Il 13 maggio, intorno alle 11:00 ora dell'Est, la signora Williams ricevette una telefonata da parte di un assistente del capo di gabinetto del vicepresidente. Le venne comunicato che il presidente Trump aveva deciso che il vicepresidente Pence non avrebbe partecipato all'inaugurazione del presidente eletto ucraino Zelensky, nonostante avesse inizialmente accettato l'invito. La decisione venne presa senza una spiegazione chiara, lasciando spazio a speculazioni su motivi politici e diplomatici legati agli sviluppi della politica estera degli Stati Uniti.

L’ambasciata degli Stati Uniti a Kiev aveva già iniziato a preparare una lista di possibili membri della delegazione, inizialmente molto lunga, ma presto venne ridotta a cinque persone: il segretario Perry, l'ambasciatore Sondland, l'inviato speciale per le negoziazioni con l'Ucraina, l'ambasciatore Volker, il colonnello Vindman, e il chargè d'affari dell'ambasciata di Kiev, Joseph Pennington. La delegazione, pur essendo composta da esponenti di alto rango, non rifletteva il livello di rappresentanza che ci si sarebbe potuti aspettare, e le circostanze che portarono alla selezione di questi membri rivelano la complessità della situazione politica che stava attraversando Washington.

Nel frattempo, un episodio che ha avuto un impatto significativo sulla diplomazia americana verso l'Ucraina è stato quello che è stato definito come "l'incidente Giuliani". L'ex sindaco di New York, Rudy Giuliani, aveva preso una posizione pubblica critica nei confronti di alcune figure politiche ucraine, tra cui l'oligarca Ihor Kolomoisky, accusato di ostacolare un incontro con il presidente Zelensky. Questo scontro tra Giuliani e Kolomoisky gettò ombre sulla legittimità delle richieste avanzate dall'ex sindaco e alimentò dubbi sulle reali intenzioni della politica estera di Trump verso l'Ucraina.

L'influenza di Giuliani sulla politica estera degli Stati Uniti, in particolare sulla sua spinta per avviare indagini politiche su Biden e sull'Ucraina, sollevò preoccupazioni tra alcuni membri della delegazione americana. Durante una delle riunioni con Zelensky, il colonnello Vindman esprimeva preoccupazioni riguardo alla possibile interferenza della politica interna degli Stati Uniti negli affari ucraini. Vindman, infatti, consigliò a Zelensky di mantenersi "particolarmente cauto" riguardo alla Russia e di "stare lontano dalla politica interna americana", un avvertimento che rifletteva la preoccupazione che l'Ucraina potesse diventare strumento nelle dinamiche politiche interne degli Stati Uniti.

Nonostante queste tensioni, gli ambasciatori Volker e Sondland, al termine della loro visita, riportarono un'impressione molto favorevole sul presidente Zelensky e furono determinati a consigliare al presidente Trump di impegnarsi direttamente con il nuovo leader ucraino, rafforzando il supporto degli Stati Uniti per la sua amministrazione. Una delle loro proposte fu quella di invitare Zelensky alla Casa Bianca, un incontro che sarebbe diventato cruciale per il futuro delle relazioni bilaterali.

In sintesi, le dinamiche politiche e diplomatiche che ruotavano attorno all'inaugurazione di Zelensky erano segnate da sfide interne alla politica americana, da un gioco di alleanze e da influenze esterne come quella di Giuliani, che ebbero un impatto diretto sulle scelte di politica estera di Trump. Sebbene la delegazione fosse composta da rappresentanti di alto profilo, la sua composizione e la sua gestione riflettono la complessità della situazione e le priorità politiche della Casa Bianca in quel momento. Il contesto in cui l'Ucraina si trovava a operare, tra la pressione delle richieste di indagini politiche e la necessità di mantenere una solida alleanza con gli Stati Uniti, evidenzia le difficoltà per Zelensky nel navigare tra queste forze contrastanti.

È importante comprendere che le decisioni prese in ambito internazionale, anche quelle che sembrano essere motivate da interessi geopolitici chiari, sono sempre influenzate da dinamiche interne, dalle scelte politiche di leader specifici e dalle alleanze personali che possono sovrapporsi agli interessi nazionali. Le questioni legate alla politica interna, come nel caso di Giuliani, non solo riflettono la polarizzazione che esiste negli Stati Uniti, ma possono anche avere implicazioni importanti per le relazioni internazionali, in particolare per paesi come l'Ucraina, che si trovano al centro di equilibri geopolitici molto delicati.

Perché è stata sospesa l'assistenza alla sicurezza all’Ucraina nel 2019?

Tra il 18 e il 31 luglio 2019, lo staff del Consiglio di Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti tenne una serie di riunioni interagenzia nelle quali si discusse del blocco dell'assistenza alla sicurezza destinata all’Ucraina. Queste riunioni rivelarono alcuni aspetti chiave: il blocco era stato diretto dal Presidente tramite l’Ufficio di Gestione e Bilancio (OMB), ma non venne fornita alcuna giustificazione ufficiale; a eccezione dell’OMB, tutte le agenzie rappresentate sostenevano l’assistenza in quanto parte integrante degli interessi di sicurezza nazionale degli Stati Uniti; emersero inoltre dubbi sulla legalità stessa del blocco.

La prima riunione, tenutasi il 18 luglio a livello di vice assistenti segretari, era stata pianificata come un incontro di routine sulla politica verso l’Ucraina. Tra i partecipanti vi erano il diplomatico Taylor, il tenente colonnello Vindman, la funzionaria Croft e il rappresentante Kent. Fu proprio durante questa riunione che l’OMB annunciò che il blocco era stato ordinato dal Presidente Trump, attraverso il Capo di Stato Maggiore ad interim della Casa Bianca, Mick Mulvaney. La notizia suscitò stupore e preoccupazione tra i presenti, che non compresero la ragione di tale decisione. Tutti concordarono sull’importanza strategica dell’assistenza all’Ucraina e rimasero increduli per l’assenza di una spiegazione.

Oltre alla mancanza di chiarezza circa l’applicazione del blocco — se riguardasse solo i fondi gestiti dal Dipartimento di Stato o anche quelli amministrati dal Dipartimento della Difesa — emersero tensioni sulla sua legittimità. Nel corso della seconda riunione, il 23 luglio, la situazione non si fece più chiara: ancora una volta, l’OMB riferì che il blocco doveva continuare fino a nuovo ordine, senza motivazioni esplicite. I rappresentanti delle altre agenzie ribadirono l’importanza di sollevare rapidamente la questione a livelli più alti per raccomandare la ripresa dell’assistenza.

Un tema centrale sollevato nelle discussioni fu la possibile violazione dell’Impoundment Control Act, una legge che consente al Presidente di sospendere temporaneamente la spesa pubblica solo se il Congresso ne è informato e approva la decisione. Questo sollevò dubbi sulla legalità del blocco, soprattutto perché l’OMB non fornì dettagli in merito alle ragioni che avevano motivato l’ordine presidenziale.

La terza riunione, il 26 luglio, a livello di vice ministri, ribadì che il blocco si estendeva sia ai fondi del Dipartimento di Stato che a quelli del Dipartimento della Difesa. OMB dichiarò di aver ricevuto istruzioni dal Presidente e dal Capo di Stato Maggiore ad interim di Mulvaney di congelare l’assistenza, sostenendo che il Presidente fosse preoccupato dalla corruzione in Ucraina e desiderasse accertarsi che il paese stesse facendo abbastanza per contrastarla. Tuttavia, i rappresentanti degli altri dipartimenti, inclusi gli esperti di Difesa, giudicarono insufficienti queste motivazioni. Il Dipartimento della Difesa aveva certificato il 23 maggio che l’Ucraina aveva compiuto progressi significativi nelle riforme anticorruzione.

Le testimonianze raccolte mostrano come il blocco dell’assistenza fosse un’azione isolata e priva di giustificazioni concrete, osteggiata da quasi tutte le agenzie coinvolte e segnata da incertezze sul suo rispetto delle normative federali. La mancanza di trasparenza e il rifiuto di fornire un motivo chiaro generarono confusione e preoccupazione, facendo emergere tensioni interne nella gestione della politica estera statunitense verso l’Ucraina.

È essenziale comprendere che la gestione di fondi destinati alla sicurezza internazionale è soggetta a rigide normative e che ogni decisione di sospensione deve essere adeguatamente motivata e comunicata alle istituzioni competenti. La fiducia tra alleati si basa anche sulla continuità e sulla chiarezza delle politiche di supporto, elementi che vengono compromessi in assenza di trasparenza. Inoltre, la questione della legalità del blocco solleva interrogativi più ampi sul bilanciamento dei poteri tra esecutivo e legislativo negli Stati Uniti, soprattutto in materia di spesa pubblica e politica estera.

Come si è svelato il meccanismo del blocco degli aiuti militari all’Ucraina?

Nel cuore delle tensioni diplomatiche tra Stati Uniti e Ucraina nel 2019 emerge un quadro complesso e controverso legato alla sospensione degli aiuti militari statunitensi. Le comunicazioni tra gli ambasciatori americani e i rispettivi leader evidenziano un gioco di parole e tempistiche che destano più di un dubbio. Ad esempio, il cambio di data da parte dell'ambasciatore Volker sulla conversazione con il Presidente Trump e i messaggi tempestivi dell’ambasciatore Sondland indicano un fitto scambio di informazioni, ma lasciano spazio a molte interpretazioni sulla reale dinamica degli eventi. La sequenza e l’ora in cui arrivano i messaggi suggeriscono la possibilità che il Presidente Trump abbia preso una chiamata in orari inconsueti, sollevando domande sull’urgenza e la natura delle discussioni.

La negazione del cosiddetto “quid pro quo” da parte di Trump si scontra con la dichiarazione pubblica del suo Capo di Gabinetto ad interim, Mick Mulvaney, il quale conferma apertamente che l’assistenza militare venne sospesa come leva per indurre l’Ucraina ad aprire un’inchiesta sulle elezioni americane del 2016. Mulvaney ha sottolineato che la questione della corruzione legata al server del Partito Democratico è stata esplicitamente menzionata dal Presidente. In un contesto dove l’uso della pressione in politica estera è presentato come prassi, questa ammissione ha acceso un acceso dibattito sulla legittimità e l’etica di tali tattiche.

Il blocco degli aiuti si concluse solo dopo che la notizia divenne pubblica, costringendo la Casa Bianca a cedere alla pressione di Congresso, stampa e opinione pubblica. Questo ritardo è avvenuto nonostante il riconoscimento formale, da parte dell’Ispettore Generale della Comunità di Intelligence, della gravità e credibilità della denuncia di un whistleblower, la cui segnalazione avrebbe dovuto essere immediatamente trasmessa al Congresso. Il fatto che il Direttore ad interim dell’Intelligence abbia trattenuto la denuncia su consiglio della Casa Bianca e del Dipartimento di Giustizia aggiunge un ulteriore livello di opacità e controversia.

Parallelamente, il Congresso, sia in maniera bipartisan che pubblica, ha manifestato forte preoccupazione per la sospensione degli aiuti, richiedendo con fermezza che i fondi venissero liberati senza indugio. Il coinvolgimento diretto di figure politiche di alto profilo, come i presidenti delle commissioni parlamentari e senatori di spicco, testimonia la rilevanza strategica degli aiuti militari per l’Ucraina e la gravità delle implicazioni politiche negli Stati Uniti.

Un elemento cruciale è il ruolo di Rudy Giuliani, l’avvocato personale di Trump, la cui attività in Ucraina ha suscitato sospetti e contribuito ad alimentare le indagini parlamentari. Il fatto che l’indagine riguardi un tentativo di pressione impropria sull’Ucraina per influenzare le elezioni statunitensi sottolinea come la dimensione interna e internazionale si siano intrecciate in modo problematico.

Infine, resta centrale l’immagine pubblica di figure come il procuratore generale ucraino Yuriy Lutsenko, definito da molti testimoni come inefficiente e corrotto, ma apprezzato pubblicamente da Trump, che ha invece criticato aspramente il suo successore, in un gioco di alleanze e favori che riflette la complessità delle dinamiche politiche in gioco.

È fondamentale comprendere che questo episodio non rappresenta soltanto una questione di relazioni diplomatiche o di assistenza militare, ma un caso emblematico di come strumenti di politica estera possano essere utilizzati per scopi politici interni, compromettendo la trasparenza istituzionale e la fiducia internazionale. La gestione delle informazioni, le strategie di pressione e la risposta degli organismi di controllo democratico costituiscono un quadro in cui la separazione dei poteri e la responsabilità pubblica sono messi alla prova.

Qual è il ruolo della mancata testimonianza nella politica americana? L’esempio della Casa Bianca e del processo di impeachment di Trump

Il caso dell'amministrazione Trump rappresenta uno degli episodi più controversi riguardo alla mancata testimonianza di funzionari di governo durante un'inchiesta di impeachment. Mai prima d'ora un presidente aveva emesso un ordine categorico che proibisse a tutto il ramo esecutivo di testimoniare di fronte al Congresso, specialmente in un'inchiesta di impeachment. Eppure, il presidente Trump ha dato proprio tale ordine, impedendo alle autorità di rispondere a citazioni legali, indipendentemente dalla loro posizione o grado.

Nel corso di questa vicenda, la Casa Bianca ha esercitato una pressione senza precedenti per bloccare la testimonianza di funzionari chiave, come quelli della Casa Bianca stessa, del Consiglio di Sicurezza Nazionale, del Dipartimento di Stato, del Dipartimento dell'Energia e dell'Ufficio di Gestione e Bilancio. La manovra orchestrata non riguardava solo i funzionari in carica, ma si estendeva anche agli ex impiegati del governo federale. Questo approccio uniforme e coordinato per impedire ai testimoni di dichiarare sotto giuramento è stato indicato chiaramente in una lettera del Consigliere legale della Casa Bianca, Pat Cipollone, datata 8 ottobre 2019. La lettera disponeva che tutti i testimoni del governo ignorassero le loro obbligazioni legali e disobbedissero alle citazioni della Camera dei deputati, una mossa che sfidava apertamente la legge.

Questa direttiva ha avuto un impatto significativo sul corso dell'inchiesta, poiché, nonostante l'opposizione della Casa Bianca, sono emerse testimonianze cruciali da parte di individui coraggiosi, disposti a rispettare le citazioni legali e a dire la verità. Tuttavia, le azioni del presidente hanno chiaramente ostacolato il progresso dell'inchiesta, privando il Congresso e l'opinione pubblica di ulteriori prove.

Molti di questi testimoni, tra cui alti funzionari dell'amministrazione, sono rimasti sotto citazione, ponendosi a rischio di disobbedire alla legge e di affrontare accuse penali di disobbedienza al Congresso. Il rifiuto di testimoniare è stato avvertito come un atto che potrebbe essere usato come prova in procedimenti per disprezzo del Congresso e che avrebbe potuto generare inferenze negative contro il testimone e il presidente stesso.

Un esempio emblematico di questa dinamica si è verificato con Mick Mulvaney, Capo di Gabinetto della Casa Bianca, il quale, nonostante una lettera di convocazione per una deposizione, ha scelto di non presentarsi. Il suo avvocato ha inviato una comunicazione ufficiale il 7 novembre 2019, con la quale Mulvaney rifiutava di rispondere alla citazione e affermava di voler esplorare tutte le opzioni legali. Il motivo dichiarato era che Mulvaney godeva di un'immunità assoluta per il suo ruolo di consigliere senior del presidente, una posizione che non è stata riconosciuta dal Congresso.

Il rifiuto di Mulvaney di testimoniare, come quello di altri membri dell'amministrazione, non solo ha ostacolato l’inchiesta, ma ha anche fatto sollevare dubbi sul fatto che la Casa Bianca stesse cercando di nascondere prove che avrebbero potuto incriminare ulteriormente il presidente. La testimonianza di Mulvaney, infatti, sarebbe stata cruciale per chiarire la sua implicazione nelle azioni del presidente riguardanti l'Ucraina, in particolare per quanto riguarda il tentativo di condizionare il governo ucraino a intraprendere indagini politiche su avversari del presidente. La decisione di non testimoniare è stata vista come un tentativo di proteggere la presidenza e di evitare la divulgazione di dettagli compromettenti.

Anche Robert B. Blair, assistente del presidente e consigliere senior di Mulvaney, ha ricevuto una citazione per testimoniare, ma ha scelto di rifiutare anche lui, sostenendo che la citazione non fosse valida senza l’assistenza legale di un consigliere dell'agenzia. Nonostante le pressioni legali e politiche, Blair ha disobbedito alla citazione, segnando un altro capitolo significativo nell’ostruzione dell'inchiesta.

In questo scenario, la mancata testimonianza non si limita a un atto di disobbedienza civile o di difesa legale, ma è parte di una strategia più ampia per impedire che il Congresso scopra verità che potrebbero minare la posizione del presidente. Gli sforzi di bloccare le testimonianze e nascondere prove hanno avuto l’effetto di rinforzare la percezione di un tentativo di ostruzione dell'inchiesta, trasformando il rifiuto di cooperare in una parte integrante della strategia difensiva dell’amministrazione.

Oltre a queste azioni specifiche, è cruciale comprendere che il rifiuto di testimoniare durante un'inchiesta di impeachment non solo minaccia l'efficacia delle indagini, ma alimenta anche il conflitto tra i poteri costituzionali. Mentre il Congresso esercita il suo potere di indagine come parte della sua funzione di controllo, l'esecutivo, attraverso l'intervento diretto del presidente, tenta di limitare e controllare l'accesso alle informazioni cruciali. Questo non solo mina la fiducia nelle istituzioni democratiche, ma può anche alterare la percezione pubblica dell'integrità di un processo legale.

Perché l'Amministrazione ha Impedito l'Accesso alle Depositioni: Un Conflitto tra Procedura e Obbligo Costituzionale

Nel contesto dell'inchiesta di impeachment del 2019, l'Amministrazione Trump ha assunto una posizione netta riguardo alla partecipazione delle sue figure chiave alle depositions richieste dal Congresso. Un punto cruciale in questa battaglia legale è il rifiuto della Casa Bianca di consentire ai membri dell'Office of Management and Budget (OMB), e ad altri funzionari dell'amministrazione, di testimoniare in risposta agli inviti delle commissioni parlamentari.

Il 8 ottobre 2019, un avviso da parte del consulente legale della Casa Bianca chiariva la posizione del presidente: l'amministrazione non avrebbe partecipato all'inchiesta di impeachment in quanto questa veniva ritenuta parzialmente motivata da un'agenda politica e priva di garanzie procedurali adeguate. Secondo la lettera, il presidente, in qualità di custode dei diritti dei futuri occupanti della sua carica, non avrebbe permesso che i suoi funzionari partecipassero alla deposizione in queste circostanze. Il contenuto di questa missiva ha quindi definito la linea di condotta, che ha portato a un netto rifiuto di partecipare a qualsiasi interrogatorio legale.

Uno degli episodi più rilevanti si è verificato il 5 novembre 2019, quando, nonostante un’ordinanza di comparizione (subpoena), i funzionari Michael Duffey, Brian McCormack e Russell Vought non si sono presentati per la deposizione. Le loro risposte ufficiali, espresse attraverso lettere, riflettevano chiaramente l'intenzione di disobbedire a quanto ordinato dal Congresso, ritenendo che l'inchiesta fosse procedurale e sostanzialmente iniqua. Gli avvocati che rappresentavano l'OMB affermavano che non fosse legittimo impedire ai funzionari di essere accompagnati dai consulenti legali dell'agenzia, basandosi su un parere dell'Office of Legal Counsel che contestava le pratiche parlamentari.

Questa serie di eventi sollevò importanti interrogativi circa la legittimità e le motivazioni legali dietro il rifiuto. Da una parte, il Congresso, rappresentato dalle commissioni presiedute dal deputato Adam Schiff, vedeva il comportamento dell'amministrazione come un ostacolo diretto alle sue funzioni legittime. La giustificazione politica di "processo farsa", ripetutamente espressa da Vought, Duffey e McCormack, non convinceva molti osservatori, che la interpretavano come un tentativo di bloccare le indagini. Dall’altra parte, la Casa Bianca sosteneva che il rifiuto di fornire testimoni fosse fondato su questioni costituzionali più ampie, legate alla separazione dei poteri e alla necessità di preservare l'integrità dell'esecutivo contro l'ingerenza legislativa.

Questa posizione di non conformità alle richieste delle commissioni sollevava una preoccupante domanda sulla compatibilità tra il rispetto delle prerogative presidenziali e l'esercizio dei poteri investigativi da parte del Congresso. Le implicazioni legali di questi conflitti, in un sistema costituzionale dove i vari poteri devono bilanciarsi, risultano evidenti non solo nei confronti della Casa Bianca, ma anche per il futuro della partecipazione degli alti funzionari alle indagini legislative. L'ostruzione di testimoni è sempre stata una questione controversa, ed è stato il centro di un acceso dibattito tra chi ritiene che il Congresso abbia il diritto di chiedere testimonianze e chi sostiene che tale azione possa invadere le prerogative dell'esecutivo.

Oltre a questo, va considerato che l’incapacità di adempiere a un ordine di comparizione può essere vista come un’azione che mina la legittimità stessa del processo di impeachment, interferendo con il lavoro delle istituzioni democratiche. Un altro aspetto che si aggiunge alla discussione riguarda la giurisprudenza precedente, che ha visto entrambe le parti politiche utilizzare simili meccanismi per interrogare funzionari di alto livello, senza che fosse mai messo in discussione il diritto del Congresso di farlo. Tuttavia, il caso del 2019 ha visto un netto cambiamento nelle dinamiche politiche, con il rifiuto di collaborare ritenuto da molti come un tentativo di scardinare un precedente che ha governato il sistema politico degli Stati Uniti per decenni.

Il conflitto che ne è emerso si concentra su una questione legale e costituzionale fondamentale: chi ha l'ultima parola sulle modalità di conduzione delle indagini? Il Congresso, nel suo ruolo di supervisore e controllore dell’esecutivo, ha il diritto di ottenere testimonianze, ma non sempre gli è concesso il potere di forzare la cooperazione da parte dei funzionari. E qui entra in gioco la questione della separazione dei poteri: se da un lato il Congresso ha bisogno di raccogliere prove e testimonianze, dall'altro l’esecutivo è protetto dalla necessità di preservare l’integrità della sua operatività e di non essere ostacolato da procedimenti che ritiene iniqui.

L’aspetto più importante che emerge da questi eventi è la natura del potere presidenziale in relazione alla partecipazione in procedimenti legali o investigativi. La posizione della Casa Bianca ha fatto emergere una serie di discussioni su quanto sia vitale proteggere la riservatezza e l’autonomia dell’esecutivo, soprattutto in un contesto che potrebbe rivelarsi politicamente motivato. In questo scenario, il diritto del Congresso di investigare è posto di fronte alla protezione delle prerogative presidenziali, e la questione si complica ulteriormente quando la cooperazione dei testimoni è essenziale per l’avanzamento dell’inchiesta.