Le bambole, con la loro imponente intelligenza, erano la nuova frontiera della tecnologia, eppure, nonostante la loro straordinaria capacità di rispondere a qualsiasi domanda, nessuno sembrava prestare attenzione a ciò che offrivano. La città era affollata, le strade piene di gente che passava senza nemmeno guardare la porta di Microcom, la cui fama di centro di conoscenza tecnologica sembrava non aver scalfito il cinismo della maggior parte degli abitanti. Il piccolo negozio, dall'apparenza innocua, celava al suo interno un segreto: cento bambole elettroniche, tutte uguali, ognuna con una mente superiore che avrebbe potuto dare risposte a qualsiasi richiesta. Eppure, chi si avvicinava a quel luogo lo faceva con sospetto, come se ci fosse qualcosa di oscuro nell'aria. Ogni giorno, qualcuno tentava di entrare, ma pochi osavano oltrepassare la soglia.
Tidy, il custode del negozio, osservava la scena con un misto di curiosità e indifferenza. Sapeva che le bambole avevano un potenziale straordinario, ma non riusciva a capire perché, nonostante la loro evidenza, la gente non fosse disposta a utilizzarle. La porta, nonostante non fosse mai chiusa, sembrava un ostacolo invisibile che impediva agli utenti di entrare. Solo due uomini, costantemente presenti, avevano sfidato quella barriera. Ogni pomeriggio, come un orologio ben oliato, entravano, usavano le bambole per tre ore e poi se ne andavano. Non un saluto, non una parola di più, eppure lasciavano un segno, una sensazione strana nell'aria.
Tidy, che si considerava un uomo semplice, non avrebbe mai immaginato che quelli che sembravano due clienti come tanti avessero un interesse più profondo e pericoloso di quanto immaginasse. Uno di loro, un giovane Daniel Jordan, proveniente da un'entità misteriosa chiamata SPAC, era un uomo determinato, il cui unico scopo sembrava essere la ricerca di una figura leggendaria, qualcuno che lui chiamava "Justice". Ma chi o cosa fosse veramente "Justice" non era ancora chiaro. La sua esistenza sembrava una favola, un mito di cui nessuno sembrava parlare, eppure il giovane era convinto che dietro le parole, dietro ogni traccia lasciata nel mondo, ci fosse una verità sepolta.
Daniel e il suo compagno si rivolgevano alle bambole non solo per raccogliere informazioni, ma per cercare indizi nascosti, pezzi di un puzzle che, se montato correttamente, avrebbe portato alla scoperta della vera identità di "Justice". Le bambole, dotate di intelligenza straordinaria, non dimenticavano mai nulla, ma le informazioni che raccoglievano erano di natura così vasta e frammentata che solo qualcuno con una mente fine, come quella di Daniel, sarebbe riuscito a mettere insieme i pezzi. La sua ricerca non era orientata a scoprire dove si trovasse questa figura enigmatica, ma chi fosse veramente, quali segreti avesse nascosto nel corso della sua esistenza.
Tidy, che osservava tutto da lontano, era affascinato e spaventato allo stesso tempo. Non riusciva a comprendere fino in fondo il motivo per cui Daniel fosse così ossessionato dalla figura di Justice. Per lui, la vita aveva preso una piega che non aveva più senso: il mondo sembrava essersi spezzato da tempo, eppure lui rimaneva in un angolo, legato alle bambole e al suo lavoro. La sua realtà era quella di un uomo che, pur avendo visto tanto, non riusciva a comprendere la vastità delle forze in gioco. La mente di Daniel era come una mappa che collegava fili invisibili, cercando di svelare una verità che nessuno sembrava voler affrontare.
In fondo, la domanda che persisteva era questa: e se "Justice" fosse reale? Se esistesse davvero una figura capace di sovvertire l'ordine delle cose, di cambiare il corso della storia? Daniel sembrava pensare di sì, e per questo motivo era pronto a inseguire ogni traccia, a risolvere ogni enigma. La sua ricerca era destinata a scontrarsi con un mondo che non era pronto ad accettare la verità, che, forse, non era nemmeno in grado di comprenderla.
La presenza di Daniel, con il suo spirito instancabile, la sua determinazione a scoprire, si contrapponeva alla realtà di un mondo che ormai aveva perso la speranza. La gente, come osservava Tidy, sembrava non curarsene, rimanendo intrappolata in una spirale di disillusione. La figura di "Justice", se mai fosse stata reale, avrebbe potuto essere l'ultima speranza per un mondo che si stava lentamente spegnendo. Ma chi avrebbe avuto il coraggio di affrontare una verità così potente, così destabilizzante?
Sebbene non tutti avessero capito l'importanza di ciò che stava accadendo, il messaggio era chiaro: l'umanità, con la sua tecnologia e la sua ignoranza, non riusciva a vedere le forze che la stavano minacciando. La ricerca di Daniel, seppur misteriosa e contorta, rappresentava una speranza che pochi erano disposti ad abbracciare.
Il Dubbio dell'Amore e della Realtà: La Perdita di Sé attraverso gli altri
La sua voce era calma, troppo calma, come una nebbia che avvolgeva ogni pensiero. Lo guardava con uno sguardo che non lasciava spazio a dubbi, ma lo faceva con una freddezza che lo metteva a disagio. "Sapevo che lavoravi con i computer. Volevo che mi seguissi. Guarda intorno a te. Non c'è altra via d'uscita in questo vicolo, e conosco questi quartieri come conosco il palmo della mia mano." Non se n'era accorto, ma si era avvicinato a lei, fermandosi a un passo, come se ogni movimento fosse stato guidato da una forza invisibile.
"Volevo chiederti qualcosa", disse lei con una calma che sembrava il preludio di qualcosa di irreversibile. "Una vecchia domanda. Niente di nuovo. Vuoi rinunciare a tutto e venire via con me? Adesso? Farlo?" La domanda pesava nell'aria, e le sue parole colpirono il cuore di lui come un guanto di ferro.
"Paola", sussurrò, mentre le sue mani cercavano le sue spalle. Lei chiuse gli occhi un attimo, come se stesse cercando di contenere un dolore nascosto. Poi li riaprì, e i suoi occhi brillavano di una luce che lui non riusciva a decifrare. "Dio ti benedica, Daniel, ti amo", disse, e con un movimento rapido, le sue braccia avvolsero il suo collo, attirandolo verso di sé. I suoi baci non furono dolci, ma rapidi e pieni di un'urgenza che non riusciva a comprendere. Eppure, mentre la sua mente lottava con il senso di colpa, non si fermò.
Aveva immaginato questo incontro tante volte, ma non sarebbe mai stato come lo aveva sognato. L'amore, più di ogni altra cosa, lo stava chiamando, ma non il tipo di amore che si immagina. Era il bisogno di affetto, di intimità, di connessione che non avrebbe potuto essere sostenuto senza l'altro. Doveva conoscere di più di lei, capire, parlare, sentire, vedere. C'era un'esigenza di parole, di gesti, di comprensione reciproca. Chi era davvero Paola? E quale era il suo posto in un mondo che sembrava non avere più certezze?
Lì, però, stava tradendo se stesso. La ragione si fermò, la mente si svuotò, e le sue mani si muovevano come mosse da un istinto primordiale. Stava usando il corpo di Paola per comunicare qualcosa che non riusciva a esprimere con le parole. Si stava tradendo, e tutto ciò che aveva promesso le sembrava ormai vuoto. Si chiedeva se forse la vendetta fosse sempre stata la sua vera intenzione: farle male, mostrarle quanto poco significava per lui, rovinare tutto. Perché altro significato aveva quel gesto, se non il tentativo di annullare ciò che avrebbero potuto essere?
Lì, nel buio di quella notte, si ritrovò da solo, abbandonato. Le sue mani erano ancora bagnate dalle lacrime che aveva versato, ma Paola non c’era più. Non c’era più accanto a lui, come se fosse svanita nel nulla, lasciandolo a combattere una battaglia che non avrebbe mai vinto. L'amore che pensava di aver dato non c'era più. Lei l’aveva lasciato a completare un processo che sembrava senza fine.
Quando l'alba esplose sulle torri della città, una nuova realtà si stava già manifestando. Qualcuno aveva appeso un enorme striscione rosso tra due edifici. Sotto la debole brezza mattutina, le parole in bianco su entrambi i lati del banner sembravano gridare il loro messaggio a chiunque volesse ascoltare. "A chi di dovere: il Signor Giustizia ha una figlia." Le persone che passarono sotto quel messaggio non capivano, ma la vista di quel banner sembrava evocare una reazione collettiva. Qualcuno gridò, e l’eco della sua voce si diffuse come un incendio improvviso.
Arthur Bingle, dallo studio al piano alto di un grattacielo, restò immobile per un istante, sprofondando nell’emozione. Non capiva, ma una cosa era certa: avrebbe fatto di tutto per trovare quella figlia, per farle pagare il prezzo che sentiva dovesse essere pagato. Avrebbe usato ogni mezzo per annientarla.
Nel frattempo, il personaggio che aveva amato Paola, ora immerso in un mondo di nebbia e incertezze, cercava di decifrare il suo comportamento. Cosa significava essere così distante? Perché non reagiva alla vita con la passione che egli stesso sentiva di avere? Forse non l’aveva mai conosciuta veramente. Paola sembrava un essere privo di vita, una figura vuota, che non chiedeva nulla, non esprimeva desideri, non accettava sfide. Viveva senza scopo, come un oggetto messo da parte.
La domanda rimaneva senza risposta: chi era veramente Paola? Una ragazza che sembrava estranea al mondo, incapace di provare gioia, ma anche di piangere, di affrontare qualcosa di vero. Cos'era rimasto di lei, se non un'ombra che non riusciva a farsi strada tra le nebbie della sua stessa esistenza? La realtà, forse, era troppo per lei.
A questo punto, la riflessione su ciò che si è e ciò che si dà agli altri, su come le esperienze influenzino la nostra capacità di amare e capire, diventa essenziale. Gli altri non sono solo specchi di noi stessi, ma anche enigmi che dobbiamo imparare a decifrare, per non cadere nel rischio di vivere accanto a loro senza mai veramente conoscerli.

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