La malattia di Crohn, una patologia infiammatoria cronica dell’intestino, è associata a numerosi rischi e complicazioni extraintestinali. Tra questi, un aspetto meno noto ma di fondamentale importanza è l’aumento del rischio di formazione di calcoli renali, in particolare quelli costituiti da ossalato di calcio. Questo fenomeno è legato a un meccanismo complesso che coinvolge alterazioni nell’assorbimento dei nutrienti, specialmente dei grassi, e nel metabolismo dell’ossalato, un composto che proviene sia dalla dieta che dalla produzione endogena nel fegato.
Normalmente, l’ossalato viene eliminato principalmente attraverso le feci, legato al calcio. Tuttavia, nei pazienti con malattia di Crohn, le alterazioni della funzione intestinale, tra cui la malassorbimento dei grassi, giocano un ruolo centrale. L’eccesso di acidi grassi non assorbiti nel colon si lega al calcio, riducendo la sua disponibilità a legarsi all’ossalato, e favorendo l’assorbimento di quest'ultimo attraverso la mucosa intestinale. L’ossalato così assorbito viene trasportato ai reni, dove un’elevata concentrazione di ossalato nel sangue aumenta la probabilità di formazione di calcoli renali da ossalato di calcio.
Il trattamento dei pazienti con Crohn e calcolosi renale dovrebbe concentrarsi su un approccio dietetico specifico. In particolare, si consiglia una dieta povera di grassi, a basso contenuto di ossalato e ad alto contenuto di calcio. L'integrazione di calcio, infatti, aiuta a ridurre la quantità di ossalato libero nel colon, legando l’ossalato e riducendo la sua assorbimento. L’alimentazione gioca quindi un ruolo cruciale nel controllo della malattia renale associata alla malattia di Crohn.
Inoltre, l'importanza di un controllo rigoroso dei livelli di ossalato nelle urine non può essere sottovalutata. I pazienti con una storia di calcoli renali da ossalato di calcio dovrebbero sottoporsi a monitoraggi periodici delle urine per valutare l'efficacia del trattamento dietetico e farmacologico. La gestione di questa condizione implica un approccio multidisciplinare che coinvolge gastroenterologi, nefrologi e dietisti.
Va sottolineato che la formazione di calcoli renali non è un fenomeno isolato nei pazienti con Crohn. La malattia stessa, insieme alle sue complicanze, aumenta il rischio di disidratazione e di alterazioni elettrolitiche, che possono aggravare ulteriormente la situazione renale. La prevenzione, quindi, deve includere anche una corretta idratazione e un monitoraggio continuo della funzionalità renale.
Nei casi più gravi, quando i calcoli renali diventano ripetuti o particolarmente dolorosi, può essere necessario un intervento chirurgico o altre forme di trattamento per rimuovere i calcoli e prevenire ulteriori danni ai reni. La gestione di queste complicazioni deve essere tempestiva, dato che l’insufficienza renale cronica può compromettere significativamente la qualità della vita del paziente.
Un altro aspetto importante riguarda le terapie farmacologiche per la malattia di Crohn. L’utilizzo di farmaci immunosoppressori, seppur necessario per il controllo della malattia infiammatoria intestinale, può comportare rischi per i pazienti, tra cui un aumentato rischio di infezioni e complicazioni renali. Pertanto, è fondamentale un bilanciamento tra il trattamento della Crohn e la gestione delle complicanze renali, con una costante valutazione del rischio-beneficio per ogni paziente.
La comprensione della relazione tra Crohn e calcolosi renale da ossalato di calcio è essenziale per una gestione ottimale della malattia. I medici devono essere consapevoli di questo rischio quando trattano pazienti con Crohn e devono adottare un approccio terapeutico che tenga conto di tutte le possibili complicazioni, garantendo al paziente il miglior supporto possibile per affrontare sia la malattia intestinale che quella renale.
Quando trattare il sanguinamento gastrointestinale superiore non variceale e come gestire le emorragie da varici esofagee?
Il trattamento del sanguinamento gastrointestinale superiore (UGI) è un processo complesso che dipende dalla causa sottostante e dalla tempestività dell'intervento. Quando un paziente ha sanguinato per cause non variceali, è fondamentale monitorare e seguire la sua evoluzione post-ospedaliera. Dopo il raggiungimento dell'emostasi, il trattamento deve essere ripreso il prima possibile per prevenire recidive o complicazioni future. La prima visita di follow-up con il medico di base è raccomandata entro 1–2 settimane dalla dimissione ospedaliera, per escludere eventuali episodi di sanguinamento ricorrente.
Nei pazienti con ulcere gastriche, è indicato un controllo endoscopico dopo 8–12 settimane di terapia medica, al fine di confermare la guarigione endoscopica e per escludere la presenza di tumori gastrici. In effetti, è stato osservato che i tassi di biopsia falsamente negativa per ulcere gastriche maligne variano dal 2% al 5%. Tuttavia, le ulcere duodenali e le altre cause di sanguinamento non peptico, come le lacerazioni di Mallory-Weiss e le lesioni di Dieulafoy, non richiedono una endoscopia di follow-up dedicata.
Quando si sospetta un sanguinamento variceale, è fondamentale mantenere un alto indice di sospetto. Nonostante i progressi nelle cure, il sanguinamento variceale rimane una condizione particolarmente pericolosa per i pazienti cirrotici, con una mortalità a sei settimane che varia dal 10% al 20%. I fattori di rischio principali includono l'uso eccessivo di alcol e le infezioni da epatite virale, oltre alla presenza di segni fisici di malattia epatica cronica, come angiomi a ragno, eritema palmare e ittero. La comparsa di ematemesi, ematochesia e compromissione emodinamica aumenta la probabilità di sanguinamento da varici esofagee.
La gestione pre-endoscopica di un sospetto sanguinamento variceale include la profilassi antibiotica precoce. È stato dimostrato che oltre il 50% dei pazienti cirrotici che presentano sanguinamenti gastrointestinali sviluppano infezioni batteriche, un fattore di rischio indipendente per il fallimento del controllo del sanguinamento, il rischio di re-sanguinamento e una maggiore mortalità. La profilassi antibiotica con ceftriaxone (1 g IV ogni 24 ore per un massimo di 7 giorni) è il trattamento di prima linea, che deve essere interrotto una volta risolto l'emorragia.
Inoltre, un vasocostrittore splancnico endovenoso, come l'octreotide, dovrebbe essere somministrato al più presto possibile. L'octreotide, somministrato come bolo endovenoso da 50 mcg seguito da infusione continua di 50 mcg/ora per 2–5 giorni, è stato associato a un miglioramento dei tassi di sopravvivenza. È essenziale, tuttavia, ricordare che i pazienti cirrotici sono anche a rischio di sanguinamenti da fonti non variceali, che costituiscono circa il 50% dei casi di emorragia gastrointestinale superiore in questi pazienti. Per tale motivo, l'uso di inibitori della pompa protonica (PPI) prima della procedura endoscopica è una pratica raccomandata.
Una volta stabilizzato il paziente, l'endoscopia deve essere eseguita il prima possibile, preferibilmente entro 12 ore dall'ammissione, poiché ritardi superiori a 15 ore sono stati associati a un aumento della mortalità. Quando il sanguinamento variceale è confermato, la legatura endoscopica delle varici (EVL) rappresenta la terapia di scelta, essendo superiore alla scleroterapia per tassi di re-sanguinamento (26% vs. 44%), mortalità (24% vs. 31%) e complicazioni (11% vs. 25%). L'iniezione di cianoacrilato, tuttavia, non è raccomandata come trattamento per le varici esofagee.
In alcuni casi, nonostante la somministrazione di antibiotici, vasocostrittori e l'EVL, il sanguinamento persistente o il re-sanguinamento precoce si verificano in circa il 10%–15% dei pazienti. In questi casi, il primo trattamento di salvataggio è il TIPS (shunt portosistemico intraepatico transjugulare), che collega la vena porta ipertesa alla cava inferiore normotensiva, determinando una riduzione rapida delle pressioni portali e quindi un miglioramento del sanguinamento. Il TIPS può essere utilizzato anche precocemente nei pazienti ad alto rischio, come quelli con cirrosi di classe Child-Pugh C o di classe B con sanguinamento attivo.
Se il TIPS non è disponibile o il suo impiego viene ritardato, altre opzioni per il trattamento di salvataggio includono il posizionamento di un tamponamento balloonico (ad esempio il Sengstaken-Blakemore), che può essere utilizzato come ponte temporaneo (massimo 24 ore) fino al trattamento definitivo, o l'impiego di stent metallici autoespandibili per l'esofago, che possono rimanere in posizione per 7 giorni.
Anche nel trattamento del sanguinamento variceale gastrico, sebbene le varici esofagee siano più comuni e sanguinino più frequentemente, l'emorragia da varici gastriche tende ad essere più grave e associata a tassi di mortalità più elevati. La gestione delle varici gastriche dipende dalla loro localizzazione e dall'esperienza dell'operatore. Per le varici gastriche situate sulla curvatura minore dello stomaco, la legatura con banda può rappresentare una terapia definitiva. Le varici cardiofundali gastriche sono invece meglio trattate con iniezione di cianoacrilato. Sebbene la legatura con banda possa essere una soluzione temporanea, essa raramente risulta definitiva in questa sede. Il TIPS è stato dimostrato essere più efficace nel ridurre il re-sanguinamento rispetto all'iniezione di cianoacrilato, sebbene in generale sia meno efficace rispetto ad altri trattamenti.
Il trattamento dell'emorragia da varici gastriche richiede quindi una valutazione dettagliata del caso clinico, una gestione tempestiva e l'applicazione delle tecniche più adatte a seconda della localizzazione e della gravità dell'emorragia.
Quali sono i patogeni più comuni che causano diarrea acuta nei pazienti immunocompromessi?
La diarrea acuta nei pazienti immunocompromessi rappresenta una sfida significativa per la medicina, in quanto questi individui sono particolarmente vulnerabili a infezioni che in individui sani non causerebbero complicazioni. I pazienti sottoposti a trapianto d'organo, con deficit di IgA, ipogammaglobulinemia, e quelli che seguono una terapia immunosoppressiva, sono tra i gruppi di rischio più elevato. Un altro gruppo vulnerabile è costituito dai pazienti HIV positivi che non assumono terapie antiretrovirali ad alta attività. In questi pazienti, oltre ai patogeni comuni che causano diarrea acuta, ci sono altri agenti infettivi e fattori non infettivi che meriterebbero attenzione.
In primo luogo, tra i patogeni infettivi più comuni che colpiscono i pazienti immunocompromessi ci sono i virus come il citomegalovirus (CMV), e parassiti come Cryptosporidium, Cyclospora e Isospora. Questi agenti patogeni possono causare diarrea persistente o acuta che spesso non si risolve senza interventi mirati. Inoltre, le infezioni opportunistiche sono molto più frequenti rispetto alla popolazione generale. La soppressione del sistema immunitario aumenta infatti il rischio di infezioni parassitarie e virali, ma anche infezioni fungine, seppur più rare.
I fattori non infettivi, come i farmaci antiretrovirali, quelli citotossici, gli agenti immunoterapici, gli anticorpi monoclonali e la malattia del trapianto contro l'ospite (GVHD), possono anch'essi contribuire a complicare la situazione. Questi farmaci, pur essendo essenziali per il trattamento delle patologie sottostanti, possono alterare la funzione intestinale e contribuire alla diarrea.
Nella popolazione di pazienti HIV positivi, i patogeni che causano diarrea acuta sono simili a quelli presenti nella popolazione generale, ma con una maggiore frequenza di diarrea persistente causata da batteri come Shigella, Salmonella enteritidis e Campylobacter jejuni. Nei pazienti con un conteggio di CD4 inferiore a 200 cellule/mm³, le infezioni opportunistiche sono particolarmente comuni. Tra queste troviamo infezioni batteriche come Mycobacterium, parassitarie come Cryptosporidium, Microsporidia, Isospora e Cyclospora, e virali come il CMV. Sebbene le terapie antiretrovirali ad alta attività abbiano ridotto l'incidenza delle infezioni opportunistiche, l'incremento dei casi di diarrea associata ai farmaci antiretrovirali è un fenomeno in crescita a livello mondiale.
Un altro aspetto che non può essere ignorato riguarda la terapia immunosoppressiva post-trapianto d'organo. I pazienti che ricevono un trapianto sono particolarmente vulnerabili a patogeni come Clostridioides difficile, un batterio che frequentemente causa diarrea nei pazienti immunocompromessi. Altri agenti virali come il CMV e il norovirus sono anch'essi comuni in questi pazienti. La diarrea in questa popolazione è spesso più grave e può essere associata a infezioni croniche o a prolungati periodi di eliminazione virale, come nel caso del norovirus.
Nel caso dei viaggiatori, è bene sottolineare che la causa più comune di diarrea è di origine batterica, in particolare l'Escherichia coli. Tuttavia, altre infezioni batteriche come Shigella e Campylobacter e parassiti come Giardia possono contribuire significativamente al quadro clinico. Le infezioni virali, sebbene meno comuni, devono essere comunque prese in considerazione in particolari contesti epidemiologici.
Per diagnosticare la diarrea infettiva, esistono numerosi test, tra cui la coltura delle feci per i patogeni comuni come E. coli, Salmonella, Shigella e Campylobacter. Sebbene questi test siano ancora utili, le nuove tecnologie diagnostiche come la PCR (reazione a catena della polimerasi) e i test immunoenzimatici (EIA) hanno migliorato significativamente la velocità e l'affidabilità dei risultati. I test PCR, ad esempio, possono identificare più patogeni da un unico campione, riducendo i tempi di diagnosi e migliorando l'efficacia del trattamento.
Un altro aspetto importante nella diagnosi della diarrea è la storia clinica del paziente. La presenza di febbre, la durata della diarrea, la presenza di sangue o muco nelle feci e la storia di viaggi o contatti con persone malate sono tutti elementi cruciali per identificare correttamente il patogeno responsabile. I fattori legati all'ospite, come l'età, lo stato immunitario e il contesto socioeconomico, sono anch'essi di fondamentale importanza.
Infine, una corretta distinzione tra diarrea infettiva e patologie non enteriche è essenziale, poiché alcune infezioni sistemiche non enteriche possono presentarsi con diarrea. Ad esempio, la febbre, i dolori muscolari e altri sintomi generali possono essere segni di un'infezione sistemica che non origina dal tratto gastrointestinale. In questi casi, è necessario escludere altre cause di diarrea, come quelle causate da malattie autoimmuni o infettive non enteriche, per orientare meglio la diagnosi e il trattamento.
Quali sono le caratteristiche istologiche e le diagnosi differenziali nelle patologie gastriche?
L'istologia gastrica rivela spesso modelli di gastrite cronica con incremento dei linfociti intraepiteliali, come nella gastropatia chimico-reattiva, caratterizzata da iperplasia foveolare, tortuosità ghiandolare, vasi ectasici nella lamina propria e infiammazione minima. Le cause più comuni includono la celiachia e l’infezione da Helicobacter pylori, mentre fattori meno frequenti comprendono la gastrite varioliforme, la gastroenterocolite linfocitaria, l’infezione da HIV e il linfoma.
La diagnosi differenziale della gastrite granulomatosa si basa sull’individuazione di granulomi necrotizzanti o non necrotizzanti, associati a infezioni tubercolari o micotiche, malattia di Crohn, sarcoidosi, reazioni farmacologiche, vasculiti o forme idiopatiche isolate.
Diverse lesioni vascolari gastriche si distinguono istologicamente e endoscopicamente: la gastropatia vascolare antrale ectasica (GAVE) si manifesta come striature rosse longitudinali (il cosiddetto “stomaco a cocomero”) con vasi dilatati, trombi fibrinici e iperplasia foveolare. La gastropatia portale ipertensiva mostra invece un aspetto endoscopico a “pelle di tigre” con vasi ectasici dilatati, iperplasia foveolare e fibrosi, ma senza trombi fibrinici. La lesione di Dieulafoy è caratterizzata da un vaso arterioso anomalo superficiale che può causare emorragie massive senza ulcerazione mucosa evidente. La lesione da radiazioni presenta numerose ectasie vascolari con pareti ialinizzate e cellule epiteliali e stromali atipiche, con possibile sospetto di displasia, e richiede la correlazione con la storia clinica per differenziare altre cause di ectasie vascolari.
Le pieghe mucose giganti, tipiche della malattia di Ménétrier e della sindrome di Zollinger-Ellison, mostrano un’ipertrofia dell’epitelio foveolare o ossintico. Nella malattia di Ménétrier, l’epitelio foveolare è iperplastico con perdita delle ghiandole ossintiche, mentre nella sindrome di Zollinger-Ellison si osserva un’espansione della zona ghiandolare ossintica. Anche la gastrite da H. pylori può causare pieghe gastriche ingrossate.
La displasia gastrica si distingue dall’adenoma principalmente per la morfologia; la displasia è una lesione piatta, mentre l’adenoma ha una struttura polipoide tubulare o tubulo-villosa, spesso con forte immunoreattività per p53. Entrambe possono presentare lesioni multifocali e richiedono biopsie mappate per escludere la presenza di carcinoma invasivo. Gli adenomi possono assumere caratteristiche di tipo intestinale (con cellule caliciformi o di Paneth) o gastrico, e l’adenocarcinoma è più comunemente associato al tipo intestinale.
La classificazione istologica dell’adenocarcinoma gastrico secondo l’OMS comprende vari sottotipi: adenocarcinoma tubulare, carcinoma a cellule parietali, adenocarcinoma con sottotipo misto, papillare, micropapillare, mucoepidermoide, mucinoso, carcinoma a cellule a anello con castone, carcinoma poco coesivo, carcinoma midollare con stroma linfoide, epatoide e carcinoma a cellule di Paneth, oltre a varianti rare come carcinoma adenosquamoso, squamoso e indifferenziato.
I tumori neuroendocrini gastrici si suddividono in ben differenziati (grado 1, 2 e 3), classificati in base all’attività mitotica e all’indice di proliferazione Ki-67, valutati con colorazioni immunoistochimiche. Il carcinoma neuroendocrino comprende forme a piccole e grandi cellule, altamente aggressive e raramente originanti nello stomaco. Neoplasie miste neuroendocrine e non neuroendocrine presentano componenti sia neuroendocrine che adenocarcinomatose.
I tumori stromali gastrointestinali (GIST), maggiormente localizzati nello stomaco, si presentano come masse sottomucose e includono diagnosi differenziali come schwannoma, leiomioma e polipi fibroidi infiammatori. I GIST mostrano reattività marcata per CD117 (c-kit) e spesso per CD34 e DOG1, con mutazioni frequenti nel gene kit e, meno comunemente, nel PDGFRA, che influenzano il comportamento clinico. Le dimensioni, la localizzazione e il numero di mitosi determinano la prognosi, con i GIST gastrici generalmente meno aggressivi rispetto a quelli intestinali.
I polipi fibroidi infiammatori presentano cellule fusate benigne intorno ai vasi con infiltrato infiammatorio misto, negativi per CD117 e talvolta positivi per CD34. Infine, i linfomi gastrici più comuni includono i linfomi del tessuto linfoide associato alle mucose (MALT), noti anche come linfomi a zona marginale extramidollare.
È fondamentale considerare il quadro clinico integrato, la storia anamnestica, e i reperti endoscopici insieme all’esame istologico per una corretta diagnosi differenziale e un’adeguata gestione terapeutica. La conoscenza dettagliata delle caratteristiche istologiche permette di distinguere patologie con aspetti simili ma con prognosi e trattamenti molto diversi. La presenza di mutazioni specifiche o marcatori immunoistochimici ha inoltre una rilevanza prognostica e predittiva di risposta terapeutica. La complessità di queste diagnosi sottolinea l’importanza di un approccio multidisciplinare tra patologi, gastroenterologi e oncologi per ottimizzare la cura del paziente.
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