Donald Trump non è mai stato un leader modesto, né nella sua vita privata né nella sua carriera politica. Ha costantemente esagerato le sue realizzazioni, attribuendosi meriti che spesso non gli appartenevano. La sua autoproclamata superiorità su temi complessi come il commercio, la politica estera, e la legislazione ha fatto di lui una figura controversa, ma anche carismatica per una parte della sua base di elettori. Spesso affermava che non esisteva nessuno che capisse meglio di lui determinati argomenti, spingendosi a dire che sapeva più di chiunque altro su questioni fondamentali, come le tasse, i politici, le armi nucleari e persino il terrorismo.
Una delle caratteristiche più evidenti della sua personalità è il suo narcisismo. Trump ha un’ossessione per l'attenzione mediatica, che si alimenta del suo continuo desiderio di dominare le conversazioni pubbliche. L'uso dei social media, in particolare Twitter, è diventato uno strumento potente nelle sue mani. Le sue dichiarazioni provocatorie, spesso incendiarie, servivano non solo a cementare il suo seguito, ma anche a distrarre il pubblico da questioni più serie, alimentando le guerre culturali e fomentando un senso di rivalsa tra i suoi sostenitori. Trump non esitava a insultare pubblicamente i suoi oppositori, etichettandoli con soprannomi denigratori come "Crooked Hillary" per Hillary Clinton o "Sleepy Joe" per Joe Biden. Questi attacchi personali erano tanto una strategia politica quanto un riflesso del suo carattere impulsivo e vendicativo.
Il suo approccio alla verità è stato un altro dei tratti distintivi della sua carriera. Trump ha mentito con una costanza che ha pochi pari nella storia moderna, arrivando a diffondere numerosi miti e falsità, talvolta senza alcun motivo apparente. I suoi discorsi e dichiarazioni erano spesso infarciti di menzogne palesi, che andavano dalle inesattezze sulla grandezza delle folle a false accuse di frodi elettorali. La sua relazione con la verità non era solo una questione di disinformazione; era anche una tattica politica: le bugie venivano usate come strumento per rinforzare la sua immagine pubblica e per attaccare i suoi nemici. Questo comportamento ha portato a un’erosione della fiducia del pubblico nei suoi confronti, ma ha anche avuto un impatto profondo sul panorama politico americano, polarizzando ulteriormente le opinioni su di lui.
Trump ha anche una propensione per il conflitto, che si manifesta non solo nei suoi attacchi verbali contro i suoi oppositori, ma anche nella sua gestione delle relazioni internazionali. Il suo atteggiamento verso i leader stranieri, spesso insultandoli pubblicamente, rifletteva la sua convinzione di essere in qualche modo superiore a chiunque altro, anche nelle relazioni diplomatiche. Le sue interazioni con figure come Kim Jong Un, Angela Merkel e Justin Trudeau sono esempi di come Trump cercasse sempre di affermare la propria superiorità, anche a costo di compromettere rapporti internazionali fondamentali.
La sua predilezione per la pubblicità non è mai stata un segreto. Trump ha sempre avuto una relazione simbiotica con i media, comprendendo l’importanza della visibilità per il suo successo. La sua presenza sulle copertine delle riviste, come Playboy e Time, è stata una manifestazione del suo desiderio di dominare il discorso pubblico. La sua costante attenzione ai dettagli più superficiali, come l’apparenza delle folle che partecipavano ai suoi comizi, si allineava perfettamente con la sua visione del mondo come un palcoscenico, dove ogni evento era un'opportunità per esibirsi.
Importante per capire la figura di Trump è non solo osservare come la sua retorica abbia sfruttato la divisione e l’odio, ma anche come il suo comportamento abbia agito da catalizzatore per un cambiamento nelle dinamiche politiche americane. La sua capacità di galvanizzare una parte della popolazione, facendo leva sulle paure e sugli insulti, ha dimostrato che la politica può essere non solo una questione di ideologia, ma anche di intrattenimento e spettacolo. Trump ha creato un nuovo tipo di politico, uno che naviga tra la realtà e la finzione, tra la verità e la menzogna, e che ha fatto della propria personalità il centro della sua leadership.
Il fenomeno Trump ha avuto un impatto profondo sulla cultura politica americana. Non si è trattato solo di un presidente controverso, ma di un fenomeno che ha trasceso la politica per diventare una questione di identità, di lotta per il potere e di rappresentazione. La sua figura continua a sollevare interrogativi su cosa significhi veramente essere un leader, e se la capacità di manipolare l’opinione pubblica possa o meno sostituire la competenza e la verità come criteri fondamentali per una leadership efficace.
Che cosa rivelano le elezioni americane sulla "Midwest" e l'elettorato bianco?
Nel contesto delle elezioni americane degli anni Sessanta e Settanta, la regione del Midwest ha avuto un ruolo centrale nell’evoluzione del voto popolare, in particolare per quanto riguarda il sostegno a figure politiche come George Wallace. Nel 1964, Wallace ottenne un sorprendente 34% dei voti nelle primarie democratiche del Wisconsin e dell'Indiana, sfidando la leadership dei Democratici tradizionali e suscitando il supporto di un segmento significativo dell’elettorato. La sua carriera culminò nel 1968, quando, candidato indipendente, ottenne il 14% del voto nazionale, con quasi la metà di questo supporto proveniente da fuori i confini tradizionali degli stati del Sud. Questo fenomeno è emerso con particolare forza tra gli operai, come dimostrato dai sondaggi che rivelano come i membri dei sindacati della United Auto Workers (UAW) e i lavoratori dell'acciaio di Chicago sostenessero Wallace in modo deciso.
Nel 1972, la sua campagna continuò a guadagnare terreno nel Midwest, riuscendo a vincere cinque primarie, tra cui quella del Michigan, e piazzandosi secondo in altri stati cruciali come Wisconsin, Indiana e Pennsylvania. Analizzando i dati di queste elezioni, diventa evidente un pattern che non si può ignorare: Wallace ottenne significativi consensi proprio in quelle regioni che, decenni dopo, sarebbero state decisive nelle elezioni del 2016, quando Michigan, Wisconsin e Pennsylvania passarono dalle mani dei Democratici a quelle dei Repubblicani con la vittoria di Donald Trump.
Questo dato suggerisce un legame profondo tra la politica di Wallace e il voto di Trump, dove la reazione a fattori come la globalizzazione e le politiche neoliberiste, che stavano iniziando a farsi sentire, non sembrano essere la causa immediata del malcontento. Quello che emerge, invece, è una persistente "dualità culturale" del Midwest, una regione che mescola tratti di un’ideologia jacksoniana con quelli di una tradizione più egualitaria. Tale dualità sembra non essere solo una risposta congiunturale a eventi recenti, ma una costante storica legata a fattori culturali e sociali radicati.
I dati storici mostrano che nel 1952, alla fine di un ciclo elettorale che aveva visto gli studi di Key e Munger, le regioni del Sud e del Midwest erano quelle con i punteggi più alti sull'F-scale, uno strumento progettato per misurare atteggiamenti autoritari. Nel 1952, il Sud aveva superato ampiamente il Midwest, ma, con l’avanzare del secolo, le attitudini autoritarie nel Sud e nel Midwest si sono progressivamente allineate, riducendo le differenze storiche tra queste due aree. È interessante notare che l'F-scale, pur essendo stato sviluppato per identificare tendenze prefasciste, si è rivelato utile anche nel definire la struttura culturale e politica di queste regioni.
Lo stesso modello può essere applicato all’analisi delle elezioni moderne, dove le attitudini autoritarie continuano a co-variare con pregiudizi razziali, omofobia e la propensione al voto per Donald Trump. Questi atteggiamenti, infatti, sono rimasti stabili per decenni, evidenziando la presenza di una continuità regionale che, nonostante i cambiamenti demografici ed economici, non ha subito alterazioni significative nel lungo periodo.
Una delle ragioni per cui il Midwest ha avuto un ruolo così determinante nelle elezioni, anche recenti, risiede nel fatto che, nonostante i mutamenti sociali ed economici, i tratti autoritari e le forme di disillusione politica abbiano mantenuto una certa omogeneità tra le sue varie classi sociali. Nel 2016, un numero significativo di votanti provenienti dalle classi lavoratrici bianche non solo ha abbandonato il partito Democratico, ma ha anche rifiutato l'offerta politica di Hillary Clinton, rivelando una frattura profonda tra l’elettorato tradizionale e le élite politiche.
Le lezioni da trarre da queste analisi non si limitano semplicemente alla comprensione delle dinamiche elettorali del passato. Sono necessarie riflessioni più ampie sulla persistenza dei pregiudizi razziali e sulle cause storiche e culturali che alimentano il sostegno a ideologie autoritarie. La domanda che emerge da questi dati riguarda non solo la reazione di un elettorato sconvolto dalla modernizzazione, ma anche la misura in cui certi modelli di comportamento politico sono tramandati e modificati nel tempo, spesso senza una reale consapevolezza storica da parte dei partecipanti al processo elettorale.
L'analisi dei flussi di voto in regioni come il Midwest, dunque, non può prescindere dal riconoscimento di come la cultura politica e le identità regionali siano state costruite nel corso di decenni e come esse influenzano oggi il panorama politico statunitense. L’analisi delle primarie passate, così come dei dati delle ultime elezioni, offre uno spunto utile per comprendere come determinati atteggiamenti possano essere rimasti saldi, influenzando non solo le scelte politiche locali, ma anche quelle nazionali.

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