Nel contesto della produzione di idrogeno verde, la desalinizzazione dell'acqua rappresenta un aspetto fondamentale, soprattutto quando si utilizza l'osmosi inversa per trattare l'acqua marina. L'efficienza di un sistema di desalinizzazione è cruciale per garantire che la produzione di idrogeno sia sostenibile e priva di impatti ambientali negativi. Un esempio interessante di sistema commerciale per la desalinizzazione dell’acqua è il 10-SWRO Watermaker, progettato per produrre acqua dolce partendo da acqua di mare. Esaminiamo come dimensionare un sistema di desalinizzazione dedicato alla produzione di idrogeno.

Considerando la necessità di produrre 25.500 kg di idrogeno al mese utilizzando l’osmosi inversa per trattare l’acqua di mare, vediamo come calcolare la capacità del sistema di desalinizzazione. Il sistema in questione ha una capacità di produzione di 10.000 litri di acqua dolce al giorno, e consuma 4,5 kWh per ogni ora di funzionamento. Inoltre, si assume che l'elettrolizzatore consumi 13 litri di acqua per ogni kg di idrogeno prodotto. Per produrre 25.500 kg di idrogeno al mese, saranno necessari 11.050 litri di acqua dolce al giorno. Di conseguenza, sarà necessario un sistema che possa produrre questa quantità di acqua giornaliera, ovvero circa 1,15 unità del sistema descritto. La potenza necessaria per alimentare il processo ammonta a 124,2 kWh al giorno.

Assumendo una media di 5 ore di sole al giorno, la capacità necessaria di un impianto fotovoltaico per alimentare il sistema di desalinizzazione sarebbe di 24 kWp. Questo esempio mostra come la produzione di idrogeno possa dipendere strettamente dall’efficienza del processo di desalinizzazione, non solo dal sistema di elettrolisi.

La domanda economica che si pone è: quanto costerà l’energia per la desalinizzazione? Nel caso di un sistema che produce 25.500 kg di idrogeno al mese, il consumo energetico per desalinizzare 13 litri d'acqua, necessari per produrre 1 kg di idrogeno, si traduce in una richiesta di 0,14 kWh per kg di idrogeno. Questo valore è esiguo rispetto ai 49,9 kWh necessari per il processo di elettrolisi, e quindi l'energia richiesta per la desalinizzazione rappresenta una frazione minima (circa lo 0,27%) del totale dell'energia consumata nel sistema di produzione dell'idrogeno. Questo aspetto mette in evidenza l'importanza di ottimizzare ogni fase del processo per migliorare l'efficienza complessiva.

Dal punto di vista economico, è essenziale considerare vari fattori, tra cui il flusso di cassa (cash flow) e il valore attuale netto (NPV). Il flusso di cassa illustra gli ingressi e le uscite di capitale nel tempo, e consente agli investitori di comprendere la redditività del progetto. Il NPV, che viene calcolato sommando i flussi di cassa attesi, scontati al valore presente, è uno strumento fondamentale per valutare la fattibilità economica di un progetto di idrogeno verde. Un NPV positivo indica che l’investimento è redditizio, mentre un NPV negativo segnala che il progetto non è finanziariamente sostenibile.

Un altro parametro cruciale è il costo livellato dell’idrogeno (LCOH), che considera tutti i costi di costruzione, operazione e manutenzione di un impianto di produzione di idrogeno. Il LCOH fornisce una misura complessiva del costo per unità di idrogeno prodotto, ed è un indicatore chiave della competitività economica del progetto. Per esempio, se i costi iniziali di un sistema per la produzione di idrogeno ammontano a 5.221.272 dollari, con una produzione annuale di 90.910 kg, e un tasso di interesse dell'8%, il LCOH fornirà una stima di quanto costerà produrre ogni kg di idrogeno durante la vita dell’impianto. Sebbene il calcolo del LCOH sembri semplice, in realtà bisogna considerare che i vari componenti del sistema hanno durate diverse, come nel caso dei compressori o degli elettrolizzatori.

L’aspetto economico di un progetto di idrogeno verde non si limita solo al costo della produzione. È importante anche prevedere il ritorno sugli investimenti, stimando i flussi di cassa e applicando un tasso di sconto adeguato per tenere conto dell’inflazione e di altri rischi economici. Inoltre, i costi indiretti, come quelli associati all’installazione, alla manutenzione e alla gestione dei materiali, devono essere integrati nel calcolo complessivo.

Inoltre, il lettore deve comprendere che l’efficacia di un impianto di produzione di idrogeno verde non dipende solo dall'ottimizzazione tecnologica, ma anche dalla disponibilità e dal costo delle risorse naturali, come l'acqua e l'energia solare. I costi di approvvigionamento di acqua dolce tramite desalinizzazione e la disponibilità di energia solare influenzano direttamente la sostenibilità economica del progetto. La gestione del rischio legato alla variabilità delle risorse naturali è un elemento fondamentale nella pianificazione a lungo termine di un impianto di idrogeno verde.

Quali sono le opportunità e le sfide per lo stoccaggio dell’idrogeno in serbatoi sotterranei?

Lo stoccaggio dell’idrogeno in serbatoi sotterranei, in particolare in acquiferi salini e giacimenti di gas o petrolio esauriti, rappresenta una delle soluzioni più promettenti per la gestione a larga scala dell’idrogeno. Queste formazioni geologiche, che sono già utilizzate per lo stoccaggio di gas naturali o di petrolio, offrono numerosi vantaggi rispetto ad altre tecnologie di stoccaggio. Il principale è la loro disponibilità geografica globale: gli acquiferi salini si trovano in diverse regioni del mondo, offrendo quindi ampie opportunità per una distribuzione capillare dell’idrogeno a livello globale. A ciò si aggiungono i costi relativamente bassi di gestione e la lunga durata di stoccaggio che queste formazioni geologiche possono garantire, rendendo lo stoccaggio sotterraneo un’opzione economicamente vantaggiosa.

Secondo le stime attuali, il costo di stoccaggio dell’idrogeno negli acquiferi salini è di circa 1,90 dollari al chilogrammo, con previsioni che indicano una riduzione a 1,07 dollari per chilogrammo con i progressi tecnologici. Tuttavia, affinché un acquifero salino sia considerato adatto allo stoccaggio dell’idrogeno, deve possedere determinate caratteristiche geologiche, come stabilità tettonica, capacità di stoccaggio adeguata, porosità e permeabilità sufficienti, e un’adeguata integrità strutturale delle rocce impermeabili superiori e inferiori. Queste caratteristiche garantiscono che l’idrogeno possa essere immagazzinato in modo sicuro e duraturo senza rischi significativi.

Nonostante i vantaggi, ci sono ancora diverse sfide da affrontare, in particolare la natura incerta degli acquiferi salini. Essendo situati a centinaia di metri sotto terra e diffusi su vaste aree, l’analisi precisa della stabilità tettonica di questi acquiferi è ancora una questione complessa. Inoltre, la presenza di acqua salata negli acquiferi crea un ambiente ricco di microrganismi, il che aumenta il rischio di contaminazione dell’idrogeno, rendendo necessaria la purificazione dell’idrogeno prima del suo utilizzo. Un altro aspetto problematico riguarda le interazioni tra i fluidi e i pori dell’acquifero, che complicano la stima del volume esatto di idrogeno che può essere immagazzinato. Inoltre, la natura porosa degli acquiferi salini comporta perdite significative di idrogeno, che possono arrivare fino al 22% nei casi migliori.

Un’altra opzione per lo stoccaggio sotterraneo dell’idrogeno è rappresentata dai giacimenti di gas o petrolio esauriti. Questi giacimenti, essendo naturali trappole geologiche per petrolio e gas, offrono un ambiente simile a quello degli acquiferi salini per l’immagazzinamento dell’idrogeno. Quando un giacimento di idrocarburi esaurisce la sua capacità produttiva, la pressione interna scende e i pori si riempiono di acqua salata, creando un ambiente idoneo per lo stoccaggio di idrogeno. Il principio di funzionamento è simile a quello degli acquiferi salini: l’idrogeno pressurizzato viene iniettato nella formazione rocciosa porosa, che spinge l’acqua salata e i residui di gas/petrolio verso il basso, creando una cavità per immagazzinare l’idrogeno. Un aspetto positivo di questa tecnologia è che i giacimenti di idrocarburi esauriti sono già ben studiati, geologicamente definiti e conosciuti, il che permette una pianificazione più precisa e sicura.

Tuttavia, uno degli svantaggi principali nell’utilizzo di giacimenti esauriti riguarda il rischio di compromissione della purezza dell’idrogeno immagazzinato. I gas residui come anidride carbonica, metano o azoto, naturalmente presenti nei giacimenti esauriti, possono interferire con l’idrogeno, riducendo la sua purezza e aumentando i costi di purificazione. Nonostante ciò, l’utilizzo di questi gas come "gas di supporto" può migliorare la stabilità del processo di stoccaggio, consentendo una maggiore quantità di idrogeno da utilizzare come gas di lavoro ciclico. Secondo alcuni studi, la parte di gas di supporto nei giacimenti esauriti può arrivare a costituire il 50-60% dell’idrogeno immagazzinato, mentre negli acquiferi salini questa percentuale può arrivare fino all’80%.

Oltre alla possibilità di stoccaggio negli acquiferi salini e nei giacimenti di idrocarburi esauriti, un altro metodo promettente è lo stoccaggio di idrogeno in forma liquida. L’idrogeno liquefatto, ottenuto raffreddandolo a temperature estremamente basse (-253°C), ha una densità volumetrica significativamente maggiore rispetto all’idrogeno compresso. Questo permette di immagazzinare una maggiore quantità di idrogeno in spazi più contenuti, facilitando il trasporto su lunghe distanze tramite camion e navi. Tuttavia, la liquefazione dell’idrogeno comporta un processo complesso e ad alta intensità energetica, con un impatto notevole in termini di consumo di energia, anche se la sua densità volumetrica (71 kg/m³) è circa 1,8 volte superiore rispetto a quella dell’idrogeno compresso a 700 bar (39,2 kg/m³).

In conclusione, lo stoccaggio sotterraneo dell’idrogeno, sia in acquiferi salini che in giacimenti di idrocarburi esauriti, rappresenta una delle soluzioni più promettenti per il futuro dell’economia dell’idrogeno. Sebbene le sfide tecniche siano ancora numerose, la continua ricerca e gli sviluppi tecnologici stanno facendo sì che questi metodi diventino sempre più economici, sicuri e efficienti.

Come viene trasportato l'idrogeno: sfide, infrastrutture e tecnologie

Il trasporto dell'idrogeno è una delle principali sfide tecnologiche e infrastrutturali che l'Europa e il mondo intero dovranno affrontare nei prossimi decenni. A differenza dei combustibili fossili, l'idrogeno è un gas con caratteristiche fisiche e chimiche particolarmente complesse, che impongono modifiche e accorgimenti speciali nei sistemi di trasporto. Una delle soluzioni più promettenti è l'uso delle infrastrutture esistenti per il trasporto del gas naturale, come i gasdotti, adattandole per il trasporto di idrogeno.

Il costo di costruzione di nuove reti di trasporto per l'idrogeno è significativamente elevato e potrebbe raggiungere cifre molto alte, fino a 80.000 dollari ogni 100 metri di pipeline. Per questo motivo, l'uso di gasdotti già esistenti è una delle opzioni più economiche. Tuttavia, il processo di riconversione delle reti di gas naturale in reti per idrogeno non è privo di difficoltà. Una delle principali problematiche è la fragilità dell'acciaio, causata dall'embrittlement da idrogeno. L'idrogeno, infatti, può compromettere la struttura dei materiali metallici, in particolare quelli ad alta resistenza, che sono tipicamente usati nei gasdotti per il gas naturale. Per contrastare questo effetto, sono state proposte soluzioni come l'applicazione di rivestimenti ceramici specifici, la gestione delle fluttuazioni di pressione nelle tubature e il monitoraggio costante dell'integrità delle pipeline.

Una delle opzioni più praticabili per il trasporto di idrogeno attraverso gasdotti è il blending, ovvero l'iniezione di una certa percentuale di idrogeno nei gasdotti di gas naturale. Ad esempio, l'Unione Europea ha suggerito una percentuale di miscelazione del 3% entro il 2030, corrispondente a circa 1,3 milioni di tonnellate di idrogeno. L'idea è che fino al 10% di idrogeno possa essere miscelato con il gas naturale senza necessitare modifiche significative alle infrastrutture esistenti. Tuttavia, se la percentuale di idrogeno miscelato supera il 20%, diventa necessario adattare le infrastrutture per far fronte alle differenze di proprietà fisiche e chimiche tra i due gas.

Una volta che l'idrogeno è stato miscelato con il gas naturale, può essere utilizzato per diverse applicazioni, ma per alcuni utilizzi specifici, come i veicoli a celle a combustibile, è necessario un idrogeno puro. In questi casi, si rende necessario un processo di "deblending", che separa l'idrogeno dal gas naturale per ottenere una purezza superiore al 99,97%. Questo processo è complesso e costoso, ma è essenziale per garantire prestazioni ottimali per applicazioni tecnologiche avanzate.

Le reti di trasporto di idrogeno sono strutturalmente simili a quelle per il gas naturale e possono essere suddivise in quattro categorie principali: tubazioni di raccolta, tubazioni di trasmissione, tubazioni di distribuzione e tubazioni di servizio. Le tubazioni di raccolta hanno un diametro relativamente piccolo e vengono utilizzate per raccogliere l'idrogeno dai siti di produzione e trasportarlo verso le tubazioni di trasmissione. Le tubazioni di trasmissione, invece, sono quelle più grandi, progettate per trasportare l'idrogeno su lunghe distanze a pressioni elevate. Le tubazioni di distribuzione consegnano l'idrogeno alle comunità locali e agli utenti industriali, mentre le tubazioni di servizio sono le più piccole, destinate a fornire l'idrogeno direttamente ai clienti residenziali e commerciali.

Nonostante la somiglianza strutturale con le reti di gas naturale, il trasporto di idrogeno presenta sfide uniche. Ad esempio, l'idrogeno ha una densità volumetrica energetica inferiore rispetto al gas naturale, il che significa che per trasportare una quantità equivalente di energia è necessario aumentare la velocità del gas. Ciò implica che le velocità di flusso dell'idrogeno sono più elevate, creando rischi per l'integrità delle tubature. L'idrogeno, inoltre, è altamente infiammabile e ha una gamma di esplosività molto ampia (dal 4% al 75% in aria), il che rende ancora più importante l'adozione di sistemi di sicurezza avanzati, come i sensori a infrarossi per la rilevazione delle fughe.

In termini di materiali, l'acciaio è il materiale più comune per i gasdotti, ma la sua suscettibilità all'embrittlement da idrogeno richiede l'uso di acciai speciali o di materiali più resistenti come il polietilene, che è meno suscettibile alla rottura indotta dall'idrogeno. La saldatura rappresenta un altro punto critico, poiché l'idrogeno può facilmente sfuggire attraverso le giunzioni saldate. Per questo motivo, le tubazioni destinate al trasporto di idrogeno richiedono tecniche di saldatura più rigorose e una manutenzione costante.

Infine, la sepoltura delle tubazioni è una pratica comune per ridurre l'impatto ambientale e proteggere le tubature da danni accidentali. Le normative stabiliscono anche la profondità di sepoltura necessaria per garantire la sicurezza delle operazioni.

Quando si considera la realizzazione e la manutenzione delle infrastrutture per il trasporto di idrogeno, bisogna tenere conto non solo degli aspetti tecnici ma anche di quelli economici. Sebbene l'integrazione con le reti esistenti possa ridurre i costi, è comunque necessario investire in tecnologie avanzate e in sistemi di monitoraggio per garantire il corretto funzionamento delle infrastrutture nel lungo periodo. Queste considerazioni sono fondamentali per sviluppare un sistema di trasporto dell'idrogeno sicuro ed efficiente, in grado di rispondere alle esigenze di una transizione energetica globale.