Una bolla speculativa è come una profezia che si autoavvera: finché continua a crescere, le persone continueranno ad acquistare l'asset, alimentando ulteriormente l'espansione della bolla, che attirerà nuovi acquirenti. Ma non appena il prezzo smette di salire, la bolla si spezza, o meglio, esplode. Se si acquista un asset quando si sospetta che il prezzo sia troppo alto e si spera di rivenderlo più tardi a un prezzo maggiore, è fondamentale vendere non appena il prezzo smette di crescere. Questo è il motivo per cui si parla della "teoria del folle maggiore": può sembrare stupido comprare un asset il cui prezzo è gonfiato, ma finché ci sono altri "folli" disposti a pagare un prezzo ancora più alto, la strategia può risultare vincente.

Anche se si sa che una bolla non può durare per sempre (e non lo fa), potrebbe comunque valere la pena acquistare un asset la cui bolla sta crescendo, a condizione che ci si aspetti che continui a crescere nel breve periodo. Non sappiamo con certezza come nascano le bolle, e alcuni economisti sostengono che esse si formino casualmente. Una teoria suggerisce che le bolle si sviluppano quando un cambiamento nel mercato o nell’economia aumenta significativamente il valore di mercato di un asset.

Un esempio noto è la famosa bolla dei tulipani del XVII secolo, che ebbe origine grazie a un cambiamento nelle preferenze. La moda di decorare i vestiti con fiori freschi, in particolare quelli esotici come i tulipani, ha portato a un aumento della domanda. Questo incremento della domanda non era però ben definito: quanto doveva salire il valore dei tulipani per riflettere l’aumento della domanda? L'incertezza su quanto dovesse realmente aumentare il valore creò spazio per la formazione di una bolla. Alcuni acquirenti accettarono il rialzo dei prezzi pensando che fosse giustificato dalla moda, mentre altri videro l'opportunità di speculare sui futuri aumenti di prezzo, alimentando ulteriormente la crescita della bolla.

La bolla cresceva perché l'incertezza faceva sì che le persone comprassero tulipani, non tanto per possedere il fiore, ma per speculare sul valore futuro. Se tutti fossero stati in grado di determinare con esattezza quanto il cambiamento delle preferenze dovesse impattare sul valore, non ci sarebbe stato spazio per la speculazione e il prezzo dei tulipani si sarebbe stabilizzato rapidamente.

Il fenomeno della bolla dei tulipani mostra che, quando c'è incertezza su come un cambiamento possa influenzare il valore di un asset, la possibilità di una bolla aumenta. Le bolle non nascono solo casualmente, ma sono spesso il risultato di questa incertezza che provoca una continua crescita del prezzo, senza una base razionale sufficientemente solida. Di fatto, le bolle sono quasi sempre alimentate dalla speculazione e dall'auto-alimentazione: più il prezzo cresce, più gli investitori sono disposti a entrare nel mercato, con la speranza che qualcun altro acquisterà da loro a un prezzo ancora più alto.

Allo stesso modo in cui le bolle nascono in modo casuale, esse tendono a finire altrettanto improvvisamente e in modo drammatico. Una volta che il prezzo smette di salire, il crollo avviene rapidamente, con molti investitori che cercano di vendere simultaneamente, causando un crollo vertiginoso del prezzo. La previsione di quando una bolla finirà è quasi impossibile. Quando la fine arriva, lo fa con un impatto devastante.

Nel caso della bolla dei tulipani, l'economia legata ai fiori e alle bulbi aveva subito un cambiamento significativo, con la diffusione dei tulipani tra le classi più ricche d'Europa, che ne avevano fatto simbolo di status. Tuttavia, mentre i tulipani erano già molto richiesti, fu la crescente speculazione a far lievitare i prezzi. I bulbi che producevano fiori multicolori e più rari, chiamati “bulbi rotti”, iniziarono a salire di valore, alimentando la mania. Questi bulbi erano rari e richiedevano più tempo per crescere, ma la loro bellezza unica li rendeva desiderabili. Tuttavia, era una bellezza ingannevole: ciò che sembrava un miglioramento del valore era in realtà causato da un virus che provocava malformazioni nei fiori.

La situazione del mercato dei tulipani aveva caratteristiche peculiari. Esistevano due segmenti: il mercato dei bulbi rotti, che vendeva a prezzi altissimi, e quello dei bulbi standard, molto più economici. Nonostante la differenza di prezzo, il mercato dei bulbi rotti iniziò a salire vertiginosamente prima che si sviluppasse un qualsiasi interesse per i bulbi standard. La speculazione creò un nuovo mercato dove non si trattava solo di comprare bulbi per piantarli, ma di comprare e vendere in attesa di un aumento dei prezzi.

Anche se oggi sappiamo che il virus responsabile della mutazione dei fiori fosse la causa delle caratteristiche uniche dei bulbi rotti, all’epoca ciò era sconosciuto. Il mistero attorno alla nascita dei bulbi rotti alimentò la mania speculativa, che continuò a crescere fino al 1637, quando la bolla scoppiò.

Questa storia di speculazione e imprevisti sottolinea come una bolla possa svilupparsi da un cambiamento che sembra positivo o giustificato, ma che alla fine è soggetto all'incertezza e alla speculazione che lo distorce. Le bolle non nascono solo dai cambiamenti apparenti di valore, ma anche dalla percezione che il cambiamento continuerà a favore di chi entra nel mercato.

La Crisi del 1907: Un'Analisi degli Eventi e delle Conseguenze

Nel 1907, una serie di eventi culminarono in una delle crisi finanziarie più devastanti nella storia degli Stati Uniti. Questo periodo di turbolenza ebbe inizio con una caduta drammatica dei prezzi delle azioni di numerose compagnie minerarie di rame. La notizia dell’apertura di nuove miniere in Alaska alimentò il timore di un eccesso di offerta di rame e di una conseguente diminuzione del suo prezzo. Tale evoluzione ebbe un impatto diretto su un gruppo di speculatori che tentavano di acquisire una parte consistente delle azioni della United Copper Company. La svalutazione delle azioni causò ingenti perdite, coinvolgendo anche due gestori del Mercantile Bank di New York, che parevano aver utilizzato le risorse della banca per finanziare tale operazione speculativa.

Fortunatamente per la banca e per i suoi dirigenti, il New York Clearing House, una rete di banche, intervenne per organizzare un salvataggio privato. Tuttavia, questo intervento era subordinato alle dimissioni dei dirigenti coinvolti nella speculazione, tra cui un membro del consiglio di amministrazione, Charles Morse. Le dichiarazioni di Morse portarono poi a implicare un altro associato, Charles Barney, presidente della Knickerbocker Trust Company, una delle principali società fiduciaria di New York. Questo legame portò rapidamente alla conclusione che anche la Knickerbocker Trust fosse in difficoltà, provocando un’ondata di prelievi dai suoi depositanti il 22 ottobre.

Le società fiduciarie, a differenza delle banche, avevano riserve inferiori e non disponevano di un meccanismo di salvataggio simile al Clearing House. Pertanto, la semplice possibilità che la Knickerbocker Trust fosse in difficoltà fu sufficiente a scatenare una corsa agli sportelli. La gestione della Knickerbocker aveva ben poche opzioni a disposizione: cercare di guadagnare tempo o chiedere aiuto.

In quel periodo, J.P. Morgan, uno degli uomini più potenti del settore bancario e finanziario, si trovava a capo di una delle banche private più influenti, la J.P. Morgan & Co. Grazie alla sua autorevolezza e alla sua esperienza, Morgan riuscì a mobilitare risorse straordinarie per fronteggiare la crisi. La sua influenza era tale che molti banchieri lo consideravano il "CEO" non ufficiale delle banche di New York.

Alla notizia della corsa ai depositi della Knickerbocker, Morgan inviò un giovane banchiere, Benjamin Strong, a esaminare i libri contabili della compagnia. Strong non riuscì a garantire la solvibilità della Knickerbocker, che alla fine fallì. Questo evento innescò una serie di fallimenti tra altre società fiduciarie a New York, portando a una crisi di liquidità che minacciava di travolgere il sistema bancario e finanziario.

Per far fronte a questa emergenza, Morgan riuscì a organizzare un salvataggio per la Trust Company of America, la seconda maggiore fiduciaria del paese, inviando 3 milioni di dollari in contante e successivamente un prestito sindacato con titoli come garanzia. Questo intervento temporaneamente fermò il panico, ma la crisi continuò a diffondersi.

La risposta del governo federale non tardò ad arrivare. Il Segretario del Tesoro degli Stati Uniti contattò Morgan e mise a sua disposizione 25 milioni di dollari, un surplus derivante da tariffe doganali non spese. Sebbene questa somma fosse considerevole per l’epoca, non fu sufficiente a fermare la crisi. Nei giorni successivi al fallimento della Knickerbocker Trust, sette altre banche e società fiduciaria crollarono, e la paura si estese rapidamente ai mercati azionari. La corsa ai prestiti, noti come "call money", alimentò ulteriormente la speculazione, facendo lievitare i tassi di interesse fino al 125%.

Il 24 ottobre, il presidente della Borsa di New York informò Morgan che almeno 50 brokeraggi sarebbero falliti quel giorno senza un intervento. Morgan convocò una riunione urgente con i presidenti delle banche di New York e, in meno di quindici minuti, riuscì a raccogliere la somma necessaria. Tuttavia, anche dopo questo intervento, la situazione rimase critica, e i tassi di interesse sui prestiti salirono ulteriormente, raggiungendo il 150%.

La crisi del 1907 non solo minacciò le istituzioni finanziarie, ma portò anche la città di New York sull’orlo della bancarotta. Gli investitori europei, tradizionalmente disposti a concedere credito, rifiutarono di farlo, costringendo Morgan a garantire un prestito da 30 milioni di dollari per la città. Questo fu solo il primo di una serie di interventi che J.P. Morgan avrebbe effettuato per salvare New York durante il corso del ventesimo secolo. La crisi ebbe un impatto devastante anche sulle piccole e medie banche, che videro una drastica riduzione dei depositi e furono costrette a limitare o addirittura sospendere i prelievi. Il mercato azionario crollò, con una perdita media del 40% del suo valore.

Il panico si diffuse rapidamente in tutto il paese, e molte città dovettero ricorrere a misure drastiche come i giorni festivi bancari, durante i quali le banche furono costrette a chiudere temporaneamente. In molte zone industriali, le fabbriche rimasero c

Qual è la lezione della crisi bancaria giapponese per le economie moderne?

La crisi bancaria giapponese degli anni ’90 è una delle più significative esperienze economiche del dopoguerra, non solo per il Giappone, ma anche per il mondo intero. Gli eventi che hanno segnato questo periodo, spesso chiamato "decennio perduto", insegnano lezioni cruciali per la gestione delle crisi finanziarie, delle politiche monetarie e delle riforme bancarie. Sebbene la crisi iniziasse con un crollo del mercato azionario e un’improvvisa recessione, la vera sfida per il paese non fu tanto la crisi stessa quanto la sua durata: più di vent’anni di stagnazione economica e crescita anemica.

A partire dal 1991, il Giappone si trovò ad affrontare un periodo di decrescita economica, durante il quale il tasso di crescita del PIL, al netto dell’inflazione, scese a una media di solo l’1,2% all’anno tra il 1995 e il 2002. In effetti, la crescita economica giapponese cadde al tasso più basso tra i paesi sviluppati, e nonostante numerosi tentativi di stimolare l’economia attraverso politiche monetarie e fiscali, il Giappone non riuscì a uscire da questo stallo.

Il grande insegnamento che questa crisi offre riguarda la necessità di affrontare il problema delle banche prima di poter sperare in una ripresa economica. Quando un sistema bancario si trova in difficoltà, come accadde in Giappone, le ricadute sull’economia sono devastanti, perché le banche smettono di erogare prestiti, limitando così la capacità di crescita delle imprese e dei consumatori. Le banche devono essere ristrutturate e riportate in buona salute prima che l’economia possa sperare di riprendersi. Questa è la lezione chiave che deriva dal Giappone: se non si affrontano i problemi strutturali del settore bancario, l’economia non potrà mai riprendersi veramente.

Nel caso giapponese, le politiche bancarie si rivelarono inadeguate per contrastare l'inefficienza crescente del sistema bancario. Le autorità giapponesi, invece di affrontare rapidamente le difficoltà delle banche, adottarono inizialmente misure troppo timide. Il governo e le autorità di regolamentazione non riuscirono a risolvere i problemi di insolvenza delle banche in modo tempestivo, e ciò contribuì a prolungare la stagnazione economica. La gestione della crisi bancaria giapponese dimostra che le crisi finanziarie non si risolvono solo con politiche monetarie espansive o con l’iniezione di capitali pubblici: è essenziale che le banche tornino ad essere capaci di operare normalmente, cioè accettare depositi e concedere prestiti.

Oltre alla lezione sulla ristrutturazione bancaria, il caso giapponese ha messo in evidenza anche i pericoli legati alla gestione delle bolle speculative. Sebbene la bolla immobiliare e quella azionaria giapponese fossero iniziate come fenomeni di mercato naturale, l'incapacità delle autorità di intervenire in tempo per frenare l’euforia del mercato contribuì alla gravità della crisi. La lezione che si può trarre da questo è che non bisogna sottovalutare gli effetti di bolle speculative sulle banche e sull’intero sistema economico. Una regolamentazione tempestiva e una vigilanza adeguata potrebbero evitare il verificarsi di crisi simili in altre economie.

A partire dalla crisi giapponese, la comunità economica mondiale ha imparato che l'intervento tempestivo delle autorità finanziarie, la trasparenza del sistema bancario e la gestione preventiva delle bolle speculative sono elementi chiave per evitare il ripetersi di situazioni economiche catastrofiche. Questo approccio, benché talvolta impopolare, potrebbe prevenire danni più gravi in caso di crisi future. Inoltre, una comprensione più profonda dei rischi associati alle operazioni bancarie complesse, come gli swap su tassi di interesse, è essenziale per evitare il verificarsi di scandali finanziari.

Le crisi bancarie, come quella giapponese, possono insegnarci non solo a non trascurare le difficoltà del sistema bancario, ma anche a essere consapevoli delle insidie legate all'uso di strumenti finanziari complessi. Se non correttamente regolamentati, strumenti come gli swap possono s