Quando ci si addentra nel mondo della scrittura professionale, uno degli aspetti fondamentali che ogni autore deve imparare è cosa si intenda realmente per "storia". Essere uno scrittore, ossia un intrattenitore pubblico, non è solo questione di mettere insieme parole, ma implica conoscere e rispettare le leggi e le convenzioni della narrativa pubblicata. Si tratta di comprendere ciò che la parola "storia" significa nel mondo della fiction e come, solo conoscendo questa definizione, un autore possa aspirare a scrivere storie che abbiano un impatto. Scrivere per una rivista o un romanzo commerciale richiede un apprendimento continuo, eppure, alla fine, ogni scrittore di successo si affida a una formula narrativa comune, che può sembrare tanto semplice quanto inevitabile.

Questa formula narrativa di base può sembrare banale, ma è incredibilmente potente e universale. Ogni storia, o quasi, può essere ridotta a una struttura che segue lo schema del protagonista, che si trova di fronte a una difficoltà imponente, intraprende una serie di tentativi per risolverla e, dopo innumerevoli ostacoli, giunge alla risoluzione. A volte vince, altre volte perde, ma il suo cammino è sempre segnato da difficoltà e da una rivelazione finale che cambia il corso degli eventi. Che sia un racconto di guerra, una storia di vendetta o una saga epica, lo scheletro narrativo resta invariato.

Isaac Asimov, per esempio, con la sua serie "Fondazione", espone chiaramente questa struttura. L'intera umanità si trova di fronte a una crisi che solo il protagonista, Hari Seldon, può risolvere grazie alla sua conoscenza della psico-storia, una scienza che prevede il comportamento umano su vasta scala. Eppure, mentre risolve una crisi, la storia evolve in un ciclo di problemi successivi, ognuno più arduo del precedente. Lo stesso schema si può applicare a "Dune" di Frank Herbert, dove il giovane Paul Atreides, spinto da una profonda vendetta personale, affronta un universo ostile per diventare il leader di un impero galattico. Ancora una volta, si fa strada una serie di prove, sconfitte, illuminazioni e risoluzioni.

Un altro esempio lampante di questa struttura è "I frutti della rabbia" di John Steinbeck, in cui i protagonisti affrontano la miseria e la disumanità durante la Grande Depressione, ma la loro lotta è per qualcosa di più grande di loro stessi: la dignità e la sopravvivenza. Oppure, pensiamo a un altro classico, "Crimine e castigo" di Dostoevskij, dove Raskolnikov, giovane e tormentato, si confronta con la propria visione del mondo e la sua necessità di espiare un omicidio, perdendo se stesso e riscoprendo la sua umanità lungo il cammino.

Anche nei racconti di fantascienza, che potrebbero sembrare storie esotiche e lontane, la formula si ripete. Da "Il mio destino è nelle stelle" di Alfred Bester a "Il destino di Gully Foyle", lo schema della lotta, del conflitto interiore e della risoluzione finale è invariabile. Questi racconti possono sembrare scritti per un pubblico di massa, ma possiedono, in fondo, la stessa struttura narrativa dei più grandi classici della letteratura universale.

Ciononostante, la questione si complica quando si considerano storie che sfidano queste strutture. La narrativa moderna, infatti, ha visto l'affermarsi di racconti che si distaccano da questa formula. Nel corso del Novecento, scrittori come James Joyce in "Ulisse" o William Faulkner in "Mentre morivo" hanno creato opere che non seguono strettamente la trama convenzionale. In "Ulisse", per esempio, la storia di Leopold Bloom si svolge nell'arco di una giornata, ma la sua "lotta" non è tanto esterna quanto psicologica. Qui, l'interiorità del protagonista diventa il motore della narrazione, distaccandosi dalla tradizionale struttura di "inizio, mezzo e fine". Un altro esempio è "Per chi suona la campana" di Hemingway, che racconta la battaglia di un uomo contro il destino, ma con una struttura narrativa che non offre una vera "soluzione", poiché la morte del protagonista è inevitabile.

Tuttavia, anche in queste opere, qualcosa dell'inconfondibile trama "classica" può essere percepito. È come se, dietro la superficie della narrativa sperimentale o non convenzionale, emergesse comunque una lotta interna, una difficoltà da superare, una forma di illuminazione, anche se più ambigua rispetto alle trame tradizionali.

Laddove ci si interroga sulla possibilità di sfuggire alla formula narrativa universale, occorre ricordare che ogni storia nasce da un conflitto, da una difficoltà, da un ostacolo che il protagonista deve affrontare e, seppur in modo diverso, risolvere. Anche le storie che non sembrano seguire questo schema, alla fine, in qualche modo rispondono a questa necessità di costruire una narrazione che soddisfi il lettore, che lo faccia entrare in contatto con un mondo di lotta, speranza, tensione e cambiamento.

Quando l'ordine di terminare sostituisce la cattura?

La sala comandi pulsava di immagini e di silenzio; una delle schermate mostrava il riverbero monocromatico della telecamera montata sul petto del Diablo: sfocato, oscillante ad ogni passo pesante del conduttore, rivelava una sponda invasa da arbusti, il fiume come una lama d'argento che rifletteva il mattino. «Troppo facile», mormorò, più a se stesso che alla matriarca. «Cosa hai detto?» Ella stava accanto a lui, le braccia conserte sul petto. «Pensi che sia facile? Capitano, questa operazione è stata pianificata da mesi. Le nostre capacità…» «E da quello che mi hai detto», replicò lui a bassa voce, «voi avete costantemente sottovalutato il nemico. Sembra che crediate che, solo perché avete più uomini e mezzi, l’avversario sia privo di risorse. Errore.» Le sue mani caddero lungo i fianchi; lo fissò con un disprezzo che lambiva la collera. Non alzando la voce, Baptiste percepì il silenzio che calava nella sala: molti ufficiali stavano ascoltando quell’attrito; quanti, pensò, avrebbero voluto dissentire ma temevano l’autorità della governatrice coloniale. Hernandez si ritrasse, lo sguardo che si faceva stretto. «Forse hai ragione, Capitano. Cambieremo lo scopo dell’azione.» Si voltò verso il carrellino di Diablo Alpha. «Dove sono i tuoi uomini?» «Stanno scendendo il crinale, signora.» Cartman indicò sullo schermo la posizione di Diablo Alpha, due asterischi che scendevano fra curve di livello fitte. La telecamera del petto mostrava rami e massi imbiancati. «Non hanno ancora contatto visivo, ma i pattern sonar indicano movimento a circa cinquecento metri...» «Mostrami la ripresa che Flight One ha preso di loro.» Cartman batté i tasti e un’altra immagine balenò: un’inquadratura dall’alto, tremolante, due uomini catturati per pochi secondi da una gyro-cam sulla pancia, che li osservavano da sotto rami carichi di neve. «Ferma!» Ella indicò l’uomo a destra: giovane, barbuto, un carabina Union a tracolla. «Guardalo bene, Capitano... Carlos Montero, lo stesso Rigil Kent. Dimmi, pensi che sia uno da sottovalutare?» «No, signora, non lo farei.» Non era paura ciò che Baptiste scorse nel volto di Montero, ma qualcosa d’altro: una determinazione che, in altre circostanze, avrebbe suscitato ammirazione. «Neanch’io. E con lui ho avuto a che fare molto prima che voi...» Hernandez premette il mento con un dito. «Collegate Alpha e Bravo. Voglio parlare con loro.» «Matriarca», protestò Baptiste, «ricordo che questa è un’operazione della Guardia Union...» «E io ricordo di essere la governatrice coloniale.» Voltò deliberatamente le spalle. Cartman annuì; la voce della matriarca raggiunse le squadre. «Diablo Alpha, Diablo Bravo, qui Matriarca Luisa Hernandez. L’obiettivo missione è cambiato. Priorità primaria: terminazione, non cattura. Ripeto: terminazione priorità primaria. Fine.» Lei si toccò il mento ancora una volta e lo lasciò, poi lo guardò. «Penso che questo dimostri quanto prenda sul serio la questione.» L’orrore gli serrò il volto; non era ciò che gli era stato spiegato. «Non ho mai dubitato», disse, scegliendo le parole, «ma siete consapevole che i vostri ordini includono la terminazione di due civili... incluso il vostro capo proctor?» La sua faccia divenne improvvisamente pallida, come se avesse compreso l’atto. Ci sarebbe stato tempo per ritrattare, ma la freddezza ritornò. «Certo che lo so. Fate come dico.» Si allontanò, e Baptiste colse allora quanto fosse arrivata l’ossessione per Rigil Kent.

Sui fianchi dei bluffs, i binocoli all’inizio non mostrarono altro che fronde che oscillavano. Poi, un’ombra corse sul fondo della scarpata, scivolò su una frana di sassi. Carlos la vide e parve sparire; in seguito notò neve cadere da un cespuglio come se qualcosa avesse urtato le foglie, seguendo le tracce che lui e Chris avevano lasciato. «Hai difficoltà?» Chris giaceva contro il masso, un sorriso beffardo. «Difficile individuarli in modalità spettro.» «E non mi dirai cos’è quella modalità, vero?» Carlos continuava a scrutare i bluffs, poi scorse di nuovo le ombre; stavolta erano due, una dietro l’altra. «Uhm...» Chris ci pensò un attimo. «Stai guardando nel modo sbagliato.» Carlos depose i binocoli e prese il fucile; passando al visore a infrarossi il mondo si tinse di crepuscolo, ma apparvero due sagome massicce, indefinite, vagamente antropomorfe: uova con gambe corte e braccia sproporzionate. «Ecco lì.» rise Chris. «È il loro tallone d’Achille. Le tute sono rivestite da un polimero che li mimetizza, ma non hanno mai potuto occultare il calore dei loro sistemi. Vai in IR e in freddo li vedi... più o meno.» «Sembri saperne molto.» Carlos osservava quei due che procedevano lungo la base del dirupo. Aveva un campo di tiro libero, ma se l’armatura era pesante, i proiettili leggeri sarebbero stati inutili; sparare ora avrebbe solo rivelato la sua posizione. «Altro da dire?» «Se è una squadra hunter-killer standard, il leader sta spazzando quest’area con i sensori. Quindi se pensi che non sappiano dove siamo, sbagli. Probabilmente ci ascoltano adesso... se non hanno già captato il raggio IR del tuo cannocchiale.» Il sangue di Carlos gelò. La sagoma del Diablo si voltò: un cilindro sulla spalla destra ruotò, come per mirare. Si abbassò, stringendo il fucile al petto; un sibilo sottile e schegge incandescente gli pizzicarono la guancia destra. «Ah sì... e sono armati anche con laser a particelle!» rise Chris. «Oh cavolo, sei fottuto...!» Carlos si pulì la fronte; il guanto ritornò sporco di sangue per mezza dozzina di graffi. Lanciò a Chris uno sguardo durissimo mentre scivolava giù dal masso. Se fossero stati abbastanza veloci, potevano percorrere il resto del pendio prima che...

È opportuno integrare con dati tecnici e contesto operativo: specifiche sommarie del Diablo (massa, sistema di occultamento, emettitori termici), limiti dei visori a infrarossi nelle diverse condizioni atmosferiche, comportamento noto delle unità hunter-killer e protocolli di ingaggio della Guardia. Va precisata la differenza giuridica e morale tra «cattura» e «terminazione» in teatro coloniale, le catene di comando che consentono ordini contrari alla prassi della Guardia, e le conseguenze politiche di una decisione siffatta. Occorre aggiungere brevi ritratti biografici per i protagonisti citati (matriarca, Baptiste, Montero, Chris) che spieghino motivazioni, rancori pregressi e legami professionali, senza appesantire la narrazione: bastano cenni che giustifichino l’ossessione, la riluttanza e il calcolo tattico. Infine, per accompagnare il lettore a comprendere il quadro operativo e psicolog

Quanto vale davvero una casa su Marte?

“Lo sono,” l’interrompo. “In te, sì. Mi interessi.” Ora lei tenta il silenzio. Io guardo di nuovo la fotografia, concentrandomi sul lago ghiacciato in primo piano. “Quanto pagherai per me?” La domanda le esplode dalla bocca, seguita dalla semplice confessione: “Il mio proprietario mi ha lasciato piena discrezione. Sono libera di concludere il miglior accordo possibile nel più breve tempo.” Non è legalmente senziente. Poiché la senzienza è definita dalla legge, è relativamente semplice dotare oggetti comuni di abbastanza potere mentale e personalità da farli sostare sull’orlo di ciò che dovrebbe essere libero. Provo pena per lei. Ma nello stesso momento, rimango saldo nei miei bisogni.

Con calma e fermezza le comunico la mia offerta per la sua terra e i suoi edifici, i tappeti consunti e quella sola vecchia fotografia di un palazzo un tempo grandioso. Lei fa un passo indietro, sorpresa. “No,” dice. Poi, con un sospiro basso, aggiunge: “Devo aver sentito male. Qual è di nuovo la tua offerta?” Sollevo la mia mano temporanea, piegando un dito contro la base del pollice. “Un pezzo di rame,” dico. “Grande così. Con un volto da un lato e colonne dall’altro.” Lei appare attonita e spaventata. “Un penny,” dico. “Questo è l’antico nome della moneta.”

E improvvisamente sono di nuovo solo, davanti all’abominio di un caminetto che probabilmente non ha mai bruciato nemmeno una molecola, e quell’immagine di una grande casa perduta nel tempo. I visitatori continuano ad attraversare la casa, e la maggior parte alla fine mi trova. I silenzi imbarazzati sono frequenti quanto le lodi effusive. Alcuni implorano di poter essere fotografati accanto a me. Un visitatore — un bambino IA, per caso — mi sorride speranzoso: “Vivrai qui?” “Non è una domanda ragionevole,” lo avverte il genitore. “La ricchezza non vive dentro le case.” “La ricchezza vive ovunque,” cita il bambino. “Esatto,” dice il genitore. Poi il bambino torna a guardarmi, domandando ad alta voce: “Vivrai ovunque e anche qui?” Sorrido piano, felice.

Scendo di nuovo al piano terra, trovando infine un semplice tubo di discesa che mi porta nel seminterrato. L’odore di muffe terrestri e acqua fossile riempie ciò che passa per il mio naso. Le fondamenta sono sorprendentemente ornate: blocchi di basalto scolpito, ogni faccia decorata con sezioni trasversali ingrandite di antichi batteri, il DNA marziano che usa il proprio linguaggio per intrecciare una schiera di amminoacidi insoliti. Il tempo e il terreno mobile hanno creato piccole fessure nei giunti. Per il resto, la vecchia casa poggia su una base solida e magistrale.

In un angolo del seminterrato, tra serbatoi d’ossigeno vuoti, si nasconde un’antica scalinata scavata nella pietra nativa, che scende ancora più in profondità. Incuriosito, la seguo. Giù, e ancora giù, finché dopo un breve corridoio le scale mi conducono in una piccola stanza circondata da un calore intenso. Una parete è un pannello di diamante, e dietro la parete c’è una batteria a fissione e una zona fratturata dove l’acqua è riscaldata quasi all’ebollizione, lenti processi chimici che alimentano una moltitudine di organismi pazienti che all’occhio sembrano un semplice gel incolore. “Scendeva qui solo per guardare i suoi insetti,” sento dire. La casa ha evocato di nuovo la donna, stavolta offesa, un po’ amara. Ma tenta di sembrare cortese: “Ha costruito lui stesso queste specie, lo sa, immagino. Era un hobby. Davvero, era affascinato dall’antico Marte.” “Anch’io,” dico. Lei annuisce, e attende.

Dopo un lungo silenzio, con qualche difficoltà chiede: “Lo intendevi davvero? Un penny per tutto di me?” Le mostro la moneta di rame. “Perché mai dovrei…?” Esita. “Aspetta. Stai offrendo più del denaro, vero?” “Non ti venderò mai,” prometto. Lei non sa cosa dire. “Ho intenzione di tenerti a lungo termine,” spiego. “Come parte di un investimento molto più grande, molto più ambizioso.” “Capisco.” “Non capisci,” l’avverto. Poi guardo il suo volto ricco di frattali e gli occhi tristi, preoccupati, chiedendo: “Ti sei mai chiesta? Che tipo di vita si sarebbe evoluta su Marte, se questo mondo fosse rimasto caldo e vivo?” “Sì,” sussurra. “Ho cercato di immaginarlo, sì.” “Eppure nessuno lo sa,” aggiungo. Poi, con la mia mano vuota, tocco la superficie calda del diamante, confessando: “Possiedo alcune delle case vicine.” “Nei fondali?” ipotizza. “E in ogni altra parte di Marte,” le dico. “‘Vicino’ significa il mondo, e possiedo molte delle principali attività e industrie, e ho un interesse significativo in corporazioni e nazioni commerciali essenziali per l’economia marziana.” Lei tace. “Tra poco svuoterò Marte.” Trema. “Tra poco” significa entro i prossimi duemila o tremila anni,” spiego. “E lo farò dolcemente, con il minimo di disagi. Naturalmente, questo mondo non è mai stato essenziale per il sistema solare, e non mancherà davvero a nessuno. Lo terrò caldo e umido, e dopo altri cinque o diecimila anni dubito che qualche anima senziente darà a questo posto più di uno sguardo distratto. E in un altro milione di anni, o un miliardo… per tutto il tempo necessario… una biosfera nuova, unica e meravigliosa nascerà, pronta per qualcosa di nuovo nell’universo…” Lei trema. Debole, chiede: “Io?” “Non ti venderò, ti manterrò in buone condizioni e ogni volta che visiterò Marte, questo sarà il luogo dove resterò.” “Nelle mie stanze?” “In questa stanza,” offro.

Lei quasi cede. Quasi. Ma poi, con una risatina tesa, dice: “No. Voglio più di un penny.” “Quanto di più?” “Due penny.” Con un gesto teatrale porto alla luce una seconda moneta. Ma prima di consegnarla alla casa, rendendo l’accordo definitivo, l’avverto: “Ma non potrai dirlo a nessuno. Che hai contrattato per il doppio della mia offerta iniziale…” Lei afferra entrambi i pezzi di rame. Poi, per un altro lungo momento, osserviamo creature troppo piccole per avere nomi o anime, osservandole impegnate ferocemente nel loro lavoro incessante di vita.

È importante comprendere che in questa scena il valore non è la moneta, ma il tempo, la custodia e la possibilità di creare continuità in un mondo che verrà svuotato e rinascente. È il concetto di proprietà come responsabilità, non solo come possesso; il senso che il futuro e l’ignoto non appartengano a nessuno, ma possano essere curati, nutriti, preparati per chi ancora non esiste. In questo risiede il vero prezzo di una casa su Marte.

Chi è Yolanda? La ricerca di un'anima fuggita nella città perduta

Le sue parole erano piene di un'emozione che sfiorava il dolore. "È stata con loro a lungo, l'ultima volta. Vai a trovarla." Si voltò, il suo profumo e la sua presenza si affievolirono nell'aria. "Lei è mia, e voglio riportarla indietro, Tracker." Jesse, la sua compagna a quattro zampe, lo spinse con insistenza, ansiosa di lasciare quel luogo. Lui le afferrò il pelo setoso, percependo la paura che traspariva dal suo corpo. "Perché hai paura?" chiese dolcemente mentre lei lo guidava fuori dal cancello di ossa verso il bianco marmo e il lapislazzuli della città. "Non ti farà del male. Non gli importa." Jesse leccò la sua mano, poi, con un movimento deciso, gli morsicò il cuscinetto di carne tra il pollice e l'indice. Tracker trattenne un respiro, sentendo il dolore acuto, premendo la mano sulla bocca, assaporando il sapore metallico del sangue.

Quando raggiunsero il giardino, il cielo al crepuscolo avvolgeva come un manto i cavoli, innocenti nella loro genetica immutabile. Tracker entrò in casa e disse a Jesse di andare a giocare. Non c'era bisogno di lei lì, non quella sera. La casa era un rifugio di comfort, con le sue pareti curve, cuscini e tavoli che trattenevano l'eco della sua presenza e di quella di Jesse, in un silenzio che li accoglieva entrambi. Attraversò il tappeto spesso e si fermò a sfiorare una scultura di legno levigato dalle onde, creata da un giovane che aiutava a scolpire le sculture di sabbia che le maree cancellavano ogni volta. Un oggetto insignificante, innocente, come il creatore di conchiglie. Con le dita percorrendo la trama complessa di quel legno lucido, scosse la testa con un accenno di disapprovazione. Poi si sedette al tavolo, il cui legno non era mai veramente satinato, e aprì le pieghe lucide di una seta di ragno. Dentro, c’era un pezzo di stoffa sgualcito, che sollevò e portò al viso, aspirando gli odori di polvere, vento e nostalgia. Un’immagine sfocata si accese nella sua mente: un aquilone color melone che volteggiava in un cielo senza nuvole. Probabilmente lei era andata di nuovo a cercare i lanciatori di aquiloni. Le piccole perle d’acqua dolce, irregolari e dure, riempivano la sua mente con il lento, inesorabile passare dei giorni nell’acqua. Fili d'oro le attraversavano, come se fossero stati orecchini in un’altra vita. Il morso che aveva ricevuto si era ormai seccato, ma non riusciva a comprendere cosa avesse scosso Jesse.

Dopo un po', si alzò e uscì nel giardino, dove raccolse lattuga, foglia dopo foglia, e tirò fuori le piccole carote dolci dalla terra soffice. Si fermò vicino alla sua grata di piselli, con il volto rivolto alla brezza leggera che portava il profumo dei pesci e il fumo della sabbia dalla spiaggia. Ogni radice di carota e piccola sfera di pisello che strappava dalla terra era una piccola morte. Buttò l'ultimo baccello vuoto nel compost, riflettendo sulla vita che nasce dalla morte. Fino a che, pensò, la Città e le persone che la abitano non si sono venute a creare, sfidando la morte stessa.

Nel frattempo, i fuochi da cucina sulla spiaggia si stavano spegnendo, e un profumo lontano di orche raggiunse Tracker. Le orche giocavano nella baia oscura, non affamate, solo felici. Tornò nella sua casa, confortato dalle forme familiari, e si sdraiò sui cuscini nell’angolo. Dopo qualche minuto, Jesse si avvicinò, gli leccò la mano dove lo aveva morso, girò su se stessa e si distese con un sospiro. Il mattino dopo lasciarono la città, camminando di fronte al calore del sole nascente. Jesse saltellava come un cucciolo. Fu allora che Tracker si accorse che il deserto si estendeva dove prima c’era una prateria piena di fiori. Com’era cambiato il mondo attorno a lui? Non riusciva a ricordare. La terra era stata scolpita in un deserto, deciso da qualcuno, e ora era così. Qualcuno aveva scolpito la terra con i ghiacciai. Si ricordò di quello che aveva detto l’uomo della città.

Usciti dalla costa, il vento caldo soffiava dal centro del continente. Tracker alzò la testa, la mano sulla testa di Jesse, senza neppure guardare attraverso i suoi occhi. Sentiva lei, quella che l’uomo della città desiderava. Là fuori. L’aquilone color melone continuava a danzare nel cielo senza nuvole, portando con sé un accenno di polvere e un desiderio misto di gioia. Viaggiarono, nutrendosi delle verdure essiccate e della carne nel suo zaino, dormendo nel caldo del giorno, camminando sotto la luna crescente. Una delle membra della Città aveva scolpito il volto della luna. Tracker lo vedeva chiaramente: linee e spazi scuri attraversavano il disco bianco, e quando Jesse sollevò il muso per ululare alla luna, una macchia cremisi si espandeva sulla sua superficie, simile a una rosa tormentata. Si chiedeva chi avesse fatto quella macchia.

Il giorno dopo la luna piena, quando avevano ormai finito l’acqua, la trovarono. Il suo odore gli era stato forte in faccia per tutta la notte, e un’eccitazione senza riposo lo spingeva avanti, passo dopo passo, mentre Jesse camminava accanto a lui, silenziosa e paziente. Ruzzolò su qualche roccia e cadde una volta, ma non se ne preoccupò. Il vento soffiava caldo e morbido, accarezzandogli il viso. Si fermò, sospirando, quando percepì una presenza vivace, piena di carne e risate, la gioia di essere vivi nel calore di un nuovo giorno. Gli aquiloni. Sicuramente era lei. Poi Jesse guardò su, e vide i colori brillanti degli aquiloni che volteggiavano nel cielo azzurro. Un aquilone melone sorvolò improvvisamente, come un ribelle, strappandosi dalla spirale danzante degli altri, per volare in sua direzione e poi tornare dolcemente a terra.

Tracker avanzò deciso, e Jesse al suo fianco camminava con gli occhi che esaminavano il terreno, ma lui voleva che guardasse di nuovo in alto. Non lo fece. Poi, all’improvviso, si fermò e guardò su. Tracker seguì il suo sguardo e finalmente la vide. Yolanda. I suoi capelli dorati scivolavano sul suo volto e sulle spalle, gli occhi verdi come l’erba di primavera ridevano, mentre un sorriso si faceva largo sulle sue labbra. Il suo corpo era coperto da un leggero abito di tessuto per aquiloni, e le sue corna, splendide e pericolose, spuntavano dalle tempie e dai fianchi. Il sorriso nei suoi occhi era familiare, come se fossero vecchi amici.

“Ti stavo aspettando,” disse, tendendo la mano verso di lui. Tracker la prese. Jesse ringhiò, fissando la gamba della donna, pronta a mordere. Tracker la fermò con un "Silenzio". Non aveva più bisogno degli occhi di Jesse. La presenza di Yolanda riempiva i suoi sensi completamente. Lei era vita stessa, una fiamma che irradiava energia nell'universo.

Yolanda aveva il dono di vedere, sentire e comprendere tutto con una consapevolezza che disturbava Tracker, nonostante la bellezza di quel potere. C'era qualcosa di strano in lei, una creazione dell'uomo della città. Yolanda lo guardò con un sorriso intriso di dolcezza e amore.