La trombosi della vena porta (PVT) è una complicanza frequente nelle patologie epatiche avanzate, con un'incidenza che cresce proporzionalmente alla gravità della malattia epatica. Nei pazienti con cirrosi compensata, l'incidenza è circa dell'1%, mentre nei candidati per il trapianto di fegato può arrivare fino al 25%. La gestione della PVT è un aspetto fondamentale nella cura di questi pazienti, in quanto un trattamento adeguato può migliorare significativamente l'outcome.
Il trattamento anticoagulante per i pazienti con PVT acuta è considerato il trattamento di prima linea. I dati disponibili suggeriscono che l'anticoagulazione aumenta le probabilità di recanalizzazione della vena porta, con una risoluzione parziale o completa del trombo in una percentuale significativa di casi. Nonostante non esista un consenso univoco sulla durata del trattamento, la maggior parte degli esperti consiglia almeno sei mesi di terapia anticoagulante, che può essere prolungata se ci sono altre indicazioni per il trattamento anticoagulante. In caso di condizioni procoagulanti permanenti, la terapia anticoagulante a lungo termine può essere presa in considerazione.
Per i pazienti con trombosi recente della vena porta, altre opzioni terapeutiche possono essere esplorate. La trombolisi locale o sistemica, ad esempio, può essere un trattamento adjuvante nei casi in cui persista l'ischemia intestinale nonostante l'anticoagulazione. Inoltre, la trombectomia chirurgica rappresenta una valida opzione terapeutica per i pazienti che necessitano di interventi chirurgici per trattare un'infarto intestinale.
Gli obiettivi del trattamento per la PVT sono molteplici. Oltre a prevenire l'estensione del trombo nelle vene mesenteriche, è fondamentale evitare le complicazioni dell'ischemia intestinale e ottenere una recanalizzazione della vena porta per prevenire lo sviluppo di ipertensione portale e colangiopatia portale. In termini di esiti del trattamento anticoagulante, la recanalizzazione spontanea della vena porta avviene in rarissimi casi, con recanalizzazione completa nel 40% dei casi e parziale nel 15%. Sebbene l'anticoagulazione prevenga l'estensione del trombo, le complicazioni associate all'uso di anticoagulanti sono generalmente poco frequenti.
Nei pazienti con PVT cronica, l'anticoagulazione può essere presa in considerazione, in particolare per coloro che presentano condizioni procoagulanti permanenti. Tuttavia, è essenziale monitorare il rischio di sanguinamento, in particolare nelle varici esofagee, e intraprendere una profilassi primaria per il sanguinamento varicellare prima di iniziare la terapia anticoagulante.
Sindrome da ostruzione sinusoidale (SOS)
La sindrome da ostruzione sinusoidale (SOS), nota anche come malattia veno-occlusiva epatica (VOD), è una condizione rara che si sviluppa a seguito di un'ostruzione circolatoria a livello dei sinusoidi epatici, secondaria a danni all'epitelio perivenulare, che porta a un'ostruzione congestizia del sinusoide. Nei casi più gravi, si verifica anche l'occlusione della vena centrale.
I fattori di rischio per lo sviluppo della SOS sono numerosi. Tra questi, il trapianto di cellule staminali ematopoietiche (HSCT) è il principale, con un'incidenza che raggiunge il 15%. Altri fattori di rischio includono l'uso di chemioterapia ad alte dosi (come ciclofosfamide, oxaliplatino, gemtuzumab ozogamicina), la radioterapia epatica o l'embolizzazione con microsfere etichettate con yttrio-90, e l'uso di farmaci come i tiopurini e gli inibitori della calcineurina (ad esempio tacrolimus). La presenza di malattie epatiche preesistenti e la ridotta capacità di diffusione polmonare (<70%) sono anch'essi fattori di rischio.
Il quadro clinico della SOS è variabile e dipende dal tempo trascorso dall'insulto iniziale. Nelle forme acute, che si verificano 1-3 settimane dopo l'esposizione, i pazienti possono presentare sintomi aspecifici come aumento di peso, ascite, dolore nell'ipocondrio destro, epatomegalia, e, nei casi gravi, disfunzione epatica acuta che può evolvere in insufficienza multiorgano e morte. La SOS subacuta, che può svilupparsi mesi o anche anni dopo l'esposizione, è caratterizzata da sintomi come affaticamento, ascite, encefalopatia epatica e varici.
La diagnosi di SOS è sospettata in pazienti con una storia di trapianto di cellule staminali ematopoietiche, che presentano sintomi tipici come aumento di peso, dolore nell'ipocondrio destro, epatomegalia e ittero, in assenza di altre cause come sepsi o insufficienza renale o cardiaca. Una biopsia epatica transvenosa con un gradiente di pressione venosa epatica superiore a 10 mmHg è altamente suggestiva di SOS, anche se la malattia può essere focale e la biopsia epatica può risultare negativamente.
Le misure preventive per la SOS comprendono l'uso di acido ursodesossicolico (12 mg/kg al giorno, diviso in due dosi) come terapia profilattica per i pazienti sottoposti a HSCT. Inoltre, è importante ottimizzare lo stato epatico dei pazienti, evitando farmaci epatotossici come gli antifungini azolici e trattando le infezioni da epatite C. Regolare anche i regimi chemioterapici nei pazienti con cirrosi.
Il trattamento della SOS è principalmente di supporto, con l'uso di diuretici per gestire la ritenzione idrica e paracentesi per trattare l'ascite. L'infusione di defibrotide è l'unico trattamento approvato dalla FDA per la SOS moderata-severa. Sebbene il trattamento con TIPS e il trapianto di fegato abbiano prodotto risultati contrastanti, non sono generalmente raccomandati come approcci di routine.
Malformazioni vascolari epatiche in HHT
L'HHT (telangiectasia emorragica ereditaria), o sindrome di Rendu-Osler-Weber, è una malattia rara che colpisce circa 1 persona su 5000-8000, ed è caratterizzata da malformazioni vascolari che coinvolgono vari organi, inclusi il fegato e il tratto gastrointestinale. Le malformazioni vascolari epatiche derivano da mutazioni nei geni ENG (Endoglin), ACVRL1 (per le malformazioni artero-venose epatiche) e SMAD4 (per le malformazioni del tratto gastrointestinale).
Le malformazioni vascolari del fegato possono portare a ipertensione portale presinusoidale. La formazione di fistole artero-venose e shunt porto-venosi può favorire l'aumento del flusso sanguigno, provocando un aumento della pressione sinusoidale e la deposizione di tessuto fibroso a livello portale e periportale. Le complicanze cliniche di queste malformazioni includono insufficienza cardiaca ad alta portata, malattie biliari dovute all'ischemia dell'albero biliare, ipertensione portale e encefalopatia portosistemica.
In presenza di malformazioni vascolari epatiche sintomatiche, il trattamento si concentra sulla gestione delle complicanze, come l'insufficienza cardiaca e l'ipertensione portale. I pazienti che non rispondono alle terapie standard possono beneficiare di trattamenti come il bevacizumab o il trapianto di fegato. La biopsia epatica non è raccomandata a causa del rischio di sanguinamento significativo.
Quali sono le caratteristiche cliniche e diagnostiche dell’acalasia e perché è importante una corretta classificazione?
L’acalasia è una malattia esofagea caratterizzata da una perdita completa o parziale del normale peristaltismo esofageo associata a una mancata apertura del muscolo sfinteriale esofageo inferiore (LES). La sua eziologia rimane ancora sconosciuta, sebbene si ipotizzi un meccanismo autoimmune che danneggia i neuroni esofagei, forse innescato da un agente infettivo. La conseguente alterazione della motilità esofagea si traduce in un rigonfiamento progressivo dell’esofago e nell’incapacità di svuotarsi correttamente.
I sintomi più comuni dell’acalasia includono disfagia progressiva sia per solidi sia per liquidi, rigurgiti abbondanti e non acidi, dolore toracico o senso di pienezza, e talvolta bruciore retrosternale. Sintomi respiratori come tosse e aspirazione sono frequenti, manifestandosi in circa il 40% dei pazienti, e spesso vengono confusi con malattie più comuni come il reflusso gastroesofageo (GERD), portando a diagnosi errate e trattamenti inappropriati, quali l’uso improprio di inibitori di pompa protonica o interventi antireflusso.
La diagnosi di acalasia si basa su una combinazione di tecniche: l’endoscopia, fondamentale per escludere cause ostruttive come neoplasie che possono mimare la malattia (pseudoacalasia), e la radiografia con pasto baritato, che mostra un esofago dilatato con ristagno del mezzo di contrasto e un restringimento a livello della giunzione esofago-gastrica (EGJ). La manometria esofagea ad alta risoluzione (HRM) rappresenta il gold standard diagnostico, capace di valutare con precisione la motilità esofagea e il funzionamento del LES, identificando un incremento della pressione di rilassamento integrata (IRP) superiore a 15 mm Hg e l’assenza di peristalsi.
L’HRM consente anche di suddividere l’acalasia in tre sottotipi manometrici distinti: il tipo I o “classico”, caratterizzato da assenza totale di contrattilità; il tipo II, che presenta pressurizzazione pan-esofagea in almeno il 20% delle deglutizioni; e il tipo III, o acalasia spastica, caratterizzato da contrazioni distali premature e iperattive. Questa classificazione non è solo teorica, ma ha un valore prognostico e terapeutico rilevante. I pazienti con tipo II rispondono meglio alle terapie convenzionali come la miotomia laparoscopica di Heller o la dilatazione pneumatica, mentre quelli con tipo III beneficiano maggiormente della miotomia endoscopica per via orale (POEM), che permette un trattamento più esteso e personalizzato.
Un ulteriore strumento diagnostico complementare è il Functional Lumen Imaging Probe (FLIP), un catetere posizionato durante l’endoscopia che misura la pressione, la compliance e la distensibilità del LES, consentendo di valutare le risposte funzionali esofagee in casi di diagnosi incerta o subtipi specifici di acalasia, specialmente quando la manometria non è conclusiva.
È importante distinguere l’acalasia da patologie che ne imitano il quadro clinico e manometrico. La pseudoacalasia, spesso causata da tumori maligni della giunzione esofago-gastrica, richiede una valutazione endoscopica attenta per non ritardare la diagnosi di neoplasia. La malattia di Chagas, endemica in America Latina, è un’altra patologia con danno neuronale diffuso che provoca sintomi e alterazioni simili all’acalasia primaria, ma che si associa a coinvolgimento cardiaco spesso fatale.
In conclusione, la complessità dell’acalasia richiede un approccio diagnostico multidimensionale, comprendente endoscopia, radiologia, manometria ad alta risoluzione e, se necessario, tecniche avanzate come il FLIP, per confermare la diagnosi, escludere cause secondarie e identificare il sottotipo manometrico più appropriato. La distinzione dei sottotipi ha un impatto diretto sulla scelta terapeutica, influenzando la prognosi e la qualità di vita del paziente.
È essenziale che il lettore comprenda che l’acalasia non è una patologia uniforme ma un gruppo di disturbi con meccanismi fisiopatologici e risposte terapeutiche differenti. La diagnosi precoce e accurata, insieme a un trattamento personalizzato, sono cruciali per prevenire complicanze come la dilatazione esofagea severa e migliorare la prognosi. Il riconoscimento e la distinzione delle condizioni che simulano l’acalasia sono fondamentali per evitare errori diagnostici che possono compromettere gravemente il percorso terapeutico.
Quali sono le cause della diarrea cronica e come interpretare i risultati diagnostici?
La diarrea cronica è un disturbo che può avere numerose cause, e la sua valutazione iniziale è fondamentale per comprendere la gravità del problema, identificare gli indizi che possano suggerire la causa sottostante, e classificare il tipo di diarrea. Questo processo include la distinzione tra diarrea acquosa (che può essere di tipo osmotico o secretorio), diarrea infiammatoria e diarrea grassa. La diagnosi corretta dipende da un’analisi accurata della storia del paziente, delle sue condizioni fisiche e dei test di laboratorio.
Un aspetto importante nella diagnosi è la misurazione del gap osmotico fecale, che consente di differenziare tra la diarrea secretoria e quella osmotica. Il gap osmotico fecale si calcola sottraendo la concentrazione di elettroliti fecali dalla osmolalità totale della feci. Un gap inferiore a 50 mOsm/kg suggerisce diarrea secretoria, in cui l'assorbimento degli elettroliti è incompleto. Al contrario, un gap superiore a 50 mOsm/kg è indicativo di diarrea osmotica, che spesso si verifica a causa di sostanze non assorbibili come alcuni sali o carboidrati malassorbiti.
Per l'identificazione della diarrea osmotica, è utile misurare il pH delle feci. In caso di diarrea causata da carboidrati malassorbiti (ad esempio, lattosio in pazienti con intolleranza al lattosio), il pH delle feci sarà basso, poiché i carboidrati fermentano nella colonizzazione batterica, producendo acidi grassi a catena corta. D’altro canto, se la diarrea è causata da cationi e anioni mal assorbiti, come il magnesio o i solfati, il pH delle feci rimarrà neutro, intorno a 7. Pertanto, un’attenta analisi dietetica e un test specifico per magnesio o altri ioni nelle feci possono aiutare a confermare la causa.
In caso di diarrea secretoria cronica, la valutazione deve essere più approfondita. Le cause di questa condizione sono numerose e vanno escluse attraverso una serie di test diagnostici. Per prima cosa, devono essere considerati infezioni rare, che si escludono tramite PCR multiplex, colture batteriche, esame delle feci per parassiti e test per antigeni protozoici. Inoltre, l’abuso di lassativi stimolanti deve essere escluso cercando tracce di lassativi nelle urine o nelle feci. Le malattie strutturali, come le fistole interne, possono essere valutate tramite radiografie dell’intestino tenue o tomografie computerizzate (TC) dell'addome e della pelvi. Un esame endoscopico dell’apparato digerente superiore e del colon è fondamentale, e deve includere la biopsia anche della mucosa che appare normale per identificare eventuali segni microscopici di malattia.
Nel caso di tumori neuroendocrini, che sono cause rare di diarrea secretoria cronica, la diagnosi è più complessa e deve essere sospettata solo in presenza di sintomi sistemici come il rossore cutaneo (flushing) o se il tumore è visibile attraverso una TC. I tumori neuroendocrini secernono peptidi che, in alcuni casi, possono essere misurati tramite esami specifici, ma va sottolineato che la diagnosi dovrebbe basarsi su una valutazione clinica accurata, poiché i test di laboratorio potrebbero generare falsi positivi, in particolare se eseguiti senza un’adeguata valutazione preliminare.
Per evitare risultati errati, è essenziale che i test diagnostici siano eseguiti correttamente, tenendo in considerazione che la contaminazione delle feci da urina o acqua può alterare i risultati, abbassando la concentrazione di elettroliti e quindi aumentando erroneamente il gap osmotico. Anche l’uso di diuretici o lassativi può influenzare la composizione delle feci, causando difficoltà interpretative.
Il ruolo della fisiologia in questi casi è centrale. Nella diarrea secretoria, la secrezione attiva di ioni da parte delle cellule epiteliali intestinali è predominante, mentre nella diarrea osmotica la causa è legata alla presenza di sostanze non assorbibili che "tirano" l’acqua nel lume intestinale, rendendo l’evacuazione liquida. Le implicazioni terapeutiche di queste differenze sono rilevanti, poiché nel trattamento della diarrea osmotica si dovrà limitare l’ingestione delle sostanze non assorbibili, mentre nella diarrea secretoria si dovranno correggere eventuali disfunzioni nella secrezione di ioni o trattare la causa sottostante.
L’approccio clinico alla diarrea cronica richiede quindi una valutazione multifacetica, che include una corretta anamnesi, un esame fisico accurato e l’utilizzo appropriato dei test di laboratorio. Ogni diagnosi deve essere accuratamente contestualizzata all’interno delle condizioni generali del paziente, tenendo conto della possibilità di disturbi sottostanti che potrebbero non essere immediatamente evidenti.
Linee guida per la sorveglianza endoscopica nei pazienti con sindrome di Lynch, colite ulcerosa e malattia di Crohn
La sindrome di Lynch è un disordine autosomico dominante caratterizzato da un'alta predisposizione allo sviluppo precoce di cancro colorettale (CRC), in media all'età di 44 anni, ma anche di tumori dell’endometrio, dello stomaco, delle ovaie, dell'intestino tenue e dell'urotelio. Altri tumori possono svilupparsi, ma con minore frequenza. La sindrome di Lynch è causata da difetti nei geni di riparazione del mismatch, tra cui MLH1, MSH2, MSH6, e PMS2, o nel gene della molecola di adesione cellulare epiteliale EPCAM. La diagnosi di questa sindrome viene frequentemente effettuata tramite test immunoistochimici per i proteine di riparazione del mismatch nei tumori colorettali, nei tumori endometriali e in altri tumori correlati alla sindrome di Lynch.
Nel caso di mutazioni nei geni MLH1, MSH2 o EPCAM, la sorveglianza endoscopica deve iniziare tra i 20 e i 25 anni (o 2-5 anni prima della diagnosi di cancro nel parente affetto più giovane). Per i pazienti con mutazioni in MSH6 o PMS2, la sorveglianza deve iniziare tra i 30 e i 35 anni. In ogni caso, la colonoscopia va ripetuta ogni 1-2 anni. È altresì raccomandato che tutti i pazienti con sindrome di Lynch si sottopongano a una gastroscopia ogni 2-4 anni a partire dai 30-40 anni, con biopsie casuali dello stomaco, sia prossimali che distali, almeno alla prima gastroscopia. Queste biopsie permettono di diagnosticare infezioni da H. pylori, gastrite autoimmune o gastrite atrofica, che possono ulteriormente aumentare il rischio di cancro gastrico. È preferibile eseguire la gastroscopia in concomitanza con la colonoscopia.
Per quanto riguarda i pazienti con colite ulcerosa (UC) e malattia di Crohn, è necessario un monitoraggio endoscopico regolare. Le malattie infiammatorie croniche intestinali (IBD) aumentano significativamente il rischio di sviluppare displasia e cancro colorettale. In particolare, la proctite ulcerosa non è associata a un aumento del rischio di cancro colorettale. Tra i principali fattori di rischio per lo sviluppo di CRC in pazienti con IBD si annoverano la durata della malattia, l'estensione della colite, una storia di displasia, una storia familiare di CRC, una diagnosi precoce della malattia e la presenza di colangite sclerosante primitiva (PSC).
La sorveglianza endoscopica nei pazienti con IBD deve iniziare dopo 8-10 anni dalla diagnosi o immediatamente dopo la diagnosi di PSC. Il monitoraggio consiste in una colonoscopia con un endoscopio ad alta definizione, utilizzando la colorazione con cromoscopia o la cromoscopia elettronica per migliorare il dettaglio vascolare e mucosale. Ogni lesione sospetta deve essere biopsiata e, nel caso di endoscopia a luce bianca senza l'uso di cromoscopia, devono essere prelevate biopsie non mirate durante l'esame iniziale. Dopo un esame negativo, la sorveglianza endoscopica dovrebbe essere ripetuta ogni 1-5 anni, a seconda della presenza di PSC, della displasia pregressa e della storia familiare di CRC.
In caso di displasia nei pazienti con UC o Crohn, le lesioni piccole (meno di 2 cm) senza segni di invasione neoplastica o invasione sottosierosa possono essere rimosse mediante tecniche endoscopiche standard. Le lesioni più grandi richiedono un intervento chirurgico o un trattamento da parte di un endoscopista esperto. È fondamentale effettuare una sorveglianza post-intervento, con l’intervallo di tempo tra i controlli che dipenderà dalla dimensione delle lesioni displastiche e dal grado di displasia (LGD o HGD). In caso di displasia invisibile, ossia non associata a lesioni visibili, il paziente deve essere sottoposto a cromoscopia per individuare lesioni sottili. La displasia ad alto grado persistente o displasia multifocale dovrebbe essere trattata con chirurgia, mentre la displasia unifocale a basso grado può essere monitorata con una sorveglianza intensiva.
Le lesioni polipoidi che appaiono adenomatosiche in aree del colon precedentemente colpite da colite devono essere rimosse seguendo le linee guida sopra riportate. Alcune raccomandazioni suggeriscono di eseguire biopsie dalla mucosa adiacente piatta, ma studi recenti dimostrano che una semplice ispezione visiva da parte di un endoscopista esperto sia sufficiente. Per le lesioni di minor rischio, come gli adenomi di piccole dimensioni (meno di 1 cm e di basso grado), la colonoscopia di sorveglianza dovrebbe avvenire non oltre due anni. I polipi che si sviluppano in aree non precedentemente affette da colite possono essere rimossi e seguiti con una sorveglianza meno intensiva.
In pazienti con più di 10 polipi adenomatous nel corso della vita, è indicato un test genetico per indagare possibili mutazioni genetiche che possano predisporsi alla formazione di polipi in maniera familiare o ereditaria.
Endtext
Come le Istituzioni Scientifiche e Universitarie in India Possano Sostenere l'Innovazione Senza Compromettere la Qualità
Qual è il vero significato di "verità" e come può influenzare la nostra comprensione del mondo?
Come la Commedia Si Trasforma in Dramma: L'Evoluzione delle Dinamiche nei Drama Televisivi
Come ho trasformato la mia relazione con il cibo e perso peso per migliorare la salute cardiaca

Deutsch
Francais
Nederlands
Svenska
Norsk
Dansk
Suomi
Espanol
Italiano
Portugues
Magyar
Polski
Cestina
Русский