Nel contesto dell’analisi strutturale basata su metodi computazionali, la Regola del Corpo Rigido (Rigid Body Rule) rappresenta un principio fondamentale per la verifica della correttezza delle formulazioni agli elementi finiti, in particolare quando si tratta di modelli non lineari di telai piani. Questo principio, pur nella sua apparente semplicità, assume una funzione di verifica cruciale per valutare l’adeguatezza delle ipotesi cinematiche e l'integrità fisica delle formulazioni adottate.

La formulazione agli elementi finiti del telaio piano, infatti, si fonda sul Principio degli Spostamenti Virtuali, attraverso il quale si perviene all’equazione del lavoro virtuale, includendo i contributi delle forze esterne e dei risultanti di sforzo. Tuttavia, è proprio l’introduzione del concetto di corpo rigido — ossia un sistema che si muove senza deformarsi — che permette di discernere se l’elemento in questione è stato correttamente modellato rispetto alla conservazione delle equazioni di equilibrio in presenza di movimenti rigidi.

Una formulazione fisicamente coerente deve essere in grado di riprodurre una risposta nulla agli spostamenti virtuali associati a un moto rigido. Quando l’equazione del lavoro virtuale restituisce un valore diverso da zero per un movimento puramente rigido, si evidenzia immediatamente una deficienza nella formulazione numerica. Questo test, spesso trascurato, riveste un'importanza essenziale nel contesto non lineare, dove errori numerici possono accumularsi in modo imprevedibile.

Il test di moto rigido applicato alla teoria delle travi evidenzia se la formulazione riesce a distinguere correttamente tra deformazione reale e rotazione globale del sistema. Allo stesso modo, nel caso specifico degli elementi di telaio piano, l’adozione del test consente di isolare gli effetti dovuti alle rotazioni rigide dalle vere deformazioni, evitando così che si introducano forze spurie non giustificate.

Nei casi studio esaminati, come il telaio quadrato articolato o il telaio a giunti rigidi, l’applicazione della regola del corpo rigido consente non solo di verificare la bontà della formulazione, ma anche di ottenere un recupero delle forze coerente con la fisica del problema. È qui che il principio si trasforma da criterio di validazione a strumento operativo per il calcolo strutturale, poiché consente la determinazione delle forze interne in modo conforme al comportamento globale della struttura.

Inoltre, il concetto si estende naturalmente alla verifica delle ipotesi cinematiche adottate: ogni formulazione deve necessariamente postulare un’ipotesi sulla distribuzione degli spostamenti e delle deformazioni all’interno dell’elemento. Tuttavia, solo mediante il confronto con un moto rigido è possibile stabilire se tali ipotesi sono compatibili con le leggi fondamentali della meccanica.

L’interesse non risiede esclusivamente nella correttezza del modello, ma anche nella sua stabilità numerica. Una formulazione incapace di soddisfare il test del corpo rigido è più incline a produrre instabilità o soluzioni non fisiche in presenza di grandi deformazioni o rotazioni.

È fondamentale sottolineare l'importanza della scala delle rotazioni rigide nella valutazione numerica: le rotazioni di piccola entità possono essere trascurate nel contesto lineare, ma diventano dominanti nel regime non lineare. La formulazione incrementale basata su equazioni del tipo {Δf} deve essere attentamente calibrata per garantire la coerenza tra deformazioni e rotazioni, soprattutto quando si passa da analisi lineari a non lineari.

Infine, l'applicazione della regola del corpo rigido nel recupero delle forze rappresenta una sintesi efficace tra formulazione matematica ed interpretazione fisica. Le forze interne ricostruite devono riflettere non solo lo stato di deformazione, ma anche la configurazione globale del sistema, comprese le rotazioni e traslazioni rigide.

Oltre a quanto sopra esposto, è essenziale che il lettore comprenda che l’adozione della regola del corpo rigido non è un optional, bensì una necessità metodologica per qualsiasi approccio numerico che ambisca ad una coerenza fisica e stabilità computazionale. Ogni formulazione agli elementi finiti deve essere rigorosamente verificata contro questa regola, pena la perdita di significato delle soluzioni ottenute. È altresì cruciale comprendere che la verifica del moto rigido non è un test isolato ma si integra in un sistema più ampio di validazione, che include criteri di convergenza, test di patch ed analisi modali. Solo attraverso questa rete di controlli è possibi

Qual è il carico critico per una colonna soggetta a torsione semitangenziale?

Nel contesto dell’instabilità torsionale di una colonna sottoposta a carico torcente, il comportamento post-critico del sistema è determinato da un’equazione differenziale del quinto ordine, che deriva dalla combinazione delle equazioni di instabilità accoppiate lungo le direzioni ortogonali al suo asse longitudinale. Considerando un momento torcente di tipo semitangenziale, si genera una coppia di momenti interni indotti durante la fase di instabilità: ΔMz attorno all’asse z e ΔMy attorno all’asse y, rispettivamente proporzionali alle derivate angolari θy e θz, ovvero alle derivate spaziali delle funzioni di spostamento trasversale w(x) e v(x).

Le equazioni differenziali ridotte del problema, ottenute da un sistema tridimensionale di equilibrio per carichi agenti in assenza di forze traslazionali (Fx = Fy = Fz = 0), assumono la forma:

  EIy w⁽⁴⁾ − T v⁽³⁾ = 0,
  EIz v⁽⁴⁾ + T w⁽³⁾ = 0,

dove EIy ed EIz rappresentano le rigidezze flessionali della sezione trasversale rispetto agli assi y e z, T è il momento torcente applicato, e le derivate superiori sono prese rispetto alla coordinata longitudinale x. Da queste due equazioni, mediante derivazione e sostituzione incrociata, si ottiene un’equazione singola per una delle due funzioni, ad esempio per v(x):

  v⁽⁵⁾ + k² v⁽³⁾ = 0,
  con k = √(T / (EIy EIz)).

La soluzione generale di quest’equazione è una combinazione di termini trigonometrici e polinomiali:

  v(x) = c₁ sin(kx) + c₂ cos(kx) + c₃ x² + c₄ x + c₅,
  w(x) = (Iz/Iy)½ c₂ sin(kx) − (Iz/Iy)½ c₁ cos(kx) + d₄ x + d

Perché le matrici di rigidezza geometriche asimmetriche di elementi rigidi diventano simmetriche a livello strutturale?

Le matrici di rigidezza geometriche per elementi come le travi rigide e gli elementi rigidi a piastra triangolare (TPE) presentano una caratteristica peculiare: la loro natura asimmetrica a livello elementare. Tale asimmetria deriva da particolari sottoblocchi legati ai momenti nodali soggetti a rotazioni tridimensionali rigide, che richiamano analogie con la matrice dei momenti indotti per elementi tridimensionali di trave. Nonostante questa asimmetria elementare, a livello globale della struttura la matrice di rigidezza totale risulta invece simmetrica, una proprietà che facilita notevolmente le analisi non lineari.

Per comprendere questa apparente contraddizione, è utile scomporre le matrici di rigidezza geometriche in due componenti: una simmetrica e una antisimmetrica. La parte antisimmetrica è strettamente connessa a matrici di momento nodale specifiche, caratterizzate da componenti che dipendono dai momenti in coordinate locali. Tali matrici antisimmetriche si manifestano attraverso una struttura tensoriale che può essere espressa con l’uso del simbolo di permutazione, che incarna le proprietà dei momenti nodali durante le rotazioni rigide 3D.

La trasformazione delle matrici da coordinate locali a coordinate globali è governata da matrici di trasformazione ortogonali, che conservano l’identità attraverso relazioni di tipo tensoriale. Applicando queste trasformazioni, la parte antisimmetrica della matrice di rigidezza geometrica mantiene una forma che dipende ancora dai momenti nodali trasformati.

L’equilibrio dei giunti nel sistema deformato impone che la somma vettoriale dei momenti nodali esercitati da tutti gli elementi connessi in un nodo lungo le tre direzioni globali sia nulla. Questo fatto conduce a un’importante conseguenza: la somma delle matrici antisimmetriche associate agli elementi condivisi in un nodo si annulla esattamente. Di conseguenza, l’unica componente che persiste nella matrice di rigidezza assemblata a livello strutturale è la parte simmetrica.

Questa proprietà ha profonde implicazioni pratiche, poiché rende possibile l’impiego delle matrici di rigidezza geometriche rigide (ad esempio per il TPE) nelle analisi incrementali-iterative non lineari, tipicamente di tipo aggiornato di Lagrange, con una complessità computazionale contenuta. La simmetria a livello strutturale facilita inoltre la soluzione degli incrementi di spostamento e carico, mantenendo la coerenza fisica dell’analisi.

Un aspetto rilevante è che, sebbene la derivazione della matrice di rigidezza elastica [ke] per il TPE sia complessa e non sempre trattata analiticamente, si può ricorrere a composizioni di elementi elastici noti in letteratura, come l’elemento ibrido piano di Cook per l’azione membranale e l’elemento HSM di Batoz per l’azione di flessione. Questa combinazione permette di ottenere risultati accurati nella simulazione dei fenomeni non lineari e post-instabilità delle strutture a piastre e gusci.

L’approccio incrementale-iterativo fa affidamento su una separazione netta degli effetti di rotazione rigida e deformazioni naturali: le prime sono trattate esattamente, mentre le seconde possono essere linearizzate e gestite in forma approssimata, permettendo un bilanciamento tra rigore teorico e praticità computazionale.

È quindi cruciale comprendere che, mentre la rigidità geometrica a livello di singolo elemento presenta asimmetrie legate ai momenti nodali in rotazione, il rispetto delle condizioni di equilibrio nodale impone una cancellazione delle componenti antisimmetriche nell’assemblaggio globale, garantendo la simmetria della matrice di rigidezza strutturale complessiva.

In aggiunta, la rappresentazione tensoriale e la trasformazione delle matrici attraverso coordinate locali e globali enfatizzano la natura profondamente geometrica del problema, che non può essere ridotto a semplici modelli scalari. L’adozione di matrici di trasformazione ortogonali e l’impiego del simbolo di permutazione richiamano la teoria dei tensori, fondamentale nella meccanica del continuo e nelle analisi strutturali avanzate.

Questi concetti sono fondamentali per chi si occupa di modellazione computazionale delle strutture non lineari, in particolare per elementi rigidi e semirigidi in condizioni di grandi rotazioni. Essi delineano un quadro coerente per l’impiego di modelli geometrici accurati senza compromettere la simmetria necessaria per una soluzione numerica efficiente e stabile.