Il fegato riceve il suo apporto sanguigno attraverso due fonti principali: l’arteria epatica propria e la vena porta. L’arteria epatica fornisce circa il 30% del flusso sanguigno totale al fegato, ma è responsabile del 60% dell’apporto di ossigeno, mentre la vena porta, che fornisce il restante 70% del flusso, apporta circa il 40% dell’ossigeno. Quest’ultima trasporta nutrienti intestinali, farmaci e mediatori infiammatori assorbiti a livello enterico, direttamente verso il parenchima epatico.

La vena porta si forma più frequentemente dalla confluenza tra la vena splenica e la vena mesenterica superiore. Possono contribuire anche altri rami come la vena mesenterica inferiore, la vena cistica e le vene gastriche sinistra e destra. Le venule provenienti dalla circolazione splancnica si uniscono in queste vene principali, che confluiscono poi nella vena porta. Una volta entrato nel fegato, il sangue scorre attraverso i sinusoidi epatici, che sono capillari fenestrati, e si distribuisce alle lamine di epatociti, per poi drenare nelle venule centrali.

Microscopicamente, la direzione del flusso sanguigno segue un gradiente di pressione, partendo dalle ramificazioni della vena porta e dell’arteria epatica, per attraversare i sinusoidi e giungere infine nelle venule centrali. Questo sistema, altamente organizzato, è alla base del metabolismo epatico e della sua vulnerabilità selettiva a diversi tipi di danno.

L’anatomia funzionale del fegato è suddivisa secondo la classificazione di Couinaud in otto segmenti, ciascuno dei quali possiede un’entrata vascolare, un drenaggio venoso e una via biliare propria. Il lobo caudato, che corrisponde al segmento I, presenta una particolarità significativa: il suo drenaggio venoso avviene direttamente nella vena cava inferiore attraverso vene epatiche dorsali indipendenti.

L’organizzazione zonale del lobulo epatico, secondo il modello di Rappaport, distingue tre zone concentriche. La zona 1, la più vicina alla triade portale, riceve il sangue più ricco di ossigeno ma è anche la più esposta agli agenti tossici. La zona 2 rappresenta un’area intermedia, mentre la zona 3, prossima alla vena centrolobulare, è quella più suscettibile a danni ipossici.

Una condizione patologica paradigmatica della circolazione epatica è la sindrome di Budd-Chiari (BCS), che comporta un’ostruzione del deflusso venoso epatico. Può interessare una, più vene epatiche, oppure la vena cava inferiore. Si distingue tra forme primarie, causate da alterazioni intrinseche dei vasi (trombosi, flebite), e forme secondarie, dovute a compressioni o infiltrazioni da parte di masse extravascolari, come neoplasie epatiche centrali (carcinoma epatocellulare, emangiosarcoma), tumori extraepatici (adenocarcinomi renali o surrenalici), o alterazioni anatomiche post-chirurgiche.

La presentazione clinica della BCS è eterogenea: può essere acuta, cronica o anche asintomatica. Segni caratteristici includono dolore in ipocondrio destro, febbre, ascite, epatomegalia e splenomegalia. L’analisi del liquido ascitico può essere indicativa: una concentrazione proteica superiore a 3 g/dL e un gradiente albumina siero-ascite ≥1,1 g/dL suggeriscono un’origine vascolare o cardiaca. La diagnosi si avvale di metodiche di imaging come l’ecografia Doppler, la risonanza magnetica e la tomografia computerizzata.

Le cause secondarie della BCS sono molteplici e includono, oltre ai tumori già citati, disfunzioni cardiache gravi (insufficienza tricuspidalica, pericardite costrittiva), cisti epatiche, traumi addominali con ematomi retroperitoneali e anomalie post-operatorie. In Asia, è più frequente l’ostruzione pura della vena cava inferiore o una combinazione di ostruzioni della cava e delle vene epatiche.

Uno degli aspetti genetici più rilevanti nella patogenesi della BCS è la mutazione del gene JAK2 V617F, tipicamente associata ai disordini mieloproliferativi. Questa mutazione, presente nel 90% dei casi di policitemia vera e in circa la metà dei pazienti con trombocitemi

Qual è la speranza di vita nei pazienti asintomatici con PBC e PSC?

I pazienti asintomatici con colangite biliare primitiva (PBC) hanno una sopravvivenza mediana più lunga rispetto ai pazienti con sintomi evidenti. Tuttavia, è importante notare che la sopravvivenza mediana nei pazienti asintomatici con PBC risulta essere inferiore rispetto a quella di popolazioni sane, paragonate per età e sesso. Le stime della sopravvivenza mediana senza trapianto di fegato vanno da 10 a 12 anni dal momento della diagnosi; la malattia epatica avanzata riduce la sopravvivenza mediana a circa 8 anni.

I pazienti asintomatici con colangite sclerosante primitiva (PSC), invece, mostreranno una sopravvivenza ridotta rispetto ai controlli sani. Un quarto dei pazienti che erano asintomatici al momento della diagnosi svilupperà sintomi clinici entro 5 anni. La sopravvivenza mediana fino alla morte o al trapianto di fegato per tutti i pazienti con PSC, indipendentemente dalla presenza di sintomi, è di 12-20 anni. Per i pazienti con sintomi già al momento della diagnosi, la sopravvivenza mediana è di circa 9 anni.

Un aspetto fondamentale è l'utilizzo dei modelli matematici per stimare la sopravvivenza nei pazienti con PBC e PSC. Lo sviluppo di questi modelli ha notevolmente migliorato la capacità di prevedere la progressione della malattia e la sopravvivenza senza trapianto di fegato. Questi modelli sono estremamente utili per identificare endpoint terapeutici e progettare studi clinici. Tra i predittori binari della risposta al trattamento con acido ursodesossicolico (UDCA) per PBC, la riduzione della fosfatasi alcalina è un indicatore chiave. Per la PSC, sono stati identificati valori soglia di fosfatasi alcalina che suggeriscono un miglioramento dei risultati clinici. Il punteggio GLOBE per la PBC e il punteggio UK-PBC sono particolarmente accurati nel prevedere la sopravvivenza dei pazienti. Inoltre, il punteggio di rischio PSC della Mayo Clinic utilizza variabili come l'età del paziente, il bilirrubina totale sierica, l'albumina, AST, e la storia di sanguinamento variceale per prevedere la sopravvivenza. Il punteggio PRESTO, che sfrutta l'intelligenza artificiale, è in grado di prevedere lo sviluppo di complicanze epatiche nei pazienti con PSC. Inoltre, il modello MELD-Na (Model for End-stage Liver Disease-sodium) è utilizzato per la selezione dei pazienti da sottoporre a trapianto di fegato.

Un altro aspetto cruciale è la relazione tra la fosfatasi alcalina e la storia naturale della PSC. Diversi studi suggeriscono che il miglioramento della fosfatasi alcalina nel tempo sia associato a esiti clinici favorevoli. In particolare, il miglioramento persistente della fosfatasi alcalina al di sotto di 1,5 volte il limite superiore della norma, sia spontaneamente che con il trattamento, sembra ridurre lo sviluppo di colangiocarcinoma e altre complicanze epatiche correlate alla PSC. Tuttavia, queste osservazioni richiedono ulteriori studi per essere confermate, specialmente per quanto riguarda la PSC intraepatica isolata e la PSC diffusa.

I pazienti con PBC e PSC sono anche particolarmente vulnerabili a carenze di vitamine liposolubili, soprattutto nelle fasi avanzate della malattia. La carenza di vitamina A è associata alla perdita di acuità visiva notturna, mentre la carenza di vitamina D è comune in presenza di steatorrea marcata, legata a una riduzione della concentrazione di acidi biliari nel piccolo intestino. Fattori come l'insufficienza pancreatica, la sovracrescita batterica intestinale e la celiachia possono contribuire alla malassorbimento. La prolungata coagulazione del PT sierico è indice di una carenza di vitamina K, che potrebbe anche segnalare un peggioramento della funzione sintetica epatica. Se la bilirubina sierica supera i 2 mg/dL, è fondamentale monitorare annualmente le vitamine A, D e K. La carenza di vitamina E, sebbene rara, può causare anomalie neurologiche, in particolare danni alle colonne posteriori del midollo spinale, portando a arreflexia, perdita della propriocezione e atassia.

Un'altra complicanza seria associata alla PBC e alla PSC è la malattia ossea metabolica, che può portare a fratture patologiche debilitanti. La manifestazione clinica di questa condizione include osteopenia, osteoporosi e fratture. Inoltre, il dolore osseo grave, sia in forma acuta che cronica, può essere causato da necrosi avascolare nelle fasi avanzate della malattia. I pazienti con PBC sono otto volte più suscettibili a sviluppare osteoporosi rispetto ai controlli dello stesso sesso. I fattori di rischio per l'osteoporosi includono l'età avanzata, un indice di massa corporea basso, una storia di fratture precedenti e malattia epatica avanzata. La carenza di vitamina D e il fumo sono anche implicati come fattori di rischio per la malattia ossea metabolica. L'osteoporosi è stata riscontrata fino al 15% dei pazienti con PSC, un incremento di 24 volte rispetto alla popolazione di controllo. Fattori come una durata maggiore di 19 anni di malattia infiammatoria intestinale sono stati identificati come fattori di rischio aggiuntivi per l'osteoporosi nei pazienti con PSC. È importante che i pazienti con PBC e PSC eseguano test di densità ossea regolari ogni 2-3 anni per monitorare il rischio di osteoporosi.

Le complicazioni epato-biliari non maligne sono comuni nei pazienti con PSC. La colangite, che può colpire il 15% dei pazienti con PSC, può essere causata da stenosi benigne o maligne, o da ostruzioni intraluminali come i calcoli biliari. Il prurito è riportato da oltre il 40% dei pazienti, con il 20% di questi che sperimentano prurito resistente a diversi trattamenti. Le stenosi dominanti, ovvero la stenosi dei dotti epatici e comuni sotto una certa misura, sono osservate nel 20-50% dei pazienti con PSC e sono spesso associate a sintomi significativi. La presenza di queste stenosi richiede un monitoraggio attento per la possibile comparsa di colangiocarcinoma. I calcoli biliari, la colangite, la cirrosi e l'ipertensione portale possono svilupparsi progressivamente nei pazienti con PSC.

Infine, il colangiocarcinoma è una delle complicanze maligne più comuni nei pazienti con PSC. Il rischio di sviluppare questa neoplasia è quasi 400 volte maggiore rispetto alla popolazione generale. Per la sua diagnosi precoce, gli esperti raccomandano uno screening annuale tramite colangiopancreatografia a risonanza magnetica (MRCP) e il dosaggio del CA 19-9. La MRCP si è rivelata superiore all'ecografia per la rilevazione precoce di colangiocarcinoma, in particolare nella fase iniziale della malattia.