalla quantità di precipitazioni annuali, ma anche dalla posizione geografica e dalle influenze atmosferiche. Un esempio di ciò è la Caatinga brasiliana, che ha mostrato una grande eterogeneità climatica e un'irregolarità nelle precipitazioni. Il comportamento del sistema intertropicale di convergenza (ITCZ) è fondamentale per comprendere l'imprevedibilità delle piogge in queste aree. La Caatinga, pur essendo una delle TDF più estese, presenta una stagione delle piogge molto breve e incerta, la cui variabilità dipende da eventi come El Niño, che influenzano direttamente la temperatura superficiale dell'oceano Atlantico.

Un altro elemento che distingue le foreste tropicali secche è la composizione della vegetazione. In molte di queste foreste, il suolo è povero di nutrienti, e la presenza di una vegetazione erbacea è minima o del tutto assente, come osservato nelle foreste di Zanzibar-Inhambane nel Corno d'Africa. Qui, le foreste di Acacia-Commiphora sono tipiche e si differenziano dalle altre formazioni forestali per l'assenza di una copertura erbacea significativa. Questo fenomeno è particolarmente evidente in zone costiere come quella del Kenya e della Somalia, dove la varietà di biomi varia notevolmente a causa della complessità del clima e della topografia.

A livello ecologico, le foreste tropicali secche rappresentano una sfida per i ricercatori, poiché la loro comprensione richiede una conoscenza approfondita dei meccanismi climatici, geografici e biologici che influenzano la loro esistenza. Non basta guardare solo le precipitazioni per comprendere il loro sviluppo: occorre considerare anche l'andamento delle stagioni secche, l'interazione con i venti alisei, le variazioni nella composizione del suolo e gli effetti di fenomeni globali come El Niño. Questi fattori creano una varietà di paesaggi e di formazioni forestali che, sebbene appartenenti allo stesso bioma, possono essere completamente diversi in base alla loro localizzazione geografica.

Oltre a questi elementi climatici e biogeografici, è fondamentale comprendere come le foreste tropicali secche interagiscano con gli altri ecosistemi circostanti. Queste foreste non sono isolate, ma fanno parte di un mosaico ecologico in cui le transizioni tra zone più umide e più aride giocano un ruolo cruciale nella loro struttura e composizione. Inoltre, l'intervento umano, come il disboscamento e l'agricoltura, ha un impatto diretto sulla distribuzione e sulla conservazione di queste foreste, modificando le dinamiche ecologiche e minacciando la loro sopravvivenza.

Perché le Pampas Sono Senza Alberi? Un’Analisi Ecologica della Pianura Sudamericana

Le Pampas argentine, la vasta steppa che si estende attraverso l'Argentina, l'Uruguay e il sud del Brasile, sono da lungo tempo al centro di una serie di discussioni scientifiche riguardanti le cause della loro caratteristica assenza di alberi. La questione, nota come il "Problema delle Pampas", è stata oggetto di numerose teorie, alcune delle quali si sono rivelate più persuasive di altre. Questo dibattito affonda le sue radici nel XIX secolo, quando Charles Darwin, nel corso del suo viaggio nel 1832-1833, si imbatté in questa sconfinata distesa di erba che sembrava sfidare le leggi naturali della vegetazione. Da quel momento, scienziati, geografi e biologi hanno cercato di capire perché, in una zona apparentemente favorevole alla crescita degli alberi, la vegetazione arborea fosse così scarsa.

La Pampa è una vasta regione di prateria che si trova tra le zone temperate e sub-umide dell'Argentina, ma la sua ecologia non è così semplice da comprendere. Il primo passo verso una risposta è capire che questa regione si trova a cavallo di due zone ecologiche distinte: la Zona Nemorale Austro e la Zona delle Steppe Australiche. La "zonocotone G3-T2", come definito da alcuni studi, rappresenta un ecotono, ovvero una zona di transizione tra il clima forestale e quello tipico della steppa. Tale confine ecologico ha da sempre suscitato dibattiti, ma non è mai stato chiaramente definito.

La prima domanda che si pone in questo contesto è: perché questa prateria, che a prima vista sembra avere le caratteristiche di un ambiente favorevole alla crescita degli alberi, rimane priva di foreste? Diversi scienziati hanno provato a rispondere a questa domanda. Darwin, nel suo studio del 1846, attribuiva l'assenza di alberi a due fattori principali: i forti venti e le caratteristiche dei terreni. Secondo lui, il suolo della Pampa, con le sue dinamiche particolari di drenaggio e la sua bassa capacità di trattenere l'umidità, non era adatto alla crescita di alberi. La sua osservazione riguardava anche il fatto che i venti violenti e le condizioni azonali del suolo rendevano difficile l'insediamento di vegetazione arborea, ma al contempo favorevano la diffusione delle graminacee.

Le teorie successive hanno esplorato altre cause. Grisebach, nel 1872, suggerì che l'irregolarità delle precipitazioni fosse un fattore determinante. Le piogge violente, tipiche di questa regione, si verificano in forma di acquazzoni estemporanei e non regolari, che sono tollerabili per le piante erbacee, ma poco adatti agli alberi, che necessitano di una distribuzione più uniforme delle precipitazioni. In tempi più recenti, scienziati come Walter (1966) e Schimper (1903) hanno confermato l'idea che il clima della Pampa fosse in realtà un "clima da prateria", con piogge moderate ma ben distribuite che favorivano la vegetazione erbacea e ostacolavano la crescita delle foreste.

Anche se la maggior parte delle teorie si concentra sul clima e sulle caratteristiche del suolo, non sono mancate le ipotesi che includono il ruolo dell’uomo. Alcuni ricercatori, come Schmieder (1927) e Hauman (1928), hanno suggerito che l'assenza di alberi fosse il risultato di disturbi antropici, in particolare delle pratiche agricole e dei regimi di incendio introdotti dalle culture indigene prima dell'arrivo degli europei. Questi studi ritengono che la prateria che vediamo oggi sia, in parte, il frutto di secoli di interazione tra le popolazioni umane e l'ambiente naturale.

Ulteriori ricerche paleoecologiche hanno spinto la discussione in una nuova direzione. Gli studi condotti da Behling (2002) e da Andrade et al. (2016) suggeriscono che le pampas possano essere state dominanti nel paesaggio sudamericano già durante il Pleistocene. Durante questo periodo, la regione era caratterizzata da un clima più secco e freddo, che avrebbe favorito la diffusione delle praterie a scapito delle foreste. L’inizio del riscaldamento del clima durante l'Olocene ha visto il ritorno delle foreste in alcune aree, ma la Pampa è rimasta una prateria, forse per effetto di fattori ecologici e climatici che continuano a prevalere anche oggi.

È interessante notare che la questione della vegetazione delle Pampas non riguarda solo l'ecologia, ma anche la percezione culturale e storica della regione. La Pampa è stata spesso vista come un simbolo dell'immensità e della libertà, un paesaggio senza limiti dove la natura selvaggia e incontaminata regnava sovrana. Tuttavia, gli studi moderni dimostrano che questo paesaggio è stato modificato dall'uomo in modi molto più profondi di quanto si sia sempre pensato. La prateria che oggi vediamo potrebbe essere il risultato di millenni di interazioni tra natura e cultura, un mosaico complesso di ecosistemi che riflettono tanto la storia naturale quanto quella antropica.

La riflessione finale che emerge da questo dibattito riguarda la capacità di comprendere i paesaggi naturali non come entità statiche, ma come sistemi dinamici, sempre in evoluzione, modellati da una molteplicità di fattori, da quelli climatici a quelli antropici. Le Pampas, come le altre steppe del sud del mondo, sono il risultato di una lunga interazione tra questi fattori e rappresentano un esempio di come la natura e la cultura si siano intrecciate nel corso dei secoli, dando vita a uno dei paesaggi più affascinanti e complessi del pianeta.