Quando mi trovavo di fronte alla questione del visto per partecipare a una conferenza internazionale, il mio incontro con la diplomazia indiana mi ha rivelato quanto possa essere sottile e ambigua la gestione dei conflitti internazionali. Nonostante il mio status di scienziato di rilievo nel mio paese, la risposta che mi giunse dal governo indiano fu chiara nella sua implicazione, ma evitava un "No" ufficiale: il visto sarebbe stato negato, ma solo dopo il giorno della conferenza, senza che venisse mai messa in discussione la mia richiesta in modo diretto. La ragione, ovviamente, non riguardava la mia partecipazione scientifica, ma piuttosto la decisione politica di non esporsi pubblicamente in un contesto che avrebbe potuto essere sfruttato da Israele contro l’India. Questo episodio rappresentò una delle prime esperienze di quanto i diplomatici possano “trattare” i problemi: evitando una posizione esplicita, ma agendo indirettamente per impedirne la realizzazione.

Nel corso degli anni, le mie visite all’estero sono state numerose, con il Regno Unito che ha rappresentato uno degli approdi principali. Dal 1973, i miei viaggi si sono alternati tra visite brevi e alcune più lunghe, anche con la famiglia. Ogni occasione è stata preziosa per rinnovare i legami con colleghi e amici, in particolare con quelli conosciuti durante il mio periodo a Cambridge. Le città europee che ho visitato, come Cardiff, sono diventate luoghi non solo di lavoro, ma anche di crescita personale, poiché avevo l'opportunità di entrare in contatto con altre realtà accademiche e scientifiche. A Cardiff, in particolare, incontrai non solo i miei colleghi, ma anche famiglie che condividevano la nostra esperienza. La città divenne una sorta di seconda casa, con esperienze quotidiane che lasciarono un segno indelebile nella nostra vita.

Il 1976, per esempio, è rimasto nella mia memoria come l’anno in cui il clima in Gran Bretagna cambiò radicalmente, con un’estate di siccità che, in un paese abituato alla pioggia, creò enormi difficoltà. Mi trovavo all’Università di Cardiff, e ricordo bene come le misure di emergenza per far fronte alla scarsità d’acqua, come il riempimento delle vasche da bagno, fossero di una singolarità tale che difficilmente si sarebbero potute osservare altrove. Tuttavia, ciò che rimase impresso non fu solo la difficoltà di approvvigionamento idrico, ma anche la reazione della comunità. In quel contesto, perfino una comunità religiosa locale si organizzò per invocare la pioggia attraverso una cerimonia tradizionale. Questo episodio divenne un simbolo di come, anche in un paese altamente tecnologico e sviluppato, il legame con la tradizione possa emergere nei momenti di crisi.

Nel corso degli anni successivi, ho avuto l’opportunità di tornare in Inghilterra con maggiore frequenza. Ogni viaggio ha aggiunto qualcosa alla mia esperienza e comprensione del mondo accademico e culturale. Il mio soggiorno a Cardiff nel 1980-81, durante il quale ero in possesso di un permesso di lavoro e di una borsa di ricerca senior, è stato segnato dalla continuità del mio impegno scientifico e dalle preziose interazioni con colleghi, in particolare con il Professor Fred Hoyle, una delle figure più prominenti in astrofisica. Le lezioni che ho appreso durante quella permanenza, non solo di tipo accademico ma anche riguardo la vita quotidiana, sono rimaste con me.

Un episodio che si è rivelato particolarmente utile fu quello legato alla mia pensione. Quando dovetti decidere se aderire nuovamente al sistema pensionistico del Regno Unito, un consulente mi spiegò con chiarezza il vantaggio a lungo termine di quella scelta. Nonostante inizialmente avessi pensato che la mia pensione futura fosse irrisoria, l'approfondita spiegazione mi convinse a rientrare nel sistema, e oggi posso dire che quella decisione è stata una delle migliori prese nella mia vita. La lezione che ne trassi fu che, a volte, le scelte che sembrano insignificanti, se prese con una prospettiva adeguata, possono rivelarsi cruciali nel lungo periodo.

Le esperienze che ho vissuto a Cardiff e nelle altre città che ho visitato sono state formative, non solo sotto il profilo professionale, ma anche per la crescita delle mie figlie, Geeta e Girija, che si sono integrate senza difficoltà nel sistema scolastico britannico. In India, l’ammissione a una scuola comporta spesso una serie di difficoltà burocratiche e sociali; in Inghilterra, invece, l’intero processo fu sorprendentemente semplice. La scuola che le ragazze frequentavano, con classi di sole venti persone, permetteva una didattica personalizzata, una rarità che mi colpì profondamente rispetto all’esperienza scolastica indiana. I metodi di insegnamento erano moderni, e persino un esperimento di geometria che coinvolgeva la costruzione e la misurazione dei triangoli mi colpì per la sua efficacia pratica nel trasmettere concetti astratti.

Un aspetto della vita all’estero che non posso non menzionare è la sfida di adattarsi a un contesto sociale e culturale che, pur essendo occidentale, non è mai stato del tutto privo di difficoltà. La vita quotidiana, come l’acquisto di una macchina usata, non sempre va come ci si aspetterebbe. Nel nostro caso, la macchina che avevamo acquistato si rivelò difettosa, con il motore che si ruppe poco dopo averla acquistata, un’esperienza che, purtroppo, fece parte della nostra vita all’estero. A volte è proprio nelle difficoltà pratiche che si apprendono lezioni importanti sulla pazienza, sulla gestione dei problemi quotidiani e sulla capacità di risolverli con pragmatismo.

Le esperienze, dunque, non si limitano solo ai successi professionali o accademici, ma includono anche gli episodi quotidiani, quelli che sembrano banali ma che, in realtà, sono essenziali per costruire una vita all'estero ricca di significato. Non c’è solo il lavoro o lo studio; c’è anche il contesto in cui essi si svolgono e le sfide che si affrontano al di fuori delle aule o dei laboratori.

Come una lettera copiata può cambiare il destino di una missione scientifica in India

Il periodo in cui Rajiv Gandhi assunse la carica di Primo Ministro dell'India suscitò grandi aspettative, quasi mitologiche, paragonabili a quelle della Camelot. L'entusiasmo che accompagnava il suo ingresso nell'ufficio sembrava alimentato da una visione innovativa e dinamica per il futuro del paese, con una particolare attenzione alla scienza e alla tecnologia. I scienziati, sentendosi finalmente parte integrante di un progetto di progresso, provarono una rinnovata sensazione di rilevanza. Tuttavia, nonostante le buone intenzioni, il processo di coinvolgimento non sempre si rivelò privo di ambiguità o di problematiche burocratiche.

Un esempio di queste complessità emerse durante la convocazione per far parte del Consiglio Scientifico per il Primo Ministro (SAC-PM), un organismo che Rajiv Gandhi creò nel gennaio del 1986 per consigliare e monitorare le politiche scientifiche del governo. Questo Consiglio, pur volendo separarsi dalla tradizione burocratica che caratterizzava i precedenti comitati scientifici, non evitò di ricorrere a mezzi che non riflettevano sempre la formalità che ci si sarebbe aspettati da un'istituzione di tale rilevanza.

La mia esperienza cominciò con una lettera che inizialmente suscitò una certa curiosità. La missiva era un invito per un evento importante legato al SAC-PM, ma, come notai subito, era chiaramente una copia. La lettera non era stata neppure scritta su carta intestata, ma era una carbon copy, un documento che aveva visto altre mani prima della mia. Nella parte superiore, il mio nome e indirizzo erano stati semplicemente sovrapposti a quelli di Ajit Wadekar, il capitano della squadra di cricket dell'India. Presumibilmente, il primo destinatario della lettera aveva rifiutato l'invito, e io, come secondo nella lista, avevo ricevuto la stessa missiva. La mancanza di un minimo sforzo per personalizzare l'invito mi suscitò un certo disprezzo. Non solo declinai l'invito, ma restituii la lettera sottolineando che sarebbe stata utile a loro se avessero deciso di contattare il terzo della lista.

Anche se questo episodio potrà sembrare insignificante, rappresenta un piccolo esempio di come, nonostante gli slanci idealistici e le promesse di rinnovamento, la macchina burocratica indiana – e in particolare quella associata alla scienza e alla tecnologia – fosse ancora radicata in pratiche obsolete. Questo paradosso tra il desiderio di modernizzare il paese e la realtà della sua amministrazione fu evidente fin dall'inizio.

Pochi mesi dopo, fui contattato dal Segretariato del Primo Ministro per partecipare alla prima riunione ufficiale del SAC-PM, che si sarebbe tenuta a Delhi. La richiesta arrivò in modo urgente, e sebbene avessi già una lezione programmata a Pune, le circostanze imponevano la mia partecipazione. Giunsi a Delhi con un volo prenotato per me, grazie all'efficace coordinamento del PMO, che si preoccupò di ogni dettaglio logistico, facendomi sentire quasi come un VIP, nonostante il mio ruolo marginale.

La città, però, si presentò avvolta da una nebbia densa, tipica di quei giorni invernali, e l’atmosfera di quella mattina al South Block, sede del governo, non poteva che sembrare surreale. La sicurezza era serrata a causa delle tensioni politiche interne, e il mio arrivo fu segnato da una serie di controlli formali. All’interno del South Block, tuttavia, l’ambiente era diverso rispetto a quello che avrei potuto immaginare. Il saluto caloroso del professor CNR Rao, presidente del SAC-PM, e l’efficienza del dottor Sidharth, nonostante il protocollo rigoroso, conferivano al tutto una sensazione di competenza e di serietà.

La riunione con Rajiv Gandhi, che avrebbe dovuto essere il nostro punto di riferimento, si svolse con un’impronta informale, a dispetto del contesto istituzionale. Durante la discussione, il Primo Ministro ci spiegò chiaramente le sue aspettative: il Consiglio avrebbe dovuto non solo fornire consulenze scientifiche, ma anche monitorare i progetti chiave e suggerire soluzioni per migliorare la diffusione della conoscenza scientifica tra la popolazione e tra i funzionari del governo. Il suo obiettivo era ambizioso: redigere un piano strategico per il ventunesimo secolo che utilizzasse la scienza e la tecnologia come leve per lo sviluppo e il progresso del paese.

Il Consiglio avrebbe dovuto lavorare come un’entità indipendente, senza le limitazioni di una burocrazia statale, e il Primo Ministro si impegnava a garantirci la libertà di esprimere le nostre opinioni senza temere le ripercussioni politiche. Ma nonostante questo, c’era sempre la sensazione che le alte sfere del potere politico non potessero abbandonare del tutto la tendenza a voler controllare ogni aspetto, anche le migliori intenzioni scientifiche.

In definitiva, ciò che emergeva chiaramente dalla mia esperienza è la dissonanza tra la visione e la realtà. La missione del SAC-PM, come quella di molti altri comitati scientifici e governativi, era ambiziosa, ma la sua attuazione si trovava spesso ostacolata da pratiche amministrative antiquate e dalla difficoltà di tradurre idee elevate in azioni concrete. In fin dei conti, anche i più sinceri sforzi di riforma rischiano di incagliarsi in un sistema che, pur essendo in grado di avvalersi delle migliori risorse scientifiche, non sempre è pronto a liberarsi delle sue eredità burocratiche.

Quali sono le lezioni che rimangono dopo un viaggio che cambia la vita?

La memoria di quei giorni è ormai sfocata nei dettagli, ma l’impressione che ne ho ricavato rimane forte e chiara. Ogni viaggio è una lezione che ci insegna a guardare al mondo con occhi diversi, e il mio viaggio attraverso l'Europa, che mi ha portato prima a Bruxelles e poi a Edimburgo, è stato una delle esperienze più formative. Quella settimana a Bruxelles, ad esempio, mi ha mostrato il potere della tecnologia, della scienza e delle meraviglie che la mente umana è in grado di concepire, realizzare e portare a compimento.

Il Padiglione Atomium, simbolo della Fiera Mondiale di Bruxelles, rimane come una testimonianza di una visione che, sebbene fosse una proiezione futuristica a quel tempo, è ora parte della realtà quotidiana. Quando ho visitato la fiera, sono rimasto sorpreso dalla rapidità con cui i progressi tecnologici proposti divennero realtà, trasformando il futuro in presente in un lasso di tempo incredibilmente breve. Quello che una volta sembrava fantascienza è ora diventato parte integrante delle nostre vite quotidiane. La velocità con cui la tecnologia si fa strada nella nostra esistenza è, senza dubbio, una delle lezioni più significative di quel viaggio. Tuttavia, non posso fare a meno di notare come la partecipazione di alcuni Paesi, come l'India, non fosse altrettanto affascinante o visibile.

Una delle esperienze più significative di quel soggiorno fu senza dubbio la generosità e l'ospitalità della famiglia Mercier. Questi belgi non solo mi mostrarono la città e la sua cultura, ma mi fecero anche provare una varietà di piatti tradizionali che mi permisero di apprezzare meglio la cucina locale. Nonostante mi fosse messo a disposizione un'automobile con autista per i miei spostamenti, spesso sceglievo di prendere il tram, che si rivelava essere più veloce e comodo rispetto alla versione indiana che avevo conosciuto a Bombay.

Un altro momento indimenticabile fu il picnic che la famiglia Mercier organizzò a Jeanloo, una località vicino a Waterloo, dove ci trovammo di fronte al famoso memoriale del leone, simbolo della storica battaglia. In quei momenti, capii quanto le radici storiche di un Paese possano influenzare il presente e la sua cultura, un tema che poi avrei riflettuto a lungo nel corso dei miei viaggi futuri. La tranquillità di quella giornata trascorsa nella campagna belga, immersi nella natura e nella storia, mi offrì una prospettiva del mondo che non avevo mai considerato prima.

Da Bruxelles, il viaggio proseguì verso Londra, e da lì, con un viaggio che durò ben quattordici ore, giungemmo infine a Edimburgo. La città, con il suo fascino e la sua atmosfera unica, si presentò come un centro culturale e accademico di altissimo livello. Durante il mio soggiorno, fui immerso nell'arte e nella cultura locale, assistendo a spettacoli di teatro, danza e musica durante il Festival di Edimburgo, che è uno dei più prestigiosi al mondo. Tuttavia, ciò che mi impressionò maggiormente fu l’esperienza del Military Tattoo, un evento che si svolgeva contro lo sfondo del castello storico della città.

Il British Council organizzò anche visite ai principali luoghi storici della città, come il Castello di Edimburgo e altre meraviglie architettoniche. Ogni angolo della città mi parlava di storia, cultura e di un'intensa vita intellettuale che non solo mi arricchiva, ma mi portava a riflettere sulla potenza di una società che dà grande valore alla cultura e alla conoscenza. Un incontro particolare avvenne a Princes Street, quando incrociai la coppia di famosi intellettuali Maharashtriani, i coniugi Deshpande, che erano in viaggio di studi. Fu una coincidenza fortuita che segnò un altro dei tanti legami che i viaggi creano tra persone provenienti da angoli lontani del mondo.

Ogni esperienza di viaggio non è solo una scoperta dei luoghi, ma anche un modo per riflettere su se stessi e sul proprio posto nel mondo. Dopo aver trascorso qualche giorno ad Edimburgo, la mia mente si era arricchita di nuovi pensieri, e avevo acquisito una visione del mondo più ampia e sfaccettata. L'interazione con altre culture, la scoperta di nuovi stili di vita e la possibilità di assistere a performance artistiche e storiche uniche hanno reso questo viaggio qualcosa di irripetibile.

Tornando alla realtà della vita quotidiana di uno studente, mi resi conto che, sebbene le esperienze che stavo vivendo fossero straordinarie, nulla potesse sostituire il senso di appartenenza e la connessione con la mia terra natale. La distanza e le sfide quotidiane non facevano altro che rafforzare il mio legame con la mia cultura e le mie tradizioni.

È importante ricordare che ogni viaggio, anche il più breve, può insegnarci lezioni fondamentali non solo su quello che vediamo, ma anche su come percepiamo il mondo. Le differenze culturali, la storia che un luogo porta con sé e la maniera in cui la gente vive e pensa possono arricchire profondamente il nostro punto di vista, amplificando la nostra capacità di comprendere e apprezzare le diversità. Un viaggio, quindi, non è mai solo un movimento fisico, ma un processo di crescita interiore.

La ricerca, la scoperta e la vita accademica: un racconto di esperienze indimenticabili

Quando mi trovavo al Herstmonceux, ero consapevole di essere immerso in un ambiente stimolante e ricco di opportunità. Come ricercatore sotto la supervisione di Fred Hoyle, il mio obiettivo era sviluppare e affinare le idee che avrei successivamente portato avanti. La mia ricerca riguardava l'astronomia, un campo vasto e affascinante che, sebbene complesso, prometteva risposte a domande fondamentali sul nostro universo.

Le notti trascorse a osservare il cielo, armati di telescopi, sono tra i ricordi più vividi. Ricordo in particolare una notte, il 19 luglio, quando festeggiai il mio compleanno con Bernard Pagel. Utilizzammo un telescopio da 36 pollici per ottenere gli spettri di alcune stelle. La serata era perfetta, il cielo limpido e l'osservazione così produttiva che proseguimmo fino all’alba. Pagel, per mantenere alta la nostra energia, portò con sé panini, mele e una teiera piena di tè caldo, che apprezzammo molto nelle prime ore del mattino. Dopo una simile notte, il sonno non tardò a farmi sentire il suo richiamo, e mi rifocillai con un sonno profondo di quattro ore nel pomeriggio.

Durante il mio soggiorno a Herstmonceux, mi dedicai anche a lungo alla ricerca nelle biblioteche. Fu proprio in quel periodo che mi imbattei in un risultato interessante riguardo alla creazione della materia, che suggeriva che se l'universo avesse avuto una durata sufficientemente lunga nel passato, la creazione di nuova materia avrebbe potuto generare una regolarità nella sua struttura su larga scala. Quella scoperta, comunicata a Hoyle, suscitò grande entusiasmo e fu presentata a una riunione della Royal Society. Questo lavoro, successivamente, divenne il nucleo del mio saggio per il premio Smith’s Prize, un riconoscimento che avrei cercato di ottenere l'anno seguente.

Tra un esperimento e l'altro, le giornate al campus non erano tutte concentrate esclusivamente sullo studio. Vi erano anche occasioni sociali, come il gioco del croquet con il direttore astronomico Sir Richard Woolley o gli eventi di danza campestre. Ma una delle esperienze più stravaganti e memorabili fu una festa elegante organizzata da Lord e Lady Killearn. Un ballo formale, che richiedeva l'abito da sera, e a cui, benché invitati, pochissimi studenti parteciparono, dato che l'evento richiedeva un certo grado di formalità che non si adattava al nostro stile di vita accademico. Fu un'occasione che sembrava uscita direttamente da un romanzo di P.G. Wodehouse, con le giovani leve della società impegnate in festeggiamenti fino alle prime luci dell'alba.

Non tutto, però, era lavoro e feste. Al Herstmonceux, oltre alla scienza e alle attività sociali, ci si nutriva anche di letture. Eggen, un collega di studi, mi passò una serie di romanzi di Perry Mason dalla sua collezione privata. Era il mio primo incontro con Earl Stanley Gardner, e le storie misteriose mi affascinarono fin da subito. Ma non solo libri: anche storie di fantasmi animavano il castello. Si raccontava che la residenza fosse abitata dallo spirito di un tamburino, che si diceva si aggirasse per la torre.

Le settimane passarono velocemente, e alla fine di questa esperienza accademica, prima di partire, vincerei anche il torneo di ping pong, battendo in finale nientemeno che Stephen Hawking, un altro degli studenti che sarebbero poi diventati figure di spicco nell'astronomia. A Herstmonceux avevo avuto l'opportunità di conoscere giovani come Carol Jordan, Michael Friedjung e George Miley, che avrebbero avuto carriere brillanti nel mondo dell’astronomia.

Alla fine di agosto, il mio soggiorno accademico si concluse, ma una nuova avventura mi attendeva. Dovevo raggiungere la famiglia Hoyle per una vacanza in campeggio a Cornwall. Era il momento di conoscere meglio Geoff, il figlio di Fred, e trascorrere qualche settimana insieme. Il campeggio si trovava vicino a Bedruthan Steps, in una fattoria accogliente. La routine giornaliera era meno rigida: le donne dormivano nel caravan, mentre gli uomini, me compreso, nella tenda. Il tempo trascorso insieme, tra passeggiate nella campagna e visite ai villaggi vicini, mi permise di staccare completamente dalla frenesia accademica. Tuttavia, anche durante il campeggio, continuavo a riflettere sui miei progetti di ricerca, come l'idea di Bondi riguardante i neutrini e il concetto di "freccia del tempo" di Wheeler e Feynman. Le chiacchierate con Geoff e gli altri membri della famiglia Hoyle alimentavano ulteriormente il mio interesse per queste teorie, mentre la cucina improvvisata e le lunghe passeggiate nei paesaggi selvaggi di Cornwall arricchivano il quadro di questa esperienza.

Nel frattempo, il mondo continuava a cambiare, e mi ricordo di un particolare evento che catturò la mia attenzione in quei giorni: la costruzione del muro di Berlino. Le notizie che leggevamo dai giornali locali ci ricordavano quanto fosse incerto e imprevedibile il panorama geopolitico, mentre il nostro cammino di ricerca scientifica sembrava, in un certo senso, offrire un rifugio da queste turbolenze.

Viaggi, incontri e scoperte arricchirono la mia esperienza e mi prepararono per la prossima fase del mio percorso accademico. Nel settembre di quell’anno, Barbara propose di visitare Parigi per un paio di settimane. Nonostante avessimo già esplorato parte della Francia, il richiamo della città della luce era irresistibile, e così, con entusiasmo, ci preparavamo per questa nuova avventura.

La sfida della descrizione del comportamento delle particelle subatomiche: il viaggio tra la teoria dell'azione a distanza e la teoria quantistica

Nel 1962, vinsi il premio Smith e nel 1967 il premio Adams. Inviato un telegramma con queste informazioni dalla principale sede postale, fui accolto dallo stesso impiegato che qualche tempo prima mi aveva fatto i complimenti per i miei precedenti riconoscimenti e successi negli esami! Questo lavoro segnò la conclusione di un programma teso a descrivere le teorie ‘classiche’ del campo in termini di azione a distanza, ovvero senza l’intermediazione di campi. Non è il caso di entrare in una discussione approfondita sulle meriti rivali dei campi rispetto all'azione a distanza, ma possiamo affermare che, dal nostro punto di vista (cioè di Fred e mio), l'approccio dell'azione a distanza aveva il pregio di integrare elegantemente la grandiosa struttura dell'universo su larga scala con la minuscola dimensione delle particelle subatomiche. Il lavoro pionieristico di Wheeler e Feynman ci aveva indicato la via per ottenere questa sintesi. Tuttavia, questa via ci condusse verso una nuova sfida.

Quando si descrive il comportamento delle particelle subatomiche, non è possibile applicare le regole di movimento di Isaac Newton, ma occorre far ricorso alla teoria quantistica. La necessità di adattare il nostro lavoro recente alla teoria quantistica si presentava come un compito arduo e, nel 1964, Richard Feynman mi aveva avvertito che questa impresa avrebbe potuto rivelarsi insormontabile. Difatti, Feynman, trovando troppo difficile questo percorso, si era rivolto alla teoria del campo, mostrando come renderla compatibile con la teoria quantistica. John Wheeler aveva seguito lo stesso esempio, adottando la teoria del campo per gli stessi motivi. Wheeler descriveva questo cambiamento di atteggiamento come quello di un alcolista che diventa astemio: il convertito si attacca alla sua nuova fede con maggiore fervore di una persona che non ha mai avuto dipendenze. Così, Fred e io ci eravamo avventurati in un percorso che Wheeler e Feynman avevano abbandonato, ritenendolo troppo difficile.

In quel periodo, sentivo che le vacanze estive del 1967 avrebbero potuto essere utilizzate al meglio se avessi visitato gli Stati Uniti per un periodo di tre mesi presso l'Università del Maryland. Howie Laster, che avevo conosciuto nel 1964 quando aveva visitato il DAMTP, mi aveva invitato al dipartimento di fisica e astronomia di cui era presidente. I mesi di luglio e settembre sembravano i migliori per questo scopo, in quanto le vacanze universitarie sarebbero cominciate in quel periodo e, essendo ora un impiegato universitario, dovevo rispettare le normative sul congedo. Inoltre, l’edificio dell'Istituto non era ancora stato completato e quindi il programma accademico completo sarebbe iniziato solo nell'ottobre del 1967.

Questa visita, però, aveva anche un lato negativo. Fred aveva invitato un gran numero di visitatori dagli Stati Uniti, tra cui i Burbidges, Willy Fowler, Robert Wagoner, Donald Clayton, e altri. Sebbene non ci fosse spazio reale per accogliere tutti questi visitatori, mi sarebbe mancata la loro compagnia mentre intraprendevo la transizione inversa dal Regno Unito agli Stati Uniti. Barbara, come padrona di casa per tutti questi visitatori, si era distinta nell’organizzare cene, feste e tè pomeridiani. Inoltre, aiutava chi aveva bisogno di sistemazioni temporanee. In particolare, i Wagoner, Bob e Lynn, con la loro figlia piccola Alexa, stavano cercando un appartamento per due mesi. Barbara suggerì di farli soggiornare nel nostro appartamento mentre noi eravamo negli Stati Uniti. Mangala ed io accettammo, anche se ciò significava dover spostare parte dei nostri bagagli nella mia stanza del college a King's. E a King's mi era stato chiesto di lasciare la mia stanza più spaziosa (A4) per una più modesta (A5), dato che, essendo sposato, non avevo più bisogno di tanto spazio.

Nel mese di maggio, mi ero lasciato coinvolgere da una scommessa con Priya Wickramasinghe, che avrei poi perso. La scommessa riguardava il nostro amico neozelandese Brent Wilson, che aveva sempre fatto dichiarazioni forti contro il matrimonio, dichiarandosi un convinto single. Un giorno arrivò con una ragazza di nome Anna, proveniente dalla Nuova Zelanda, che conosceva bene la sua famiglia. In un certo senso, lui era stato incaricato di mostrarle il Regno Unito. Priya era convinta che Brent avrebbe sposato Anna e mi sfidò a una scommessa. Se si fossero fidanzati entro un certo periodo, avrei dovuto preparare un pranzo completo per Priya, Chandra, Mangala e me. Se non si fossero fidanzati, sarebbe stata Priya a invitarci tutti al ristorante francese "Le Jardin". Alla fine, come prevedibile, Priya aveva vinto. Brent e Anna si erano fidanzati, e così, con una certa dose di rammarico, avevo dovuto cucinare un pasto indiano per il nostro gruppo.

Quella fu una visita memorabile negli Stati Uniti, che Mangala ed io ricordiamo con affetto. Ci accompagnarono Chandra e Priya, il che rese la compagnia ancora più piacevole. Chandra aveva ricevuto anche lui un invito dall'Università del Maryland, da Garth Westerhout del dipartimento di astronomia. Prima di arrivare a Maryland, però, decidemmo di fare una tappa in Canada, dove si teneva l'Expo 67 a Montreal, una manifestazione che mi ricordava quella che avevo visitato nel 1958 a Bruxelles. Prenotammo un hotel a Montreal con largo anticipo, poiché l’afflusso di visitatori era enorme. Nonostante ciò, non riuscimmo ad evitare le lunghe code, e la fiera risultò essere un’esperienza più faticosa che piacevole. Dopo Montreal, ci dirigemmo verso Buffalo, passando per Toronto. L’immigrazione statunitense ci permise di attraversare senza troppe formalità. In Buffalo, noleggiammo una macchina e visitammo le cascate del Niagara, sia dalla parte americana che da quella canadese. Fu una giornata indimenticabile, che ci lasciò però con una certa delusione per l'affollamento, tipico delle vacanze scolastiche in Nord America.

La storia di quel periodo rivela la difficoltà di applicare teorie fisiche complesse, come la teoria dell'azione a distanza e la teoria quantistica, in un mondo dove la ricerca continua a porsi nuove sfide. Non è sufficiente risolvere i problemi in modo isolato, ma occorre integrarsi con le scoperte degli altri, adattandosi ai cambiamenti e alle difficoltà del percorso. La ricerca scientifica, come il viaggio stesso, è fatta di incertezze e di momenti di riflessione, dove la compagnia e il supporto reciproco diventano fondamentali per affrontare le difficoltà più grandi.