Quando osserviamo un'opera d'arte, soprattutto una così ricca e dettagliata, non possiamo fare a meno di rimanere incantati dalla bellezza delle sue sfumature e dai mondi nascosti tra i tratti delicati del pennello. Un'opera che può sembrare semplicemente una scena di corte o una rappresentazione mitologica, in realtà può rivelare più di quanto l'occhio inizialmente percepisce. Un quadro che richiede mesi di lavoro e che utilizza pennelli così sottili che ogni singolo tratto può essere visto solo a distanza ravvicinata, come un inno al dettaglio e alla precisione.

Abu Zayd, un uomo che aveva avuto il privilegio di osservare questi capolavori da vicino, ha raccontato di un quadro che lo aveva particolarmente colpito. Si trattava di una scena che ritraeva Gayumars, il primo re della Persia, leggendario sovrano che governava un regno primordiale, dove gli uomini vivevano ancora nelle caverne, drappeggiati in pelli di animali. Un regno lontano dalla nostra comprensione, dove il palazzo del re non era di pietra e marmo, ma di rocce naturali che emergevano come se la stessa natura avesse creato il cortile e il trono. Il pittore, Sultan Muhammad, in un atto di straordinaria invenzione, aveva creato un paesaggio dove le rocce si intrecciavano con la vita, creando una rappresentazione che sfidava ogni logica umana.

Ogni figura, ogni gesto, sembrava raccontare una storia, ma a catturare l'attenzione di Abu Zayd non erano le persone o gli animali addomesticati. No, ciò che lo affascinava erano le rocce stesse. All'inizio, pensò che fosse solo la bellezza dei colori, come se un arcobaleno si fosse posato sulla montagna, ma poi si rese conto che le rocce nascondevano altro. L'artista aveva imbastito messaggi nascosti tra le linee fluide delle pietre, in ogni crepa e curva. Più osservava, più scopriva, ma non sempre riusciva a distinguere ciò che era stato voluto dall'artista da ciò che era frutto della sua mente. Le rocce sembravano vive, animate da draghi feroci, leoni, e persino topi e conigli. Un mondo di creature esistenti solo tra le pieghe del pennello.

Questo ci invita a riflettere su come l'arte non sia solo ciò che vediamo in superficie. A volte la percezione del mondo che ci circonda viene alterata da uno sguardo più profondo, e ciò che pensiamo di essere un semplice dettaglio, diventa un racconto più ampio, una riflessione nascosta. Le rocce, in questo caso, sono simbolo di come un semplice elemento naturale possa essere trasfigurato in una narrazione complessa e stratificata.

A proposito di pittura, si potrebbe anche chiedere se le meraviglie che vediamo siano sempre frutto della mano dell'artista o se, in alcuni casi, non siano i nostri occhi a rivelarci, in momenti di abbandono e riflessione, ciò che l'arte suggerisce. Abu Zayd stesso si chiedeva se le visioni che scorgeva nelle pietre fossero davvero il risultato dell'arte o delle allucinazioni provocate da un po' di vino. E questo ci porta a una domanda più profonda: l'arte è sempre oggettiva o dipende anche dal nostro stato mentale e dalla nostra sensibilità in un determinato momento?

Nella cultura persiana, come in molte altre tradizioni artistiche, c'è una continua ricerca della verità attraverso la bellezza. Ma questa bellezza è spesso complessa e non sempre facilmente accessibile. Ogni quadro, ogni scrittura, ogni architettura è una finestra su un mondo che sfida la percezione immediata. Il processo di creazione artistica si intreccia così con quello della percezione e della comprensione. La bellezza può essere vista in mille modi, e forse, in ogni modo in cui la guardiamo, vediamo anche un riflesso di noi stessi.

Tuttavia, il pensiero critico deve essere sempre parte di questa riflessione. L’arte, soprattutto quella di grande valore storico e culturale, non può essere separata dal contesto in cui è stata creata. Ogni dettaglio, ogni tratto, ogni simbolo racchiude in sé una storia che va oltre l’immagine. È essenziale non solo apprezzare la bellezza dell’opera, ma anche cercare di comprenderne il significato più profondo, la sua origine, e il contesto in cui si inserisce. Questo approccio non solo arricchisce la nostra esperienza estetica, ma ci permette anche di entrare in contatto con la cultura che l’ha generata.

Come la cultura materiale Islamica può essere raccontata attraverso la narrazione artistica e la fiction storica?

Le illustrazioni nei manoscritti islamici, destinate ai patrizi facoltosi, ci offrono uno spunto importante per la comprensione della cultura materiale pre-moderna. Le immagini che popolano questi manoscritti ritraggono persone di varie età, etnie e classi sociali, che si muovono in ambienti urbani diversi, come moschee, case, taverne, caravanserragli e mercati, ma anche in contesti rurali. Le storie, che spesso richiedono ai protagonisti di viaggiare via mare, offrono agli illustratori l'opportunità di rappresentare con precisione le imbarcazioni commerciali. Gli illustratori più capaci erano sensibili a ogni dettaglio: dall'abbigliamento all'architettura, dagli strumenti musicali agli arredi domestici, fino alle tende dei viaggiatori e pellegrini. È questo mondo materiale che storici dell'arte e archeologi tendono a esplorare maggiormente, sebbene resti secondario rispetto al testo di al-Hariri.

Le pitture sui manoscritti sono una fonte preziosa per lo studio della cultura materiale islamica pre-moderna e delle pratiche artigianali, sebbene il loro potenziale in questo campo resti ancora parzialmente inespresso. L'analisi di un dipinto del XV secolo che rappresenta la costruzione del castello di Khwarnaq, ad esempio, è solo una delle tante risorse che potrebbero essere utilizzate per esplorare questi aspetti.

Nel contesto di un libro che si ispira a al-Hariri, si è scelto di non concentrarsi sulla virtuosità linguistica, un campo in cui pochi studiosi avrebbero desiderato competere, ma piuttosto sui traguardi artistici del mondo islamico. Il libro adotta i personaggi principali di al-Hariri, come al-Harith e Abu Zayd, ma li arricchisce con due figure aggiuntive. La prima è Aisha, la figlia di al-Harith, che viaggia con lui e funge da narratrice in molte delle storie. La seconda è Salim, il servo di al-Harith, che lo assiste negli affari e possiede una vasta conoscenza religiosa. Seguendo l’esempio delle Maqamat, al-Harith è un mercante coinvolto in vari tipi di commercio locale e internazionale, un elemento che gli consente di viaggiare molto, con ogni capitolo ambientato in una località specifica, comprese aree oltre i confini del mondo islamico.

Il testo di al-Hariri non specifica date o periodi dell’anno, ma si può presumere che gli incontri descritti si svolgano nel corso di anni o al massimo di uno o due decenni. La principale differenza con il presente libro è che i quattro protagonisti — al-Harith, Aisha, Salim e Abu Zayd — viaggiano non solo nello spazio, ma anche nel tempo. Così, la prima storia è ambientata nel 660 d.C. e l'ultima nel 2020. Ogni capitolo cerca di fare dei protagonisti dei prodotti del loro tempo; non portano con sé conoscenze del passato né premonizioni del futuro. L’intento è che le loro interazioni con l’arte e l’architettura siano radicate nelle percezioni e nelle credenze plausibili per l’anno in cui ogni capitolo è ambientato.

Nonostante questo approccio, non si può sfuggire a un’inevitabile anacronisticità, soprattutto nel linguaggio e nelle espressioni colloquiali. Poiché l'autore non ha accesso diretto alle lingue o agli stili letterari del tempo in cui è ambientato un capitolo, è necessario un adattamento stilistico che permetta una lettura fluida e accessibile. Inoltre, alcuni nomi di edifici e cortili post-datano il periodo in cui le storie sono ambientate, come nel caso dell'Alhambra, la cui denominazione di alcuni cortili risale al XIX secolo. È quindi chiaro che quest’opera ha un carattere speculativo e non si propone di imitare o riprodurre fedelmente le esperienze del passato.

In questo contesto, è essenziale riconoscere la difficoltà intrinseca nell'interpretare arte e cultura islamica a distanza di secoli. Autori come Chimamanda Ngozi Adichie hanno sottolineato i pericoli di una “storia unica”, dove l’esperienza di un popolo può essere ridotta, semplificata o travisata. Rappresentare una cultura o un gruppo significa sempre esercitare un certo controllo su di esso. Per questo, l'autore sottolinea che il libro, pur essendo composto da racconti separati, non pretende di essere una rappresentazione definitiva di persone o luoghi, ma un’opportunità di dialogo.

Il fine di questa narrazione è esplorare l'arte islamica in modo che il lettore possa percepirla sotto nuove luci. Questo approccio invita a riflettere sull'evoluzione degli oggetti, sui loro significati nel tempo e sul ruolo che l'arte ha avuto nella società. Ogni oggetto discusso nel libro invita a una lettura che spazia dalle questioni iconografiche e estetiche all'analisi delle sue funzioni sociali. La trasformazione dei significati degli oggetti, quando attraversano confini culturali e geografici, è un altro tema centrale di queste storie.

Tuttavia, ciò che distingue questo libro da altri studi sull'arte islamica è l'intenzione di usare la narrativa per stimolare una discussione sul valore di ogni oggetto, monumento o idea trattata. L'autore si ispira al progetto del podcast A History of the World in 100 Objects, dove oggetti scelti vengono utilizzati per esplorare temi più ampi come lo sviluppo tecnologico, lo scambio di beni e l'espressione di identità sociali e culturali. Così, i capitoli del libro attingono a storie che emergono da artefatti, cercando di rivelarne le connessioni con il contesto sociale e culturale. Ogni oggetto esamina sia le sue proprietà fisiche che il suo impatto visivo e funzionale.

In ogni caso, questo libro non intende sostituire le introduzioni più tradizionali sull'arte islamica e sull'archeologia, ma vuole integrarle offrendo un altro modo di interagire con le grandi questioni sollevate dallo studio degli oggetti e degli edifici islamici. Il libro punta a stimolare nuove conversazioni, mettendo in discussione le interpretazioni già esistenti e dando voce a diversi modi di vedere la cultura islamica attraverso la narrativa.