Il concetto di "buona fede" nei contratti è una nozione che trova ampio spazio nelle legislazioni di molti paesi, ma la sua applicazione e interpretazione variano notevolmente a seconda delle giurisdizioni. In generale, ogni contratto implica un obbligo tacito di buona fede e lealtà tra le parti, il che significa che nessuna delle due parti deve compiere atti che possano distruggere o danneggiare il diritto dell’altra parte di godere dei frutti del contratto. In altre parole, ogni contratto implica un impegno di buona fede e correttezza.
Sebbene non esista una definizione unica di cosa significhi "buona fede" nei contratti, le giurisdizioni di common law, come gli Stati Uniti, il Regno Unito, l’Australia e il Canada, tendono ad associare la buona fede a ciò che "una persona ragionevole media" avrebbe inteso all’epoca dell’accordo tra le parti. Questo approccio lascia ampi margini di interpretazione, il che rende il concetto piuttosto frustrante per molti professionisti del diritto, che lamentano l’indeterminatezza e la vaghezza della sua applicazione.
In alcune giurisdizioni civili, come la Germania e la Francia, il concetto di buona fede è codificato e ha una base giuridica più solida. Ad esempio, in Germania, il principio di “Treu und Glauben” (lealtà e buona fede) è sancito nel §242 del Codice Civile Tedesco, che afferma che “Il debitore è obbligato a compiere la prestazione secondo i requisiti della buona fede, tenendo conto dell'uso ordinario”. Allo stesso modo, l'articolo 1134 del Codice Civile Francese stabilisce che i contratti devono essere eseguiti in buona fede, e l'articolo 1135 aggiunge che un accordo obbliga una parte non solo a ciò che è espressamente scritto, ma anche a tutte le conseguenze di equità, consuetudine e legge, per dare al contratto il suo significato secondo la sua natura.
Tuttavia, nonostante la codificazione della buona fede in molte giurisdizioni civili, anche nei paesi di common law, come gli Stati Uniti, il concetto di buona fede ha una certa applicazione. L'Uniform Commercial Code (UCC) degli Stati Uniti, ad esempio, stabilisce chiaramente l’obbligo di buona fede in ogni contratto e nella sua esecuzione, definendo la buona fede come “onestà nei fatti e osservanza degli standard commerciali ragionevoli di correttezza”. Questo approccio consente alle parti in causa di appellarsi alla violazione dell’obbligo di buona fede in caso di dispute contrattuali.
Nel Regno Unito, la buona fede è stata riconosciuta ufficialmente dalla Corte d'Appello nel caso Yam Seng Pte Ltd. contro International Trade Corporation Ltd. del 2013, dove il concetto di buona fede è stato legato a quello dei "contratti relazionali". Questo caso ha dimostrato come la buona fede possa essere applicata anche in contratti incompleti, dove le parti, pur non avendo stabilito espressamente obblighi di lealtà o veridicità, devono comunque agire in buona fede e con onestà reciproca. In tale contesto, il tribunale ha trovato che, nonostante l’assenza di una clausola specifica nel contratto, l’ICT avesse violato i principi di lealtà e correttezza, fornendo informazioni false e violando gli accordi sui prezzi.
La nozione di buona fede, quindi, non è una norma statica ma una prassi interpretativa che si evolve in relazione alle esigenze sociali e alle specificità del contesto giuridico. È un concetto simile a quello di decenza o cortesia, che sebbene compreso universalmente, non sempre trova una definizione chiara o unanime. L’interpretazione della buona fede è quindi un esercizio continuo, dove le norme sociali e giuridiche vengono adattate a seconda dei comportamenti delle parti in causa.
Nei contratti relazionali, il cui obiettivo non è solo il rispetto formale degli obblighi ma anche il mantenimento di una relazione di lungo periodo tra le parti, l’applicazione della buona fede è ancora più evidente. In questi casi, la lealtà, la cooperazione e l’integrità diventano principi fondamentali per la realizzazione del contratto stesso, in quanto il successo della relazione dipende dalla fiducia reciproca. Contratti come quello tra Yam Seng e ICT evidenziano come la violazione dei principi di buona fede possa minare questa fiducia, creando disagi e danni che non sono facilmente risolvibili tramite l’interpretazione letterale del contratto.
In sintesi, la buona fede è una componente fondamentale per la corretta esecuzione dei contratti, ma la sua applicazione non è uniforme. Sebbene le normative di alcuni paesi siano più chiare, in molti casi la sua definizione dipende dalle circostanze specifiche di ciascun contratto e dalle prassi sociali e giuridiche di ciascuna giurisdizione. In ogni caso, è essenziale che le parti siano consapevoli che un contratto non è solo un accordo formale, ma anche un impegno a rispettare principi morali e giuridici di lealtà, correttezza e integrità.
Che cos’è un contratto relazionale e come si applica il dovere di buona fede nel diritto inglese e canadese?
Nel diritto contrattuale inglese, tradizionalmente non esiste un principio generale che imponga un dovere di buona fede nelle relazioni contrattuali. Tuttavia, il caso Yam Seng Pte Ltd contro International Trade Corporation Ltd ha rappresentato una svolta significativa. La questione principale affrontata dal giudice Leggatt era se fosse possibile riconoscere un obbligo implicito di buona fede in un contratto commerciale, non espressamente previsto nelle clausole contrattuali. Leggatt ha sostenuto che tale dovere può essere implicito in qualsiasi contratto commerciale ordinario, purché rispecchi l’intenzione presunta delle parti coinvolte.
Il dovere di buona fede, tuttavia, non è uniforme e deve essere interpretato alla luce del contesto specifico. Nei contratti che si limitano a uno scambio semplice di prestazioni, è difficile immaginare l’obbligo di divulgare informazioni. Al contrario, nel caso tra ICT e Yam Seng, si trattava di un rapporto commerciale di lungo termine, con una forte interdipendenza tra le parti, caratteristica che definisce un “contratto relazionale”. Questi contratti implicano un alto livello di comunicazione, cooperazione e prestazioni prevedibili, basate su fiducia e lealtà reciproche. Tali aspettative non sono esplicitate nei termini scritti, ma sono insite nella comprensione comune e necessarie per garantire l’efficacia degli accordi commerciali.
Questa decisione ha stabilito un precedente che ha influenzato anche altre giurisdizioni, come la Corte Suprema del Canada nel caso Bhasin contro Hrynew. Prima di questa sentenza, la giurisprudenza canadese era divisa sull’esistenza di un dovere di buona fede nel diritto comune. Con Bhasin, la Corte ha affermato chiaramente che tale dovere esiste, ribadendo l’importanza di un livello minimo di onestà e correttezza nelle relazioni commerciali. La Corte ha sottolineato che, anche nelle transazioni più semplici, condotte ingannevoli o fraudolente sono contrarie alle aspettative legittime delle parti.
Un ulteriore sviluppo è stato il caso Alan Bates contro Post Office Limited, dove il rapporto tra i sub-postmaster e l’ufficio postale britannico è stato al centro di una lunga controversia giudiziaria. L’introduzione del sistema informatico Horizon, che gestiva le pratiche contabili, ha causato numerosi errori e discrepanze, portando a controversie sul corretto adempimento contrattuale. La questione principale era se il contratto tra Bates e il Post Office fosse da considerarsi un contratto relazionale, e quindi soggetto a un dovere implicito di buona fede. La Corte ha ribadito che, pur non esistendo un obbligo generale di buona fede, questo può essere implicito in base all’intenzione presunta delle parti e alle circostanze specifiche.
Il giudice Fraser ha inoltre contribuito a chiarire le caratteristiche che definiscono un contratto relazionale: l’assenza di termini espressi contrari alla buona fede, la natura di lungo termine del rapporto, l’intenzione delle parti di agire con integrità e fedeltà all’accordo, la collaborazione reciproca, la fiducia e la confidenza tra le parti, l’investimento significativo in termini finanziari o di risorse, e la possibile esclusività della relazione. Questi elementi delineano un modello di contratto dove la cooperazione e la trasparenza sono essenziali e devono essere mantenute con onestà.
Nel contesto dei contratti relazionali, il dovere di buona fede implica che entrambe le parti evitino comportamenti che, nel contesto commerciale, sarebbero considerati inaccettabili da persone ragionevoli e oneste. La trasparenza, la cooperazione e la fiducia reciproca non sono solo valori etici, ma fondamenti necessari per il funzionamento corretto e stabile delle relazioni contrattuali a lungo termine.
Oltre a quanto espresso, è fondamentale comprendere che l’evoluzione del concetto di buona fede nei contratti riflette un cambiamento più ampio nel diritto commerciale verso un riconoscimento della complessità delle relazioni economiche moderne. L’attenzione non è più solo al testo scritto, ma anche al contesto, alla natura del rapporto e alle aspettative implicite delle parti. La buona fede, quindi, non è un obbligo astratto, ma un principio dinamico che si adatta alle specificità di ogni rapporto commerciale, garantendo equilibrio e affidabilità nelle transazioni.
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