La "storia della sicurezza" che Trump ha costruito durante la sua ascesa politica è innegabilmente legata alla narrativa di una guerra culturale, che ha radici profonde nella storia degli Stati Uniti, risalendo fino all'epoca della schiavitù. Questa storia si articola non solo sulla difesa di un ordine tradizionale, ma anche sulla creazione di nemici, attraverso una divisione netta tra le cosiddette "élite cosmopolite" e una vasta popolazione di lavoratori bianchi e conservatori che si identificano con una visione nazionale, tradizionale e patriottica degli Stati Uniti. Trump, nel suo discorso sulla sicurezza, ha abilmente sfruttato questo conflitto culturale, ponendo come antagonisti le "città globalizzate" e la "classe dirigente" che, secondo lui, minacciano i valori americani fondamentali.

Il conflitto che Trump ha alimentato tra le piccole cittadine rurali, conservatrici e le aree urbane liberali è stato uno dei cardini della sua strategia politica. In questo scontro, i lavoratori bianchi e i "tradizionalisti" evangelici si sono alleati contro le forze globaliste, rappresentate dalla classe dirigente dei media e dai liberali che dominano le grandi città. Rich Lowry, giornalista, ha osservato come Trump si sia concentrato su questa battaglia culturale contro l'establishment, con un attacco costante alla "correttezza politica" che, secondo lui, ha soffocato il discorso pubblico nelle università e nella cultura di élite.

La visione di Trump si basa su una contrapposizione tra un nazionalismo tradizionale che fa leva sulla cultura e sull'identità americana e un liberalismo internazionale che, a suo avviso, ha cercato di indebolire la sovranità degli Stati Uniti. La "classe dirigente denazionalizzata", come la definiva lo scienziato politico Samuel Huntington, ha cercato di erodere l'identità nazionale attraverso politiche di multiculturalismo e immigrazione di massa. Qui, il conflitto non è solo economico, ma anche culturale: la "guerra delle civiltà" supera la lotta di classe, portando la cultura conservatrice e i lavoratori a unirsi contro un nemico comune.

Trump ha trasformato la guerra culturale in una lotta tra tribù politiche, in cui i "tradizionalisti" conservatori si sono presentati come i veri americani, le uniche forze in grado di preservare l'identità nazionale. Il risultato è stato un inasprimento delle divisioni politiche, con l'idea che l'America sia in pericolo per colpa delle forze cosmopolite e progressiste che minacciano di distruggere i valori tradizionali. La visione "rossa" dello stato mentale di Trump ha dipinto la "mente blu" come culturalmente velenosa e pericolosa per la civiltà americana.

La "sicurezza" di Trump non si è fermata al piano culturale, ma si è intrecciata con una narrativa economica. La sua critica al libero commercio e alle politiche neoliberiste ha trovato eco tra i lavoratori che sentivano di essere stati abbandonati dalla classe politica tradizionale, sia a sinistra che a destra. Trump ha fatto leva sul malcontento economico delle "persone dimenticate" delle zone rurali, alimentando sia la paura culturale che le frustrazioni economiche. L'integrazione di una retorica populista e protezionista ha permesso a Trump di conquistare il sostegno di un vasto elettorato che si sentiva escluso e marginalizzato.

Questa fusione di ansie economiche e culturali ha dato vita a una "guerra" che non riguarda solo la difesa del posto di lavoro, ma anche la preservazione di un’identità nazionale contro le forze globaliste. In questo contesto, Trump ha alimentato il risentimento verso i "globalisti" e i "cosmopoliti", unendo il suo elettorato in una lotta per la sopravvivenza economica e culturale. Sebbene le sue politiche economiche non abbiano risolto le difficoltà reali dei suoi sostenitori, la sua abilità nel portare alla luce le contraddizioni del sistema neoliberista ha fatto di lui una figura centrale nella politica americana.

Un altro aspetto fondamentale della "storia della sicurezza" proposta da Trump è l'idea che ogni individuo possa essere un nemico. Concetti come "più armi, più sicurezza" sono stati ampiamente promossi, enfatizzando il pericolo costante rappresentato dal prossimo, sia esso un immigrato, un musulmano, o anche un membro della propria stessa comunità. La militarizzazione della società americana, alimentata da una retorica che incita alla difesa della libertà individuale tramite la violenza e l'armamento, ha creato un clima di paura in cui il nemico è ovunque. Questo concetto di "tutti nemici" è particolarmente potente in una società capitalista, dove la competizione sfrenata tra individui rende la linea tra concorrenti e nemici sempre più sottile.

In definitiva, la visione della sicurezza proposta da Trump non è solo una risposta alla violenza esterna o alla criminalità, ma anche un'ideologia che esacerba le divisioni interne, creando un clima di sospetto e paura, dove ogni persona può essere vista come una minaccia. Questo approccio porta con sé implicazioni significative per la democrazia e per il modo in cui le società moderne affrontano il concetto di sicurezza. La crescente militarizzazione della vita quotidiana, l'accentuazione delle paure legate all'immigrazione e alla diversità, e la retorica della guerra culturale, sono tutte componenti di una visione del mondo che ha avuto un impatto profondo sulla politica americana e che, in molti modi, ha alimentato l'instabilità sociale e politica.

Come il racconto della sicurezza alimenta l’ascesa dell’autoritarismo

Donald Trump ha sistematicamente identificato la stampa libera come uno dei principali nemici della nazione, un copione che richiama alla memoria le tattiche di regime autoritari del passato, come quelle della Germania nazista. Definendo i media come “nemici del popolo” e adottando un linguaggio offensivo verso giornalisti e interi organi di informazione, Trump ha fomentato una narrazione di ostilità verso chiunque metta in discussione il suo potere. Questa strategia, documentata dall’American Civil Liberties Union, non solo alimenta il risentimento ma consolida una realtà in cui la verità oggettiva viene sostituita da una “verità” costruita ad arte dal leader e dai suoi sostenitori.

Il cosiddetto “racconto della sicurezza” – la storia che un leader forte è necessario per proteggere il popolo da minacce interne ed esterne – si è mostrato storicamente come uno strumento potente per la deriva autoritaria. Nel caso di Trump, questa narrazione si incrocia con politiche razziste e con un’aperta simpatia verso regimi dittatoriali e gruppi suprematisti, creando un terreno fertile per l’ascesa di movimenti neo-fascisti e per la legittimazione di misure repressive, come la detenzione di minori in strutture militari o la deportazione senza giusto processo. La storia insegna che quando l’élite politica non riesce a rispondere efficacemente alle reali ansie economiche e culturali delle classi popolari, si apre la porta a leader autoritari che promettono sicurezza a scapito delle libertà democratiche.

Numerosi studiosi e intellettuali hanno messo in guardia contro la ripetizione di questa dinamica. Libri come Fascism: A Warning di Madeleine Albright, How Democracies Die di Levitsky e Ziblatt, e On Tyranny di Timothy Snyder analizzano le condizioni che hanno portato all’implosione delle democrazie europee nel ventesimo secolo e il pericolo che tali condizioni si ripetano negli Stati Uniti e altrove. In particolare, Snyder evidenzia come l’ascesa di leader autoritari non avvenga fuori dalle istituzioni democratiche, ma attraverso esse, smantellandole dall’interno con la promessa illusoria di garantire sicurezza.

La radice di questa dinamica risiede nelle “paure del piano di sotto” – nelle ansie, nelle insicurezze economiche e culturali di chi si sente escluso e abbandonato dal sistema. Il racconto della sicurezza risuona emotivamente perché parla a queste paure, ma non offre soluzioni reali. Anzi, spesso aggrava la vulnerabilità di queste stesse persone. L’illusione di protezione tramite la repressione e la chiusura identitaria apre la strada a politiche che erodono le basi della democrazia e alimentano divisioni sociali profonde.

Il caso di Hitler è l’esempio più tragico e definitivo di questa dinamica. La sua narrazione della sicurezza e del nemico interno servì a trasformare una società democratica e civile in un regime di genocidio e terrore. Oggi, fenomeni come la rinascita dei partiti neo-fascisti in Europa, come l’Alternative für Deutschland, dimostrano che questi pericoli non sono fantascienza, ma realtà concrete. L’ascesa di figure populiste e autoritarie negli Stati Uniti e altrove trova terreno fertile in un contesto di crescente disuguaglianza, crisi economica e polarizzazione culturale.

È cruciale comprendere che la sfida non risiede solo nella persona del leader autoritario, ma nel contesto più ampio di un sistema economico e politico che alimenta insicurezze e divisioni. La narrazione della sicurezza, per quanto potente, è un sintomo di problemi più profondi: la mancanza di una risposta inclusiva e giusta alle esigenze delle classi popolari e la fragilità delle istituzioni democratiche. Senza un cambiamento strutturale che dia voce e dignità a chi oggi si sente “di sotto”, la strada verso l’autoritarismo rimarrà aperta.

La consapevolezza storica e la vigilanza civica sono strumenti fondamentali per riconoscere e contrastare le narrazioni pericolose. Solo affrontando con serietà le disuguaglianze economiche e le tensioni culturali si può impedire che la promessa di sicurezza diventi un pretesto per la perdita delle libertà fondamentali e per l’ascesa di nuovi regimi autoritari.