Nel 2016, in un contesto politico caratterizzato dalla polarizzazione crescente e dalla vittoria di Donald Trump, gli studiosi di Shakespeare si trovarono a riflettere sullo stato della tragedia politica e sociale che stava emergendo. Come nel teatro shakespeariano, l'ascesa di Trump sollevò la questione del potere ottenuto con mezzi senza scrupoli, ma anche delle cause più profonde del dolore e della sofferenza umana. Shakespeare, con la sua esplorazione delle dinamiche tra forze esterne e la psiche individuale, fornisce uno specchio in cui possiamo vedere riflessa la nostra realtà. Le sue opere non sono semplicemente storie di intrighi e ambizione, ma indagini sulle motivazioni e le conseguenze dei comportamenti umani. Così, il teatro di Shakespeare non solo aiuta a decifrare la politica, ma insegna anche come affrontare la vita stessa.

La politica di Trump, con la sua teatralità, attivò il problema della malvagità. La sua retorica provocatoria e la politica severa portarono a una situazione che, come in una tragedia shakespeariana, sembrava destinata alla catastrofe. Gli studiosi di Shakespeare videro una popolazione economicamente ansiosa e arrabbiata, per lo più cieca, disinteressata o complice delle manipolazioni di un demagogo instabile. Gli eventi sembravano allinearsi con le condizioni di una tragedia shakespeariana: "Non pensate che non possa succedere."

L'incontro del dipartimento di inglese dell'Università della Pennsylvania il 1° dicembre 2016, in cui si discusse dell'elezione di Trump, fu segnato da un gesto simbolico che scatenò un acceso dibattito. Gli studenti distrussero il ritratto di Shakespeare che da trent'anni adornava l'ingresso del dipartimento, sostituendolo con un'immagine di Audre Lorde, poetessa e attivista afroamericana, lesbica e femminista. Questo atto sollevò una domanda centrale: perché attaccare Shakespeare, figura che rappresenta in molti modi una condanna della tirannia, dell'ingiustizia e della discriminazione, proprio nei momenti di opposizione a Trump? In un primo momento, potrebbe sembrare assurdo, dato che Shakespeare, per quanto rappresentante di un'epoca lontana, sembra incarnare valori che oggi potrebbero essere visti come progressisti. Ma la risposta è più complessa di quanto sembri.

Shakespeare, pur essendo un simbolo di lotta contro l'ingiustizia e di riflessione sui poteri corrotti, è anche un prodotto della sua epoca. Le sue opere riflettono un mondo di profonde disuguaglianze, di razzismo, di sessismo e di una visione patriarcale della società. I suoi personaggi sono spesso segnalati come "altri", marginalizzati e vittime di pregiudizi, ma in queste rappresentazioni c'è una notevole attenzione alla psicologia e all'umanità di queste figure. Tuttavia, c'è anche una parte di Shakespeare che non può essere ignorata: l'utilizzo di stereotipi razziali, la misoginia, il patriarcato. Seppur critico nei confronti dell'abuso di potere, Shakespeare non è estraneo alle strutture di potere che danno forma alla sua società. La sua stessa canonizzazione come figura simbolica dell'Inghilterra è parte di un processo che ha enfatizzato un certo tipo di identità culturale, escludendo altre voci.

La controversia che ha riguardato il ritratto di Shakespeare a Penn mette in luce una frattura all'interno del pensiero progressista. Da un lato, c'è una spinta verso una revisione radicale della tradizione culturale occidentale, che porta a rifiutare simboli come Shakespeare per la sua associazione con una visione del mondo dominata dai bianchi e dal patriarcato. Dall'altro lato, questa stessa tradizione è vista come uno strumento attraverso il quale si può combattere l'oppressione, sebbene sia necessario un approccio critico e consapevole del contesto storico. In fondo, Shakespeare è un campo di battaglia culturale, dove si confrontano ideali di giustizia, uguaglianza e identità.

Questa situazione rivela anche una divisione interna all'interno delle correnti progressiste. Da una parte, i giovani radicali che chiedono un cambiamento radicale e l'abbandono di simboli tradizionali; dall'altra, un establishment più moderato che cerca di conciliare il rispetto per la tradizione con la necessità di un cambiamento. Il conflitto che emerge in questo contesto non riguarda solo la politica, ma anche l'identità culturale, la lotta per chi detiene il potere nella definizione di cosa sia "cultura" e cosa essa debba rappresentare.

In ultima analisi, l'incidente di Penn illustra la dialettica di un'epoca, in cui forze radicali e moderate si confrontano e, in un certo senso, si alimentano a vicenda. Questa dialettica, che ha trovato espressione nella politica di Trump e nelle risposte della sinistra, può portare alla creazione di una visione politica che cerca di unire progresso e conservazione, rimanendo sensibile ai temi della giustizia sociale, ma anche aperta alla conservazione di alcuni elementi del passato che possano essere considerati valori fondanti. L'arte di Shakespeare, con i suoi conflitti di potere e di identità, continua ad essere un veicolo per comprendere le sfide contemporanee, e ci offre strumenti per esplorare le tensioni tra il passato e il futuro, tra l'individuo e la società.

Qual è la dinamica di complicità nella politica e nella cultura contemporanea?

Nel contesto della politica americana, una nuova ondata di progressisti ha preso piede, rappresentata da figure come Alexandria Ocasio-Cortez e Sharice Davids, che hanno sconfitto politici affermati. Il panorama politico si è trasformato, con un numero record di donne e minoranze eletti al Congresso. Questo non ha significato una totale sostituzione della leadership storica, ma una reinvenzione del volto del potere politico, con una maggiore attenzione verso la rappresentanza di diverse identità. Ocasio-Cortez, Davids e altre figure come Ayanna Pressley, Rashida Tlaib e Ilhan Omar sono emblematici di una nuova generazione di politici progressisti, più giovani e diversificati, pronti a portare avanti un'agenda di cambiamento.

La politica progressista si è evoluta, lontano dalla mera opposizione contro l'establishment, ma orientandosi verso un affermarsi propositivo di valori. Il vero problema non risiedeva nelle convinzioni dei progressisti, ma nella loro mancanza di azione. La lotta non è stata una conquista di potere, ma un invito agli anziani leader a realizzare ciò che avevano da tempo predicato, ma mai messo in pratica. In cambio di alleanze politiche e di supporto per la sua rielezione come presidente della Camera, Nancy Pelosi ha ottenuto compromessi cruciali per l'inclusione di nuove voci e per l'inizio di discussioni su temi come la riforma della finanza elettorale, i diritti di voto, il cambiamento climatico, il controllo delle armi e l'etica della Casa Bianca. Le giovani leve del Congresso, dunque, pur non avendo strappato il potere alle vecchie guardie, sono riuscite a costringere l'establishment ad affrontare questioni di fondamentale importanza.

In parallelo, il fenomeno di Trump, così come rappresentato in Shakespeare e in altre narrazioni, ha messo in luce la problematica della complicità politica. Shakespeare, con la sua figura di Riccardo III, ha descritto il potere della manipolazione e dell'inganno, temi che si ripropongono in forma moderna con Trump e altre figure di leader autoritari. La complicità politica si manifesta in tre modi: quella senza scrupoli dei complici che sostengono il villain, quella dei consci che avrebbero voluto opporsi ma non trovano il coraggio di farlo, e infine quella inconsapevole, che si verifica quando il pubblico, affascinato dalla vitalità di un personaggio, finisce per giustificare comportamenti immorali. È questo tipo di dinamica che Shakespeare e altre opere mettono in scena, costringendo gli spettatori a riflettere sulla propria complicità nelle scelte morali, politiche e sociali.

Il concetto di complicità risale al termine "vice" utilizzato nelle commedie morali del Cinquecento, in cui i personaggi incarna- vano vizi astratti come la lussuria, l'avidità o la rabbia, opponendosi alle virtù rappresentate in modo allegorico. Questi personaggi, spesso alleati del diavolo, mettevano in scena la corruzione morale e facevano del male un'attrazione per il pubblico. Nonostante i vizi fosse puniti alla fine, il pubblico veniva reso complice nella seduzione del male, accogliendo con piacere l'idea di trasgredire e godendo nel farlo. Questa complicità inconscia rendeva il pubblico partecipe dei peccati dei personaggi, come se ogni scelta fosse una sfida alle norme morali, ma anche una riflessione sulla possibilità di essere puniti.

La complicità, dunque, è un elemento intrinseco nelle dinamiche di potere, sia che si tratti di un periodo storico come quello medievale in cui Riccardo III agiva o in un contesto più moderno come quello di Trump e della sua campagna. I politici, attraverso la manipolazione e la seduzione delle masse, si trovano a giocare un gioco pericoloso con le coscienze collettive, in cui la verità e la moralità vengono messe in discussione, e l'interesse personale prevale sulle necessità collettive.

Un aspetto fondamentale che emerge dalla riflessione su queste dinamiche è che la complicità non è mai solo passiva. Il pubblico, seppur inconsapevolmente, gioca un ruolo fondamentale nell'ascesa e nel mantenimento di un potere che, purtroppo, può essere dannoso. Non si tratta solo di riconoscere i malvagi e le loro azioni, ma di esaminare come, in una democrazia, ogni cittadino possa essere influenzato, manipolato o sedotto dalla retorica di un leader, come avviene nel caso di Riccardo III e del moderno demagogo. La lezione che emerge è chiara: la democrazia non si limita al voto, ma riguarda la capacità critica di ciascuno di riconoscere la manipolazione e di reagire ad essa, anche quando essa appare sotto forma di un'appeal emotivo e seducente.

Come il Potere Corrompe: Analisi della Trasposizione da Richard III a House of Cards

La connessione tra il personaggio di Frank Underwood in House of Cards e Riccardo III in Richard III di Shakespeare è evidente non solo nei tratti morali e psicologici dei due protagonisti, ma anche nel modo in cui entrambi perseguono il potere. Mentre Riccardo è consacrato come il villain per eccellenza, Frank è un anti-eroe che compie atti moralmente discutibili per giustificabili motivi. In entrambe le narrazioni, l’ambizione e la vendetta sono temi centrali, ma ciò che differenzia questi due personaggi è il contesto in cui agiscono e il modo in cui il pubblico si relaziona a loro.

In House of Cards, Frank Underwood si presenta sin da subito come un uomo determinato, disposto a tutto per raggiungere il suo scopo. A differenza di Riccardo III, che è consapevolmente mostruoso e gode dei suoi atti malvagi, Frank non si compiace mai apertamente della sua crudeltà. La sua figura, nel contesto della politica americana, risulta complessa, ma anche molto più radicata nella realtà. L'ambizione di Frank è quella di ottenere il potere, non semplicemente per godere della sua posizione, ma per garantirsi un dominio che resista nel tempo. "Il denaro è la casa che crolla dopo dieci anni," dice Frank. "Il potere è il vecchio edificio di pietra che dura per secoli." Questa riflessione indica chiaramente che per Frank il potere è una struttura solida e duratura, lontana dalla frivolezza del denaro. Riccardo, invece, è un personaggio nato da un mondo immaginario, dove il male stesso è spettacolare e plateale, costruito sulla base di un mito.

Il tema dell’ambizione tragica, che in Richard III si realizza attraverso la deformità fisica del protagonista, trova in Frank una trasposizione più "umana". Nonostante Frank non soffra di alcuna deformità, la sua lotta per il potere non è meno tragica o complessa. La sua ambizione è legata alla delusione personale, quando non ottiene la promozione a segretario di stato, un evento che, come ogni grande tragedia classica, innesca il suo desiderio di vendetta e di rivalsa. Tuttavia, Frank non agisce da solo. Condivide i suoi piani con sua moglie, Claire, che non solo è la sua complice, ma anche una figura fondamentale nel suo cammino verso il potere. La relazione tra Frank e Claire è il fulcro della serie, un matrimonio che, pur essendo basato sull’amore, si fonda principalmente sulla politica e sul raggiungimento di un potere condiviso.

In House of Cards, la complicità del pubblico gioca un ruolo decisivo. A differenza di un'opera teatrale, dove la relazione tra attore e spettatore è circoscritta al momento della performance, la natura seriale della serie crea una connessione continua. Ogni episodio, attraverso gli interventi diretti di Frank rivolti alla telecamera, rafforza questo legame, facendo sì che lo spettatore diventi inconsciamente partecipe delle sue azioni. L'elemento della "complicità inconscia" è particolarmente forte, alimentato dalla struttura stessa della serie, che spinge il pubblico a continuare a guardare. Proprio come Riccardo, che si rivolge al pubblico per suscitare una risposta emotiva, Frank sfrutta questa relazione per alimentare il suo potere.

La figura di Doug Stamper, il leale aiutante di Frank, è un altro esempio di complicità senza scrupoli. Doug rappresenta il classico "tirapiedi", disposto a fare qualsiasi cosa pur di mantenere il potere del suo padrone. Tuttavia, la figura che più risalta in House of Cards è quella di Claire. Lei non è solo la complice di Frank, ma una donna che, pur amandolo, è altrettanto determinata a raggiungere il potere. Quando Frank inizia una relazione con Zoe Barnes, una giovane reporter, la dinamica di potere all'interno del matrimonio Underwood si complica ulteriormente. Claire, pur disapprovando l'affair, lo vede in un'ottica pragmatica: un'opportunità per Frank di mantenere un potere che le consenta di raggiungere i suoi stessi obiettivi. L’incredibile freddezza di Claire, che riesce a mantenere un distacco emotivo pur amando Frank, è la vera essenza della loro unione: il matrimonio tra i due è un matrimonio politico, non sentimentale.

La riflessione sulla sessualità, che in House of Cards gioca un ruolo importante, richiama direttamente il tema del potere trattato in Richard III. In entrambe le opere, il sesso diventa una moneta di scambio, uno strumento per ottenere potere e consolidare alleanze. Mentre Riccardo utilizza il matrimonio come strumento politico per acquisire vantaggi, anche i personaggi di House of Cards utilizzano le loro relazioni intime per rafforzare la propria posizione. Frank, con la sua frase "Tutto nella vita riguarda il sesso, tranne il sesso. Il sesso riguarda il potere", esprime chiaramente come, per lui, il sesso non sia una questione di piacere, ma di controllo.

Infine, ciò che emerge con maggiore evidenza in House of Cards rispetto a Richard III è la rappresentazione di un potere che non è più solo fisico, ma anche psicologico, mediatico e culturale. La figura di Frank Underwood si inserisce in un contesto più moderno, dove il potere è mediato dai mass media, dalla televisione e dai social network. Frank non è solo un politico, è anche un attore, un comunicatore, un manipolatore delle percezioni pubbliche. In un mondo dove l'immagine e la percezione del pubblico sono fondamentali, Frank si fa maestro nel giocarci, mentre Riccardo III si muove in un contesto molto più rigido e determinato dal teatro politico del suo tempo.

Complicità e Villania: La Politica tra Verità e Menzogne

Il concetto di complicità, in particolare quando viene associato alla politica, assume una forma tragica e universale, visibile sia nelle opere teatrali che nella realtà contemporanea. La politica, come la drammaturgia, è un gioco di potere, inganno e manipolazione, dove i protagonisti sono spesso forzati a fare scelte che implicano una complicità con la menzogna, sia essa consapevole o inconsapevole. Le dinamiche di complicità in contesti politici, come dimostrato nei comportamenti di alcuni membri della campagna di Donald Trump, hanno rivelato una realtà inquietante: la connivenza non nasce sempre da un coinvolgimento diretto o da una volontà di tradire, ma da un amalgama di paura, ambizione e la ricerca di potere.

Il caso di Sean Spicer, segretario stampa di Trump, è emblematico. Spicer, appena prima dell'insediamento, aveva proclamato che esistesse una linea sottile tra "spinning" e "mentire", sostenendo che un portavoce perde credibilità se mente apertamente. Eppure, il giorno dopo l'inaugurazione, Spicer difese la menzogna più palese del presidente riguardo le dimensioni della folla, dichiarando che era stata la più grande assistenza mai vista, sia dal vivo che in tutto il mondo. Nonostante l'evidente falsità di tale affermazione, Spicer si trovò costretto a difendere una verità imposta dal presidente, sacrificando la propria integrità professionale per il mantenimento del potere politico. Questa azione segnò l'inizio di un ciclo di menzogne e dissimulazioni che avrebbero caratterizzato il governo Trump. Eppure, come suggerisce l'ex portavoce di George W. Bush, Ari Fleischer, a volte la complicità in politica è il risultato di un ordine diretto. Trump, come un burattinaio, dava l'input, e i suoi collaboratori lo eseguivano, indipendentemente dalla verità.

Anche quando Trump accusò Barack Obama di averlo "spiate" durante la campagna, i suoi surrogati, come Stephen Miller, difesero tale accusa con una veemenza tale che non lasciava spazio a dubbi, nonostante l'assenza di prove. La complicità non è quindi solo una questione di denaro o potere, ma una dinamica di fedeltà cieca verso una figura autoritaria che esercita un controllo psicologico forte e manipolativo. L’efficacia di questi surrogati nel difendere Trump, anche quando le sue affermazioni erano palesemente false, si riflette nel modo in cui la politica moderna gioca con la verità. La menzogna, quando ripetuta con sufficiente convinzione, diventa, agli occhi di molti, verità.

La complicità senza coscienza non si ferma al livello dei portavoce e dei collaboratori diretti, ma si estende a coloro che, pur non condividendo le politiche di Trump, sceglievano di appoggiarlo per ragioni politiche o di convenienza. Figure come Paul Ryan, Ted Cruz e Reince Priebus, pur essendo critici nei confronti di Trump, non hanno osato opporsi pubblicamente al suo dominio. In un primo momento, la loro complicità sembrava essere guidata da un calcolo pragmatico: sostenere il candidato repubblicano, indipendentemente dalle sue caratteristiche personali, sarebbe stato migliore che permettere una vittoria democratica. Tuttavia, questa "complicità consapevole" si trasformò rapidamente in una "complicità senza coscienza", poiché la paura di perdere il potere politico e l'influenza all'interno del partito divenne il motore principale delle loro azioni.

In un simile scenario, non è tanto la politica delle idee a guidare i comportamenti, ma la politica dell'opportunismo. I collaboratori di Trump non hanno solo difeso le sue posizioni, ma sono stati anche costretti a difendere le sue menzogne, dimostrando che la verità, nella politica, non è mai oggetto di un impegno genuino, ma di una strategia di potere. L’efficacia di un politico non si misura dalla verità delle sue affermazioni, ma dalla sua capacità di perpetuare il proprio potere, anche a costo di mentire e manipolare.

Se da un lato la complicità di coloro che sostengono un politico può sembrare frutto di un calcolo razionale, dall'altro essa è anche il risultato di una rete di paure e aspirazioni personali che si intrecciano. Alcuni, come Michael Flynn o Jeff Sessions, sono stati ricompensati per la loro lealtà con incarichi di alto profilo, ma non tutti coloro che si sono schierati con Trump hanno ricevuto i benefici promessi. La vicenda di Chris Christie, che dopo aver criticato Trump durante le primarie ha cambiato posizione sperando in un incarico, evidenzia come l’ambizione politica possa essere un motore che spinge gli individui ad accettare il gioco della complicità, a volte con il rischio di non ottenere nulla in cambio.

La politica moderna è sempre più dominata da una dinamica in cui la lealtà politica non si basa su principi ideologici o morali, ma sulla capacità di "giocare il gioco" e di adattarsi ai desideri di chi detiene il potere. Ciò implica che i politici non siano necessariamente sostenitori convinti delle idee di chi rappresentano, ma si adattino ad esse per paura di essere esclusi dal gioco politico o, peggio, di veder minacciata la loro carriera.

La distinzione tra complicità cosciente e incosciente si fa quindi sfumata: alcuni agiscono per paura, altri per ambizione, ma entrambi, a modo loro, si rendono complici di un sistema che valorizza l’inganno e l’opportunismo, piuttosto che la verità e la giustizia.