Lo stoccaggio dell’idrogeno è una delle sfide cruciali per la realizzazione di una società basata sull’energia pulita. Le soluzioni esistenti, come quelle per idrogeno compresso e liquefatto, presentano limiti intrinseci in termini di capacità di stoccaggio, efficienza energetica e sicurezza. Una delle tecnologie emergenti che sta guadagnando attenzione è quella dello stoccaggio criocompresso, che si distingue per la sua capacità di immagazzinare idrogeno in fasi diverse e con minori perdite di dispersione. Questo sistema sfrutta il processo di liquefazione dell’idrogeno fino alla sua temperatura critica, seguito dalla compressione a pressioni che vanno da 250 a 300 bar. Il serbatoio utilizzato in questo tipo di stoccaggio è progettato per contenere idrogeno liquido, gassoso e supercritico simultaneamente. L’idrogeno supercritico rappresenta una fase intermedia tra gas e liquido che si verifica quando la pressione dell’idrogeno è inferiore a 8 bar e la temperatura si aggira tra i -237,15°C e i -239,15°C.
Questi serbatoi sono generalmente realizzati con materiali compositi di tipo III, simili a quelli utilizzati per lo stoccaggio di idrogeno compresso, e sono dotati di uno strato di isolamento a vuoto che riduce il trasferimento di calore. Per garantire che l’idrogeno rimanga a temperature e pressioni ottimali, il serbatoio è equipaggiato con due scambiatori di calore principali e diversi componenti di monitoraggio, tra cui sensori e controller, che assicurano il corretto funzionamento del sistema. In caso di guasti o perdite, un modulo di vuoto secondario attiva automaticamente un meccanismo di protezione per arrestare il sistema di stoccaggio. Questo modulo include una valvola di sicurezza per rilasciare l’idrogeno in caso di sovrappressione. Nonostante siano ancora in fase di ricerca e sviluppo, i sistemi criocompressi hanno dimostrato buone capacità di stoccaggio con perdite minime, specialmente per applicazioni aeronautiche e veicolari.
Un esempio di successo di questa tecnologia è stato sviluppato da BMW nel 2011 per un veicolo elettrico a celle a combustibile. Questo prototipo era in grado di sopportare una pressione di 350 bar e una temperatura di -240°C, permettendo di stoccare 8 kg di idrogeno con una densità di stoccaggio gravimetrico del 5,4%, un valore significativamente inferiore rispetto ai sistemi per idrogeno liquido.
Accanto ai sistemi fisici, esistono anche tecnologie di stoccaggio dell’idrogeno basate su materiali. Queste tecnologie fanno uso di materiali specifici che possono immagazzinare l’idrogeno in modo reversibile. Il principio alla base di queste tecnologie è il processo chimico di stoccaggio reversibile, in cui le reazioni chimiche possono essere invertite, permettendo la creazione e la rottura di legami chimici tra gli elementi. I materiali per lo stoccaggio dell’idrogeno devono possedere caratteristiche particolari, tra cui una buona reversibilità, alte capacità di stoccaggio alle temperature e pressioni operative desiderate e una cinetica rapida, che consenta il rapido caricamento e scaricamento dell’idrogeno. Queste caratteristiche sono particolarmente importanti in applicazioni come i veicoli e gli aerei, dove è essenziale un sistema di stoccaggio reattivo e dinamico.
Le tecnologie di stoccaggio basate su materiali sono principalmente divise in due categorie: adsorbimento e assorbimento. Nel processo di adsorbimento, le molecole di idrogeno aderiscono alla superficie di un materiale, sfruttando forze deboli di Van der Waals. Al contrario, nell’assorbimento, le molecole di idrogeno penetrano all'interno di un materiale. Entrambi i processi necessitano di temperature relativamente basse e pressioni elevate per essere efficaci, e quindi una gestione termica precisa è fondamentale. Le tecnologie basate sull'adsorbimento, sebbene promettenti, sono ancora limitate a prototipi su scala di laboratorio.
Le tecnologie di adsorbimento più promettenti utilizzano materiali a base di carbonio, come il carbonio poroso, il carbonio attivato, le nanostrutture di carbonio e il grafene. Per esempio, il carbonio poroso, ottenuto tramite carbonizzazione di fibre di rayon, può avere un'area superficiale specifica fino a 3144 m²/g, con una densità di stoccaggio gravimetrica di idrogeno tra 0,9 e 7,01 wt.% a una temperatura di 77 K (-196,15°C) e una pressione di 40 bar. Il carbonio attivato, derivato dalla carbonizzazione di biomassa, è un altro materiale ben noto e ampiamente studiato per l'adsorbimento dell'idrogeno, con aree superficiali specifiche tra 2000 e 3100 m²/g e densità di stoccaggio tra 1 e 7 wt.% in un intervallo di pressioni compreso tra 1 e 20 bar.
Le nanostrutture di carbonio, in particolare i nanotubi di carbonio, sono tra i materiali più promettenti per lo stoccaggio dell'idrogeno ad alta capacità. I nanotubi di carbonio sono costituiti da grafite in una forma cilindrica di fullerene, una tipologia di carbonio le cui molecole hanno caratteristiche uniche per la cattura e l’immagazzinamento di idrogeno.
In conclusione, sebbene i sistemi criocompressi e le tecnologie basate su materiali stiano avanzando, entrambi affrontano sfide tecniche e economiche. Tuttavia, i progressi nelle tecnologie di stoccaggio dell’idrogeno potrebbero svolgere un ruolo fondamentale nel rendere l’idrogeno una fonte di energia sostenibile e praticabile su larga scala, in particolare per il settore dei trasporti e delle applicazioni industriali ad alta domanda energetica.
Quali sono le tecnologie emergenti e i materiali avanzati per lo stoccaggio dell’idrogeno?
La ricerca sullo stoccaggio dell’idrogeno si concentra sempre più su materiali innovativi e tecnologie avanzate, mirate a superare le limitazioni delle soluzioni tradizionali e a incrementare la densità di immagazzinamento, la sicurezza e l’efficienza complessiva. Tra i principali filoni emergenti spiccano i materiali a base di idruri metallici solidi, carboni porosi, nanotubi, strutture metal-organiche (MOF) e materiali organici covalenti (COF). Questi materiali offrono la possibilità di adsorbire o legare l’idrogeno mediante interazioni chimiche o fisiche, sfruttando superfici altamente sviluppate e porosità controllata a livello nanoscopico.
Gli idruri metallici rappresentano una classe consolidata per lo stoccaggio solido, grazie alla loro capacità di assorbire e rilasciare idrogeno in modo reversibile. Tuttavia, il progresso attuale mira a migliorare le proprietà cinetiche e termodinamiche, rendendo il processo più efficiente e meno energivoro. Ad esempio, l’inserimento di leghe o la nanostrutturazione dei materiali consentono di ottimizzare la capacità di stoccaggio e la velocità di assorbimento.
Le superfici di carbonio, in particolare nanotubi di carbonio e grafene, funzionalizzati con metalli leggeri come litio o alluminio, hanno dimostrato notevoli potenzialità. La decorazione con atomi metallici incrementa l’adsorbimento dell’idrogeno grazie a interazioni di tipo van der Waals e legami chimici deboli, senza compromettere la reversibilità del processo. Studi recenti evidenziano inoltre che le superfici porose di carbonio possono essere ottimizzate per aumentare la densità volumetrica e la stabilità nel tempo.
Le strutture metal-organiche (MOF) e i framework organici covalenti (COF) sono invece materiali di frontiera per lo stoccaggio gassoso, caratterizzati da un’eccezionale area superficiale specifica e una porosità estremamente definita. Questi materiali possono essere progettati su misura per specifiche applicazioni, adattando le dimensioni dei pori, la funzionalizzazione chimica e la stabilità termica. L’evoluzione dei MOF e COF si concentra anche sull’integrazione in dispositivi elettrochimici avanzati per l’accumulo di energia, dove la combinazione di stoccaggio chimico e capacità capacitive apre nuove strade per applicazioni mobili e stazionarie.
Un’altra area di interesse riguarda i materiali termochimici come i sali idrati, che consentono lo stoccaggio di energia termica associata alla sorbimento dell’idrogeno. Questi materiali offrono la possibilità di immagazzinare energia in forma chimica con alta densità, favorendo la conservazione a lungo termine e il rilascio controllato.
Parallelamente, si esplora la sintesi e l’uso di nanoparticelle ingegnerizzate per migliorare le proprietà di adsorbimento e la cinetica di stoccaggio. Le tecniche computazionali come la teoria del funzionale della densità (DFT) e il quantum Monte Carlo sono fondamentali per comprendere a livello atomico le interazioni e guidare la progettazione di materiali più performanti.
L’ammoniaca e il borano di ammonio emergono come vettori chimici particolarmente promettenti, offrendo una modalità alternativa di immagazzinamento e trasporto dell’idrogeno. L’elettrolisi dell’ammoniaca e la sua decomposizione controllata sono argomenti chiave per realizzare una “economia dell’ammoniaca” incentrata sull’idrogeno verde.
In un contesto più ampio, il progresso nei materiali per lo stoccaggio dell’idrogeno non può prescindere dalla comprensione delle sfide associate a sicurezza, scalabilità e impatto ambientale. La stabilità chimica, la capacità di ciclaggio senza degrado e l’ottimizzazione energetica dei processi di assorbimento e rilascio sono parametri cruciali. Inoltre, è fondamentale considerare gli aspetti economici e le potenzialità di integrazione con le infrastrutture energetiche esistenti, per favorire un’effettiva transizione verso sistemi energetici sostenibili.
Le ricerche più recenti sottolineano anche l’importanza di materiali multifunzionali, capaci non solo di stoccare idrogeno, ma anche di fungere da catalizzatori per reazioni chimiche chiave o da componenti attivi in dispositivi elettrochimici complessi. Questo approccio integrato potrà accelerare l’adozione di tecnologie a idrogeno in molteplici settori industriali, dalla mobilità alla produzione di energia stazionaria.
Infine, il successo di queste tecnologie dipenderà anche dalla capacità di sviluppare metodologie di sintesi sostenibili e di riciclo efficiente dei materiali utilizzati, in modo da ridurre l’impatto ambientale complessivo e garantire la circolarità delle risorse impiegate.

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