Le dinamiche culturali e politiche in Cina sono influenzate da vari fattori, tra cui l'evoluzione delle politiche internazionali e l'interazione con idee provenienti da altre parti del mondo. La diffusione di opinioni legate alla politica americana, in particolare quelle del presidente Donald Trump, ha avuto un impatto significativo anche nella Cina contemporanea. Sebbene la Cina sia un paese con un sistema politico e sociale molto diverso da quello degli Stati Uniti, le discussioni legate alla politica di Trump si sono estese al di là dei confini americani, arrivando a suscitare dibattiti in vari ambiti, tra cui quelli legati all'immigrazione, alla distribuzione della ricchezza e alle discriminazioni razziali. La diffusione di tali opinioni ha trovato terreno fertile in alcuni segmenti della società cinese, dove emergono preoccupazioni per disuguaglianze interne e per la crescente disillusione verso il governo e le sue politiche.

Un fenomeno interessante che emerge dall'analisi di questo gruppo di discussioni pro-Trump su piattaforme cinesi è la presenza di un'élite che, pur avendo un profondo radicamento nel sistema economico e politico del paese, sembra condividere alcune delle critiche mosse da Trump alla globalizzazione e al libero mercato. In particolare, alcuni utenti dei forum online si sentono oppressi da un sistema che favorisce i ricchi e le élite politiche a discapito delle classi sociali più deboli. La retorica di Trump, spesso associata a un atteggiamento di protezionismo, trova un certo appoggio tra coloro che vedono nella crescente disuguaglianza e nell'intensificazione della globalizzazione una minaccia al benessere della popolazione. Le politiche di Trump sul commercio, con l'imposizione di dazi e altre misure protezionistiche, sono viste da alcuni come un tentativo di ridurre l'influenza di economie straniere, come quella cinese, sulla propria economia.

Tuttavia, non tutte le reazioni sono positive. Alcuni utenti, in particolare quelli provenienti da minoranze etniche o da gruppi religiosi come i musulmani e gli africani, esprimono preoccupazioni per il razzismo crescente e per le discriminazioni quotidiane che affrontano in Cina. L'adozione di idee come quelle di Trump ha contribuito a un aumento della retorica razzista contro i musulmani, accusati di non integrarsi completamente nella società cinese, e contro gli immigrati africani, visti come una minaccia per la cultura cinese. Questo riflette un fenomeno più ampio, in cui il prolungato periodo di interazioni internazionali ha esacerbato tensioni sociali interne, spingendo alcuni gruppi a difendere visioni più nazionaliste e a distanza da altri popoli e culture.

Per quanto riguarda l'immigrazione, un altro aspetto che emerge è la crescente presenza di lavoratori e studenti africani in città come Guangzhou. A partire dagli anni '90, con l'espansione degli scambi commerciali tra Cina e paesi africani, la città ha visto un incremento esponenziale della popolazione africana. Nonostante ciò, questo ha portato anche a problematiche sociali, tra cui il crimine organizzato tra gruppi di immigrati africani, creando una divisione che viene sfruttata da alcuni gruppi politici per alimentare un discorso contro l'immigrazione. La politica di Trump sull'immigrazione, caratterizzata da un rifiuto delle politiche di apertura, ha trovato risonanza tra questi gruppi, che vedono l'immigrazione come una minaccia per l'ordine sociale.

In questo contesto, l'analisi delle geolocalizzazioni degli utenti cinesi che partecipano ai forum pro-Trump mostra che le regioni costiere, come Guangdong, Jiangsu e Zhejiang, sono le principali aree in cui queste discussioni si concentrano. Questo suggerisce che, purtroppo, la crescita di movimenti politici conservatori non si limita a una ristretta élite urbana, ma si sta diffondendo anche nelle aree più interne della Cina, dove le preoccupazioni per l'equità sociale e le disuguaglianze economiche sono più acute.

Inoltre, l'influenza della retorica di Trump non si limita solo alla sfera politica ed economica. La sua figura, ormai simbolo di un populismo sfrenato, sta modellando anche le opinioni delle persone riguardo la democrazia e la libertà. Alcuni utenti cinesi vedono in Trump una figura che sfida le convenzioni politiche e sociali, un uomo che parla in modo diretto, lontano dal politicamente corretto, e per questo lo considerano un modello. Tuttavia, c'è anche chi critica l'orientamento esclusivamente nazionalista e spesso xenofobo di Trump, che ha alimentato il risentimento nei confronti delle minoranze e degli immigrati.

Nel contesto di una Cina che cerca di bilanciare la sua politica estera con l'affermazione della sua cultura e della sua identità nazionale, le idee di Trump stanno avendo effetti ambivalenti. Da una parte, la sua posizione protezionista è vista come una risposta alla crescente pressione del mercato globale, ma dall'altra parte le sue opinioni hanno contribuito a polarizzare ulteriormente la società, creando nuove fratture tra gruppi etnici e sociali.

In questo scenario, è cruciale che il dibattito sulla politica internazionale non diventi un pretesto per giustificare la crescita di ideologie razziste e discriminatorie. Le questioni sollevate da Trump, pur legate alla geopolitica, non devono essere strumentalizzate per alimentare conflitti interni tra gruppi sociali. Allo stesso modo, è fondamentale che il governo cinese affronti le disuguaglianze sociali e le problematiche legate all'integrazione delle minoranze, senza cedere alla tentazione di utilizzare politiche nazionaliste per placare il malcontento crescente.

Come l'Amministrazione Trump e il Regime Emozionale di Apathia Influiscono sulla Politica Climática

L'amministrazione Trump ha rappresentato un esempio emblematico di come un regime emozionale di apatia possa plasmare le politiche e le decisioni, in particolare riguardo al cambiamento climatico. Un caso significativo di questa indifferenza emotiva è stato il trattamento della crisi di Puerto Rico dopo l'uragano Maria. La risposta federale è stata vista come insufficientemente empatica, quasi cinica, con il governo che minimizzava l'urgenza della situazione. La mancanza di azioni concrete e tempestive per sostenere l'isola, gravemente danneggiata, ha contribuito a esacerbare le disuguaglianze sociali ed economiche, creando una disconnessione tra le politiche centrali e le necessità reali dei cittadini.

Questa apatia non si è limitata all’emergenza immediata: le scelte politiche, come il ritiro dall'Accordo di Parigi sul clima, hanno confermato ulteriormente l'approccio emotivo distaccato e non sensibile dell’amministrazione alle problematiche globali di cambiamento climatico. La decisione di abbandonare un accordo internazionale fondamentale per la cooperazione sui cambiamenti climatici ha avuto implicazioni devastanti per la percezione della leadership globale e ha alimentato una retorica di negazione delle crisi ecologiche in corso. Ciò non ha solo disatteso gli impegni internazionali, ma ha anche instillato un clima di inazione che potrebbe avere ripercussioni a lungo termine sulla politica climatica mondiale.

L’analisi dell'impatto del regime emozionale di apatia del Trumpismo ci porta a riflettere sul concetto di "strutture di sentimento" descritto da Williams (1977) o sul "schema emozionale sociale più ampio" di Graybill (2019), in relazione ai cambiamenti climatici. Queste teorie suggeriscono che le emozioni collettive di una società, come l’indifferenza, possano radicarsi nelle strutture politiche e influenzare la risposta della società ai problemi urgenti come la giustizia climatica. Le scelte politiche che ignorano le emozioni collettive di preoccupazione e solidarietà possono rinforzare una cultura di negligenza, creando un circolo vizioso che ostacola ogni iniziativa di cambiamento positivo e trasformativo in ambito ambientale.

Il concetto di "regime emozionale" è fondamentale per comprendere come le politiche climatiche vengano modellate, ma non riguarda solo gli Stati Uniti. In altri contesti globali, possiamo osservare dinamiche simili di apatia emotiva che influenzano negativamente le politiche ambientali. Sebbene i soggetti, i processi e i contesti possano variare, la disconnessione emotiva delle classi dirigenti dalle realtà più vulnerabili del pianeta ha spesso lo stesso risultato: la negazione della giustizia climatica. L’assenza di politiche climatiche incentrate sulla solidarietà e sull'empatia perpetua un ingiustizia climatica che danneggia principalmente le popolazioni più povere e vulnerabili.

Questa apatia politica genera anche una risposta inefficace ai disastri naturali, che colpiscono in maniera sproporzionata le comunità marginalizzate. L’uragano Maria ha svelato l’inefficienza e la mancanza di cura nel trattamento delle vittime, mostrando quanto le politiche ambientali possano essere plasmate da una totale disconnessione emotiva dalle sofferenze umane. In questo contesto, l’inazione e la superficialità delle risposte governative aggravano le disuguaglianze sociali, poiché le politiche di emergenza e di recupero non tengono conto delle condizioni specifiche e delle vulnerabilità locali.

Le conseguenze politiche di un regime emotionale di apatia, in particolare nell’ambito della gestione del cambiamento climatico, sono ampie e pericolose. La negazione delle emozioni legate alle questioni climatiche non solo indebolisce le politiche internazionali, ma contribuisce anche alla frammentazione sociale. Le politiche climatiche che non si fondano su una forte connessione emotiva con la sofferenza umana rischiano di escludere coloro che sono maggiormente colpiti, rendendo il cambiamento climatico ancora più devastante per le generazioni future.

La lezione fondamentale che possiamo trarre dall'amministrazione Trump è che un governo che adotta un approccio apatico nei confronti delle crisi ambientali non solo esacerba l'ingiustizia climatica, ma rende anche le politiche inefficaci e incapaci di affrontare le sfide globali. L'esperienza di Puerto Rico, così come le decisioni politiche più ampie, dovrebbero servire da monito per l’intero mondo, affinché si eviti un simile distacco emotivo nella governance climatica, riconoscendo l’urgenza della trasformazione ecologica e sociale necessaria.

L'importanza di integrare le emozioni nelle politiche pubbliche, e in particolare nelle politiche climatiche, non può essere sottovalutata. Un approccio che non solo ascolti ma anche risponda alle emozioni e alle necessità di giustizia sociale ed ecologica è fondamentale per creare un cambiamento reale e positivo. In questo senso, la ricerca sul legame tra geografie emotive e politiche ambientali è cruciale per comprendere come le emozioni influenzano le decisioni politiche e come queste possano essere utilizzate per promuovere un’azione climatica trasformativa.

L'uso della geopolitica emotiva e dei media nel contesto della politica contemporanea

La geopolitica emozionale ha acquisito una rilevanza crescente nel dibattito pubblico e politico globale, specialmente attraverso i mezzi di comunicazione di massa e i social media. Il concetto di "geopolitica emotiva" si riferisce a come le emozioni, la paura e l'incertezza siano utilizzate per modellare le opinioni pubbliche e influenzare le politiche internazionali. La relazione tra sicurezza e insicurezza ontologica, ovvero il senso di minaccia esistenziale percepito dagli individui o dalle società, è diventata un terreno fertile per il consolidamento di narrative politiche, specialmente in contesti elettorali come quello delle elezioni presidenziali americane del 2016. La campagna di Donald Trump, ad esempio, è stata una manifestazione di come l'utilizzo strategico delle emozioni possa rafforzare la sua base di supporto, facendo leva sulla paura del cambiamento sociale, della perdita di identità culturale e della minaccia percepita da parte degli "altri", siano essi immigrati o gruppi di minoranza.

Un aspetto fondamentale del processo di costruzione della geopolitica emozionale è la sua capacità di legarsi alla narrativa nazionale, creando un'ideologia che oscilla tra il nazionalismo benevolo e un patriottismo che esclude. La sua manifestazione più evidente è la polarizzazione che attraversa non solo le politiche internazionali, ma anche la sfera domestica, alimentando un ciclo di "noi contro di loro". Trump, con le sue dichiarazioni controverse e le sue posizioni sull'immigrazione, ha contribuito a radicalizzare il dibattito sulla sicurezza, accentuando la percezione della "minaccia esterna" attraverso discorsi polarizzanti. Al contempo, il suo utilizzo dei social media, in particolare Twitter, ha svolto un ruolo cruciale nel diffondere e rafforzare questi messaggi. La velocità e la capacità di viralizzazione delle informazioni su piattaforme come Twitter hanno permesso a Trump di mantenere il controllo del dibattito politico, spostando l'attenzione dalle tradizionali forme di comunicazione politica a uno spazio più immediato e personale.

Il fenomeno non è limitato al contesto degli Stati Uniti. In molte parti del mondo, la crescente preoccupazione per il terrorismo e la migrazione ha contribuito alla nascita di movimenti politici che si riflettono su piattaforme simili, dando voce a una geopolitica che si fonda sulla paura. Gli attacchi terroristici, come quelli di Parigi nel novembre 2015 o la sparatoria di San Bernardino nello stesso anno, sono stati usati per giustificare politiche più dure e restrittive nei confronti delle minoranze musulmane. L'analisi di tali eventi attraverso il filtro della geopolitica emozionale suggerisce che la sicurezza non è mai un concetto puramente razionale, ma è piuttosto legata a percezioni soggettive di minaccia, che possono essere manipolate da attori politici e media.

Nel contesto della geopolitica emozionale, i social media non sono solo un mezzo di diffusione, ma diventano essi stessi un campo di battaglia. I messaggi, le immagini, e i video postati su Twitter, Facebook e altre piattaforme non solo informano ma modellano anche le emozioni, creando un ambiente in cui la politica è guidata dall'intensificazione delle reazioni emotive. Ad esempio, il movimento #ImWithHer durante le elezioni presidenziali del 2016 ha mostrato come le campagne politiche possano essere legate a figure simboliche e identitarie, con un impatto che va oltre il semplice programma elettorale.

Questa geopolitica delle emozioni non è solo un fenomeno mediatico; è anche una questione di spazio e di tempo. Gli eventi geopolitici vengono filtrati attraverso il nostro vissuto quotidiano, rendendo la geopolitica un elemento costante nelle discussioni politiche, nei discorsi pubblici e nei dibattiti. In particolare, eventi come il referendum sulla Brexit o l’ascesa di leader populisti in Europa sono esempi di come la geopolitica emozionale possa alimentare sentimenti di alienazione e sfiducia, portando alla crescita di nazionalismi e movimenti anti-establishment.

Il legame tra geopolitica emozionale e populismo è evidente in diversi contesti. La retorica di Trump, come quella di altri leader populisti, si basa sulla capacità di individuare un nemico esterno, un gruppo che minaccia i valori e l'identità di una nazione, e di presentare se stessi come l'unico difensore legittimo della nazione. Le politiche migratorie, la lotta al terrorismo, e il ritorno alla "grandezza" nazionale sono tutti temi che traggono forza da una geopolitica che fa leva sulle emozioni collettive, come la paura, l’orgoglio, e la rabbia.

Accanto a questo fenomeno, vi è la questione dell’autoritarismo e del suo rapporto con la geopolitica emozionale. L’emergere di politiche autoritarie in vari paesi ha trovato terreno fertile in un contesto di paura e incertezze globali. Il concetto di "minaccia" non riguarda solo gli attacchi esterni, ma anche la minaccia di un ordine mondiale che sembra fuori controllo, come evidenziato dalla crescente sfiducia nei confronti delle istituzioni internazionali. La geopolitica emozionale, quindi, non si limita solo alla politica interna di uno Stato, ma si estende alla sua posizione nel contesto globale, dove le percezioni di vulnerabilità o superiorità possono determinare scelte politiche drastiche.

In sintesi, è fondamentale comprendere che la geopolitica emozionale non è solo una reazione alla realtà esterna, ma una costruzione sociale che trae forza dalla capacità di influenzare il pubblico attraverso i media e le piattaforme digitali. Le emozioni, così come le narrative nazionali, giocano un ruolo cruciale nel plasmare la politica contemporanea, e il loro impatto va ben oltre i confini delle singole nazioni, influenzando le dinamiche geopolitiche a livello globale.

Qual è la relazione tra territorialità e politica estera degli Stati Uniti verso Cuba?

Nel 2017, l'Amministrazione Trump ha iniziato a invertire le politiche di apertura delle relazioni tra Stati Uniti e Cuba adottate dal governo Obama. Questo cambiamento è stato un ritorno alle tradizionali politiche coercitive degli Stati Uniti, che risalgono alla Rivoluzione cubana del 1959. L’approccio dell’amministrazione Trump si basa sulla convinzione neoconservatrice che la pressione e l’isolamento possano destabilizzare un regime repressivo, consentendo agli oppositori di insorgere e rovesciare il sistema. Si presume che tale cambiamento porti a una sostituzione del governo cubano con un’economia di mercato, in stile americano, e un governo amico degli Stati Uniti.

Tuttavia, questa logica non tiene conto della territorialità del regime cubano, che rende questo tipo di politica particolarmente inefficace. La territorialità, concetto che si riferisce alla capacità di uno Stato di governare tanto gli spazi fisici quanto quelli ideologici, è cruciale per comprendere perché le politiche degli Stati Uniti nei confronti di Cuba abbiano avuto scarso successo. In primo luogo, il regime cubano, attraverso il Partito Comunista di Cuba (PCC), ha creato un sistema così radicato e resistente che non esistono alternative politiche o istituzionali in grado di sfidare il suo dominio. Inoltre, il governo cubano ha coltivato nel corso di decenni una cultura politica che consente al PCC di esercitare un potere egemonico sull'immaginario collettivo dei cubani.

Ricerche etnografiche condotte tra i giovani dell'Avana, tra i 20 e i 40 anni, rivelano una profonda frustrazione nei confronti della politica e dell'economia costruite dal PCC, ma anche una totale rassegnazione. Questi individui non percepiscono la possibilità di un cambiamento radicale del sistema. Sono apolitici, demoralizzati e disinteressati a impegnarsi politicamente, soprattutto per via del rischio di sorveglianza e delle gravi ripercussioni fisiche e psicologiche che potrebbero derivarne. La percezione che il regime cubano crollerà, lasciando spazio a un governo in grado di rispondere alle esigenze democratiche e di mercato, è dunque altamente discutibile.

Tuttavia, l’esito più positivo degli anni di apertura delle relazioni tra gli Stati Uniti e Cuba durante il governo Obama è stato l’inizio di un processo di emancipazione dei cittadini cubani. Nonostante le difficoltà, l'avvicinamento tra i due Paesi ha favorito lo sviluppo di una mentalità imprenditoriale, incoraggiando i cittadini cubani a ritenersi capaci di apportare cambiamenti concreti nel loro paese. Inoltre, ha stimolato il regime cubano ad adattarsi in parte alle richieste della popolazione, specialmente per quanto riguarda l'accesso a beni di consumo e alla cultura globale. In questo contesto, l’inizio di una politica di impegno, piuttosto che di isolamento, potrebbe essere la chiave per facilitare un cambiamento autentico e duraturo.

La territorialità, dunque, si rivela fondamentale per capire perché le politiche di pressione e isolamento abbiano avuto effetti minimi nel lungo periodo. Quando si parla di territorialità in relazione al contesto cubano, si deve considerare non solo il controllo fisico degli spazi e delle risorse, ma anche il potere ideologico che il regime esercita sulle menti dei cittadini. La territorialità ideologica è un aspetto decisivo che rende difficile la nascita di un'opposizione autentica, non solo perché il regime ha represso le forme organizzate di dissenso, ma anche perché ha costruito un sistema di pensiero che rende quasi impensabile qualsiasi alternativa. La gestione dei “territori mentali” dei cittadini cubani è uno degli aspetti più difficili da scardinare.

Oltre alla questione della territorialità, è essenziale comprendere che l’isolamento e la pressione non sono sempre risposte efficaci per risolvere situazioni di lungo periodo come quella cubana. In molti casi, queste politiche non solo non portano a un cambiamento reale, ma tendono anche a rafforzare il regime, che si trova a giustificare la propria esistenza come una risposta alla minaccia esterna. Un approccio più sfumato e orientato all’apertura potrebbe, invece, avere un impatto più profondo e duraturo, anche se richiede tempo e pazienza.

In definitiva, è importante che gli Stati Uniti comprendano le dinamiche interne di Cuba, che non sono esclusivamente politiche, ma anche culturali e sociali. Le politiche di cambiamento devono tenere conto di queste complessità, senza cadere nella trappola della retorica della “sostituzione del regime” che spesso sfocia in un fallimento per via della natura resiliente del sistema cubano. La strada verso un’autentica trasformazione sociale e politica a Cuba richiede un lungo processo di dialogo, apertura e coinvolgimento delle risorse interne del paese, piuttosto che un ulteriore rafforzamento delle barriere ideologiche e fisiche.