Atlantide, o Athilan, come la chiamava il suo principe, è sempre stata un luogo avvolto nel mistero. Conosciuta attraverso le leggende che parlano della sua caduta improvvisa e della sua scomparsa sotto le acque, quest’isola era tanto mitica quanto irraggiungibile. Ma cosa accade quando qualcuno, attraverso i viaggi nel tempo, riesce a penetrare le menti di coloro che vi abitavano? Quando Roy, accompagnato dalla sua compagna Lora, intraprese un viaggio nel passato, non sapeva cosa lo attendeva.

Il viaggio nel tempo non è mai semplice. Il corpo di Roy rimase addormentato mentre la sua mente fu trasferita nel principe ereditario di Atlante, in un'epoca lontanissima. Quando arrivò, trovò un'isola straordinaria, più avanzata di quanto qualsiasi storico o ricercatore avesse mai immaginato. La città scintillante, con i suoi palazzi di marmo e i templi lucenti, si stagliava davanti ai suoi occhi, superando di gran lunga le sue aspettative. Ma la meraviglia che provava era accompagnata da una crescente inquietudine. Strani sogni, invenzioni futuristiche e macchine impossibili, più vicine alla fantascienza che alla realtà, affollavano la mente del principe. Come poteva una città così avanzata esistere in un'epoca in cui il resto del mondo era appena uscito dall'era glaciale?

Ciò che Roy scoprì nei giorni successivi fu ancora più sconvolgente. Le visioni del principe non erano semplici fantasie: si trattava di premonizioni, di eventi catastrofici e misteriosi rituali legati a una stella lontana. Il destino di Atlantide era segnato: sarebbe scomparsa, inghiottita dal mare. Ma Roy non aveva molto tempo per scoprire come e quando questo sarebbe accaduto. Le informazioni che stava raccogliendo sembravano indicare che qualcosa di straordinario stesse per accadere, qualcosa che avrebbe cambiato il corso della storia.

Ogni movimento del principe, ogni azione compiuta, portava con sé la sensazione di un'incompleta connessione. Il suo spirito, sebbene fosse riuscito a entrare nella mente del principe, non era mai completamente a casa. Non era solo un osservatore; doveva agire, decifrare i segreti e comprendere il messaggio nascosto nella mente del principe. Ma quanto sarebbe riuscito a fare in un tempo così limitato?

La situazione si faceva sempre più complessa, e ogni passo avanti sembrava generare più domande che risposte. Il viaggio nel tempo, inizialmente vissuto come una straordinaria opportunità, si rivelava sempre più come un labirinto mentale senza via di uscita. Lora, che aveva accompagnato Roy in questo viaggio, aveva anche lei le sue difficoltà nel comprendere pienamente ciò che stava accadendo. Le distanze spazio-temporali erano difficili da gestire, e la comunicazione tra i due divenne un'impresa ardua.

Per Roy, l'atto di scrivere lettere al passato, come nel caso della missiva al principe, divenne un modo per organizzare i propri pensieri e cercare di dare un senso alla propria esperienza. Se non fosse stato per questa comunicazione, forse l'intera missione sarebbe stata destinata a fallire. La speranza di ricevere una risposta da Lora, purtroppo, restò un sogno lontano, come tante altre cose in quel periodo, dove il tempo non era mai dalla loro parte.

Il viaggio nel tempo non era solo un’esperienza fisica, ma anche una prova psicologica. Il "tuning", l’adeguamento della mente per far fronte a un salto temporale così grande, era stato doloroso e faticoso, più di quanto Roy avesse immaginato. La fusione tra le menti, l’illusione di essere qualcuno e nessuno allo stesso tempo, lo aveva sopraffatto. Eppure, anche in quelle difficoltà, Roy era determinato a scoprire cosa si celava nel futuro di Atlantide e cosa avrebbe potuto fare per modificare la sua fine. La leggenda parlava di un'isola che sarebbe scomparsa, ma lui aveva la possibilità di influenzare quel destino.

Il lettore si trova a riflettere non solo sul destino di Atlantide, ma anche sul significato stesso del viaggio nel tempo. Ogni spostamento temporale, ogni incontro con il passato, non è mai privo di conseguenze. La mente, infatti, non è mai completamente in grado di adattarsi a una realtà che non appartiene al suo tempo, e il rischio di perdersi o di farsi sopraffare dalla confusione è costante. Come nel caso di Roy, la ricerca della verità potrebbe rivelarsi più pericolosa di quanto ci si aspetti.

Infine, è importante comprendere che ogni viaggio nel tempo, sebbene affascinante, porta con sé delle sfide morali e filosofiche. Se potessimo tornare indietro nel tempo, quali decisioni prenderemmo? Cambieremmo qualcosa del nostro passato o ci limiteremmo a osservare? E come ci troveremmo a interagire con culture e tecnologie completamente diverse dalle nostre? Il rischio di alterare la storia, anche nel più piccolo dettaglio, è sempre presente, e questo deve essere tenuto a mente.

La Discesa nel Labirinto: Tra Luce e Oscurità

Era un’apertura minuta, senza segni, priva di decori, posta piuttosto in alto sulla montagna. Attraversò quella fessura ed entrò in una camera ottagonale, rivestita di piastrelle bianche e azzurre, che conduceva a un corridoio pavimentato che scendeva verso l’interno, in profondità. La stanza era illuminata da tre lampade elettriche, che emettevano una calda luce dorata. Oltre i primi venti passi, tuttavia, il corridoio non aveva altra illuminazione. Una penombra avvolse il viaggiatore, e ben presto anche questa si dissolse nell'oscurità totale.

Per quello che sembrò un tempo infinito, scese ancora più in basso, oltre la portata della luce, in un regno di tenebre spaventose. In quel buio totale, l'unico punto di riferimento erano le incisioni a rilievo che adornavano le pareti. Con le mani, si orientava, tastando gli antichi simboli sacri, "leggendo" le pareti come un testo religioso. Ogni immagine, purtroppo, aveva un ordine logico che solo un Athilantan poteva comprendere pienamente. E finché non si perdeva nei dettagli più minimi, riusciva sempre a trovare la sua via. Un errore, anche piccolo, però, significava perdersi, e le possibilità di ritrovare la strada erano minime. Il Principe si trovava quindi di fronte a un grande rischio, eppure non sembrava affatto preoccupato. Si muoveva con sicurezza, sfiorando le sculture, come se sapesse esattamente cosa aspettarsi, e non si lasciava mai sopraffare dalla confusione.

Tuttavia, durante il suo cammino, ci fu un attimo di incertezza. Si fermò per un attimo, accarezzando una delle incisioni, e un’ondata di dubbio lo attraversò come una freccia, facendolo tremare. Ma dopo qualche respiro profondo, ripristinò la sua calma glaciale, e si riavvicinò all'incisione. Scoprì allora una doppia linea zigzagante che aveva trascurato prima. Sollevato, riprese la sua marcia. Man mano che scendeva, il passaggio si faceva più stretto, la pressione dell’aria più calda, e il suo corpo, nonostante fosse vestito solo di un perizoma, sudava abbondantemente.

Seppur la mente fosse tranquilla, serena e determinata, il Principe era consapevole del pericolo imminente. Ogni passo falso lo avrebbe condotto a una morte solitaria, nel cuore di quella calda oscurità, invocando cibo, acqua e luce. Nonostante questo, quando giunse alla fine del suo cammino, in una camera circolare, sentì il battito del suo cuore esplodere in un'esplosione di gioia. Era giunto nel cuore del Labirinto, nella camera penitenziale. La stanza era illuminata da una luce rossastra, che proveniva da un'apertura al centro del pavimento, da cui si ergeva la fiamma incandescente del cuore del mondo. Guardando giù, vide enormi piscine di lava, che ribollivano lentamente, sollevando getti di aria calda.

Lì, nel cuore di quell’abisso, il Principe si inginocchiò, con la testa fra le ginocchia, pregando di essere liberato dallo spirito che lo aveva invaso. Pronunciò i nomi dei dei e dei re, i nomi segreti, quelli che avevano indossato prima di diventare gli ultimi Harinamur. Implorò, con un lamento, di essere purificato dai suoi peccati. "Mi sono allontanato dal cammino dei miei padri," gridò, singhiozzando. "Non so come, ma ho peccato, e sono stato punito per il mio peccato. Sono maledetto. Mostratemi la via della penitenza, o dèi!" Giaceva lì, tremante per il caldo vulcanico, in attesa della grazia che sperava discendesse su di lui.

Per un attimo folle, si pensò che sarebbe riuscito nel suo intento: che lo spirito sarebbe stato scacciato e lui stesso sarebbe stato liberato. Una paura terrificante prese forma in lui, e un turbine d'aria impetuoso lo circondò, come se le pareti della stanza si stessero stringendo su di lui. Ram sembrava avere il controllo, come se stesse cercando di strappare lo spirito dalla sua mente. Ma la resistenza non tardò a farsi sentire. Un combattimento interiore, simile a quello di un demone in fuga, ebbe luogo nella mente del Principe. Ogni tentativo di liberarsi da questa pressione parve vano. L'istante si rivelò cruciale, ma, nonostante la sua forza, alla fine il controllo fu riconquistato. Ram si rialzò, apparentemente sereno, come un atleta che, stanco, si rilassa dopo una lunga lotta.

Lungo il cammino del ritorno, il Principe si fece strada attraverso il corridoio, come se fosse stato completamente svincolato dall’influenza di forze esterne. Quando finalmente emerse nel pieno sole del pomeriggio, pronunciò una frase che colpì come un pugno: "Anche il Labirinto non ha avuto potere su di me." Con questa dichiarazione, Ram si preparava a una lotta ancora più grande, poiché, pur avendo forse ottenuto una vittoria temporanea, il confronto non era finito. La vera battaglia, quella contro il controllo e il dominio mentale, si sarebbe svolta nelle pieghe più intime della sua psiche.

Cosa accade quando il destino e il soprannaturale si intrecciano? La lotta interiore di un principe

Il principe Ram si trova davanti a una serie di sfide che non solo mettono alla prova la sua resistenza fisica, ma anche la sua capacità di gestire una realtà che sfida le leggi della natura e della logica. In un contesto di grande importanza, come la preparazione al rito dell'Unzione, il principe è costretto a confrontarsi con un nemico invisibile e pericoloso: il demone che si dice abbia preso possesso della sua mente. Ma se Ram agisce con tanta determinazione per nascondere il suo tormento, è forse per paura che la verità venga alla luce, un timore che potrebbe compromettere la sua ascesa al trono?

Non si tratta solo di una questione di paura, però. La sua ansia di completare il rito, il culmine di anni di preparazione, è legata alla necessità di consolidare la sua posizione di co-monarca al fianco del padre. La consapevolezza che un potere superiore potrebbe essere intrinsecamente legato a un atto di impurità, un'esistenza posseduta da forze oscure, lo costringe a un conflitto interiore che sembra non avere soluzione. La domanda diventa: come affrontare la vergogna della possessione demoniaca senza compromettere l'immagine pubblica di un sovrano?

Eppure, le risposte che il principe si dà non sembrano soddisfacenti. Sospetti di un nemico che potrebbe approfittare della sua debolezza, il timore che il rituale non venga eseguito se la possessione fosse rivelata, lo costringono a mantenere il silenzio, forse anche a nascondere la verità a se stesso. Ma ciò che sembra più inquietante non è la paura stessa, ma l'accettazione della sua condizione come parte della sua vita. Il principe non è il giovane idealista che teme il demone, ma un uomo che ha imparato a convivere con il mistero, con l'ignoto che lo abita.

In un momento critico, quando un pacco diplomatico arriva da Naz Glesim, la situazione prende una svolta inaspettata. Il principe, consapevole del mio controllo su di lui, non si lascia ingannare e interroga con durezza la veridicità della situazione. Il mio tentativo di mantenere l'inganno fallisce. In un impeto di verità, rivelo la mia natura, svelando la mia provenienza da un tempo lontano, da un'epoca che ancora deve nascere. Questa rivelazione non porta, come ci si aspetterebbe, a shock o orrore, ma a una calma quasi inquietante da parte di Ram. Il principe, allenato per tutta la vita a mantenere il sangue freddo, non cede alla meraviglia o alla paura. Invece, affronta la situazione con una lucidità che spiazza.

Il fatto che Ram non sia turbato dalla verità che gli ho rivelato, che non vedesse più in me un demone ma un'entità sconosciuta proveniente da un futuro lontano, dimostra la profondità della sua formazione. La sua educazione lo ha preparato non solo a governare un regno, ma a gestire eventi straordinari con una calma che sfida la comprensione. La sua reazione alla rivelazione della mia natura non è quella di un uomo normale di fronte all'assurdo, ma quella di un principe che, pur consapevole della straordinarietà della situazione, non perde mai il controllo.

Eppure, al di là di queste considerazioni, c'è una domanda che persiste: cosa significa veramente essere un principe in un mondo che non si limita a reggersi sulle leggi naturali? Se un principe deve affrontare, con determinazione, la possibilità che il suo corpo e la sua mente siano controllati da forze che non comprende completamente, come può ancora governare un regno? La risposta non è semplice. La sua capacità di dominare la paura, di vivere con l'incertezza, lo rende forse più potente di un sovrano che non ha mai dovuto confrontarsi con l'invisibile.

In fondo, l'incontro tra il principe e il mio "io" non è solo un confronto tra due entità, ma tra due mondi, due epoche che si sfiorano senza mai fondersi completamente. Il futuro e il passato, il soprannaturale e l'umano, il reale e l'irreale, si intrecciano in una danza che solo un sovrano come Ram potrebbe riuscire a gestire, pur con il rischio che il peso della verità, prima o poi, si riveli troppo grande da sopportare.