Bugsy Siegel è stato uno dei primi gangster ad arrivare in prima pagina come "grande nome". Prima e dopo l'avvento della televisione notturna, Siegel, come Donald Trump, era un ottimo soggetto per i giornali, le riviste e i libri. A distanza di quasi 75 anni dalla sua morte, la sua figura continua a suscitare interesse, come dimostrato dalle recenti biografie, tra cui Bugsy Siegel: The Dark Side of the American Dream di Michael Shnayerson. Sebbene le loro storie sociali e i curricula siano diversi, molti aspetti della loro vita sembrano avere dei punti in comune. Siegel rappresenta la vecchia scuola dei gangster che usavano l’intimidazione fisica e il crimine, mentre Trump incarna una nuova generazione di criminalità aziendale, caratterizzata da accordi legali, MBA delle Ivy League e comitati di amministrazione familiari. Le differenze legali tra questi due mondi sono evidenti: i crimini legati a Siegel erano considerati parte di un'impresa criminale, mentre quelli di Trump sono visti come ausiliari delle occupazioni legittime, il che li rende molto meno perseguibili.

La grande impresa di Siegel fu la creazione del Flamingo Hotel e Casino di Las Vegas, Nevada. Inizialmente, l’apertura nel 1946 fu un fallimento, ma dopo un anno di ristrutturazione, il Flamingo divenne un grande successo, segnando l’inizio di un'era di casinò e glamour nel deserto. Siegel, già noto per le sue operazioni criminali, tra cui il traffico di alcol durante il proibizionismo e l’assassinio su commissione, aveva costruito un impero criminale che includeva estorsioni, narcotraffico e gioco d'azzardo. Nato il 28 febbraio 1906 a Brooklyn, in una famiglia ebraica povera, Bugsy cominciò a estorcere denaro dai venditori ambulanti da giovanissimo, e negli anni '20 si unì al suo compagno di crimine Meyer Lansky, con il quale fondò la Bugs-Meyer Gang, una banda di gangster ebrei responsabile anche di contratti di omicidi tramite l’organizzazione Murder, Inc.

Nel corso della sua vita, Siegel diventò famoso per la sua violenza e la sua abilità nell’uso delle armi, ma una volta che il proibizionismo fu abrogato nel 1933, si dedicò interamente al gioco d'azzardo. Si trasferì sulla costa ovest nel 1937, dove consolidò il potere del suo sindacato, gestendo bordelli, il traffico di droga e scommesse clandestine, oltre a occuparsi di racket legati al cinema. A Hollywood, Siegel si fece prestare denaro da attori famosi come George Raft, Clark Gable e Cary Grant, senza mai avere l’intenzione di restituirlo, sapendo che nessuno gli avrebbe chiesto indietro il denaro. La sua capacità di stringere alleanze con i potenti e manipolare le circostanze lo portò a dominare il mondo del cinema, pur non avendo mai un proprio studio.

Il legame tra Siegel e la politica era altrettanto forte. Mantenne contatti con uomini d'affari, politici, avvocati e contabili, i quali lo aiutavano a nascondere le sue attività. A metà degli anni ’40, Siegel si trasferì definitivamente a Las Vegas con la sua amante Virginia Hill per supervisionare la costruzione del Flamingo. Tuttavia, la sua gestione dei fondi e la sua tendenza a "intascare" una parte dei soldi destinarono il suo sogno a un tragico epilogo. I costi del Flamingo, inizialmente previsti per 1,5 milioni di dollari, lievitarono a 6 milioni, e le sue pratiche finanziarie portano alla sua eliminazione: Siegel fu assassinato nel 1947 a Beverly Hills, proprio mentre stava leggendo il Los Angeles Times.

La connessione tra Bugsy Siegel e Donald Trump non è immediatamente ovvia, ma le analogie sono molteplici. Entrambi provengono da contesti che hanno permesso loro di affermarsi come grandi imprenditori, seppur operando in ambienti molto diversi. Trump ha costruito la sua fortuna nel mondo degli affari legittimi, mentre Siegel ha usato la violenza e il crimine per raggiungere il successo. Ciò che li unisce, però, è il loro approccio strategico al potere, alla manipolazione delle istituzioni e alla capacità di legare affari legittimi a operazioni illecite, una caratteristica che per lungo tempo ha contraddistinto le personalità più influenti dell’America.

Infine, è importante considerare come la figura di Siegel rappresenti un ponte tra il crimine organizzato del passato e l’imprenditoria moderna. In un'epoca in cui l'influenza economica spesso maschera legami con attività criminali, la storia di Siegel suggerisce che la criminalità non sia sempre esterna al sistema economico legittimo, ma che talvolta faccia parte della stessa trama. Ciò che è essenziale comprendere, oltre alla figura di Bugsy Siegel e alle sue imprese, è come queste operazioni criminali si siano evolute con il tempo, diventando più sofisticate e integrate nelle strutture aziendali moderne.

Come la Crudeltà e la Manipolazione Fanno Parte del Successo Politico: L’Impatto della Psicologia Sociale nelle Strategie di Trump

Nel corso della sua carriera politica, Donald Trump ha saputo manipolare abilmente le percezioni e le emozioni delle persone, sfruttando il potere dell'immagine e della retorica per costruire una narrativa che si adattasse ai desideri più profondi dei suoi sostenitori. Questo fenomeno non è casuale, ma radicato in una lunga tradizione di manipolazione sociale che attinge alla psicologia umana, alla cultura dell'immagine e alla cosiddetta "gospel" materialista. Sin dagli inizi della sua ascesa politica, Trump ha saputo attrarre non solo i poteri economici e politici, ma anche le figure più influenti dell’evangelismo statunitense, come Jerry Falwell Jr., Pastor Darrell Scott e il Reverendo Robert Jeffress, creando un legame che andava oltre la politica per toccare le corde più intime della spiritualità e del credo religioso. La sua abilità nel presentarsi come un "convertito" all'interno della comunità evangelica non è altro che una mossa strategica per legittimare la sua posizione e accrescere il suo potere tra i settori più tradizionalisti della società americana.

Trump, infatti, non è solo un abile manipolatore delle immagini pubbliche, ma anche un maestro nel costruire storie di sé che si adattano perfettamente ai desideri del pubblico. Il suo incontro con i leader evangelici, culminato con la rituale imposizione delle mani, non è stato semplicemente un atto di fede, ma una mossa politica studiata per ottenere consensi e consolidare una base di supporto. Questa dinamica non è limitata al contesto religioso, ma si estende anche alla sua interazione con i suoi alleati e con chiunque cerchi di contraddirlo o di metterlo in discussione. La sua capacità di affermare la propria forza e superiorità nonostante le contraddizioni e le ambiguità del suo comportamento è ciò che lo ha reso, paradossalmente, ancora più potente agli occhi dei suoi sostenitori.

La contraddizione centrale nella figura di Trump è quella di una persona capace di generosità, ma che non è generosa, di atti di lealtà che, in ultima analisi, sono guidati dalla dislealtà, di atti di gentilezza che non riflettono un carattere intrinsecamente gentile. Questa duplicità, che viene evidenziata anche nelle testimonianze di Michael Cohen, suo ex avvocato, è il cuore della sua personalità pubblica e privata. Trump non è solo un uomo d'affari, ma una figura che ha saputo utilizzare la propria immagine per manipolare il contesto e plasmare la realtà a suo favore. Ciò che emerge, quindi, è l'immagine di un uomo che, pur essendo capace di tutto, ha un'interiorità frammentata e incoerente, ma che ha imparato a sfruttare questa incoerenza per raggiungere i propri scopi.

Nel contesto di questo fenomeno, un aspetto fondamentale è la connessione tra il comportamento di Trump e l'eredità paterna, quella di Fred Trump, il cui impero immobiliare era costruito su un modello di affari caratterizzato da un’intensa competitività e una costante ricerca di dominanza sociale. La figura del padre ha contribuito a forgiare la personalità di Donald, che ha successivamente ripreso e ampliato le dinamiche familiari nel contesto del potere politico. La crudele logica del dominio, dell'umiliazione dell'altro e della mancanza di empatia, che erano parte integrante della filosofia di Fred Trump, si riflettono nel comportamento di Donald, soprattutto nei suoi confronti verso i nemici politici, verso le minoranze e verso chiunque metta in discussione la sua autorità.

L’analisi di Trump come "Gaslighter-in-Chief" non può prescindere dalla comprensione della psicologia del suo potere. Il suo comportamento non è solo una questione di politica o strategia, ma si inserisce in un contesto culturale e sociale che premia la crudeltà come mezzo per esercitare il potere. In questa luce, l'analisi di Adam Serwer, che evidenzia come la crudeltà sia un elemento centrale nel rapporto tra Trump e i suoi sostenitori, diventa ancora più chiara. Trump e i suoi sostenitori trovano comunità nel giubilo per la sofferenza di chi odiano, creando così una dinamica per cui la sofferenza dell'altro diventa una sorta di riscatto simbolico per le loro paure e frustrazioni.

La cultura dell’umiliazione e della degradazione, infatti, è un elemento fondamentale della sua retorica e del suo potere. Dai "roast" televisivi, che spingono le persone a ridere delle sofferenze altrui, agli spettacoli di satira politica, dove le battute e le offese sono utilizzate per costruire divisioni, Trump ha saputo capitalizzare sulla cultura della "bassa" umiliazione e sulle sue radici nelle tradizioni razziste e misogine. La sua abilità di sfruttare le divisioni sociali e politiche, trasformando ogni atto di violenza verbale in un'opportunità di potenziamento, ha trovato un potente alleato nelle dinamiche dei social media, dove la guerra culturale è condotta ogni giorno con battaglie verbali che non mirano solo a distruggere, ma a radicalizzare e ad alienare.

Questo tipo di comportamento non è limitato a Trump. Esso fa parte di una più ampia evoluzione della cultura popolare, che ha visto il fiorire di forme di comunicazione sempre più violente e degradanti. La stessa ironia e satira che vengono utilizzate per criticare i conservatori sono state, a loro volta, adattate dalle forze dell'alt-right per diffondere messaggi di odio e di divisione. Eppure, la chiave per comprendere queste dinamiche è sempre la stessa: la sofferenza dell'altro è vista come una vittoria, un modo per riaffermare la propria superiorità.

Il pubblico di riferimento, che spesso è descritto come "normie", è quindi il vero obiettivo di queste manipolazioni. È su di loro che si esercita l'effetto di disinformazione, radicalizzazione e alienazione. La retorica di Trump, pur essendo estremamente divisiva e polarizzante, riesce a fare appello a una parte significativa dell'elettorato, facendogli credere che siano "sotto attacco", quando in realtà è la loro percezione del mondo che viene strumentalizzata e distorta.

Come Donald Trump ha trasformato la politica americana: manipolazione della paura e della paranoia

Trump è riuscito a costruire una solida base politica, che sarebbe diventata la spina dorsale del movimento MAGA, facendo appello alla reazione contro Obama, all'anti-elitismo, alla xenofobia e al nazionalismo americano. Ma la sua ascesa è stata anche il frutto di un’alleanza cruciale con Fox News, un’alleanza che si è rivelata fondamentale per le primarie repubblicane e per la sua stessa campagna. Il suo approccio cominciò a prendere forma nell’aprile del 2011, quando abbracciò la teoria del Birtherism, insinuando che Barack Obama non fosse nato negli Stati Uniti, o che ci fosse qualcosa di sospetto nel suo certificato di nascita. Trump sapeva benissimo che tale teoria era una totale invenzione, ma non gli importava: parlare di Birtherism diventava un modo per segnare la propria identità e per rivolgersi a una certa parte della società americana che si sentiva minacciata dalla presenza di minoranze etniche e culturali.

Nel 2016, Trump si presentò come un avversario che spezzava ogni tradizione politica. La sua retorica, spesso sopra le righe e provocatoria, non aveva precedenti nella storia politica recente. In questo, il suo stile non solo sfidava le convenzioni, ma parlava direttamente alle emozioni della gente: paura, rabbia, insoddisfazione. Il suo approccio non si limitava alla politica, ma sfociava nell’intrattenimento, come se la politica fosse un grande spettacolo teatrale in cui lui stesso interpretava il ruolo del "giullare" di corte, con un linguaggio e gesti che sapevano come catturare l’attenzione e, in un certo senso, come far divertire il pubblico, anche quando il messaggio in sé non aveva un contenuto concreto.

Trump non si è mai fatto scrupoli a deridere i suoi avversari politici, ma non ha mai ridicolizzato i suoi alleati più estremisti, come i suprematisti bianchi o i razzisti. La sua visione politica era, ed è, un gioco di opposizioni: da un lato la sua retorica anti-immigrati, anti-musulmani, anti-liberali; dall’altro, il suo stesso comportamento da outsider, che esprimeva un tipo di "anarchismo" che in qualche modo trovava appoggio anche tra chi non condivideva la sua ideologia, ma che apprezzava il suo stile e la sua sfida al sistema. L'appeal che Trump ha esercitato sulle classi lavoratrici e sul popolo comune, nonostante la sua condizione di miliardario, è in gran parte dovuto a questa capacità di ribaltare le gerarchie e a creare una sorta di "populismo spettacolare", dove la politica non è solo discussione di idee ma uno show.

Nel 2020, durante la campagna per la rielezione, Trump non credeva certo alle teorie complottiste di QAnon, ma sapeva benissimo che sfruttarle politicamente avrebbe garantito un continuo supporto tra la sua base. In effetti, il movimento QAnon, che prosperava su teorie della cospirazione senza fondamento, rappresentava una risposta alle preoccupazioni di una parte dell'America bianca, quella che sentiva che la propria "proprietà culturale" fosse minacciata dalla crescente diversità etnica e culturale del paese. Nonostante la totale falsità di queste teorie, Trump non ha mai cercato di smentirle, e anzi le ha usate come strumento per intensificare la paura e la paranoia, alimentando il timore che il paese stesse perdendo la sua identità.

Questa manipolazione delle emozioni collettive non si è limitata alla campagna elettorale. Anche la gestione della pandemia da parte di Trump è stata segnata dalla retorica di un leader che, invece di affrontare la crisi sanitaria in modo responsabile, ha sfruttato la situazione per rafforzare la sua immagine di "uomo forte" contro le istituzioni e l’establishment. Nel 2020, il tema della lotta contro il "Deep State" e la difesa dei valori tradizionali americani sono stati utilizzati per distogliere l'attenzione dalle sue gravi mancanze nella gestione della pandemia, un errore che ha segnato negativamente la sua figura agli occhi di molti americani.

Nonostante la sua retorica divisiva, Trump è riuscito a mantenere il controllo sulla sua base di sostenitori, sfruttando non tanto l’argomento delle politiche concrete, ma quello della "guerra culturale". In questo modo, ha utilizzato i temi della razza, della religione e della classe come strumenti per legare la sua immagine a quella di un salvatore che si oppone a forze esterne che minacciano l’America tradizionale. La sua visione non era solo una questione di politica, ma di identità e di potere: rendere l'America di nuovo grande non significava solo una restaurazione economica, ma una restaurazione dell'ordine culturale e politico che, a suo avviso, stava crollando sotto i colpi del multiculturalismo.

Per il lettore, è fondamentale comprendere che la politica di Trump non si basa tanto su una costruzione di idee concrete o su un programma coerente, quanto sulla costruzione di una narrazione emotiva che parla direttamente ai timori e alle paure di molti americani. L’efficacia del suo messaggio risiede nella sua capacità di trasformare la politica in uno spettacolo, in cui il leader diventa non solo il politico ma anche il personaggio che incarna il cambiamento radicale. La sua capacità di cavalcare l’onda della paranoia e della disinformazione, alimentando il senso di minaccia e l’idea di un nemico comune, è stata una delle chiavi del suo successo. Quello che rimane da chiedersi, alla luce della sua carriera politica, è quanto il suo stile e il suo approccio possano essere replicabili in futuro, e fino a che punto le sue tattiche avranno un impatto duraturo sulla politica americana e globale.

Qual è la natura delle reti di corruzione globale e come influenzano la politica?

La corruzione su larga scala, come quella che si è sviluppata durante il periodo dell’amministrazione Trump, si configura come un intricato gioco di potere e denaro, in cui le reti di elite globali e locali si intrecciano per sostenere interessi economici e politici reciproci. Questo fenomeno non riguarda solo l’appropriazione illecita di risorse da parte di singoli politici o burocrati, ma coinvolge un complesso sistema di relazioni che si estende oltre i confini nazionali, in cui gli attori chiave sono personaggi influenti, aziende potenti e organizzazioni politiche transnazionali.

Le reti di potere descritte da Rajan alimentano non solo attività criminali tradizionali, come il finanziamento del terrorismo e l’evasione fiscale attraverso società fantasma e conti offshore, ma si estendono anche alla manipolazione del sistema democratico. La corruzione di alto livello in politica è sempre più legata alla legalizzazione di attività che, in passato, sarebbero state considerate reati. Un esempio emblematico di questo è il caso della decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti nel 2010, nel caso Citizens United vs. Federal Election Commission, che ha rimosso ogni limite ai contributi finanziari delle corporation nelle campagne politiche, aumentando considerevolmente l’influenza delle grandi aziende nella politica.

In tale contesto, si sviluppa un sistema in cui la corruzione non è episodica, ma strutturale e profondamente radicata nei processi decisionali. I network che gestiscono la corruzione operano su scala globale e sono composti da figure prominenti, tra cui uomini d’affari, politici e lobbisti, i cui legami trasversali possono influenzare politiche pubbliche e strategie geopolitiche per anni, se non decenni. Le reti di Trump, ad esempio, comprendono vari attori che spaziano da suoi collaboratori stretti come Paul Manafort e Michael Flynn, a personaggi internazionali con interessi in Russia, Medio Oriente e Ucraina.

Nel caso specifico di Tom Barrack, ex amico e consigliere di Trump, si evidenziano le dinamiche di influenza tra élite politiche e economiche. Barrack, accusato di aver agito come agente segreto per conto degli Emirati Arabi Uniti, rappresenta una delle figure chiave in un caso che mostra come gli interessi economici globali possano influenzare le politiche interne di un paese. La sua posizione come presidente della campagna di Trump nel 2016 e la sua lunga carriera come investitore di capitale privato, con stretti legami con il Medio Oriente, mettono in luce come le élite politiche e finanziarie siano in grado di manipolare le politiche attraverso accordi non sempre trasparenti. La sua attività ha incluso il finanziamento di campagne politiche, la gestione di enormi patrimoni immobiliari e il sostegno alle attività imprenditoriali di Trump, oltre a operazioni finanziarie internazionali che vanno ben oltre i confini degli Stati Uniti.

Tuttavia, il caso Barrack è solo un esempio delle numerose connessioni internazionali che compongono la rete di potere che sostiene l’ordine politico ed economico globale. Le indagini che hanno portato all’arresto di Barrack evidenziano come la corruzione a livello di élite non sia solo una questione di arricchimento personale, ma anche di consolidamento del potere geopolitico. Le azioni di Barrack e dei suoi coimputati, accusati di influenzare le politiche straniere degli Stati Uniti, dimostrano chiaramente come gli Stati esteri possano penetrare le strutture politiche di un paese attraverso alleanze e finanziamenti occulti.

Queste dinamiche di corruzione globale vanno ben oltre la mera illegalità. Esse riguardano il modo in cui l’intero sistema economico e politico può essere plasmato da piccoli gruppi di élite che operano per mantenere il controllo su risorse economiche, politiche e mediatiche. È importante notare che la corruzione di alto livello non è solo una questione di crimine finanziario, ma anche un meccanismo che permette alle élite di mantenere la propria posizione di privilegio all’interno di un sistema che si autoalimenta.

Le implicazioni di tale sistema non sono solo economiche, ma anche sociali e culturali. L'influenza delle élite sulle politiche pubbliche e sulla gestione delle risorse sta portando a una crescente disuguaglianza, dove una ristretta cerchia di individui e aziende determina le sorti di milioni di persone in tutto il mondo. Le disuguaglianze strutturali e l'erosione della fiducia nelle istituzioni democratiche sono il risultato di queste reti di corruzione, che prosperano nel buio delle transazioni finanziarie globali e degli accordi politici segreti.

Il lettore deve comprendere che la corruzione globale non è un fenomeno che riguarda solo i grandi scandali politici o i singoli atti di frode. Si tratta di una struttura che permea il cuore stesso delle società moderne, dove il denaro e il potere sono strumenti attraverso i quali si mantiene l’ordine esistente. L’analisi di queste reti non riguarda soltanto la decodifica di una serie di eventi o accuse legali, ma piuttosto un’osservazione critica di come il potere economico e politico possa plasmare la realtà sociale a livello globale, con implicazioni che vanno ben oltre la politica interna di una singola nazione.

L'abuso del potere e l'ostruzione del Congresso: l'impeachment di Donald Trump

Nel dicembre del 2019, la Camera dei rappresentanti, controllata dai Democratici, ha formalmente accusato il presidente Donald Trump di due crimini: abuso del potere e ostruzione al Congresso. Questo processo si è concentrato su un fatto specifico: una telefonata avvenuta il 25 luglio 2019 tra Trump e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che avrebbe coinvolto pressioni su quest'ultimo affinché avviasse un'indagine sul suo rivale politico, Joe Biden, in vista delle elezioni del 2020. La conversazione telefonica aveva avuto luogo subito dopo che Trump aveva bloccato l’erogazione di 391 milioni di dollari di aiuti militari destinati all'Ucraina, il che alimentò le preoccupazioni di molti funzionari statunitensi.

Un ufficiale dell’intelligence, preoccupato per l'uso improprio del potere presidenziale, scrisse una lettera che denunciava il tentativo di Trump di sollecitare interferenze straniere nelle elezioni americane. Secondo le testimonianze emerse durante l’inchiesta, Trump avrebbe legato la liberazione degli aiuti alla promessa che Zelensky indagasse su Biden, rendendo così chiara la sua intenzione di usare il potere presidenziale per fini personali. La questione si incentrava sulla legittimità di tale comportamento: può la richiesta di un’inchiesta su un avversario politico straniero giustificare un’accusa di abuso del potere?

L’inchiesta mise in luce anche un “canale informale” di politica estera, dove figure come l'avvocato personale di Trump, Rudy Giuliani, e alti funzionari come il procuratore generale William Barr e il segretario di Stato Mike Pompeo, stavano prendendo decisioni cruciali senza il coinvolgimento dell'ambasciatrice statunitense in Ucraina, Marie Yovanovitch. Quest’ultima fu rimossa dal suo incarico, un atto che sollevò sospetti di manipolazione politica dietro le quinte.

Durante il processo di impeachment, che ebbe luogo tra gennaio e febbraio del 2020, il Senato, sotto il controllo dei Repubblicani, assolvette Trump, non riuscendo a raggiungere la maggioranza qualificata necessaria per condannarlo. Nonostante la decisione finale, l'episodio non mancò di alimentare le divisioni politiche negli Stati Uniti, con Trump che si dichiarò vittima di una “caccia alle streghe” orchestrata dai Democratici. Al termine del processo, Trump punì pubblicamente coloro che lo avevano testimoniato contro, licenziando tra gli altri l’esperto di Ucraina Alexander Vindman e richiamando l’ambasciatore europeo Gordon Sondland, che aveva testimoniato in sua sfavore.

Ciò che è emerso da questo processo non è solo la questione dell'abuso di potere, ma anche una riflessione più ampia sulla cultura della politica americana. Il comportamento di Trump ha messo in evidenza la crescente polarizzazione tra i partiti e le diverse interpretazioni di ciò che costituisce un abuso di potere in un sistema democratico. Il processo d’impeachment, pur non avendo portato alla rimozione di Trump, ha comunque sollevato importanti questioni legali, morali e politiche sul ruolo di un presidente, la sua interazione con gli alleati internazionali e il controllo che il Congresso dovrebbe esercitare su eventuali abusi.

È fondamentale capire che le azioni di Trump non sono state un episodio isolato, ma riflettono una tendenza più ampia, che potrebbe avere effetti duraturi sulla politica e sul diritto costituzionale negli Stati Uniti. L’uso delle risorse statali a fini personali, la manipolazione della diplomazia internazionale e la gestione delle indagini interne sono tutti temi che richiedono attenzione continua, soprattutto quando si parla di trasparenza, etica e responsabilità nel governo.

L'impeachment di Trump è un caso emblematico che ha sollevato domande fondamentali sulla democrazia, il controllo del potere e il ruolo delle istituzioni nel mantenere un equilibrio tra i poteri statali. Ogni cittadino e ogni politico dovrebbe considerare come il comportamento di una figura di potere possa, o meno, compromettere la fiducia nelle istituzioni, ed essere consapevoli di come l'interpretazione delle leggi possa variare enormemente a seconda della parte politica al governo.