In pazienti con colite grave o recalcitrante, dove il trattamento medico non è più efficace, la chirurgia diventa spesso l'unica opzione per migliorare la qualità della vita e ridurre il rischio di complicanze potenzialmente letali. La resezione totale del colon, accompagnata da ileostomia terminale, rappresenta la scelta principale per coloro che sviluppano una colite fulminante, megacolon tossico o perforazione del colon. La gestione di questi casi richiede una valutazione attenta e personalizzata, considerando vari fattori tra cui le preferenze del paziente, le precedenti terapie mediche (compresa l'esposizione agli anticorpi monoclonali) e i fattori di rischio come l'età (soprattutto se la diagnosi avviene prima dei 40 anni), la gravità della malattia e la storia di ospedalizzazioni.
Nel caso di pazienti con colite acuta e in rapido peggioramento, a rischio di sviluppare colite fulminante o megacolon tossico, l'intervento chirurgico preferito è la colectomia totale addominale con ileostomia terminale. Questo approccio riduce il rischio di complicanze gravi e consente una ripresa più sicura. Allo stesso modo, quando i pazienti sono trattati con alte dosi di corticosteroidi pre-operatori, è generalmente sconsigliato procedere immediatamente con una proctocolectomia totale con anastomosi ileo-anale (IPAA); in questi casi, si consiglia di posticipare la creazione dell'IPAA fino a quando i corticosteroidi non vengono ridotti e lo stato nutrizionale del paziente non migliora.
Un altro aspetto cruciale della chirurgia nei pazienti con malattie infiammatorie intestinali è la prevenzione delle complicanze post-operatorie, in particolare l'evento tromboembolico venoso (VTE). Questi pazienti, infatti, sono ad alto rischio di sviluppare VTE, motivo per cui è essenziale somministrare una profilassi estesa (fino a 28 giorni dopo l'intervento).
Per quanto riguarda la creazione di tasche ileali, la maggior parte delle tasche utilizzate è la J-pouch, preferita per la sua relativa facilità tecnica di creazione rispetto ad altre varianti (come W-pouch o S-pouch), che sono generalmente meno utilizzate a causa di una minore capacità di svuotamento. La scelta del tipo di pouch deve essere basata su una valutazione pre-operatoria accurata, tenendo conto delle possibili complicanze a lungo termine, come la sepsi pelvica, che possono compromettere la funzionalità della pouch.
I pazienti sottoposti a chirurgia di pouch possono affrontare diversi approcci in fasi, che vanno da un intervento monofase, raramente utilizzato a causa del rischio di perdite anastomotiche, a un approccio tradizionale in due fasi, che è preferito nei casi elettivi, fino a un intervento in tre fasi, che è comunemente adottato in situazioni urgenti o emergenti. Quest'ultimo approccio è spesso necessario nei pazienti ospedalizzati con colite ulcerosa grave, dove la resezione totale del colon è seguita da una proctectomia completa e dalla creazione dell'IPAA.
La scelta tra un approccio minimamente invasivo (laparoscopico o robotico) e un approccio aperto nella chirurgia di IPAA dipende dalla specificità del caso. Tuttavia, gli approcci minimamente invasivi sono generalmente preferiti per i migliori risultati a breve termine, tra cui una degenza ospedaliera più breve, minori infezioni della ferita chirurgica e minore perdita di sangue durante l'intervento. L’efficacia a lungo termine in termini di funzionalità della pouch non risulta compromessa.
Le complicanze a lungo termine dopo la resezione del retto e la formazione della pouch possono essere numerose. Nei pazienti maschi, i sintomi urinari come urgenza, aumento della frequenza e incontinenza, insieme a disfunzioni sessuali (che colpiscono tra il 10% e il 20% dei pazienti), sono comuni. Le donne, oltre a sperimentare simili disturbi urinari e sessuali, possono affrontare infertilità (fino al 26% dei casi), secchezza vaginale e un aumento della frequenza delle cesarei.
Pouchitis, che rappresenta una delle complicanze più frequenti a lungo termine, è un'infiammazione acuta o cronica della tasca ileale. Si stima che fino al 40% dei pazienti con IPAA possano sviluppare questa condizione, che si manifesta con feci acquose e sanguinolente, urgenza, dolore addominale e febbre. Sebbene la causa rimanga sconosciuta, sono stati suggeriti vari fattori, tra cui la stasi della pouch, la crescita batterica anomala e l'alterazione del microbioma intestinale. Nei pazienti con malattia di Crohn, la pouchitis può assumere caratteristiche simili a quelle di un fenomeno penetrante o fibrostenotico.
Il trattamento di scelta per la pouchitis include antibiotici come metronidazolo o ciprofloxacina per un ciclo di 10–14 giorni, con il supporto di enemi steroidei o 5-aminosalicilati. In alcuni casi, si possono utilizzare probiotici come VSL#3 per prevenire le recidive. La gestione della pouchitis in presenza di malattia di Crohn richiede l’uso di biologici o immunosoppressori per favorire la guarigione della mucosa, in quanto gli antibiotici da soli non sono generalmente sufficienti.
Infine, i pazienti con colite ulcerosa devono essere monitorati attentamente per lo sviluppo di neoplasie colorectaliche. La sorveglianza colonoscopica deve iniziare entro otto anni dall'insorgenza dei sintomi e proseguire regolarmente, con frequenza annuale per i pazienti ad alto rischio, come quelli con sclerosi colangitica primaria o una storia familiare di carcinoma del colon-retto.
Quali sono le fasi della deglutizione e come si manifesta la disfagia?
La deglutizione è un processo complesso articolato in cinque fasi fondamentali, ciascuna con caratteristiche specifiche e controlli neurologici differenti. La prima è la fase anticipatoria, di natura involontaria, durante la quale la vista, l’olfatto e il gusto stimolano la produzione di saliva, fondamentale per lubrificare il bolo alimentare e facilitare la masticazione e la successiva deglutizione. Segue la fase preparatoria orale, volontaria e governata dalla corteccia cerebrale e dal tronco encefalico, in cui la lingua, i denti e il palato lavorano per formare un bolo che, secondo un modello di memoria appreso, risulta pronto per essere trasportato nella faringe. Nella fase di trasporto orale, il bolo viene spinto dalla lingua verso l’ipofaringe, raggiungendo le pilastri tonsillari che innescano il riflesso della deglutizione.
La fase faringea, involontaria, comporta una sequenza coordinata di contrazioni e rilassamenti muscolari che includono la chiusura velofaringea per prevenire il reflusso nel rinofaringe, la contrazione peristaltica dei muscoli costrittori faringei per spingere il bolo, l’elevazione e chiusura laringea per proteggere le vie aeree dall’aspirazione, e l’apertura dello sfintere esofageo superiore (UES), consentendo il passaggio del bolo dalla laringe all’esofago. Infine, nella fase esofagea, il bolo attraversa l’UES grazie a contrazioni peristaltiche involontarie che puliscono la faringe e l’esofago; lo sfintere esofageo inferiore (LES) si rilassa al passaggio del bolo verso lo stomaco, mantenendo poi la sua chiusura per prevenire reflussi.
La disfagia, termine derivante dal greco dys (difficile) e phagia (mangiare), indica una difficoltà soggettiva o anomalia nel processo di deglutizione, coinvolgendo il passaggio di cibo o liquidi dalla bocca allo stomaco. È una condizione frequente, con circa un milione di nuovi casi diagnosticati annualmente negli Stati Uniti. La sua incidenza cresce con l’età, in parte a causa della sarcopenia, cioè l’atrofia muscolare, e dei cambiamenti cognitivi associati all’invecchiamento. La disfagia colpisce fino al 60% degli ospiti di case di riposo e può portare a complicanze gravi come la polmonite da aspirazione.
Dal punto di vista clinico, la disfagia si classifica in base alla localizzazione anatomica o alla causa. La classificazione topografica distingue tra disfagia orofaringea (o di trasferimento) ed esofagea. La distinzione eziologica separa le forme meccaniche, che si manifestano prevalentemente con difficoltà a deglutire solidi, da quelle da disturbi della motilità, in cui la difficoltà riguarda sia solidi che liquidi. La disfagia orofaringea si divide ulteriormente in disfunzioni della fase orale, caratterizzate da incapacità di formare e controllare il bolo, con conseguente ritenzione orale prolungata, scialorrea e difficoltà ad iniziare la deglutizione, e della fase faringea, legate a problemi nel trasporto del bolo o a ostruzioni allo UES. Quest’ultima è sottoposta a controllo involontario e può causare ritardo del riflesso deglutitorio, insufficiente chiusura velofaringea con rigurgito nasale, ridotta mobilità epiglottica, scarso sollevamento laringeo e alterazioni dello UES. I pazienti possono riferire sensazione di corpo estraneo nel collo, rigurgito nasale, aspirazione e sintomi da reflusso.
I segni clinici più frequenti nella disfagia orofaringea comprendono difficoltà nel trasferire il cibo dalla bocca alla faringe posteriore, senso soggettivo di ostruzione cervicale, tosse, soffocamento, rigurgito di solidi o liquidi (compreso quello nasale), scialorrea, disfonia e rischio di polmonite da aspirazione. Alcune manovre fisiche possono migliorare la funzione orofaringea e compensare i deficit presenti.
La diagnosi differenziale della disfagia orofaringea è ampia, ma le cause neurologiche e muscolari sono prevalenti, rappresentando circa l’80% dei casi negli anziani, con l’ictus cerebrale come causa principale. Tra le possibili cause figurano condizioni iatrogene (effetti collaterali di farmaci, post-chirurgia, radioterapia), metaboliche (come sindrome di Cushing, amiloidosi, ipotiroidismo), miopatiche (miastenia gravis, distrofie muscolari), infettive (difterite, Lyme, HIV), neurologiche (sclerosi multipla, SLA, malattie neurodegenerative), strutturali (diverticoli, web cervicali, neoplasie), oltre ad anomalie dentali e altre malattie sistemiche. La valutazione clinica deve quindi considerare un vasto spettro di patologie, richiedendo spesso un approccio multidisciplinare.
È fondamentale comprendere che la disfagia non è semplicemente un problema meccanico, ma può riflettere alterazioni neurologiche o sistemiche di grande impatto sulla qualità di vita e sulla prognosi. La consapevolezza dell’importanza di una diagnosi tempestiva e di un trattamento appropriato, che può includere riabilitazione, terapia farmacologica o interventi chirurgici, è cruciale per ridurre le complicanze, soprattutto in popolazioni fragili come gli anziani. L’attenzione ai segnali premonitori, alle caratteristiche specifiche dei sintomi e alla complessità delle fasi della deglutizione consente di orientare correttamente la gestione clinica.

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