Le "élites" evangeliche, nella discussione politica, non si limitano ai leader carismatici o alle figure con un vasto seguito. L’obiettivo di questa riflessione è comprendere l'evoluzione parallela delle élites evangeliche e del Partito Repubblicano riguardo alle problematiche della pluralità. In tal senso, per "élite" si intende quegli evangelici che partecipano alla rete politica del partito, un concetto che suggerisce che l'organizzazione formale di un partito è solo una parte di una rete più ampia che include gruppi di interesse, media e altre organizzazioni di advocacy (Koger, Masket e Noel 2009, 633). Queste reti politiche, infatti, sono il prodotto di gruppi di interesse e attivisti che, attraverso una forte domanda di politiche, creano coalizioni di interessi, modellando tali interessi in agende comuni (Bawn et al. 2012). Tali reti hanno un'influenza considerevole sulla selezione dei candidati e sulla formazione di maggioranze governative (Cohen et al. 2008).

Come si riconosce un evangelico all'interno di questa rete politica? Anche se l’approccio in questo studio è selettivo e non eccessivamente formalizzato, possiamo identificare due modalità principali attraverso le quali un evangelico partecipa alla rete del Partito Repubblicano: invito e ufficio. Il Partito Repubblicano, infatti, ha spesso attivamente reclutato evangelici per partecipare alla sua rete politica, e si può osservare la presenza di alcuni di questi leader in gruppi di lavoro organizzati, comitati delle convenzioni o consigli consultivi. Tuttavia, ci sono anche evangelici che, pur non essendo stati invitati formalmente, continuano ad avere un’influenza, spesso grazie alla loro posizione in organizzazioni evangeliche che risultano rilevanti per il partito. Un esempio lampante è James Dobson, che ha criticato il Partito Repubblicano e minacciato più volte di ritirare il suo sostegno, ma che, in quanto fondatore di Focus on the Family e della Family Research Council, continua ad avere un peso significativo all’interno della rete politica del partito. Più recentemente, Russell Moore, un critico del partito (soprattutto per la candidatura di Trump nel 2016), continua comunque a far parte della rete, grazie alla sua posizione di presidente della Commissione Etica e Libertà Religiosa della Southern Baptist Convention (SBC). Anche Franklin Graham, figlio del famoso evangelista Billy Graham, sebbene abbia rinunciato ufficialmente al sostegno del Partito Repubblicano nel 2015, ha continuato a prendere parte attivamente alla politica del GOP, appoggiando in modo evidente Trump senza tuttavia una vera e propria endorsement.

Molti di questi leader evangelici sono stati coinvolti nella politica grazie al movimento della Christian Right. Sebbene non tutti i membri della Christian Right siano evangelici e non tutti gli evangelici appartengano alla Christian Right, il movimento politico ha radici profondamente legate alla tradizione evangelica, con la maggior parte dei suoi leader provenienti da un contesto evangelico. I nomi sono ben noti: Jerry Falwell Sr., che con la fondazione della Moral Majority nel 1979 è stato uno dei pionieri; Pat Robertson, che con Ralph Reed ha contribuito a rafforzare la base popolare del movimento tramite la Christian Coalition negli anni '90; James Dobson, la cui Family Research Council è stata guidata da figure come Gary Bauer e Tony Perkins. Ma cosa ha spinto questi leader ad entrare nel dibattito politico?

Le forze sociali che hanno motivato il movimento della Christian Right sono state ampiamente discusse, ma vale la pena soffermarsi su alcune aree specifiche che hanno modellato gli approcci evangelici al pluralismo. Una visione del movimento punta su preoccupazioni legate a tematiche "sensibili" come il matrimonio, l'educazione, l'aborto e altre questioni che riguardano la famiglia, la riproduzione e l'educazione dei bambini. La rivoluzione sessuale e altre trasformazioni culturali degli anni '60 sono state percepite dagli evangelici come una minaccia alla visione tradizionalista della famiglia e della società. Ciò che i progressisti consideravano un atto di liberazione, gli evangelici conservatori lo vedevano come un segno di decadenza morale, dominio del pensiero secolare e disintegrazione sociale, ritenendo il governo sia complice di tale cambiamento sia un mezzo per ripristinare l’ordine.

Un’altra scuola di pensiero si concentra sul tema della razza. La tradizione evangelica ha infatti una forte divisione razziale, con la maggior parte degli evangelici bianchi tendenti verso posizioni conservatrici, mentre la maggior parte dei loro correligionari neri ha posizioni politiche differenti. Randall Balmer (2004) e altri hanno sostenuto che la storia dell’evangelismo è intrecciata con la politica della divisione razziale, incarnata nell’abbraccio delle politiche segregazioniste da parte di molti evangelici del Sud nel corso del XX secolo.

Infine, una terza corrente di pensiero suggerisce che la crescente diversità religiosa negli ultimi decenni ha generato maggiore ansia sociale e un ritorno alle radici culturali. Per molti evangelici, la politica è stata vista come un modo per riaffermare la centralità della religione cristiana contro le nuove tradizioni religiose, nonché contro l’irreligiosità che minava le norme e i valori di quella che un tempo veniva definita una "nazione cristiana". In ogni caso, il tema centrale rimane il pluralismo, ossia il dibattito sottostante sulla risposta adeguata alla diversità nelle strutture familiari, nella sessualità umana, nelle razze e nelle etnie, e nella religione stessa.

Quando il movimento della Christian Right è emerso all’inizio degli anni '80, la diversità culturale veniva vista attraverso una lente polarizzata, simboleggiata dal nome della sua principale organizzazione: la Moral Majority. In questa visione, la cultura era divisa in due: la maggioranza dei cittadini, radicati in una visione dell'identità giudeo-cristiana, e una minoranza secolare che utilizzava i meccanismi del potere per soppiantare tale visione. La Moral Majority, sebbene considerata inefficace, ha avuto un "secondo ritorno" nei primi anni '90, con l'avvento della Christian Coalition e di altre organizzazioni che hanno ampliato la loro agenda e adottato un linguaggio di "scelta", "uguaglianza" e "diritti" per perseguire obiettivi conservatori.

Alla fine degli anni '90, si è verificata una spaccatura tra le élites evangeliche riguardo alla questione se l'impegno culturale fosse effettivamente utile. Paul Weyrich, che coniò il termine "moral majority", pubblicò una lettera aperta in cui consigliava agli evangelici di ritirarsi dalla "cultura della decadenza". In un altro libro, Blinded by Might, i columnist Cal Thomas e il pastore Ed Dobson sostenevano che, nonostante gli sforzi della Christian Right, il "paesaggio morale" in America era peggiorato.

Alla fine, il dibattito tra queste élites non si limitava alla strategia politica, ma si intrecciava con una visione più profonda delle sfide poste dal pluralismo, dalla moralità pubblica e dalla posizione degli evangelici all'interno di una società sempre più diversificata.

Come gli Evangelici Negli Stati Uniti si Dividono Tra Diritti Individuali e Morale Comune

La crescente divisione all'interno del pubblico evangelico riguardo al sostegno per i diritti individuali e la libertà di azione è evidente nelle risposte a indagini politiche e religiose. In particolare, le risposte degli evangelici riguardo alla protezione dei diritti individuali e alla libertà di fare ciò che si vuole, senza preoccuparsi delle opinioni altrui, riflettono tensioni tra un desiderio di conformità ad una moralità condivisa e la difesa della libertà personale. Questi dati suggeriscono che, sebbene ci sia un crescente sostegno per i diritti individuali, le risposte non sono monolitiche, ma piuttosto segnano un percorso complesso che intreccia il desiderio di libertà con il mantenimento di una moralità comune.

In particolare, le risposte a due domande specifiche – una sulla priorità dei diritti individuali rispetto al bene comune e l'altra sulla libertà come capacità di agire senza preoccuparsi del giudizio degli altri – mostrano un panorama di opinioni contrastanti. I risultati evidenziano che gli evangelici, pur mostrando un crescente appoggio per i diritti individuali, tendono comunque ad approvare un approccio che valorizza la moralità collettiva e il conformismo sociale, pur mantenendo l'importanza dei diritti individuali. Le risposte al primo quesito, riguardo ai diritti individuali, hanno una media di 1.12 su una scala da 0 a 4, indicando un consenso sul fatto che le persone tendono a concentrarsi troppo sui propri diritti, senza considerare gli effetti sugli altri. La media per la domanda sulla libertà è più alta (1.96), suggerendo che gli evangelici sono generalmente favorevoli alla libertà personale, ma non senza limiti.

Questa divisione tra diritti individuali e moralità collettiva non è solo teorica, ma si riflette anche nelle attitudini politiche. I modelli statistici utilizzati per analizzare le variabili politiche, religiose e demografiche rivelano che vari fattori, come l'affiliazione politica, la frequenza della partecipazione religiosa, il livello di istruzione e il genere, influenzano significativamente le opinioni degli evangelici su questi temi. In particolare, gli evangelici conservatori e repubblicani, le donne, gli individui di età più avanzata e coloro che partecipano regolarmente alla chiesa tendono a essere meno favorevoli alla libertà individuale che potrebbe danneggiare gli altri.

In contrasto con ciò, gli evangelici più istruiti e coloro che si identificano con visioni politiche più liberali mostrano una maggiore apertura alla difesa dei diritti individuali. Tuttavia, nonostante la crescente accettazione dei diritti individuali, permane un'influenza forte della moralità tradizionale e della comunità sulla visione degli evangelici riguardo ai diritti e alla libertà.

Per quanto riguarda la tolleranza politica, che include la disponibilità a estendere i diritti alle minoranze politiche e ai gruppi con ideologie opposte, gli evangelici tendono a essere meno tolleranti rispetto ad altri gruppi, sebbene la differenza si stia riducendo nel tempo. Ad esempio, il divario di tolleranza tra evangelici e non-evangelici si è ridotto significativamente dal 1974 al 2014, con gli evangelici che hanno aumentato notevolmente la loro tolleranza verso minoranze politiche e gruppi marginalizzati. Tuttavia, i dati mostrano che esistono ancora segmenti tra gli evangelici che rimangono meno tolleranti, specialmente quelli che sono più conservatori o che frequentano la chiesa regolarmente.

L'analisi della tolleranza politica rivela anche che la religiosità in sé tende a ridurre la tolleranza politica. Evangelici, protestanti mainline e protestanti neri tendono ad essere meno tolleranti rispetto agli individui non religiosi o laici. In particolare, l'affiliazione politica gioca un ruolo cruciale, con i repubblicani che, sorprendentemente, sono più tolleranti dei democratici in molti modelli. La persistenza di visioni politiche conservatrici, insieme a posizioni forti contro l'aborto, sembra ridurre la tolleranza nei confronti dei gruppi marginalizzati.

Nonostante il crescente sostegno agli ideali di libertà e diritti individuali tra gli evangelici, le loro risposte politiche e sociali sono permeate da una tensione tra il desiderio di garantire diritti individuali e la necessità di mantenere una moralità collettiva. Questo fenomeno non riguarda solo la questione dei diritti, ma si estende alla complessa relazione tra la difesa della libertà personale e il bisogno di coesione sociale e moralità condivisa, che rimane un tema cruciale nel panorama politico e sociale degli Stati Uniti.

Quali sono le differenze religiose e politiche tra le sottotradizioni evangeliche?

I battisti, i pentecostali, le denominazioni settarie e i cristiani non denominazionali sono gruppi che, pur condividendo una base comune di credenze cristiane, si distinguono per alcune differenze significative, sia in termini di impegno religioso che di orientamento politico. Sebbene tutte queste sottotradizioni siano fortemente legate alla tradizione evangelica, le loro pratiche religiose e opinioni politiche variano sensibilmente.

In termini di impegno religioso, i pentecostali si rivelano i più attivi: frequentano regolarmente i culti, pregano, condividono la loro fede e leggono la Bibbia con maggiore frequenza rispetto agli altri gruppi. I cristiani non denominazionali, purtroppo meno coinvolti rispetto ai pentecostali, si avvicinano molto a questi ultimi, rivelandosi comunque molto devoti. Al contrario, i battisti e le denominazioni settarie sono generalmente più moderati nelle pratiche quotidiane di devozione, anche se non si allontanano troppo da un impegno costante. Per esempio, i pentecostali si distinguono anche per la pratica del parlare in lingue, una caratteristica che riguarda una minoranza dei cristiani, ma che tra i pentecostali raggiunge una percentuale significativamente alta.

Sebbene la maggior parte di questi gruppi si consideri fortemente religiosa (con circa l'80% che dichiara che la religione è "molto importante" nella propria vita), le differenze diventano più evidenti quando si esaminano le opinioni politiche. Laddove i battisti tendono ad avere posizioni politiche più conservatrici, specialmente su questioni sociali come il matrimonio tra persone dello stesso sesso e l'aborto, i pentecostali si rivelano più favorevoli alla protezione della vita, ma meno inclini a sostenere un governo più piccolo. Le denominazioni settarie, d'altra parte, risultano più favorevoli al matrimonio omosessuale, a dimostrazione che, sebbene tutte queste sottotradizioni siano religiosamente conservatrici, la politica può essere influenzata da fattori teologici e culturali che vanno oltre il semplice allineamento ideologico.

In generale, queste sottotradizioni politiche si allineano prevalentemente con il Partito Repubblicano, con una visione favorevole a una riduzione dei servizi governativi e una posizione più rigida sull'immigrazione. Tuttavia, anche all'interno di questi gruppi religiosi, esistono divisioni significative. I battisti, in particolare, si distinguono per la loro opposizione all'immigrazione, considerandola un "cambiamento negativo". Al contrario, i cristiani non denominazionali tendono ad essere più favorevoli all'immigrazione, una posizione che li distingue dagli altri gruppi evangelici.

L'influenza della politica americana sulle posizioni delle sottotradizioni evangeliche può essere vista anche in relazione all'elezione presidenziale del 2016, che ha messo in luce queste differenze politiche. Nonostante le divergenze, c'era una forte coesione tra questi gruppi in relazione al supporto per candidati conservatori. Tuttavia, le differenze ideologiche tra le sottotradizioni evangeliche indicano che la religione non è l'unico fattore che determina l'orientamento politico di questi gruppi.

L'importanza di comprendere queste differenze risiede nella consapevolezza che, pur condividendo una base comune di fede, le diverse pratiche religiose, la teologia e l'interpretazione della scrittura influenzano significativamente le opinioni politiche e sociali di ciascun gruppo. Il fatto che i battisti, i pentecostali e i cristiani non denominazionali abbiano opinioni politiche diverse, pur mantenendo simili credenze religiose, evidenzia la complessità dell'identità evangelica e il modo in cui essa interagisce con la cultura e la politica circostante.

Per i lettori che desiderano approfondire questa tematica, è fondamentale riflettere su come le radici storiche, teologiche e culturali di ogni sottotradizione possano plasmare non solo le loro convinzioni religiose, ma anche le loro risposte a questioni sociali e politiche. La comprensione di queste dinamiche può offrire uno spunto importante per esaminare non solo il comportamento religioso, ma anche il ruolo che le sottotradizioni evangeliche giocano nel contesto più ampio delle società contemporanee.

La posizione dei gruppi legali cristiani nei confronti di Barack Obama e delle elezioni presidenziali

I gruppi legali cristiani conservatori, pur essendo ostili all'amministrazione di Barack Obama su una vasta gamma di tematiche, non hanno mancato di esprimere il loro sostegno a volte anche nei momenti più critici per la politica americana. La critica principale nei confronti di Obama riguarda la sua gestione dell'immigrazione, che secondo alcuni di questi gruppi è stata inefficace nel risolvere il problema della sicurezza delle frontiere. Mat Staver, fondatore di Liberty Counsel, ha lamentato il fallimento del governo federale nel garantire una gestione rigorosa dell'immigrazione, definendo la legge dell'Arizona, che mirava a contrastare l'immigrazione illegale, una "grida di aiuto" a causa dell'inerzia federale. La critica all’amministrazione Obama non si limitava però al tema dell’immigrazione. In numerosi casi, i gruppi legali cristiani hanno accusato il presidente di aver messo in atto politiche che minavano i principi morali e costituzionali degli Stati Uniti, sostenendo che Obama avesse fallito nel rispettare la legge e la Costituzione.

La figura del presidente Obama è stata costantemente nel mirino di queste organizzazioni, che hanno sollevato numerose preoccupazioni su questioni come l'aborto e i diritti civili. Alcuni di questi gruppi, pur non potendo esplicitamente schierarsi con un candidato a causa delle normative sulle organizzazioni non profit, non hanno esitato a discutere apertamente le loro preferenze politiche, favorendo un'agenda conservatrice. In alcuni casi, come quello di Jay Sekulow dell'American Center for Law and Justice (ACLJ), la critica a Obama è stata accompagnata da accuse di corruzione e da denunce di un apparente disprezzo per la legge, con dichiarazioni che sostenevano che l'amministrazione Obama avrebbe cercato di aggirare la Costituzione durante gli ultimi giorni di mandato per consolidare il suo lascito.

Nonostante le critiche generalizzate a Obama, alcuni gruppi legali cristiani hanno riconosciuto il valore dell'operazione che ha portato alla morte di Osama bin Laden nel 2011, una delle rare occasioni in cui hanno manifestato un certo apprezzamento per l'operato del presidente. Tuttavia, in questa circostanza, l'accento è stato posto più sulla dedizione delle forze armate e delle agenzie di intelligence, piuttosto che sul ruolo diretto di Obama.

A partire dal 2009, l'opposizione a Obama è diventata una costante per i gruppi legali cristiani, che si sono schierati con la politica repubblicana e hanno contestato quasi ogni sua decisione. L'atteggiamento critico verso Obama è stato un tema ricorrente anche durante le elezioni presidenziali del 2012, quando il focus è stato posto sul contrasto alle sue politiche pro-aborto e sulla difesa della libertà religiosa.

Tuttavia, non tutti i gruppi legali cristiani erano d'accordo su chi dovesse essere il candidato repubblicano per sfidare Obama. Sebbene ci fosse un ampio sostegno alla causa del Partito Repubblicano, le divisioni interne si sono manifestate quando si trattava di sostenere i candidati alle primarie del 2016. In quella fase, la figura di Donald Trump non era la preferita dai legali cristiani conservatori, che tendevano a schierarsi inizialmente con altri candidati come Ted Cruz, Jeb Bush o Marco Rubio.

Trump, tuttavia, ha cercato di guadagnarsi la fiducia degli attivisti evangelici attraverso un incontro in cui ha rassicurato i leader religiosi sul suo impegno a nominare giudici conservatori e a perseguire politiche che riflettessero i loro valori. Le sue dichiarazioni riguardanti la nomina di giudici federali, ispirate dalla Federalist Society e dalla Heritage Foundation, hanno avuto un impatto positivo tra i gruppi legali cristiani, preoccupati per la possibilità che una presidenza di Hillary Clinton potesse compromettere la composizione della Corte Suprema degli Stati Uniti.

La scelta di Trump, seppur inizialmente controversa, è stata alla fine vista da molti gruppi legali cristiani come una possibilità per raggiungere uno degli obiettivi principali: la nomina di giudici che rispecchiassero la visione conservatrice. Nonostante le difficoltà nel sostenere un candidato con numerosi difetti, molti avvocati cristiani hanno posto l'accento sull'importanza di preservare il controllo della Corte Suprema, vedendo nella vittoria di Trump una possibilità per garantire la protezione dei diritti religiosi e per ridurre l'influenza delle politiche progressiste.

Oltre alle sue posizioni sui giudici, Trump è stato percepito da molte di queste organizzazioni come un'opportunità per riaffermare una visione cristiana conservatrice dell'America. Sebbene alcuni abbiano mantenuto una certa distanza dalla campagna, molti hanno preferito non affrontare apertamente l'endorsement di Trump, optando invece per un approccio più prudente, in linea con le restrizioni delle organizzazioni non profit. Nonostante ciò, la retorica e le mosse politiche dell'amministrazione Trump, in particolare sul fronte della Corte Suprema, sono state accolte favorevolmente dai gruppi legali cristiani, i quali hanno visto nel suo successo una possibile svolta per la tutela dei loro valori fondamentali.

L'importanza di un candidato, quindi, non si misura solo in base alla sua personalità o alle sue politiche, ma in relazione agli obiettivi a lungo termine che i gruppi legali cristiani intendono perseguire, come il rafforzamento della libertà religiosa e la protezione dei valori morali. Questo spiega perché, nonostante le controversie interne e le difficoltà iniziali, molte organizzazioni alla fine hanno scelto di supportare Trump, considerando l'accesso alla Corte Suprema come il più grande premio che un presidente potesse offrire.

In che modo il protestantesimo evangelico plasma le opinioni economiche degli americani?

Nel discorso politico americano, specialmente all’interno del movimento conservatore, la dimensione religiosa si intreccia spesso con le posizioni economiche, ma il rapporto tra fede e economia rimane complesso e sfaccettato. L’esempio di Ben Carson, candidato repubblicano del 2015, che ha giustificato la sua proposta di una tassa piatta richiamandosi alla pratica biblica della decima, illustra come alcuni leader evangelici fondano le loro idee economiche su interpretazioni religiose specifiche. Questo approccio non è solo un’eccezione retorica, ma rispecchia una corrente di pensiero cristiana nota come "ricostruzionismo cristiano", diffusa in alcuni ambienti evangelici, che non distingue rigidamente tra sacro e profano, ma integra la religione nella sfera politica ed economica.

Tuttavia, è cruciale capire che la religione evangelica non produce un’unica posizione economica uniforme. La diversità interna a questa comunità è marcata da una tensione tra due modelli teologici che influenzano le opinioni economiche: da un lato, la teologia calvinista, con il suo individualismo etico, che incoraggia la ricerca del successo personale e la dimostrazione della propria elezione divina attraverso la prosperità materiale; dall’altro, l’approccio del vangelo sociale, che sottolinea la responsabilità collettiva e la carità verso i più poveri. La Bibbia stessa contiene elementi che possono essere interpretati in modo ambiguo, offrendo ai credenti una certa flessibilità nell’allineare i propri valori religiosi a posizioni economiche sia più liberali sia più conservatrici.

Un’analisi empirica basata sui dati degli American National Election Studies (ANES) mostra come la relazione tra religione ed economia si articoli su tre dimensioni fondamentali: appartenenza religiosa (belonging), credo (believing) e pratica religiosa (behaving). In particolare, l’appartenenza al gruppo evangelico è associata a un orientamento economico maggiormente individualistico rispetto ai protestanti mainline, soprattutto tra i bianchi. Al contrario, gli evangelici di colore tendono a sostenere posizioni più comunitarie e solidaristiche. La pratica religiosa, intesa come impegno e frequenza di partecipazione, da sola non spiega le attitudini economiche, ma interagisce con l’appartenenza religiosa, condizionandone gli effetti. Interessante è il dato che la fede nella letteralità biblica è correlata con atteggiamenti più liberali in ambito economico, ma questo sembra legato anche allo status socioeconomico degli individui.

Le tematiche economiche affrontate dagli evangelici non sono tutte ugualmente influenzate dalla religione. L’impatto del credo è più evidente su questioni come la spesa sociale e il welfare, mentre è meno marcato quando si tratta di principi generali di libero mercato. Questo evidenzia come la religione fornisca una cornice interpretativa selettiva e non totalizzante, che si attiva maggiormente in specifici ambiti del dibattito pubblico.

In definitiva, la comprensione delle posizioni economiche degli evangelici americani richiede di superare la semplice dicotomia tra fede e politica, riconoscendo la pluralità interna del protestantesimo evangelico e le dinamiche sociali che ne modellano gli orientamenti. La religione non agisce come un monolite ideologico, ma come un campo di tensioni e negoziazioni dove le convinzioni teologiche si intrecciano con la realtà economica e le identità sociali.

È importante considerare anche il contesto storico-politico che ha portato gli evangelici bianchi a essere attratti dal Partito Repubblicano, tradizionalmente su basi culturali più che economiche. Tuttavia, in tempi recenti, le questioni economiche hanno acquisito crescente rilievo nella fedeltà politica di questo gruppo, specie attraverso temi come il rilancio delle economie rurali e la difesa di un mercato del lavoro che favorisca le aree meno urbanizzate, dove gli evangelici sono più presenti.

L’interpretazione religiosa, quindi, non si limita a giustificare un orientamento politico preesistente, ma si configura come uno strumento dinamico che può rafforzare o modulare le scelte economiche, a seconda delle circostanze e delle esperienze vissute dagli individui e dalle comunità di fede.