La nascita del giornalismo moderno e della sua forma più riconoscibile si intreccia con l'evoluzione della società europea e dei suoi mezzi di comunicazione. Sebbene la stampa, introdotta da Gutenberg nel XV secolo, abbia dato il via alla diffusione massiva delle informazioni, è importante comprendere che la vera nascita del giornalismo non si può attribuire semplicemente alla tecnologia della stampa, ma piuttosto alla nascita di una società che sentisse il bisogno di accedere regolarmente e sistematicamente alle informazioni correnti. Questo è un passaggio fondamentale da considerare, poiché la stampa da sola non avrebbe potuto rispondere a una domanda sociale che, all'epoca medievale, semplicemente non esisteva.

Un esempio emblematico di come le informazioni venivano trattate in un periodo che precede di molto la stampa giornalistica è la testimonianza di Galberto di Bruges. Scrivendo nel XII secolo riguardo l'assassinio del conte Carlo di Fiandra nel 1127, Galberto non si limita a fornire una narrazione storica, ma elabora un resoconto delle vicende contemporanee con una precisione che possiamo riconoscere come il prototipo di una notizia. Il suo racconto, scritto in latino e su tavolette di cera, non è storia nel senso classico del termine, poiché è un documento che intende raccontare eventi attuali, non passati. Galberto, pur non avendo la parola per definirlo, stava creando un resoconto giornalistico, un resoconto che rispondeva alle domande fondamentali del giornalismo moderno: chi? cosa? quando? dove? e come?

Questo documento è di importanza capitale non solo per il contenuto che trasmette, ma anche per il fatto che rappresenta un modello di giornalismo che, purtroppo, non troverà immediata applicazione o diffusione. Perché questa innovazione non ebbe seguito? La risposta è legata alla struttura sociale del tempo: la società medievale, fondamentalmente teocratica e scarsamente alfabetizzata, non aveva né le necessità né le competenze per comprendere e utilizzare le informazioni in modo critico e regolare come accadrebbe secoli più tardi. Il concetto di "notizia" come lo intendiamo oggi non era ancora nato. In un'epoca in cui l'alfabetizzazione era limitata e la conoscenza degli eventi correnti era vista come un lusso non necessario, l'idea stessa di un mezzo di comunicazione che diffonda notizie ogni giorno non aveva una base sociale.

La situazione cambiò solo secoli dopo, quando la società europea, grazie alla diffusione della stampa e all'aumento dell'alfabetizzazione, cominciò a sviluppare una classe media interessata a conoscere gli eventi correnti. Tuttavia, sebbene la tecnologia della stampa fosse ormai disponibile, il giornalismo vero e proprio impiegò ancora diversi decenni per formarsi in una sua forma organica, segno che la necessità di notizie regolari non era ancora diventata un'esigenza sociale imprescindibile. Fu solo dopo che il concetto di "cittadinanza informata" divenne parte della cultura europea che i giornali presero piede.

Quando infine i giornali cominciarono a diffondersi, la loro forma e funzione erano tutt’altro che sobrie o verificate. Piuttosto, il giornalismo si sviluppò, in una prima fase, come un veicolo di sensazionalismo e di storie esagerate, in gran parte espressione di un mercato che cercava l'intrattenimento attraverso notizie che suscitavano stupore e curiosità, piuttosto che una riflessione rigorosa sugli eventi. Questo si rifletteva in titoli sensazionali e notizie spesso amplificate o distorte. È interessante osservare come questa tradizione, nata nei primissimi giornali, continui a influenzare la stampa moderna, dove ancora oggi il confine tra notizia sobria e sensazionale può essere sfumato.

L'evoluzione della stampa e del giornalismo, quindi, non è solo una questione di tecnologia, ma di cambiamenti profondi nella struttura sociale e culturale. Il giornalismo, come lo conosciamo oggi, è il prodotto di un lungo processo di maturazione che ha visto l'affermarsi della necessità di una cittadinanza informata e del riconoscimento del valore di una notizia che rispondesse a criteri di verità, senza ricorrere esclusivamente a esagerazioni o invenzioni. L'importanza del lavoro giornalistico risiede nella sua capacità di rendere conto della realtà, cercando di riprodurla nel modo più accurato possibile, anche quando ciò significa sfidare le convenzioni del suo tempo.

Il lettore deve comprendere che il giornalismo non è solo una questione di fatti, ma di interpretazione e selezione. Ogni resoconto delle notizie è influenzato dalla prospettiva e dall'intenzione di chi lo produce. Le notizie non sono mai neutre e il modo in cui vengono presentate può alterare la comprensione dei fatti. Il giornalismo è sempre stato, e sarà sempre, un atto di mediazione tra la realtà e la percezione pubblica, un atto che deve essere compreso e utilizzato con consapevolezza critica.

La nascita e l'evoluzione della stampa periodica: Il caso del Coranto e la censura nella nascente industria dei giornali

La nascita della stampa periodica moderna risale ai primi decenni del Seicento, periodo che segna il passaggio da forme di comunicazione più tradizionali e informali a una più sistematica e organizzata trasmissione delle notizie. Il Courante di Amsterdam, pubblicato per la prima volta nel 1620, è spesso identificato come il primo esempio di giornale moderno, nonostante le sue origini siano legate a una pubblicazione non ufficiale e al rischio di censura. In quell'epoca, il contesto politico e sociale imponeva una forte pressione sulle pratiche editoriali, con l'intervento costante delle autorità per controllare la diffusione delle informazioni.

Il Courante, come esempio di giornale, si distingue per la sua caratteristica principale: la regolarità e la tempestività nella pubblicazione delle notizie. Nonostante la sua periodicità, il Courante non era un "newsbook" tradizionale, ma un tentativo di offrire notizie correnti e significative, aggiornate a una cadenza settimanale. Questo formato innovativo si sviluppò per rispondere al crescente desiderio di informazione tempestiva, un desiderio che si manifestava soprattutto in seguito agli eventi drammatici della Guerra dei Trent'anni, come la battaglia della Montagna Bianca, che aveva coinvolto la Boemia e le forze imperiali. La notizia, seppur incompleta e talvolta incerta nei dettagli, veniva comunque diffusa con una certa velocità, per soddisfare la crescente domanda di "notizie fresche" da parte del pubblico.

A differenza dei giornali moderni, la cui principale preoccupazione è l'affidabilità e la verifica delle fonti, le prime pubblicazioni come il Coranto avevano un rapporto complesso con la verità. La confusione e l'incertezza erano elementi frequenti nei resoconti, e la necessità di rispettare le scadenze editoriali spesso portava a sacrificare la precisione. Un esempio emblematico di questa prassi è la storia della morte del conte di Tilly. Il giornale riportò la sua morte sulla base di informazioni non verificate, ma con una nota di cautela: «Vi invitiamo a non credere troppo ciecamente, perché altre fonti sostengono il contrario». Questo approccio, benché ingenuo, evidenziava il tentativo di non compromettere la vendita dei numeri successivi, facendo leva sull'instabilità delle informazioni.

La pressante necessità di velocità nel diffondere le notizie espose il giornalismo emergente ai pericoli della disinformazione. Nonostante la competizione per la primogenitura delle notizie, la stampa periodica doveva navigare tra il desiderio di novità e l'obbligo di verità. La concorrenza tra le diverse pubblicazioni rendeva difficile stabilire una linea chiara tra notizie reali e sensazionalismo, e gli editori non esitarono ad abbracciare una certa dose di incertezza pur di vendere più copie.

Un altro aspetto fondamentale da considerare è la questione della censura. Sebbene la stampa fosse ancora giovane e vulnerabile, gli Stati cercavano di mantenere il controllo su cosa veniva pubblicato. In Inghilterra, la stampa non poteva essere realizzata senza il permesso della Stationers' Company, un ente che regolava e censurava le pubblicazioni. Le autorità erano molto sensibili alla pubblicazione di notizie non approvate e l'arresto di editori come Thomas Archer dimostra la determinazione con cui venivano perseguitati coloro che cercavano di sfidare il controllo istituzionale sulla stampa. La censura divenne così una costante minaccia per la libertà di stampa, che si manifestava nella forma di sanzioni severe per coloro che cercavano di aggirarla.

Tuttavia, la crescente domanda di informazioni, unita alla difficoltà di far arrivare rapidamente le notizie in un mondo ancora parzialmente isolato, non fermò l'evoluzione della stampa periodica. Gli editori di coranti come Butter e Bourne, nonostante le difficoltà legali e le minacce delle autorità, continuarono a pubblicare notizie, talvolta incorrendo in errori e imprecisioni, ma anche cercando di rispondere alle esigenze di un pubblico affamato di novità. La pubblicazione di notizie in tempo reale divenne un fenomeno di massa, e l'industria editoriale si adattò alle nuove realtà, pur continuando a subire le pressioni della censura e delle autorità politiche.

Con il passare degli anni, l'evoluzione della stampa periodica portò a una crescente sofisticazione delle tecniche giornalistiche. L'introduzione di rubriche, commenti e analisi contribuì a diversificare l'offerta informativa. Nonostante le difficoltà iniziali, il mercato della stampa periodica riuscì a sopravvivere, segnando l'inizio di una nuova era nella diffusione delle notizie e nella formazione dell'opinione pubblica.

Nel contesto di questo panorama storico, è fondamentale comprendere che la nascita del giornalismo moderno non è stata un processo lineare e privo di ostacoli. La pressione della velocità, la lotta per la verità e la censura da parte delle autorità erano forze che determinavano l'orientamento della stampa e che, in molti casi, influenzavano la qualità dell'informazione diffusa. Il lettore moderno deve essere consapevole che, sebbene la stampa periodica abbia fatto enormi progressi, le sfide legate alla veridicità delle notizie e alla libertà di stampa sono questioni ancora rilevanti oggi, come lo erano secoli fa.

Come la Scienza Definisce il "Fatto" e la Su sua Rilevanza nella Comprensione della Realtà

L'approccio scientifico alla comprensione della realtà, sviluppato in modo significativo da Francis Bacon, ha dato vita a un metodo che privilegia l'osservazione rigorosa dei fatti, separando l'analisi da ogni forma di pregiudizio o interesse personale. Secondo Bacon, la logica induttiva, applicata alla ripetizione e alla verifica dei risultati, è ciò che permette di definire ciò che è scientificamente vero. Il concetto di "fatto" che ne deriva si fonda sulla capacità di dimostrare che un determinato evento, nelle stesse circostanze, può ripetersi in modo identico. La scienza, quindi, si fonda sull'osservazione dei fatti, un processo che implica l'oggettività come garanzia contro le contaminazioni soggettive: "guardare solo i fatti, mettendo da parte le preferenze personali".

Tuttavia, sebbene la scienza sia tradizionalmente considerata un dominio "factuale", ciò non significa che sia priva di problematiche logiche. La ripetizione di un esperimento per confermare una scoperta potrebbe non fare altro che ripetere un errore. Un solo risultato anomalo, che si verifichi durante la ripetizione di un esperimento, potrebbe invalidare il presunto "fatto scientifico". Naturalmente, servirebbe più di un'anomalia per causare un esito distruttivo, ma è proprio la ricerca di queste anomalie che rappresenta l'obiettivo principale della scienza. Karl Popper, filosofo della scienza, sosteneva che la scienza non mira a confermare teorie già accettate, ma a falsificarle, cercando attivamente risultati che possano confutare le ipotesi preesistenti. Secondo Popper, la scienza si nutre del "falsificabile", non del "vero", e l'acquisizione di conoscenze avviene proprio attraverso il rifiuto di teorie precedenti, stimolando una continua evoluzione della nostra comprensione del mondo.

D'altra parte, Thomas Kuhn ha proposto una visione differente, suggerendo che la "scienza normale" non sia orientata alla falsificazione, ma piuttosto a consolidare e difendere un paradigma esistente. La scienza, in questo contesto, diventa un'operazione di "pulizia", un tentativo di adattare la natura alle rigide categorie preesistenti. Le scoperte che non si allineano con il paradigma dominante tendono ad essere ignorate o trascurate, fino a quando la pressione degli anomali non diventa insostenibile, provocando un "cambiamento di paradigma", una vera e propria "rivoluzione scientifica". Nonostante la critica alla "falsificazione" di Popper e alla rigidità dei paradigmi di Kuhn, è chiaro che la ricerca scientifica non ha nulla a che fare con la superficialità o la semplificazione dei fatti come può accadere nei media.

In ambito giornalistico, infatti, il concetto di "fatto" è molto più semplice. I giornalisti non si occupano di teorie o di falsificazioni, ma si limitano a riportare ciò che è considerato verosimile e plausibile dalla collettività. Il "senso comune" è la base sulla quale si costruisce il discorso giornalistico, un senso che non richiede sofisticate prove per essere accettato, perché coincide con l’esperienza quotidiana e condivisa. Il giornalismo tende a descrivere la realtà in modo "sottile", senza entrare nei dettagli complessi o nelle sfumature più profonde degli eventi. Le descrizioni più articolate, con tanto di contesto e spiegazioni, sono affidate a giornalisti investigativi o a speciali riquadri informativi che, tuttavia, sono rari nelle notizie quotidiane.

Questa tendenza al "mopping up", ossia a una visione superficiale degli eventi, è particolarmente evidente nei media più popolari. Il rischio più grande per il giornalismo, in effetti, non è tanto quello di falsificare i dati, quanto quello di cadere nella trappola della "verifica eccessiva", che potrebbe compromettere la velocità e l'efficacia del reportage. L'idea di dover verificare ogni singolo dettaglio può limitare la libertà di analisi e distorcere la realtà stessa.

La scienza, al contrario, non è solo una questione di fatti freddi e oggettivi. L'umanità, in tutte le sue sfaccettature, è sempre stata presente nel cuore della ricerca scientifica, anche se spesso in modi diversi da quelli che il giornalismo o il senso comune potrebbero suggerire. L'impulso meccanomorfico – la tendenza a vedere gli esseri umani come macchine complesse, un fenomeno che risale a filosofi come La Mettrie – è una caratteristica peculiare della scienza. In effetti, il progresso della scienza ha portato alla visione dell'uomo come una macchina, un'entità composta di sistemi complessi che possono essere analizzati come se fossero dispositivi meccanici. Questo approccio ha trovato applicazione anche nel campo della psicologia, dove si è cercato di applicare gli stessi principi scientifici per controllare e prevedere il comportamento umano, come nel caso del comportamento condizionato di Pavlov o nel "comportamentismo" di Watson e Skinner.

Infine, l'evoluzione della scienza, soprattutto nel campo delle neuroscienze e delle scienze comportamentali, ha portato a una continua esplorazione dei limiti tra la biologia, la psicologia e la tecnologia. Le macchine, come i computer, sono diventate metafore della mente umana, tanto che termini come "memoria", "linguaggio" e "processore centrale" sono ormai comunemente usati per descrivere i nostri stessi processi mentali. Il confine tra uomo e macchina, dunque, diventa sempre più sfumato, e la scienza, da una parte, sembra sempre più indirizzata a modificare la natura stessa dell'essere umano per ottimizzarne i comportamenti e le reazioni.

Il Giornalismo e la Separazione tra Fatti e Opinioni: Un Problema di Percezione o di Realtà?

Molto si è detto riguardo ai problemi causati dalla confusione tra fatti e opinioni nel giornalismo contemporaneo. Tuttavia, si può sostenere che le vere radici di questa difficoltà risiedano proprio nel fatto che abbiamo mai voluto credere che ci fosse una linea netta tra i due. La nostra cultura, purtroppo, ha adottato l'idea che esista un "giornalismo imparziale", ma il problema non è tanto la distorsione del giornalismo stesso quanto il nostro costante errore nel pensare che possa esistere una forma di giornalismo completamente imparziale. La soluzione di questo problema non sta solo nel combattere le "fake news", ma nel riconoscere la natura inevitabilmente parziale di ogni narrazione.

In una società in cui il giornalismo è stato strutturato come uno strumento di informazione oggettiva, ci si è resi conto che, in realtà, tale oggettività non è mai stata possibile o raggiungibile. Gli stessi giornalisti, nel cercare di essere "imparziali", finiscono per riflettere le proprie visioni del mondo, le proprie convinzioni e i propri bias, anche se, consapevolmente o meno, cercano di mascherarli. Piuttosto che lottare per mantenere l'illusione di un giornalismo neutrale, sarebbe più produttivo riconoscere che ogni reportage è inevitabilmente influenzato da una molteplicità di fattori sociali, culturali e persino economici.

Il concetto di "giornalismo imparziale" si è evoluto storicamente come un ideale, ma ha sempre avuto delle imperfezioni. Persino i più prestigiosi giornali, le stazioni televisive e le piattaforme digitali non sono mai stati realmente neutrali. La separazione tra fatti e opinioni è, di per sé, un'astrazione. Questa divisione inizia a diventare problematica quando si pretende che il giornalismo debba essere l'unica fonte di verità assoluta e incontaminata. Quando si percepisce che il giornalismo debba essere il "veicolo" neutro della verità, la disillusione generata da un'eventuale "manipolazione" o da una copertura parziale appare inevitabile.

Il problema del "giornalismo parziale" non è che il giornalista di oggi sia più o meno parziale rispetto a quelli del passato, ma che la percezione di imparzialità era un obiettivo che non avrebbe mai potuto essere realmente raggiunto. Ogni individuo, inclusi i giornalisti, porta con sé una serie di esperienze, convinzioni e valori che inevitabilmente influenzano il modo in cui interpreta e comunica la realtà. Non si tratta di una questione di "buoni" o "cattivi", ma di un sistema di percezioni e prospettive che interagiscono.

Quando si analizzano fenomeni come le "fake news", si commette un errore se si pensa che il problema derivi solo da un eccesso di opinioni nel giornalismo. In effetti, è proprio l'idea stessa che esista un giornalismo completamente oggettivo che alimenta la diffusione di notizie distorte. Se accettassimo il fatto che ogni notizia è mediata da una visione del mondo e da una serie di pregiudizi, potremmo iniziare a concentrarci su un giornalismo più consapevole e autocritico. Questo approccio consentirebbe di ridurre le percezioni di manipolazione e distorsione, riconoscendo nel contempo la pluralità delle narrazioni e dei punti di vista.

Il giornalismo, per essere davvero utile e formativo, dovrebbe rivedere il suo ruolo nella società. Invece di cercare di essere un semplice strumento di "trasmissione neutra" di informazioni, dovrebbe riflettere sulle implicazioni morali e etiche delle storie che racconta. Non esiste un "giornalismo puro"; esiste solo un giornalismo che cerca di comprendere e raccontare il mondo, consapevole dei limiti intrinseci di ogni narrazione.

Tuttavia, ciò non significa che il giornalismo debba essere completamente privo di responsabilità. Piuttosto, dovrebbe diventare più trasparente riguardo alle sue inclinazioni e più critico nei confronti delle proprie convinzioni. In questo senso, si potrebbe fare un passo verso un giornalismo più onesto, che non si preoccupa tanto di mantenere un'immagine di imparzialità quanto di fornire uno spazio in cui le diverse voci possano essere ascoltate e messe in discussione.

Infine, è fondamentale ricordare che in un mondo in cui le informazioni sono tanto accessibili quanto pericolose, la capacità critica dei lettori è cruciale. Ogni consumatore di notizie deve essere consapevole che ogni fonte di informazione è, in un certo senso, un punto di vista. Nessuna notizia è mai completamente priva di una cornice interpretativa. Quindi, sebbene il giornalismo possa cercare di ridurre al minimo i propri pregiudizi, il compito di discernere, analizzare e interrogarsi spetta in ultima analisi a chi riceve l'informazione.