Il narcisismo patologico, quando alimentato da un potere assoluto, può rivelarsi una miscela pericolosa, non solo per l'individuo stesso ma anche per l'intera società. Quando una persona che occupa una posizione di leadership, come quella del presidente di una nazione, non è in grado di bilanciare il suo ego con le necessità oggettive della collettività, la stabilità politica e sociale può vacillare. Il caso di Donald Trump ha messo in luce la pericolosità di un tale comportamento, dove le sue azioni, apparentemente dettate da impulsi personali e irrazionali, non sono solo pericolose per il paese che guida, ma per l'intera comunità internazionale.

Trump, in particolare, ha rappresentato una figura centrale in un sistema che sembra non porre limiti al comportamento di chi detiene il potere. Le sue contraddizioni evidenti, il cambiamento improvviso di opinioni e la sua impulsività sono tratti distintivi di un comportamento che potrebbe essere interpretato come sintomo di un disturbo narcisistico di personalità. Il narcisista patologico ha una visione distorta di sé, un bisogno costante di ammirazione e un’incapacità di empatizzare con gli altri. Quando una persona con queste caratteristiche accede a ruoli di potere, i danni non si limitano a una semplice gestione inadeguata, ma si traducono in decisioni politiche che possono minare la stabilità globale.

Un esempio emblematico di tale comportamento è stato quando Trump ha espresso lodi a James Comey, direttore dell'FBI, per la sua gestione dell’indagine su Hillary Clinton e poi, improvvisamente, ha licenziato Comey proprio a causa di un’indagine più delicata che riguardava la sua stessa campagna elettorale. Questo cambio drastico e incomprensibile di atteggiamento non è solo una curiosità politica, ma una chiara manifestazione di un leader che agisce non in base alla razionalità ma secondo un bisogno compulsivo di controllo e di protezione dell’immagine personale. La questione diventa ancora più preoccupante se si considera l’instabilità emotiva di chi, in quel momento, deteneva i tasti nucleari di una potenza mondiale.

In un contesto di narcisismo patologico, il leader non è in grado di concepire le sue azioni come parte di un progetto collettivo e razionale, ma le vede come un’estensione del proprio ego. È un comportamento che, quando applicato alla politica internazionale, diventa estremamente pericoloso. Le dichiarazioni di Trump sulla NATO, che prima venivano liquidate come obsolete e poi riabilitate come fondamentali per la sicurezza internazionale, sono esempi di come l’instabilità emotiva possa influenzare il destino di milioni di persone. In un mondo sempre più polarizzato, le sue parole e le sue azioni sono amplificate, creando tensioni che potrebbero sfociare in conflitti gravi.

Tuttavia, nonostante queste problematiche, la società civile non deve arrendersi alla rassegnazione. Quando ci si trova di fronte a un leader che sembra completamente distaccato dalla realtà e dai bisogni della collettività, la risposta non deve essere la passività, ma l’attivismo. Le persone comuni, come i cittadini americani o quelli di qualsiasi altra nazione, non sono condannate a seguire inesorabilmente le decisioni di chi governa. Anzi, è possibile, in ogni momento, scegliere di percorrere una strada alternativa, quella del dialogo, della cooperazione e della comprensione reciproca.

Un esempio positivo di questa dinamica è emerso in seguito agli attacchi terroristici contro luoghi di culto e cimiteri. Nonostante l’odio e la violenza, c'è stata una risposta incredibile da parte delle comunità che, senza esitazione, si sono unite per aiutarsi reciprocamente. Ebrei e musulmani, infatti, hanno collaborato per ricostruire le moschee e le sinagoghe distrutte, mostrando che, al di là delle divisioni religiose e culturali, la vera essenza dell'umanità risiede nell’aiuto reciproco e nella solidarietà.

Questi esempi quotidiani di eroismo, che scaturiscono dalla volontà di agire con amore e compassione, sono un segnale che la speranza non è persa. Se c'è una lezione da apprendere, è che la vera forza di una nazione non si trova nella figura di un singolo individuo al comando, ma nella capacità della sua gente di reagire alle difficoltà con unità e determinazione.

Una riflessione finale riguarda il sistema di selezione dei leader. Oggi molte aziende e istituzioni applicano dei rigorosi test psicologici per valutare l’affidabilità e l’idoneità dei candidati a ruoli di responsabilità. Questo processo dovrebbe essere esteso anche alla politica, specialmente quando si parla di posizioni di massimo potere. Se le aziende richiedono un'analisi psicologica per assumere un dipendente, non dovrebbe essere diverso per chi si candida a governare un'intera nazione. In fondo, la salute mentale di un leader è cruciale per il benessere e la sicurezza di tutti.

La doppia lama del narcisismo nei leader: quando la vanità diventa pericolosa

Il narcisismo estroverso, quello che si manifesta con un’autoesposizione esuberante, è una caratteristica che i leader, specialmente i presidenti, sembrano esibire più frequentemente. Studi psicologici hanno rivelato che figure di spicco come Richard Nixon e Ronald Reagan hanno punteggi molto alti nel Narcissistic Personality Inventory, uno strumento per misurare il narcisismo estroverso. D’altro canto, leader più riservati, come Jimmy Carter e Gerald Ford, risultano avere punteggi decisamente più bassi, ma quasi tutti i presidenti degli Stati Uniti ottengono punteggi sufficientemente alti da essere considerati "narcisisti". In effetti, è emerso che il narcisismo non è solo un aspetto caratteriale dei leader, ma spesso è un indicatore di comportamenti problematici legati all’abuso del potere, come l’abuso di posizioni di potere, il tradimento, o addirittura atti di corruzione.

Un’indagine recente condotta dagli psicologi Ashley L. Watts e Scott O. Lilienfeld ha confermato questa tendenza, portando alla luce come l'aumento del narcisismo nei presidenti sia correlato ad atteggiamenti rischiosi come la violazione delle regole morali, la mancanza di etica, i comportamenti sessuali inappropriati e la possibilità di essere coinvolti in procedimenti di impeachment. Il narcisismo sembra essere quindi una lama a doppio taglio, proprio come abbiamo visto nei casi di Nixon e Bill Clinton, e forse anche nell’amministrazione di Donald Trump.

Trump, noto per il suo narcisismo estroverso, rappresenta l’incarnazione di questa forma di narcisismo urlato e visibile. Non si limita a vantarsi delle proprie capacità o a sminuire gli altri: insultando pubblicamente Meryl Streep o esprimendo disprezzo verso figure come Rosie O’Donnell, si mostra insensibile ai sentimenti altrui, come ci si aspetterebbe da un narcisista estroverso. Questo comportamento culmina con una continua ossessione per il successo personale, come dimostra la sua reazione riguardo le valutazioni di ascolto del suo programma televisivo e, soprattutto, la sua preoccupazione per la dimensione della folla al suo insediamento presidenziale.

Queste manifestazioni di vanità, tuttavia, vanno oltre il semplice comportamento eccentrico. Il narcisismo patologico, che inizia quando una persona diventa dipendente dalla sensazione di essere speciale, si spinge ben oltre la mera vanità. A questo livello, la persona con disturbo narcisistico della personalità (NPD) è disposta a fare qualunque cosa per mantenere la propria illusione di grandezza, inclusi mentire, rubare, tradire e danneggiare chiunque le si ponga contro. Il nucleo del NPD si può riassumere in tre parole chiave: diritto, sfruttamento e mancanza di empatia. Le persone con NPD si sentono in diritto di ottenere trattamenti speciali, sfruttano chiunque le circondi per nutrire il proprio ego e sono incapaci di provare empatia per gli altri, visto che la loro ossessione per il sé è l’unica cosa che conta.

L’evoluzione del narcisismo patologico può portare a comportamenti ancora più estremi, come la psicopatia. La psicopatia si caratterizza per una totale assenza di empatia, per una manipolazione spietata e per il compiacimento nel danneggiare gli altri senza alcun rimorso. Quando narcisismo patologico e psicopatia si fondono, nasce quella che viene definita "narcisismo maligno". Questo fenomeno non è una diagnosi clinica ufficiale, ma rappresenta un modello di comportamento che può essere estremamente pericoloso, come dimostrato dai leader autoritari e spietati come Hitler, Kim Jong-un o Vladimir Putin.

Tuttavia, non tutti i narcisisti maligni sono pericolosi a livello di queste figure, soprattutto in democrazie consolidate come gli Stati Uniti. Il pericolo di un presidente narcisista non si misura solo in atti di violenza, ma nella capacità di un individuo di governare e di preservare la sicurezza e il benessere della nazione e del mondo. Questo richiede una valutazione accurata del suo comportamento e della sua capacità di portare avanti le sue funzioni senza compromettere la stabilità istituzionale.

Perché la diagnosi di disturbo narcisistico della personalità (NPD) non è di per sé un giudizio sulle capacità di un leader. Il caso di Steve Jobs, ad esempio, dimostra che una personalità narcisistica non impedisce necessariamente l’efficacia nel guidare un’impresa verso il successo. Jobs, nonostante fosse notoriamente difficoltoso con i suoi collaboratori, è stato in grado di sviluppare prodotti rivoluzionari come l’iPhone. In questo caso, il narcisismo “ad alto funzionamento” non ha pregiudicato la sua produttività o la sua capacità di spingere l’innovazione.

Ciò che è veramente cruciale per il lettore da comprendere è che il narcisismo non è sempre un ostacolo insuperabile alla leadership, ma un tratto che, se mal gestito, può compromettere non solo la capacità di governare, ma anche la salute di un’intera nazione. La vera sfida è capire quando un leader supera la linea sottile che separa il narcisismo funzionale da quello patologico. La chiave è la consapevolezza e la vigilanza costante: un equilibrio fragile che può sfuggire di mano, come abbiamo visto più volte nella storia.

La Psicopatologia e il Pericolo della Sociopatia in un Leader: Il Caso di Donald Trump

Il comportamento di Donald Trump, tanto pubblico quanto privato, offre un quadro inquietante delle dinamiche psicologiche di un individuo che manifesta tratti sociopatici evidenti. La sua reazione impulsiva alla critica, la rabbia incontrollata, e la predisposizione a prendere decisioni in modo imprevedibile e pericoloso sono tutti indicatori di una personalità che esprime tratti patognomonici di sociopatia. Questo è particolarmente evidente nei suoi atti di rabbia, come la cacciata e le minacce al direttore dell'FBI dopo una testimonianza sgradita, o l'escalation di attacchi missilistici contro il Medio Oriente, una reazione impulsiva scatenata da un'immagine disturbante in televisione. Tali azioni dimostrano come il comportamento di Trump non solo sfidi la razionalità, ma minacci anche le norme diplomatiche internazionali, con episodi di tensioni con alleati tradizionali come l'Australia, la Germania e la Francia.

La sociopatia, che si manifesta attraverso l'assenza di empatia e un disprezzo profondo per le altre persone, diventa particolarmente pericolosa quando esercitata da chi ricopre cariche di potere. La sua carenza di rimorso per azioni che danneggiano altri, accompagnata da una necessità di essere visto come superiore, sono caratteristiche distintive dei tiranni. Questi individui non solo cercano il controllo assoluto ma anche la distruzione di coloro che osano sfidarli, considerando ogni disaccordo come un attacco personale, il che li porta a reazioni rabbiose e impulsive. Questo porta inevitabilmente a un pericolo per la democrazia stessa, poiché la necessità di difendere una visione distorta della realtà mina la possibilità di un dialogo costruttivo, essenziale in una società democratica.

La paranoia che accompagna la sociopatia può tradursi in decisioni politiche che innescano conflitti internazionali. La percezione di una minaccia costante, anche se immaginaria, porta a reazioni spropositate, come la creazione di incidenti internazionali, che possono giustificare il ricorso alla forza e l'abuso del potere. Il pericolo maggiore in questo caso è la tendenza a manipolare l'opinione pubblica e il governo, poiché i sociopatici tendono a diffondere menzogne, con il fine di consolidare il proprio potere, impedendo che gli altri, compreso il libero giornalismo, possano contrastare la propria narrativa.

Donald Trump, come molti altri leader storici con tratti sociopatici, ha dimostrato quanto possieda una visione contorta e distruttiva del mondo. La sua propensione a demonizzare l'opposizione, combinata con una mancanza di autocritica, rappresenta una minaccia crescente per la stabilità non solo degli Stati Uniti, ma dell'intero ordine internazionale. La sua continua ricerca di potere, alimentata da una narcisistica megalomania, pone in pericolo le fondamenta stesse della democrazia. Le sue caratteristiche sociopatiche non solo destabilizzano l'ambiente politico ma rischiano anche di accelerare il passo verso conflitti globali e guerre, in cui l'imperativo di preservare il proprio status prevale sulle necessità di dialogo e negoziazione.

L'analisi psicologica di Trump rivela quanto la sua personalità maligna, segnata da un narcisismo patologico e una profonda incapacità di empatia, sia pericolosa in un contesto di leadership. Le sue azioni sono mosse da un bisogno incessante di superiorità, che lo porta a rispondere con rabbia alle sfide percepite. Questo comportamento è tipico dei leader sociopatici, che vedono ogni disaccordo come una minaccia da annientare. La gravità di tale condizione psicologica non può essere sottovalutata, poiché non solo minaccia la democrazia, ma può anche scatenare crisi internazionali di difficile gestione.

Il concetto di "narcisismo maligno", come elaborato da Erich Fromm e Otto Kernberg, rappresenta una forma di personalità che combina tratti di narcisismo, comportamento antisociale, paranoia e sadismo. La sua espressione in figure politiche di alto profilo, come Trump, non è solo preoccupante per la sua impazienza nell'affermare il proprio potere, ma anche per il sadismo e la crudeltà con cui tratta gli oppositori, come nel caso della repressione della stampa libera o nell'intimidazione di avversari politici. L'intreccio tra il desiderio di grandezza e l'assenza di scrupoli morali crea un mix estremamente pericoloso per la società.

Sebbene non sia un caso isolato nella storia, Trump esemplifica come la combinazione di narcisismo maligno e sociopatia possa portare a una destabilizzazione profonda delle strutture democratiche. La manipolazione delle percezioni, il disprezzo per le norme etiche e la pericolosa impulsività nel prendere decisioni cruciali pongono in evidenza la necessità di comprendere appieno il comportamento di un leader che, non solo mancando di empatia, diventa un rischio per la sicurezza collettiva.

Il rischio maggiore risiede nell'incapacità di riconoscere e affrontare tale pericolo in tempo. La sociopatia di Trump, unita alla sua capacità di mobilitare l'opinione pubblica, non solo sfida i principi democratici, ma può innescare reazioni internazionali incontrollabili, che potrebbero minacciare la pace e la stabilità globale. Il peggioramento di questi tratti psicologici nel tempo non è solo una preoccupazione teorica, ma una realtà concreta che potrebbe determinare un'ulteriore erosione delle istituzioni democratiche.

Come il "Trump Anxiety Disorder" Ha Influito sulla Salute Mentale degli Americani

Il 2016 è stato un anno segnato da un'insicurezza travolgente e da un turbinio di eventi che hanno portato alla elezione di Donald J. Trump alla presidenza degli Stati Uniti. Nonostante le previsioni che davano Hillary Clinton come la favorita (con probabilità di vittoria comprese tra il 70 e il 95 percento), e nonostante l'impressione diffusa che la candidatura di Trump fosse una sorta di provocazione, il risultato finale fu inaspettato: Trump vinse le elezioni, seppur perdendo il voto popolare con oltre 3 milioni di voti in meno. Questo esito sconvolse e frustò gran parte della popolazione americana, portando ad un livello di shock post-elezione mai visto prima, e a una diffusa ansia, che molti definirono "Trump anxiety disorder".

Questo capitolo esplorerà i sintomi di questa condizione che si sono manifestati in numerosi americani, specialmente tra quelli con tendenze progressiste, ma non esclusivamente. A differenza dei disturbi d’ansia generali, il "Trump anxiety disorder" è una risposta psicologica specifica al clima politico e sociale provocato dalla figura di Trump e dai suoi successivi eventi. La disinformazione e il ruolo dei media, caratterizzati dalla diffusione di notizie false e da una crescente polarizzazione, hanno svolto un ruolo determinante nel peggiorare i sintomi di questo disturbo. Gli effetti su persone di diversi background, educazione e classe sociale, ma soprattutto su individui appartenenti alla classe media alta, sono rilevanti e variabili.

L'intensificazione dell'incertezza generata dalla campagna di Trump e dalle sue successive dichiarazioni ha creato un ambiente emotivo di vulnerabilità, in cui molti americani si sono sentiti minacciati nella loro sicurezza personale. Gli atteggiamenti iperbolici e la retorica grandiosa di Trump hanno esacerbato questo stato di ansia, alimentato anche dal costante bombardamento mediatico che riguardava le sue posizioni politiche e le sue controversie. Secondo il rapporto "Stress in America", il 49% degli americani ha dichiarato che le elezioni del 2016 hanno avuto un impatto significativo sul loro benessere emotivo.

Un elemento cruciale da considerare quando si parla di "Trump anxiety disorder" è la differenza rispetto ad altri disturbi d’ansia, come il Disturbo d'Ansia Generalizzato (GAD). Il GAD è caratterizzato da preoccupazioni irrazionali e eccessive che interferiscono con il funzionamento quotidiano, come il timore per la salute, il denaro, le relazioni interpersonali, e il lavoro. Questi sintomi sono spesso accompagnati da manifestazioni fisiche come fatica, tensione muscolare, difficoltà respiratorie, disturbi gastrointestinali, e insonnia. Tuttavia, il "Trump anxiety disorder" ha una causa scatenante ben precisa: l’elezione di Trump e la sua continua presenza mediatica. Mentre il GAD può essere legato a molteplici fattori, il disturbo legato a Trump è incentrato sulla sua personalità, sulle sue dichiarazioni manipolative e sul clima di incertezza che egli stesso ha contribuito a creare.

I sintomi di questo disturbo comprendono un senso di perdita di controllo, impotenza, e preoccupazioni costanti legate a eventi politici come il divieto di ingresso ai musulmani, la minaccia di smantellare la legge sanitaria, la tensione con la Corea del Nord, o la relazione tra Trump e la Russia. Queste problematiche hanno contribuito a una crescente sensazione di ansia generalizzata, alimentata dal timore di un futuro instabile. Inoltre, l’uso eccessivo dei social media, che forniscono una continua esposizione a notizie, spesso false, e commenti polarizzati, ha esacerbato la condizione.

Molti individui che soffrono di questo disturbo hanno ammesso di aver sviluppato una sorta di ossessione per il monitoraggio delle notizie politiche. La costante ricerca di informazioni è vista come un tentativo di mantenere un controllo che, tuttavia, non arriva mai a rassicurare completamente. Al contrario, tale comportamento finisce per intensificare il senso di impotenza, aumentando l'ansia. Le modalità di coping disfunzionali, come l'eccesso di cibo, alcool o fumo, sono diventate comuni in molti soggetti per distrarsi dalla crescente angoscia.

Una delle dinamiche psicologiche più rilevanti emerse durante la campagna di Trump è il concetto di "gaslighting", che si riferisce a comportamenti manipolatori che inducono una persona a dubitare della propria realtà. Trump ha utilizzato frequentemente tecniche di gaslighting, come la negazione dei fatti, la diffusione di informazioni false, e la manipolazione emotiva per ottenere il controllo e minare la fiducia delle persone nelle loro percezioni. Questo ha avuto un impatto significativo sulle persone che già vivevano in uno stato di ansia e preoccupazione per il futuro del paese.

Oltre a ciò, è fondamentale considerare che la polarizzazione politica e l'intensa divisione tra le opinioni hanno peggiorato ulteriormente la situazione. Famiglie e amici si sono trovati a fronteggiarsi con profondi conflitti interpersonali dovuti alle divergenti opinioni politiche. Le conversazioni, che un tempo sarebbero state più miti e concilianti, sono divenute sempre più conflittuali, con gli individui incapaci di tollerare le opinioni diverse dalle proprie.

Infine, mentre il "Trump anxiety disorder" non è ufficialmente riconosciuto come una diagnosi clinica nel DSM-V, i suoi effetti psicologici sono innegabili. Il disturbo si distingue per la sua natura situazionale e il suo collegamento diretto agli eventi politici e sociali che hanno avuto luogo durante la presidenza di Trump. L'ansia, in questo caso, non è solo una risposta a preoccupazioni generali, ma è intrinsecamente legata a un periodo di incertezza che ha radicalmente cambiato il panorama politico degli Stati Uniti, creando traumi psicologici che perdurano ben oltre la fine delle elezioni.

Qual è l'importanza delle connessioni sociali nella leadership e nelle decisioni politiche?

Il presidente John F. Kennedy, durante la crisi dei missili cubani, non solo ha fatto affidamento sulla sua capacità individuale di prendere decisioni, ma anche sulla rete sociale che lo circondava. A differenza di altri leader che si sono isolati in cerchi ristretti di consiglieri, Kennedy ha coltivato una rete variegata di consiglieri provenienti da contesti molto diversi. Tra questi, figure come McGeorge Bundy e Robert Kennedy, suo fratello, erano fondamentali. Kennedy ha compreso l'importanza di avere una pluralità di punti di vista, non solo per evitare di cadere in una visione parziale delle questioni, ma anche per favorire il dialogo libero e aperto.

Questa apertura mentale nella selezione dei suoi consiglieri è stata cruciale per la sua gestione della crisi. Il presidente non limitava il suo gruppo di consulenti a pochi intimi, ma permetteva loro di discutere e confrontarsi tra di loro senza la sua presenza, in modo da evitare che la sua autorità potesse influenzare le opinioni altrui. La rete di Kennedy era così diversificata che riusciva a raccogliere un ampio spettro di idee e opinioni, da quelle più pragmatiche a quelle più idealistiche, il che gli permetteva di navigare attraverso la crisi con una certa flessibilità e saggezza.

In questo contesto, emerge un aspetto importante: la varietà nelle connessioni sociali. Studi hanno dimostrato che non è tanto il numero di relazioni sociali a fare la differenza, quanto la loro varietà. Le connessioni più diverse - tra cui amici, colleghi, familiari e professionisti di settori differenti - sono in grado di fornire una rete di supporto che è meno vulnerabile ai cambiamenti o ai fallimenti di una singola relazione. Un numero elevato di amici o conoscenti può sembrare positivo, ma una rete limitata e omogenea di relazioni non offre gli stessi benefici in termini di risoluzione dei problemi o di protezione psicologica.

Un altro punto che va oltre il concetto di connessioni sociali riguarda il rischio dell'isolamento. Il sociologo Erving Goffman, nel suo studio sulle istituzioni come ospedali psichiatrici e carceri, ha evidenziato che quando una persona è ridotta a un solo ruolo sociale (come un "paziente" in una struttura psichiatrica), la sua capacità di affrontare lo stress quotidiano si riduce drasticamente. Nella vita di tutti i giorni, una persona può rivolgersi a vari interlocutori per sfogarsi o cercare supporto, ma chi è intrappolato in un solo ruolo sociale, come un prigioniero o un paziente, è costretto a confrontarsi con una visione unidimensionale della propria vita. Questo tipo di isolamento sociale, seppur vissuto nel contesto di privilegi o potere, può influire negativamente sul benessere e sulla capacità di prendere decisioni ponderate.

Per i leader politici, mantenere una rete sociale diversificata non è solo una questione di salute psicologica, ma anche di successo operativo. Un esempio moderno di come un ristretto gruppo di fiducia possa essere dannoso si osserva nella presidenza di Donald Trump. Nonostante la sua volontà di testare le idee con una vasta gamma di persone, la sua cerchia era principalmente composta da uomini bianchi, ricchi e potenti, che condividevano un forte senso di lealtà verso di lui, ma che avevano esperienze e visioni limitate. Questo isolamento, che lo confinava in un "fortino", ha spesso ostacolato la sua capacità di reagire a situazioni politiche complesse, portandolo a prendere decisioni che erano per lo più frutto di un dialogo interno a una cerchia limitata.

Un aspetto da considerare ulteriormente è il concetto di "legami deboli", un termine coniato dal sociologo Everett Rogers. I legami deboli sono connessioni che non sono particolarmente intime, ma che offrono l'accesso a idee innovative che non circolano all'interno dei gruppi ristretti e coesi. La combinazione di legami deboli con una rete coesa è fondamentale per promuovere l'innovazione. Questo principio si applica non solo alla politica, ma anche alla gestione delle crisi: l'accesso a idee fresche e diverse, provenienti da persone che non fanno parte della cerchia immediata di un leader, può fare la differenza nelle decisioni cruciali.

Questa varietà di punti di vista e la capacità di attingere da fonti esterne sono diventate caratteristiche distintive nella leadership di Kennedy. Il suo interesse per la lettura, la sua curiosità intellettuale, e il suo approccio aperto a una vasta gamma di opinioni, gli permisero di affrontare la crisi dei missili cubani con un respiro più ampio rispetto a chi si limitava a un gruppo ristretto di consiglieri.

Le connessioni sociali, quindi, non sono solo uno strumento per il supporto emotivo e psicologico; esse sono un pilastro fondamentale per il buon governo e per la gestione delle crisi politiche. La rete di relazioni di un leader deve essere strutturata in modo tale da evitare l'isolamento e la ristrettezza di vedute, offrendo un ambiente che favorisca l'innovazione, il confronto e il pensiero critico.