I materiali ferroelettrici, come il titanio di bario (BaTiO3), mostrano un comportamento complesso e affascinante legato alla temperatura, in particolare attorno al punto critico noto come temperatura di Curie (TC). La permittività elettrica di un materiale è una misura di quanto facilmente le sue molecole si polarizzano sotto l'effetto di un campo elettrico. Questa proprietà è particolarmente importante nelle applicazioni elettroniche, poiché una permittività elevata consente di ridurre le dimensioni di componenti come i condensatori, pur mantenendo alta la capacità di stoccaggio di energia elettrica.

Il titanio di bario è un esempio emblematico di materiale ferroelettrico. Al di sopra della temperatura di Curie (circa 393 K per il BaTiO3), il materiale si trova in una fase cubica, in cui non esiste un momento di dipolo netto, poiché la struttura possiede un centro di simmetria. Nonostante ciò, la permittività rimane ancora alta, poiché le particelle possono essere dislocate dalla loro posizione centrale mediante un campo elettrico. Tuttavia, una volta che il campo viene rimosso, la polarizzazione scompare. Questo comportamento caratterizza i materiali ferroelettrici, che possiedono una forte risposta alla variazione dei campi elettrici, rendendoli ideali per applicazioni in cui la memorizzazione dell'energia elettrica è fondamentale.

Materiali con struttura perovskite, come il titanato di piombo (PbTiO3) e il niobato di litio (LiNbO3), oltre al BaTiO3, sono altrettanto ferroelettrici. I composti misti come il PZT (PbZr1−xTixO3), che combina titanio e zirconio, sono ampiamente utilizzati in trasduttori e altre applicazioni elettroniche. La reazione dei materiali ferroelettrici alla temperatura è dovuta principalmente alla loro struttura cristallina e alla disposizione degli

Come si determina l’energia reticolare e perché è fondamentale per comprendere i solidi ionici?

L’energia reticolare di un cristallo ionico rappresenta la variazione di entalpia standard associata alla formazione di un mole di solido cristallino a partire dai suoi ioni gassosi. È, dunque, una misura diretta dell’intensità del legame che tiene insieme il reticolo cristallino. Ad esempio, per NaCl, questa energia risulta essere altamente esotermica: −787 kJ mol⁻¹. Tuttavia, poiché la formazione diretta di ioni gassosi è difficilmente osservabile in laboratorio, non è possibile misurare questa energia direttamente. A tal fine si utilizza un ciclo termochimico chiamato ciclo di Born-Haber.

Il ciclo di Born-Haber si fonda sulla legge di Hess e permette di scomporre il processo di formazione del cristallo ionico in una sequenza di trasformazioni termodinamicamente definite. Si considera la formazione del composto MCl da metallo M e cloro gassoso Cl₂. Il percorso diretto è l’entalpia di formazione standard del composto. Il percorso alternativo prevede la sublimazione del metallo solido, la sua ionizzazione, la dissociazione del cloro molecolare, l'affinità elettronica del cloro per formare Cl⁻ e infine la formazione del reticolo cristallino. L’energia reticolare può essere isolata come l’incognita dell’equazione che bilancia le due vie secondo Hess.

L’equazione che ne risulta:

L(MCl, s) = – ΔH_ion – ΔH_atm – ΔH_EA – ½ ΔH_diss(Cl–Cl) + ΔH_form

richiede valori termochimici sperimentali, tra cui l’entalpia di atomizzazione del metallo, la sua energia di ionizzazione, l’affinità elettronica del cloro, l’energia di dissociazione del Cl₂ e l’entalpia di formazione del composto. Una volta noti, questi valori permettono di calcolare l’energia reticolare con precisione.

Oltre al metodo termodinamico, esiste anche un approccio elettrostatico alla determinazione dell’energia reticolare, che si basa sulla legge di Coulomb. Se si considera un cristallo costituito da ioni puntiformi M⁺ e X⁻ separati da una distanza r, l’energia elettrostatica di una coppia ionica si esprime come:

E = – (Z⁺Z⁻e²)/(4πε₀r)

dove Z⁺ e Z⁻ sono le cariche degli ioni, e è la carica elementare, ε₀ la permittività del vuoto. Tuttavia, in un cristallo reale, ciascun ione è immerso in un campo elettrostatico complesso generato da numerosi ioni circostanti. Per calcolare l’energia totale di interazione, bisogna sommare tutte le interazioni tra coppie ioniche nel reticolo. Questa somma dà origine a una serie infinita la cui struttura dipende dalla geometria del reticolo e non dalla natura chimica specifica degli ioni. Il termine che rappresenta questa somma è chiamato costante di Madelung (A).

Nel caso della struttura tipo NaCl, la costante di Madelung è 1,748. Essa deriva dalla somma alternata delle interazioni attrattive e repulsive tra ioni con diversa distanza: 6 Cl⁻ a distanza r, 12 Na⁺ a 2r, 8 Cl⁻ a 3r, e così via. Questi termini formano una serie matematica convergente che rappresenta l’energia elettrostatica netta per ione.

L’energia reticolare per mole di sostanza può allora essere espressa come:

E_C = – (N_A * A * Z⁺Z⁻e²)/(4πε₀r)

dove N_A è il numero di Avogadro. Questo approccio fornisce un modello semi-quantitativo, valido soprattutto per sali binari con geometrie ben note.

Ma il modello elettrostatico non è completo senza tenere conto della repulsione tra le nubi elettroniche degli ioni. A distanze molto ridotte, la sovrapposizione dei gusci elettronici produce un’energia repulsiva rapidamente crescente. Max Born introdusse una funzione repulsiva del tipo:

E_R = B / rⁿ

dove B è una costante e n (esponente di Born) è tipicamente elevato. L’energia reticolare totale del cristallo si ottiene combinando i contributi attrattivo ed espulsivo: il punto di minimo dell’energia totale corrisponde alla distanza di equilibrio interionica.

La costante di Madelung varia per ciascun tipo di reticolo cristallino. Ad esempio, nella struttura del cloruro di cesio (CsCl), A = 1.763 con coordinazione 8:8; nella fluorite (CaF₂) A = 2.519; mentre nella blenda di zinco (ZnS), A = 1.638 con coordinazione tetraedrica 4:4. La costante dipende solo dalla geometria del reticolo, non dalla natura chimica degli ioni.

È essenziale considerare che questi modelli idealizzati assumono ioni perfettamente sferici, cariche puntiformi e interazioni puramente coulombiane, trascurando effetti quantomeccanici, polarizzabilità degli ioni e deformazioni del reticolo. Tuttavia, rappresentano un punto di partenza indispensabile per comprendere la stabilità e le proprietà fisiche dei solidi ionici, dalla durezza alla solubilità, alla conducibilità nei fusi.

Un ulteriore elemento critico è la connessione tra energia reticolare e solubilità: quanto maggiore è l’energia reticolare, tanto più difficile sarà la dissociazione del reticolo nel solvente. Questo spiega, ad esempio, perché MgO, con una struttura altamente coordinata e un’elevata energia reticolare, sia pratic

Quali sono le tecniche di preparazione del campione per l'analisi X?

La preparazione dei campioni è una fase fondamentale nell'analisi chimica dei materiali mediante tecniche di spettroscopia, come la spettroscopia di assorbimento a raggi X (XAS). Diverse metodologie di preparazione dei campioni influenzano la qualità e la riproducibilità dei risultati ottenuti. Ogni tecnica presenta vantaggi e svantaggi che devono essere compresi e valutati in base agli obiettivi specifici dell'analisi.

Uno dei metodi più semplici è quello del campione in polvere. In questo caso, la polvere del materiale viene posizionata in una tazza di campionamento, ma poiché il materiale in polvere è instabile, durante la misurazione può disperdersi facilmente, limitando così la capacità di rilevare gli elementi leggeri. Inoltre, la superficie irregolare della polvere può introdurre difficoltà nella riproducibilità dei risultati, influenzando la precisione dell'analisi. Un altro problema è che le polveri possono assorbire parte dei raggi X fluorescenti, riducendo ulteriormente la capacità di rilevare tali elementi.

Un approccio più preciso è rappresentato dai pellet pressati, dove 3–5 grammi di campione vengono miscelati con un legante inerte e successivamente compressi in un pellet. Questa tecnica garantisce una superficie uniforme e una densità omogenea, che permette di ottenere misurazioni più precise. L'utilizzo di leganti come cellulosa, cera di paraffina o borace migliora la forza del pellet. È essenziale utilizzare la stessa quantità di campione e la stessa proporzione di legante per garantire che i risultati siano comparabili. In analisi quantitative, è necessario considerare il tipo di legante utilizzato, in quanto questo può influire sulle misurazioni.

Per risultati ancora più accurati e riproducibili, si ricorre alle sfere di fusione. Questo metodo è ideale per l'analisi quantitativa, poiché il campione viene convertito in ossidi e disperso in una sfera di vetro. La fusione consente una preparazione omogenea, ma presenta il difetto di ridurre i limiti di rilevamento a causa della diluizione del campione nella miscela di fusione. La preparazione dei campioni con sfere di fusione è più complessa e costosa, richiedendo una fase di riscaldamento iniziale del campione a circa 950°C per determinare la perdita per accensione, seguita eventualmente da una pre-ossidazione prima della fusione. La miscela di fusione viene poi riscaldata a temperature comprese tra i 1000°C e i 1200°C in un crogiolo di platino, e successivamente rapidamente colata in uno stampo, ottenendo una sfera con una superficie piatta e liscia.

La spettroscopia di assorbimento a raggi X (XAS) è una tecnica che si distingue per la sua capacità di fornire informazioni precise sulla chimica e la struttura locale degli elementi in un campione. Questa tecnica non richiede che il campione sia cristallino, il che la rende particolarmente utile per materiali amorfi come vetri o per l'analisi di siti attivi in sistemi catalitici. Durante l’esperimento, il campione è esposto a raggi X con una determinata energia, che possono essere assorbiti dagli atomi del campione, portando all'eccitazione degli elettroni di core. La variazione dell'assorbimento a seconda della composizione chimica e della struttura degli atomi nel campione permette di ottenere informazioni sulla loro configurazione elettronica e il loro stato di ossidazione.

Nel corso di un esperimento XAS, l'intensità del fascio di raggi X viene misurata prima e dopo il campione utilizzando la legge di Beer-Lambert per determinare il coefficiente di assorbimento. Questo coefficiente dipende dall'elemento, dalla sua distribuzione nel campione e dalla sua densità. Gli elementi con numeri atomici più elevati tendono ad interagire più fortemente con i raggi X, mostrando una variazione del coefficiente di assorbimento in funzione dell'energia del fascio. Una caratteristica fondamentale nella spettroscopia XAS è l'edge di assorbimento, che corrisponde a una rapida variazione del coefficiente di assorbimento quando l'energia dei raggi X raggiunge il valore di legame di un elettrone di core. Questo fenomeno consente di identificare in modo specifico gli elementi presenti nel campione.

Le informazioni fornite dalla XAS possono essere suddivise in due aree principali: la regione XANES (X-ray Absorption Near Edge Structure), che fornisce informazioni sullo stato di ossidazione e sulla geometria di coordinazione degli atomi, e la regione EXAFS (Extended X-ray Absorption Fine Structure), che permette di studiare la disposizione degli atomi vicini. Le oscillazioni nella regione EXAFS sono causate dall'interazione degli elettroni espulsi (fotoelettroni) con gli atomi vicini, e queste oscillazioni contengono informazioni fondamentali sulla distanza tra gli atomi e sul tipo di atomi circostanti.

Per comprendere appieno le oscillazioni della regione EXAFS, è necessario un approfondimento sul comportamento del fotoelettrone e sulla sua interazione con i vicini atomici. Le oscillazioni dipendono da vari fattori, tra cui la natura degli atomi circostanti e la distanza di contatto tra gli atomi, e la loro analisi fornisce informazioni dettagliate sulla struttura locale del materiale esaminato.

Come si determinano e interpretano le isoterme di adsorbimento dei gas nei materiali catalitici?

L’adsorbimento di gas su superfici solide è un fenomeno cruciale per comprendere le proprietà di materiali catalitici e adsorbenti, i quali tendono ad avere elevate aree superficiali per massimizzare il numero di siti attivi disponibili. La determinazione dell’area superficiale tramite isoterme di adsorbimento è una tecnica fondamentale non solo per valutare la quantità di gas adsorbito, ma anche per comprendere la natura e il tipo di copertura, oltre a ottenere informazioni strutturali sulle porosità dei materiali.

L’adsorbimento differisce dall’assorbimento in quanto il primo implica un’interazione superficiale, mentre il secondo si riferisce all’incorporazione del gas nel volume del materiale. Si distinguono due modalità principali di adsorbimento: la fisisorbimento e la chemisorbimento. Nel primo caso, l’attrazione tra molecole di gas e superficie solida è mediata da forze deboli di van der Waals, con un’energia tipica dell’ordine di 5–50 kJ mol⁻¹; nel secondo, si ha la formazione di un legame chimico, con energie molto più elevate, da 40 fino a 800 kJ mol⁻¹. Queste differenze riflettono anche nella reversibilità del processo e nella dipendenza dai siti specifici della superficie, nonché nel tipo di copertura: multilivello per la fisisorbimento, monostrato per la chemisorbimento.

Il processo di adsorbimento è esotermico e porta a una diminuzione dell’entropia, quindi spontaneo; tuttavia, in casi di chemisorbimento con dissociazione molecolare, l’entropia può aumentare, rendendo endotermico l’assorbimento. La quantità di gas adsorbito in equilibrio dipende da temperatura, pressione e area superficiale effettiva, ed è descritta dall’isoterma di adsorbimento, cioè dalla relazione fra la copertura superficiale (θ) e la pressione a temperatura costante.

Una delle isoterme più semplici e comunemente utilizzate è l’isoterma di Langmuir, basata su presupposti di uniformità dei siti adsorbenti e assenza di interazioni tra molecole adsorbite, limitando l’adsorbimento a un solo strato. L’equazione di Langmuir permette di determinare la capacità di adsorbimento monostrato e, da questa, calcolare l’area superficiale del materiale. Tuttavia, questa modellizzazione risulta limitata in presenza di adsorbimento multistrato, frequente nei materiali porosi.

Per descrivere l’adsorbimento multilivello si ricorre all’isoterma di BET (Brunauer, Emmert e Teller), che considera strati successivi di molecole di gas sopra lo strato adsorbito alla superficie, assumendo equilibrio dinamico tra condensazione e evaporazione per ogni strato. La complessità dell’equazione BET richiede dati sperimentali accurati, ma è ampiamente utilizzata per la determinazione dell’area superficiale in materiali porosi e catalitici.

La classificazione delle isoterme è stata formalizzata da IUPAC, che distingue diversi tipi di isoterme (da I a VIII), ciascuna associata a caratteristiche specifiche dei materiali e ai meccanismi di adsorbimento. Per esempio, l’isoterma di tipo I è tipica di materiali microporosi con adsorbimento monostrato, mentre quella di tipo II indica materiali non porosi con adsorbimento multilivello.

L’interpretazione corretta delle isoterme è essenziale per comprendere non solo l’area superficiale, ma anche la morfologia delle porosità e la natura chimica delle interazioni tra adsorbato e superficie, che sono fondamentali per la progettazione e l’ottimizzazione di catalizzatori e materiali adsorbenti. L’uso di modelli diversi (Langmuir, BET, Freundlich, Temkin) deve essere adattato al tipo di materiale e alle condizioni sperimentali, poiché nessun modello unico può descrivere in modo completo tutte le situazioni.

L’importanza di questi studi risiede anche nel fatto che l’energia di adsorbimento e la distribuzione energetica dei siti attivi influenzano fortemente le proprietà catalitiche, determinando la selettività e l’efficienza delle reazioni. Inoltre, la caratterizzazione accurata della superficie permette di prevedere la stabilità e il comportamento del materiale sotto condizioni operative diverse.

Per un’interpretazione completa dei dati di adsorbimento è fondamentale considerare che le superfici reali sono spesso eterogenee, con siti di energia diversa, e che le interazioni tra molecole adsorbite possono modificare significativamente il comportamento osservato. Inoltre, fattori come la temperatura, la pressione e la presenza di impurezze o contaminanti influenzano l’equilibrio di adsorbimento e le proprietà catalitiche associate.

Infine, lo sviluppo di tecniche sperimentali avanzate e l’uso di modelli computazionali integrati con dati di isoterme rappresentano strumenti potenti per una comprensione più profonda dei processi di adsorbimento, indispensabili per l’innovazione in chimica dei materiali, catalisi e scienze ambientali.