Ambasciatrice Yovanovitch, agendo secondo il proprio dovere, suscitò l'ira del Procuratore Generale ucraino, Yuriy Lutsenko. La sua posizione divenne ancor più vulnerabile quando, alla fine del 2018 e all'inizio del 2019, Lutsenko si trovò a rischio di perdere la sua carica e di subire una possibile indagine penale qualora l'allora candidato Volodymyr Zelensky fosse stato eletto presidente. Secondo Kurt Volker, Rappresentante Speciale per le Negoziazioni sull'Ucraina, un cambio di governo comporterebbe inevitabilmente un cambiamento nei poteri di procura, portando a una potenziale indagine sulla precedente amministrazione. Lutsenko, per preservare la propria posizione, si alleò con chiunque fosse utile ai suoi scopi, un atteggiamento definito dalla stessa Yovanovitch come opportunismo politico.

Il comportamento di Lutsenko si inseriva in un quadro più ampio di disinformazione, in cui si alimentavano teorie del complotto, come quella che accusava il governo ucraino – e non la Russia – dell'hackeraggio del server del Comitato Nazionale Democratico (DNC) nel 2016. Tali teorie, completamente infondate e smontate da numerose indagini internazionali, non erano solo un tentativo di distogliere l'attenzione dalle vere responsabilità russe, ma anche di danneggiare gli interessi politici dell'allora vicepresidente Joe Biden. L'accusa che Biden avesse chiesto la rimozione di Viktor Shokin per proteggere il figlio Hunter, coinvolto nel consiglio di amministrazione di Burisma Holdings, è stata anch'essa smentita in modo chiaro, soprattutto considerando che la sua rimozione era supportata da vari attori internazionali, inclusi il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale.

Il ruolo di Rudy Giuliani, avvocato di Donald Trump, è emerso come centrale in questa trama di disinformazione. Giuliani, con l’aiuto di personaggi come Lutsenko e Shokin, cercò di raccogliere prove a favore di una narrazione costruita ad hoc per screditare Biden e giustificare l'operato di Trump. Sebbene le teorie del complotto fossero prive di fondamento, esse giocarono un ruolo strategico nella campagna per la rielezione di Trump nel 2020, cercando di delegittimare il principale avversario politico del presidente. I tentativi di Giuliani, tuttavia, non solo danneggiarono le dinamiche politiche interne agli Stati Uniti, ma influirono direttamente sulle operazioni della Ambasciata Usa in Ucraina, riducendo il focus sulle priorità strategiche come la sicurezza e l'economia, a favore di un'agenda politica personale.

Nel marzo 2019, la campagna di diffamazione divenne ancora più pubblica. Un articolo di John Solomon, pubblicato su The Hill, citava accuse false di Lutsenko contro Yovanovitch, sostenendo che l'ambasciatrice avesse fornito una lista di persone da non perseguire. L'accusa venne poi ritrattata, ma il danno era ormai fatto. In seguito, le pubblicazioni continuarono a diffondere falsità, come l’asserzione che Yovanovitch avesse denigrato Trump, un'accusa prontamente smentita dal Dipartimento di Stato. La collaborazione tra Solomon, Parnas e Giuliani suggeriva una stretta connessione tra i canali di disinformazione e gli interessi personali del presidente Trump.

Tutto ciò evidenzia come la politica internazionale possa essere manipolata per servire interessi strettamente personali. La lotta contro la corruzione, a dispetto delle dichiarazioni ufficiali, viene spesso ostacolata dalle stesse forze politiche che dovrebbero perseguirla. Le manovre di Lutsenko e Giuliani illustrano chiaramente come, in contesti di elevata tensione geopolitica, le alleanze siano spesso influenzate più dalla convenienza politica immediata che da valori morali o legali. La battaglia per la verità, in questi casi, diventa una guerra di parole, con la verità stessa che si dissolve in un gioco di potere dove chi ha più risorse può scrivere la propria versione della storia.

L'aspetto cruciale da comprendere è che la manipolazione della realtà politica e la diffusione di falsità possono avere conseguenze devastanti non solo sul piano delle relazioni internazionali, ma anche sulla credibilità e sulla fiducia delle istituzioni democratiche. Le teorie del complotto, sebbene prive di fondamento, possono minare la stabilità di intere nazioni, creando divisioni non solo tra Stati, ma anche all'interno della stessa società civile. Non si tratta solo di un gioco di potere, ma della capacità di manipolare le percezioni pubbliche e di influenzare le decisioni politiche attraverso una narrativa costruita ad hoc.

Perché la visita alla Casa Bianca da parte di Zelensky è stata legata a indagini politiche?

Nel maggio del 2019, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, in un incontro telefonico con il neoeletto presidente ucraino Volodymyr Zelensky, si offrì di organizzare una visita alla Casa Bianca per supportare l'Ucraina nella sua lotta contro la Russia e nella sua ricerca di riforme interne, tra cui la lotta alla corruzione. La conversazione tra i due leader, seppur pubblicamente descritta come un impegno verso il rafforzamento della lotta alla corruzione, non menzionò mai esplicitamente tale tema da parte di Trump, che si concentrò invece su altri aspetti della relazione bilaterale.

Pochi giorni dopo, Trump chiese al vicepresidente Mike Pence di partecipare all'inaugurazione di Zelensky, ma nel giro di poco tempo questa proposta venne annullata senza spiegazioni, causando disappunto tra i diplomatici americani a Kiev. Invece di Pence, una delegazione americana guidata dal segretario dell'Energia Rick Perry e comprendente altre figure di alto profilo come l'ambasciatore Gordon Sondland, il rappresentante speciale per le negoziazioni con l'Ucraina Kurt Volker e il tenente colonnello Alexander Vindman, partecipò all'inaugurazione. In quell'occasione, Vindman avvertì Zelensky di non immischiarsi nella politica interna americana per non mettere a rischio il sostegno bipartisan che l'Ucraina godeva in Congresso. Nonostante questi avvertimenti, la delegazione tornò negli Stati Uniti con una visione positiva di Zelensky, soprattutto per quanto riguardava le sue intenzioni di riforma contro la corruzione.

Nel mese di maggio, l'ambasciatore Sondland, dopo aver incontrato Zelensky, organizzò un incontro con Trump alla Casa Bianca. Durante la riunione, i tre diplomatici di alto rango, autodenominati i “Tre Amici”, tentarono di convincere Trump a onorare la promessa di un incontro con Zelensky, ma il presidente americano rispose negativamente, esprimendo il suo disappunto per il presunto coinvolgimento ucraino nelle elezioni americane del 2016. In quell'occasione, Trump indicò che per pianificare una visita ufficiale a Washington, il governo ucraino avrebbe dovuto parlare con Rudy Giuliani, il suo avvocato personale.

Giuliani, che stava intensificando la sua campagna per ottenere indagini su Joe Biden, candidato democratico alle elezioni del 2020, aveva già fatto dichiarazioni pubbliche riguardo la sua intenzione di recarsi in Ucraina per interferire nelle indagini. Sebbene inizialmente avesse cancellato il viaggio, la sua influenza sulla politica ucraina divenne sempre più evidente. A causa di questo “canale irregolare” di comunicazione, molti ufficiali americani, tra cui l’ambasciatore in Ucraina Bill Taylor, cominciarono a manifestare preoccupazioni sul fatto che le operazioni diplomatiche ufficiali venissero minate dagli sforzi di Giuliani.

Nel frattempo, il governo degli Stati Uniti aveva approvato una significativa assistenza militare per l'Ucraina, pari a 391 milioni di dollari per il 2019. Tuttavia, la decisione di Trump di sospendere i fondi, nonostante l'appoggio unanime di tutte le agenzie governative competenti, suscitò interrogativi sulla sua legittimità. Le agenzie, tra cui il Dipartimento della Difesa e il Dipartimento di Stato, avevano forti riserve legali riguardo alla decisione di bloccare i fondi destinati a un paese alleato in guerra. Quando le autorità ucraine iniziarono a sollecitare chiarimenti sulla sospensione dell'assistenza, la Casa Bianca non fornì spiegazioni adeguate, rimanendo sulla sua posizione di bloccare i fondi fino a quando l'Ucraina non avesse avviato le indagini richieste su Biden e sulle presunte interferenze russe nelle elezioni americane del 2016.

Già a luglio, le pressioni per avviare le indagini sulle attività politiche di Joe Biden erano diventate il prerequisito per ogni forma di cooperazione tra i due paesi. Le dichiarazioni di Sondland, che confermarono l'esistenza di una condizione esplicita per l'incontro alla Casa Bianca, segnarono un punto di svolta nelle relazioni tra gli Stati Uniti e l'Ucraina. In sintesi, il desiderio di Trump di ottenere vantaggi politici interni attraverso l'uso della sua posizione di potere internazionale divenne sempre più palese, minando la natura diplomatica e ufficiale degli impegni presi con l'Ucraina.

Il caso, che avrebbe poi portato al processo di impeachment di Trump, dimostra come la politica estera possa essere influenzata da interessi personali e come la trasparenza nelle operazioni internazionali possa essere compromessa quando gli interessi politici interni prevalgono sugli obiettivi di sicurezza nazionale. La situazione solleva domande fondamentali sulla legittimità delle politiche americane e sull'equilibrio tra la diplomazia internazionale e le manovre politiche interne, e offre uno spunto di riflessione su come le alleanze internazionali possano essere manipolate per ottenere vantaggi elettorali.

L'obbligo del Testimoniare di Ufficiali Governativi e l'Immunità Presidenziale: Una Questione di Controversia e Obstruzione

Il 30 ottobre, i Comitati hanno inviato una lettera all'avvocato personale dell'Ambasciatore John Bolton, ex consigliere per la sicurezza nazionale del Presidente Trump, chiedendo la sua testimonianza per un deposito previsto per il 7 novembre. Nello stesso giorno, l'avvocato di Bolton ha risposto con un'email ai membri del comitato, facendo intendere che l'Ambasciatore non fosse disposto a testimoniare volontariamente. Il 7 novembre, Bolton non si è presentato all'udienza programmata. Il giorno successivo, il suo avvocato ha inviato una lettera al consulente legale della Camera dei Rappresentanti, Douglas Letter, in cui si suggeriva che, se Bolton fosse stato sottoposto a citazione, avrebbe intentato una causa legale, adempiendo solo se ordinato dal tribunale. La lettera faceva riferimento a un altro caso legale in corso, quello del dottor Charles Kupperman, un altro ex funzionario, rappresentato dallo stesso avvocato.

Anche se la posizione di Bolton è stata chiara nel non voler testimoniare, una lettera del 3 novembre inviata a Pat A. Cipollone, avvocato della Casa Bianca, includeva un'opinione legale dell'ufficio del consulente legale del Dipartimento di Giustizia che suggeriva che Bolton fosse "assolutamente immune" dal testimoniare davanti al Congresso in quanto ex consigliere del Presidente. La Casa Bianca e l'avvocato di Bolton hanno sostenuto che la posizione legale derivante dall'ufficio del consulente legale del Dipartimento di Giustizia escludeva l'obbligo di testimoniare, creando un ulteriore ostacolo nel corso dell'inchiesta parlamentare.

Un'altra figura di rilievo, John A. Eisenberg, Vice Consigliere del Presidente per la Sicurezza Nazionale e Consigliere Legale del Consiglio di Sicurezza Nazionale, si è trovata in una situazione simile. Il 30 ottobre, i Comitati hanno inviato una lettera a Eisenberg per chiedere la sua testimonianza il 4 novembre, ma non hanno ricevuto risposta. Il 1 novembre, i Comitati hanno inviato una citazione formale che costringeva la sua comparizione. Tuttavia, l'avvocato di Eisenberg ha inviato una lettera il 4 novembre, informando i Comitati che il Presidente aveva ordinato a Eisenberg di non presentarsi, facendo riferimento alla stessa opinione legale del Dipartimento di Giustizia che indicava Eisenberg come "assolutamente immune" dal dover testimoniare davanti al Congresso.

Il presidente Trump ha dichiarato che Eisenberg, in qualità di consigliere senior del Presidente, godrebbe di un'immunità assoluta che impedirebbe di obbligarlo a testimoniare, una posizione che è stata ribadita dall'avvocato della Casa Bianca, Pat Cipollone. L'assenza di Eisenberg alla deposizione è stata vista come una chiara defezione rispetto a un atto legale, con la possibilità che tale rifiuto venga considerato come un tentativo di ostruzione e ritardo nell'inchiesta parlamentare in corso.

La stessa situazione si è ripetuta con Michael Ellis, un altro alto funzionario della Casa Bianca, il quale, dopo aver ricevuto una citazione il 30 ottobre, ha risposto tramite il suo avvocato che, sulla base di un'ulteriore opinione legale dell'Ufficio del Consigliere Legale, non avrebbe rispettato l'invito a comparire. L'orientamento dell'ufficio legale del Dipartimento di Giustizia sembrava, infatti, estendere l'idea di immunità a chi non fosse strettamente vicino al Presidente, suggerendo una difesa legale della non comparizione.

In tutti questi casi, l'ostinato rifiuto dei testimoni di presentarsi davanti al Congresso solleva una questione fondamentale: esiste davvero un'immunità assoluta che consente ai membri della Casa Bianca di eludere l'obbligo di testimoniare? Questo comportamento, sebbene supportato da pareri legali emessi da entità governative come il Dipartimento di Giustizia, è stato messo in discussione dal Congresso, che non ha mai riconosciuto una simile "immunità assoluta" in passato. La prassi storica ha dimostrato che anche alti funzionari della Casa Bianca, inclusi avvocati e consulenti, sono stati chiamati a testimoniare senza che si fosse mai invocata una protezione così ampia.

In assenza di una decisione chiara da parte delle autorità giudiziarie, i Comitati del Congresso hanno fatto leva sulla necessità di garantire la separazione dei poteri e il rispetto delle procedure legislative. La resistenza dei testimoni e delle alte cariche della Casa Bianca non ha fatto altro che alimentare la percezione di una volontà di ostruire le indagini, trasformando la mancata testimonianza in un ulteriore strumento di blocco politico.

È essenziale, quindi, che si comprenda come questa dinamica influisca sul rapporto tra i poteri esecutivo e legislativo, non solo dal punto di vista legale, ma anche politico. L'integrità delle indagini legislative, in particolare quelle relative a procedimenti di impeachment, dipende dalla volontà dei testimoni di presentarsi senza remore legali, che altrimenti potrebbero essere sfruttate per evitare la responsabilità. Inoltre, la crescente tensione tra le autorità esecutive e quelle legislative dimostra la difficoltà di bilanciare i diritti costituzionali dei singoli funzionari con le necessità dell'indagine pubblica.