Il concetto di raggi ionici nasce dall’esigenza di descrivere le dimensioni delle particelle costituenti i reticoli cristallini ionici, come nel caso del ioduro di litio (LiI). In questo composto, gli ioni ioduro (I–) sono a contatto tra loro, mentre i piccoli ioni Li+ occupano i siti ottaedrici interstiziali. Misurando la distanza Li–I e assumendo l’ione ioduro come riferimento, è possibile determinare geometricamente il raggio dello ioduro e di conseguenza quello del litio. Poiché si considera che il raggio dell’anione ioduro resti costante, tale metodologia è stata estesa ad altri composti, permettendo di definire raggi ionici per numerosi cationi, come successivamente approfondito da Bragg e Goldschmidt.
Tuttavia, la definizione di un valore unico e universale per i raggi ionici si rivela problematica, poiché gli ioni non si comportano come sfere rigide e la loro dimensione dipende fortemente dall’ambiente chimico e strutturale in cui si trovano. Fattori come il numero di coordinazione e lo stato di ossidazione influenzano significativamente il raggio ionico. Pauling propose un metodo teorico per calcolare i raggi ionici partendo dalle distanze interatomiche, considerando una serie di alogenuri alcalini con cationi e anioni isoelettronici a contatto tra loro. Questo approccio assume che i raggi siano inversamente proporzionali alla carica nucleare efficace percepita dagli elettroni esterni, consentendo così di ottenere un set coerente di valori noti come raggi ionici efficaci.
L’accuratezza delle misurazioni è migliorata grazie alle mappe di densità elettronica ottenute con diffrazione a raggi X, come mostrato per LiF e NaCl. Queste mappe evidenziano un minimo di densità elettronica tra i nuclei, suggerendo che questa posizione possa essere assunta come il raggio ionico sperimentale, denominato raggio cristallino. Rispetto ai valori classici, i raggi cristallini risultano generalmente più piccoli per gli anioni e leggermente maggiori per i cationi.
Shannon e Prewitt hanno compilato la raccolta più completa di raggi cristallini basata su quasi mille strutture cristalline, usando valori convenzionali per gli anioni O2– e F–. Questi dati sono ancora largamente adottati, offrendo una base solida per comprendere le variazioni dimensionali degli ioni in funzione del loro contesto chimico.
Si possono osservare alcuni trend fondamentali. All’interno di un gruppo della tavola periodica, i raggi ionici aumentano con il numero atomico, dovuto all’incremento degli strati elettronici e all’allontanamento degli elettroni più esterni dal nucleo. In sequenze di cationi isoelettronici, come Na+, Mg2+ e Al3+, il raggio diminuisce al crescere della carica positiva perché la maggiore attrazione nucleare contrae la nuvola elettronica. Al contrario, per anioni isoelettronici come F– e O2–, il raggio cresce con l’aumentare della carica negativa, dovuto a una ridotta attrazione nucleare.
Lo stato di ossidazione influenza anch’esso il raggio: ad esempio, Ti3+ è più piccolo di Ti2+, perché la carica nucleare agisce su un numero minore di elettroni, accrescendo l’attrazione verso il nucleo. Attraverso un periodo della tavola, come nella serie dei cationi divalenti dei metalli di transizione del primo gruppo di transizione, i raggi tendono a diminuire grazie all’aumento della carica nucleare senza un corrispondente aumento degli strati elettronici, fenomeno noto come contrazione del lantanoide nel caso degli ioni M3+ della serie dei lantanoidi. Lo stato di spin degli ioni di transizione, alto o basso, influisce ulteriormente sulle dimensioni ioniche.
La coordinazione è un altro fattore cruciale: un aumento del numero di ligandi che circondano un catione determina un incremento del suo raggio apparente. Per esempio, gli ioni Cu+ e Zn2+ mostrano valori differenti a seconda del loro ambiente coordinativo.
Il modello ionico funziona particolarmente bene per composti contenenti fluoruri e ossidi, dove gli ioni sono piccoli e poco comprimibili. Con ioni più grandi, invece, l’elettrone è più facilmente polarizzabile, e gli ioni possono deformarsi, influenzando la stabilità strutturale del cristallo.
Considerando le strutture cristalline già descritte, si nota come il grande catione Cs+ possa coordinare otto ioni cloruro, mentre il più piccolo Na+ ne coordina solo sei. In una struttura come quella del cloruro di sodio (NaCl), il rapporto tra il raggio del catione e quello dell’anione determina la stabilità del reticolo. Se il catione diventa troppo piccolo rispetto all’anione, non sarà più in contatto con esso e tenderà a spostarsi in un sito interstiziale più piccolo, con un numero di coordinazione inferiore, ad esempio tetraedrico. La regola del rapporto di raggi (rcatione/ranione) permette di predire la struttura cristallina che un composto potrebbe assumere, risultando corretta per circa il 50% dei casi. Le discrepanze sono dovute alla complessità delle interazioni ioniche reali, che superano il semplice modello di sfere rigide.
Comprendere le dimensioni ioniche non significa solo memorizzare valori numerici, ma percepire come queste influenzino la chimica strutturale, la stabilità dei materiali e le proprietà fisiche dei composti ionici. Il raggio ionico è un concetto flessibile e dipendente dal contesto chimico e fisico, una chiave indispensabile per interpretare fenomeni complessi come la formazione di diversi polimorfi cristallini, la variazione delle proprietà elettroniche e meccaniche, e la progettazione di nuovi materiali con caratteristiche specifiche.
Come le Orbitali 3d Influiscono sulle Proprietà Elettroniche degli Ossidi di Metalli di Transizione e Superconduttività
Nella chimica solida, l'analisi degli ossidi di metalli di transizione è cruciale per comprendere le loro proprietà elettroniche. In particolare, la struttura degli orbitali 3d dei metalli di transizione, divisa dal campo cristallino in due insiemi, t2g ed eg, gioca un ruolo fondamentale. Ogni insieme di orbitali forma una propria banda elettronica. La banda inferiore, t2g, può contenere fino a 6N elettroni, mentre quella superiore, etichettata come eg, può ospitare fino a 4N elettroni. Ossidi come MnO (Mn²⁺, d⁵, t₃₂ e₂g) e CoO (Co²⁺, d⁷, t₅₂ e₂g) presentano orbitali t2g e eg parzialmente pieni, mentre NiO (Ni²⁺, d⁸, t₆₂ e₂g) ha orbitali eg parzialmente pieni. Questo permette di comprendere più facilmente questi ossidi attraverso un modello localizzato degli elettroni d.
In generale, lungo la prima serie di transizione, si osserva una contrazione delle dimensioni degli orbitali 3d, dovuta all'aumento della carica nucleare effettiva che questi orbitali sperimentano. Ciò porta a una minore sovrapposizione degli orbitali 3d e a una conseguente riduzione della larghezza della banda 3d. In bande larghe, come quelle degli elettroni s/p nei metalli alcalini, gli elettroni si muovono liberamente attraverso il cristallo, evitando nuclei e altri elettroni. Al contrario, nelle bande strette, gli elettroni sono più strettamente legati ai nuclei, e la repulsione tra gli elettroni diventa significativa, in particolare quella tra gli elettroni dello stesso atomo.
Un esempio di questo fenomeno si ha negli ossidi di MnO, CoO e NiO, dove la repulsione tra gli elettroni rende più favorevole il mantenimento degli elettroni 3d in orbitali localizzati piuttosto che in orbitali delocalizzati. Di conseguenza, questi ossidi puri si comportano come isolanti. L'osservazione che i composti con bande 3d più larghe tendono a essere metallici è confermata dal comportamento di composti come LaNiO₃ e LaCuO₃, che sono metallici, rispetto ad altri ossidi come LaMnO₃ che sono isolanti. Generalmente, i composti con bande d più ampie tendono ad essere metallici, e questo si verifica più frequentemente negli ossidi delle serie 4d e 5d rispetto a quelli della serie 3d.
Tuttavia, non è solo la larghezza delle bande che determina le proprietà elettroniche dei materiali. I composti metallici e non metallici possono variare con la temperatura. Per esempio, VO₂, che diventa metallico durante una transizione di fase dalla struttura monoclina alla struttura rutilo a 340 K, e Ti₂O₃, che è semiconduttore a temperature più basse ma metallico a temperature più elevate, sono esempi emblematici di questa variazione termica. In generale, la presenza di stati di ossidazione più bassi nei metalli e l'elettronegatività degli anioni influenzano fortemente il comportamento elettronico dei composti.
Oltre agli ossidi di metalli di transizione, è importante considerare anche il fenomeno della superconduttività, scoperto nel 1911 da Kamerlingh Onnes. Questo fenomeno si manifesta con la caduta della resistenza elettrica a zero al raggiungimento di una temperatura critica (TC), come dimostrato dall'esempio del mercurio. L'assenza di resistenza permette di produrre campi magnetici elevati senza perdite di energia, rendendo i materiali superconduttori particolarmente utili per applicazioni come la risonanza magnetica (MRI) e la risonanza nucleare (NMR).
In effetti, la superconduttività non è limitata solo ai metalli, ma può riguardare anche alcuni non metalli, come il carbonio e l'ossigeno, se sottoposti a pressioni elevate. Se inizialmente la superconduttività era osservata solo a temperature estremamente basse, l'osservazione nel 2001 di MgB₂ che diventa superconduttore a 40 K ha rappresentato un passo significativo, poiché ha aperto la strada all'uso di criostati elettronici a base di azoto liquido, eliminando la necessità di elio liquido.
La teoria che sta dietro la superconduttività fu formulata da Bardeen, Cooper e Schrieffer (BCS), e suggerisce che la superconduttività è dovuta a interazioni fonone-elettrone, che consentono la formazione di coppie di elettroni (noti come coppie di Cooper) che si muovono senza resistenza attraverso il reticolo cristallino. Queste coppie si formano a causa dell'interazione degli elettroni con le vibrazioni del reticolo, conosciute come fononi. Quando un elettrone si sposta nel reticolo, disturba gli ioni positivi, creando una zona di maggiore densità di carica positiva, che attrae un altro elettrone, formando una coppia di Cooper. In questo modo, l'attrazione tra gli elettroni supera la repulsione coulombiana, permettendo loro di muoversi senza resistenza.
Nel contesto di questi fenomeni, è essenziale comprendere che la superconduttività è strettamente legata non solo alla struttura elettronica dei materiali ma anche alle condizioni fisiche, come temperatura e pressione, che possono alterare drasticamente le proprietà di conduzione. La capacità di manipolare questi parametri offre potenziali sviluppi tecnologici, come il miglioramento delle capacità di magneti superconduttori per applicazioni mediche e industriali.
Qual è la natura della superconduttività nei cuprati e nei superconduttori a base di ferro?
Nei materiali detti ossicarbonati, come TlBa₂Sr₂Cu₂(CO₃)O₇, è possibile indurre la superconduttività attraverso un processo di deformazione strutturale, per cui si crea uno slittamento lungo un piano ogni n ottaedri (dove n è tipicamente compreso tra 3 e 5). Questa modifica lascia intatti gli strati di CuO₂, ma mescola gli strati di TlO e CO₃. Il risultato è una nuova struttura in grado di supportare la superconduttività. Nei materiali noti come ossialogenuri, la temperatura critica può raggiungere gli 80 K, mentre nei carbonati collassati si osservano valori compresi tra 60 e 77 K. Questi materiali appartengono alla famiglia dei superconduttori a base di rame, detti "cuprati".
Contrariamente ai superconduttori metallici, nei quali la conduzione elettrica avviene in tutte le tre dimensioni spaziali, la superconduttività nei cuprati è confinata ai piani CuO₂. Le ricerche più recenti indicano che il fenomeno superconduttivo in questi composti sia dovuto all'accoppiamento tra ioni Cu attraverso il meccanismo di super-scambio Cu-O-Cu. Questo tipo di interazione non è previsto dalla teoria BCS e suggerisce una fisica completamente diversa alla base della superconduttività nei cuprati.
Dal punto di vista strutturale, i cuprati sono materiali ceramici fragili, difficili da trasformare in fili e con proprietà fortemente anisotrope. L'anisotropia influisce sia sulla conducibilità che sul comportamento meccanico, limitando l'applicazione di questi materiali in dispositivi tecnologici. Nonostante ciò, sono stati realizzati motori elettrici e magneti basati su superconduttori ad alta temperatura. Un esempio rilevante è del 1997, quando fu installato un magnete superconduttore ad alta temperatura in un acceleratore per datazione al carbonio a Wellington, in Nuova Zelanda. Un altro caso significativo risale al 2018, con la sostituzione del magnete di una turbina eolica funzionante in Danimarca con un magnete superconduttore costituito da un nastro composito contenente il superconduttore GdBa₂Cu₃O₇–x, un cuprato simile nella struttura al composto noto come 1-2-3.
Per lungo tempo si è ritenuto che magnetismo e superconduttività fossero fenomeni fisicamente incompatibili. Di conseguenza, l’utilizzo di ioni magnetici per la realizzazione di materiali superconduttori è stato generalmente evitato. Tuttavia, nel 2008, Hideo Hosono ha annunciato la scoperta di superconduttività nel composto LaFeAsO drogato con fluoro, con una temperatura critica di 26 K. Questa scoperta ha rivoluzionato il campo, avviando un'intensa ricerca globale sui superconduttori a base di ferro.
Sebbene le temperature critiche dei superconduttori ferrosi siano generalmente inferiori a quelle dei cuprati, esse possono essere raggiunte attraverso sistemi di criogenia elettrica, rendendo questi materiali più gestibili. Inoltre, essi presentano campi critici elevati e una maggiore facilità nella fabbricazione di fili, proprietà essenziali per applicazioni industriali. I superconduttori ferrosi condividono con i cuprati una struttura stratificata: lo strato conduttore è formato da atomi di Fe disposti su un reticolo quadrato e coordinati tetraedricamente da elementi come P, As, Se o Te.
Esistono cinque classi strutturali principali identificate tra questi composti. Gli strati di ferro sono a volte separati da strati di ossifluoruri di metalli alcalini, alcalino-terrosi o lantanidi, o integrati in strutture di tipo perovskite. Nei composti con le più alte temperature critiche, come quelli contenenti arsenico, il ferro si trova nello stato di ossidazione formale +2. Tuttavia, la maggior parte dei materiali superconduttori scoperti richiede una dopatura elettronica dello strato di ferro. Gli elettroni possono essere introdotti attraverso vari meccanismi: sostituzione del fluoro all'ossigeno, vacanze d'ossigeno, inserzione di metalli del Gruppo 1 o 2 fra gli strati, o sostituzione del ferro con cobalto.
L'aggiunta di elettroni tende a ridurre lo stato di ossidazione del ferro. L’elevata coordinazione del ferro, che include interazioni con Fe vicini oltre che con P, As, Se e Te, suggerisce che lo strato superconduttore si comporti più come una lega metallica che come una struttura ionica. Alcuni superconduttori ferrosi funzionano anche attraverso un me
Come si determinano le celle unitarie e la loro geometria nei solidi cristallini?
Le celle unitarie sono la base fondamentale per comprendere la struttura dei cristalli e, più in generale, l’organizzazione degli atomi nei solidi cristallini. Esistono diversi tipi di celle unitarie, ognuna con una disposizione specifica di punti reticolari (posizioni degli atomi) all’interno della struttura cristallina. Queste celle sono classificate in base alla loro simmetria e alle modalità di centrazione, le quali determinano il numero complessivo di possibili configurazioni di reticoli cristallini.
Iniziamo con la cella unitaria primitiva, che è rappresentata dal simbolo "P". In questo caso, c'è un punto reticolare in ogni angolo della cella. Si tratta della configurazione più semplice, nella quale gli atomi si trovano solo agli angoli della cella e non all'interno o sulle facce. Questo tipo di cella può essere combinata con altre celle per formare strutture più complesse.
La cella unitaria centrata sul corpo, rappresentata dal simbolo "I", ha, oltre ai punti agli angoli, anche un punto al centro della cella stessa. Questa disposizione consente una maggiore densità e una migliore distribuzione degli atomi all’interno del reticolo. Allo stesso modo, la cella unitaria centrata sulle facce, indicata con il simbolo "F", include punti reticolari agli angoli e al centro di ogni faccia della cella. La disposizione "F" è comune in cristalli con simmetria cubica, come il cristallo di sodio cloruro (NaCl).
Esiste anche un tipo di cella unitaria che si trova più raramente, la cella unitaria centrata sui lati, che viene indicata con le lettere "A", "B" o "C" a seconda di quale coppia di facce opposte è centrata. Un esempio tipico è la cella unitaria "A" che ha punti reticolari al centro delle facce bc. La combinazione di diversi sistemi cristallini con vari tipi di centrazione genera i 14 tipi di reticoli di Bravais, come dettagliato nella tabella 1.1.
I reticoli stessi sono rappresentazioni regolari e periodiche delle posizioni degli atomi o degli ioni in un cristallo. Si può immaginare come una sequenza di oggetti equidistanti, ognuno dei quali ha un "punto" in una posizione identica rispetto agli altri. Questo punto è ciò che definisce il reticolo. In un reticolo unidimensionale, ad esempio, la distanza tra i punti è fissa e determinata dalla lunghezza "a" (Figura 1.10). Sebbene un reticolo possa apparire come una semplice fila di punti, in realtà può essere esteso a più dimensioni, creando strutture più complesse.
Passando ai reticoli bidimensionali, questi sono rappresentati da un insieme di punti equidistanti tra loro disposti su un piano. I reticoli a due dimensioni sono visibili in elementi della vita quotidiana come motivi di carte da parati e pavimentazioni. Ogni reticolo bidimensionale può avere una disposizione unica, ma le configurazioni sono limitate a cinque forme possibili.
Nel caso dei solidi cristallini, possiamo trovare strutture molto più complesse che dipendono dalle forze di legame che uniscono gli atomi all’interno del reticolo. Ad esempio, nei cristalli ionici, come quelli formati da sali, gli atomi o ioni sono disposti in un reticolo in modo tale da massimizzare le attrazioni elettrostatiche tra ioni di carica opposta e minimizzare la repulsione tra ioni con carica simile. La forza di legame ionico è forte, ma è non direzionale, ovvero non dipende dalla direzione della forza stessa, ma solo dalla distanza tra gli ioni.
Inoltre, la difficoltà di ionizzare un elemento aumenta man mano che la carica nucleare effettiva aumenta. Questo significa che la formazione di ioni altamente carichi è relativamente rara. Tuttavia, in molte strutture cristalline, il legame non è puramente ionico: gli elettroni sono condivisi tra gli atomi in un processo che ha un carattere covalente, una caratteristica particolarmente comune per gli elementi centrali della tavola periodica. La dimensione degli ioni gioca un ruolo cruciale in queste interazioni, ed è essenziale comprendere come le proprietà degli ioni influenzano la stabilità delle strutture cristalline.
Al di là dei cristalli ionici, esistono anche i cristalli covalenti. In un cristallo covalente, come nel caso del diamante, gli atomi sono legati tramite legami covalenti, formando una rete tridimensionale infinita. La differenza principale rispetto ai cristalli ionici risiede nel fatto che in questi cristalli il legame non è direzionale, ma si estende in tutta la struttura in modo continuo.
Le molecole che formano cristalli molecolari, come quelle dei gas nobili o di composti organici, sono tenute insieme da forze deboli, note come forze di Van der Waals. Queste forze non derivano da legami chimici diretti, ma piuttosto dall’interazione tra dipoli temporanei o permanenti delle molecole. Tali forze sono molto più deboli dei legami ionici o covalenti e agiscono solo a distanze relativamente brevi.
Per comprendere la disposizione degli atomi o degli ioni all'interno di una cella unitaria, è necessario considerare la geometria e la condivisione degli atomi tra le celle stesse. Un atomo situato all'angolo di una cella viene condiviso da otto celle adiacenti, quindi la sua "contribuzione" a una singola cella è di 1/8. Allo stesso modo, un atomo situato al centro di un lato della cella è condiviso da quattro celle, contribuendo con 1/4. Un atomo situato al centro di una faccia contribuisce con 1/2, mentre un atomo situato all'interno della cella contribuisce completamente, cioè con un valore di 1. La somma di tutte queste contribuzioni ci consente di determinare il numero totale di atomi o ioni all'interno di una singola cella unitaria.
Questa comprensione è fondamentale per determinare la composizione chimica e la struttura di un cristallo. La geometria della cella unitaria, infatti, influisce direttamente sulle proprietà fisiche del materiale, come la densità, la simmetria e la resistenza meccanica.
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