L'appropriazione culturale è una questione di lunga data, che ha trovato una sua espressione più strutturata nel 2005 con la creazione della rivista Borrowers and Lenders: The Journal of Shakespeare and Appropriation. Oggi, intere carriere accademiche si concentrano su come Shakespeare continui a essere reinterpretato e adattato in contesti sempre più lontani dal suo tempo. Come affermano Donald Hendrick e Bryan Cumming, il concetto di "Shakespace" si riferisce al territorio che emerge attraverso i discorsi, le adattazioni e gli usi dell'opera shakespeariana, un concetto che continua a evolversi. Julia Lupton, dal canto suo, definisce il pensiero "con Shakespeare" come un processo di riflessione sui temi urgenti e contemporanei, spesso attraverso la lente delle opere di Shakespeare, al fine di comprenderne la rilevanza nelle sfide moderne.

In effetti, gli studiosi pubblici di Shakespeare non si limitano a studiare l'appropriazione; la mettono in pratica. Sono portavoce di quella che Terence Hawkes definisce "presentismo", una visione critica che si distacca dalle interpretazioni più tradizionali della storicità e si concentra sull'applicazione delle opere di Shakespeare nel mondo di oggi. La critica "presentista" non si limita a leggere Shakespeare attraverso il filtro del passato, ma guarda alla sua capacità di rispondere alle problematiche politiche, sociali ed economiche del "qui e ora".

Un esempio emblematico di questo approccio è emerso durante le elezioni presidenziali statunitensi del 2016, un periodo cruciale per comprendere il rapporto tra Shakespeare e la politica moderna. La pubblicazione dell'articolo di Charles McNulty nel Los Angeles Times, intitolato The Theater of Trump: What Shakespeare Can Teach Us About the Donald, ha dimostrato l'attualità della riflessione su Shakespeare in relazione a figure politiche contemporanee. McNulty non si limita a fare analogie tra Trump e un personaggio shakespeariano, ma esplora come le dinamiche delle masse e l'uso della retorica populista di Trump possano essere comprese alla luce delle opere di Shakespeare, in particolare Giulio Cesare e Coriolano. La capacità di Shakespeare di mostrare come un leader possa manipolare la paura e l'inquietudine della popolazione per trasformarla in una folla furiosa è ciò che McNulty evidenzia, ricordando come la democrazia sia fragile, in quanto i cittadini, facilmente influenzabili, possono essere spinti a rinunciare al loro potere in favore di un tiranno.

Un'altra voce che si inserisce in questo dibattito è quella di Paul Hamilton, che, nella sua risposta a McNulty, espande ulteriormente l'analisi del fenomeno Trump. Hamilton, in particolare, critica l'approccio tradizionale che cerca di associare Trump ai protagonisti tragici di Shakespeare, come Coriolano o Antonio. Piuttosto, egli suggerisce che Trump sia un esempio di un nuovo tipo di politico, il "clown politico", una figura che richiama i personaggi comici delle opere di Shakespeare, come Falstaff o Iago. Secondo Hamilton, Trump, come Iago, è un maestro della "politica del gatto morto", una strategia che consiste nel lanciare scandali o provocazioni per deviare l'attenzione e dominare il ciclo mediatico. La mancanza di principi di Trump, un tempo vista come un difetto, è diventata il suo punto di forza, poiché gli permette di raccogliere consensi tra coloro che sono più attratti dalla sua opposizione al sistema politico tradizionale che dalle sue proposte concrete.

La critica di Hamilton si concentra sulla capacità di Trump di manipolare la politica attraverso un linguaggio che gioca con il caos e l'assurdità, simile a come i clown shakesperiani utilizzavano il loro ruolo per smascherare le debolezze e le contraddizioni della società. In effetti, l'approccio di Hamilton suggerisce che la politica contemporanea non è più dominata da figure tragiche, ma da personaggi comici che, attraverso la loro irriverenza e la loro disonestà, riescono a conquistare il potere.

Questi approcci moderni sono anche evidenti in altri contributi, come quello di Peter C. Herman, che in un articolo pubblicato sul Times of San Diego esplora le analogie tra il dramma shakespeariano e la politica americana contemporanea. Herman, attraverso una lettura approfondita della scena di Macbeth in cui Malcolm inganna Macduff, riflette sulla condizione del Partito Repubblicano durante la corsa presidenziale del 2016. Come Macbeth, i Repubblicani si trovano in una posizione di grande difficoltà, costretti a sostenere una figura politica che non rappresenta i loro valori fondamentali, ma che è stata elevata dalla necessità di contrastare Hillary Clinton, il loro nemico politico.

Attraverso questi esempi, appare evidente come Shakespeare continui a essere una risorsa per l'interpretazione delle dinamiche politiche contemporanee, non tanto per identificare semplici analogie tra personaggi storici e politici moderni, quanto per comprendere i meccanismi universali del potere, della manipolazione e del conflitto sociale. Il pensiero shakespeariano, infatti, si arricchisce di significato quando viene messo a confronto con le sfide contemporanee, senza cadere nella trappola della citazione opportunistica, ma utilizzando l'opera per esplorare le complessità del mondo odierno. La capacità di Shakespeare di riflettere sull'individuo e sulla società, sui suoi conflitti interni e sulle sue dinamiche di potere, rimane una delle sue più potenti caratteristiche, e il "pensare con Shakespeare" è una pratica che offre non solo interpretazioni letterarie, ma anche spunti fondamentali per comprendere le tensioni del nostro tempo.

La tragedia della politica: un'analisi di "Giulio Cesare" e la sua rilevanza nella contemporaneità

Nel momento in cui un individuo viene lusingato a intraprendere un cammino che lo condurrà alla propria morte, c’è una drammaticità intrinseca che, osservata con una certa distanza, può apparire comica. La morte di un personaggio in una rappresentazione teatrale è, di per sé, un momento di grande tensione, ma quando il pubblico si trova a ridere di una situazione che si trasforma rapidamente in tragedia, l'effetto può essere tanto sconcertante quanto potente. La scena in cui il protagonista, Gregg, crolla morto in una delle anteprime di una rappresentazione di Giulio Cesare ha suscitato una reazione molto particolare. All'inizio, l'audience reagiva con applausi, apprezzando il tono anti-Trump dello spettacolo, ma nel momento in cui la situazione è sfociata nel tragico omicidio, la stessa audience ha vacillato, creando un momento di grande disorientamento.

Questo passaggio dal comico al tragico in un'opera teatrale può sembrare una semplice strategia narrativa, ma è, in realtà, un riflesso delle dinamiche politiche moderne. Lo spettacolo, che inizialmente sembrava uno strumento di critica politica leggera, si trasformava in un'incisiva riflessione sulle implicazioni del potere, della vendetta e della violenza. L'intento di presentare il potere come un gioco di apparenze e illusioni, per poi mostrarne le vere, oscure conseguenze, ha fatto emergere, nel pubblico, un cambiamento radicale nella percezione della politica stessa.

Nel caso specifico della rappresentazione di Giulio Cesare al Public Theater di New York, l'interpretazione dei personaggi e delle folle si è ispirata fortemente al clima politico degli Stati Uniti post-elezione di Donald Trump. L'Antonia di Elizabeth Marvel, nella sua interpretazione del generale romano, è un chiaro riferimento a una certa figura politica, non solo nel comportamento ma anche nel modo di presentarsi, con l'uso di abiti e simboli americani riconoscibili. La folla, composta da attivisti politici contemporanei, ha sostituito la tradizionale massa di Romani disorientati di Shakespeare, con gruppi ideologicamente polarizzati, ognuno con la propria convinzione e con la propria causa da difendere. I manifestanti con maschere di Anonymous, i sostenitori di Cesare con cappelli "Make America Great Again", e altri simboli della cultura politica moderna, creano un ambiente che riflette il disordine e la frammentazione della politica contemporanea.

La riflessione che nasce da questa versione di Giulio Cesare è tutt'altro che scontata. Il personaggio di Bruto, che nella tragedia shakespeariana rappresenta l'uomo d'onore che compie l'omicidio per il bene di Roma, è qui visto sotto una luce completamente diversa. La sua decisione di uccidere Cesare è esaminata non tanto come un atto eroico, ma come il punto culminante di una spirale di violenza che, pur avendo l'intento di liberare il popolo, finisce per essere altrettanto corrotta e distruttiva. Eppure, l'interrogativo che lo spettacolo pone è tanto più complesso: è giusto uccidere un tiranno? È una domanda che Shakespeare lascia volutamente aperta, dando spazio alla riflessione del pubblico.

In Giulio Cesare, la divisione tra le fazioni non è mai chiara e definitiva, ma piuttosto sfumata, fatta di alleanze mutevoli e di visioni contrastanti del potere. La stessa folla che inneggia a Cesare, lo stesso popolo che celebra la sua figura, può rapidamente cambiare idea e unirsi alla causa dei cospiratori. Questo continuo ribaltamento della situazione riflette la volatilità dell'opinione pubblica, che può essere facilmente manipolata, ma anche la fragilità delle ideologie in tempi di crisi. Eppure, il personaggio di Bruto, che incarna il dolore della necessità di tradire un amico per il bene di Roma, diventa simbolo di un conflitto eterno tra l'onore personale e il dovere verso la collettività.

La strategia politica adottata da Trump, con il suo ritorno alla retorica delle masse e il potere evocativo dei raduni, viene ben illustrata in questa produzione di Giulio Cesare. Trump ha infatti riscoperto l'efficacia di riunire le persone in un grande evento collettivo, capace di mobilitare emozioni e creare un forte senso di appartenenza. A differenza di una politica tradizionale basata su argomentazioni logiche e razionali, la sua forza risiede nella sua capacità di agire sulle emozioni collettive, di suscitare un desiderio di cambiamento attraverso la creazione di un nemico comune. In questo contesto, la figura del cospiratore, che si scontra con il tiranno, diventa una rappresentazione di una lotta senza fine tra opposti ideologici che, nella loro conflittualità, sfociano in una violenza incontrollabile.

Allo stesso modo, nella tragedia shakespeariana, l'atto di uccidere Cesare non è mai completamente giustificato, né completamente condannato. La domanda su chi sia il vero "tiranno" non trova mai una risposta definitiva. E così, mentre il conflitto si sviluppa sulla scena, il pubblico è costretto a riflettere non tanto su ciò che è giusto o sbagliato, ma su cosa porta alla violenza, su quali sono le dinamiche che alimentano la disgregazione di una società. E, infine, su cosa rimane quando il potere viene rovesciato, quando il tiranno viene abbattuto, ma lascia dietro di sé un vuoto che sarà inevitabilmente riempito da un altro.

Ciò che risulta evidente, quindi, è che Giulio Cesare non è una mera critica al potere di Cesare, ma una riflessione universale sulla natura del potere stesso, sulla fragilità delle alleanze politiche e sulla corruzione intrinseca in ogni forma di governo. La tragedia è un invito a guardare oltre la superficie degli eventi storici e a considerare le motivazioni nascoste, le paure e le ambizioni che spingono gli individui a prendere decisioni decisive. In un'epoca di crescente polarizzazione e conflitto, il messaggio di Shakespeare risuona con una forza sorprendente, mettendo in guardia contro la tentazione di risolvere le differenze attraverso la violenza, e suggerendo, piuttosto, una riflessione più profonda sulle reali conseguenze delle proprie azioni.

Shakespeare e Trump: Una Riflessone sulla Politica, Potere e Tragedia

Shakespeare è una figura centrale nella letteratura occidentale, il cui linguaggio affascina e incanta per la sua bellezza, profondità e capacità di esplorare i conflitti umani. Le sue opere, caratterizzate da intrighi politici e drammatici, offrono una riflessione sulla natura del potere, della giustizia e delle relazioni umane, rendendole particolarmente rilevanti anche nel contesto della politica contemporanea. Donald Trump, un uomo che rappresenta il potere grezzo, l'istinto, l'affermazione di sé, incarna una figura che sembra evocare il mondo descritto nelle tragedie shakesperiane, seppur in un contesto moderno.

Molti si sono chiesti perché Shakespeare, in particolare, sembri essere così strettamente legato alla figura di Trump, a dispetto di altre figure letterarie o storiche. Se da un lato il nome di Shakespeare evoca una riflessione su temi universali, legati all'equilibrio del potere e alle conseguenze dei conflitti sociali, Trump rappresenta una figura che, pur vivendo in un'epoca contemporanea, richiama il modello di monarca medievale, con una politica che riflette una mentalità feudale e autoritaria. Le sue azioni sembrano riecheggiare quelle dei governanti che Shakespeare dipingeva nei suoi drammi, dove il potere era spesso esercitato senza scrupoli e le decisioni venivano prese in modo impulsivo, come reazioni a impulsi emotivi immediati.

Shakespeare, vissuto in un periodo che segnava il passaggio tra l'epoca medievale e quella moderna, aveva già intuito che i leader politici che esercitano un potere assoluto portano inevitabilmente alla rovina. Le sue tragedie, come Macbeth o Re Lear, esplorano il crollo di personaggi che, pur avendo il potere nelle loro mani, sono vittime delle loro stesse debolezze e delle circostanze. La visione che Shakespeare aveva del potere non è dissimile da quella che oggi vediamo in Trump: una visione che non è né illuminata né illuminante, ma che si nutre di egoismo, paura e conflitti.

Il paragone tra Shakespeare e Trump si estende anche alla forma stessa del loro linguaggio. Mentre Shakespeare usava una lingua ricca e complessa per esplorare le profondità delle emozioni umane, il linguaggio di Trump è rozzo e diretto, spesso privo di eleganza, ma non per questo meno potente. Entrambi, a modo loro, utilizzano la parola come uno strumento di dominio: Shakespeare per esplorare la moralità, l'onore e la giustizia, Trump per affermare la propria posizione e dominare il discorso pubblico. Nonostante le differenze stilistiche, entrambi sembrano utilizzare il linguaggio per imprimere una visione del mondo che esercita un forte impatto sulle persone.

Questa connessione tra Shakespeare e Trump non è, tuttavia, solo una questione stilistica o retorica. La struttura del potere che Shakespeare descrive, dominata dalla corruzione, dalla brutalità e dalle lotte interne, appare incredibilmente simile alla politica che Trump ha incarnato durante la sua presidenza. La sua politica, caratterizzata da un’inevitabile polarizzazione sociale e da una retorica di scontro, sembra rispecchiare la dinamica che Shakespeare dipingeva tra le fazioni in conflitto, in cui il caos sociale e politico è inevitabile, portando alla fine a una distruzione che pare ineluttabile.

Il fascino di Trump per i leader autoritari e la sua attitudine a ignorare le convenzioni politiche tradizionali potrebbe essere vista come una risposta alla visione shakesperiana del potere. Trump, come i suoi predecessori nelle tragedie di Shakespeare, è un uomo che non si piega al giudizio della società o alla moralità del suo tempo, ma si affida a un'interpretazione del potere che è esclusivamente pragmatica e spesso violenta.

È interessante osservare come, a differenza di altri presidenti americani, Trump abbia evocato tanto spesso il nome di Shakespeare nel contesto della sua politica. La connessione tra i due, tuttavia, non è solo una questione di citazioni o simbolismo. La politica di Trump sembra incarnare quella stessa tensione tra i mondi medievali e moderni che Shakespeare aveva esplorato: da un lato il potere assoluto e l’egoismo dei governanti, dall’altro il principio di equità e giustizia che caratterizza la politica moderna.

Shakespeare, pur presentando una visione tragica del potere, suggeriva anche una via di redenzione attraverso la consapevolezza delle proprie azioni e la possibilità di cambiamento. Tuttavia, le sue tragedie sono quasi sempre segnate dal fallimento del protagonista, che, preso dalla propria arroganza, finisce per distruggere se stesso e il mondo che lo circonda. In questo senso, la figura di Trump riflette un ritorno a una politica che, per quanto moderna nei mezzi, sembra radicata in un sistema feudale di potere che, come nel medioevo, non tollera la diversità e il dissenso.

In ultima analisi, la riflessione su Shakespeare e Trump non riguarda semplicemente un confronto tra due personaggi storici o letterari, ma una riflessione più profonda sulle dinamiche del potere, sulle sue manifestazioni e sulle sue conseguenze sociali. L'analisi del passato ci aiuta a comprendere meglio le sfide del presente, evidenziando quanto sia ancora vivo, nelle nostre società, il conflitto tra il potere assoluto e i principi di giustizia e libertà che tanto abbiamo cercato di costruire nel corso della storia.