I risultati sperimentali ottenuti mediante le spettroscopie XAS al bordo L del ferro (Figura 3.6e) hanno confermato che il picco di Fe0 nel materiale nZVI@KGMC, posizionato a 708.0 eV, scompare dopo la reazione, come era stato già osservato con le analisi XPS. Inoltre, i picchi caratteristici dell'uranio sono chiaramente visibili nelle spettrali XPS post-reazione, corrispondenti all'uranio tetravalente (U(IV)) a 380.7 e 391.6 eV e all'uranio esavalente (U(VI)) a 381.7 eV e 380.7 eV, in accordo con le posizioni riportate in letteratura (Figura 3.6f).

Per un’analisi più dettagliata, sono state condotte simulazioni teoriche per calcolare il potenziale elettrostatico (ESP) sulla superficie delle molecole e per studiare le distribuzioni del potenziale elettrostatico dei materiali KGMC e nZVI@KGMC. Come mostrato nelle Figure 3.7a e b, il modello strutturale di KGMC e la sua immagine ESP sono stati presentati. Si osserva che le cariche negative sulla superficie sono principalmente concentrate sui gruppi funzionali contenenti ossigeno, suggerendo che le interazioni elettrostatiche siano principalmente responsabili dell’arricchimento dell’uranio. Quando la superficie di KGMC viene caricata con cluster di Fe0, non si verifica un cambiamento significativo nella distribuzione delle cariche negative, mentre le cariche positive si concentrano sui cluster di Fe0 (Figura 3.7c e d). Questo risultato supporta in modo deciso la teoria secondo cui i cluster di Fe0 facilitano il trasferimento di elettroni, riducendo l’U(VI) adsorbito su KGMC a U(IV).

Questo meccanismo è stato ulteriormente confermato attraverso l'analisi cinetica della reazione di riduzione dell'uranio. Inizialmente, i gruppi funzionali contenenti ossigeno sulla superficie di KGMC facilitano la localizzazione dell'U(VI). L’U(VI) adsorbito viene poi ridotto a U(IV) mediante il trasferimento di elettroni con le particelle di nZVI rivestite di carbonio, mentre alcune particelle di nZVI non rivestite entrano direttamente in contatto e riducono l’U(VI) disciolto. Questo processo è accompagnato dalla formazione di Fe2+, che reagisce con l’U(VI) per formare U(IV), come indicato nelle seguenti equazioni chimiche:

UO2+ 2 + Fe0 → UO2(s) + Fe2+ (3.1)
UO2+ 2 + 2Fe2+ → UO2(s) + 2Fe3+ (3.2)
Fe0 + O2 + 2H+ → Fe2+ + H2O2 (3.3)
Fe2+ + H2O2 → Fe3+ + •OH + OH− (3.4)
TA∕MB∕BPA∕Rhb + •OH → CO2 + H2O (3.5)

In parallelo, l'introduzione di materia organica induce la degradazione di queste sostanze, mentre il materiale nZVI@KGMC permette l’arricchimento dell’uranio. Le spettroscopie ESR (Electron Spin Resonance) indicano che i radicali idrossilici reattivi generati dal nZVI@KGMC degradano efficacemente la materia organica (Equazioni 3.3–3.5).

Nel complesso, lo studio suggerisce che la sinergia tra KGMC e nZVI consente di raggiungere una notevole capacità di adsorbimento e riduzione dell’uranio, insieme a un'efficace degradazione dei composti organici. Questo approccio ha mostrato una capacità di arricchimento dell'uranio pari al 90.1%, con una capacità di arricchimento di 720.8 mg/g, in soli 60 minuti di trattamento delle acque reflue radioattive contenenti uranio. Nonostante la presenza di ioni interferenti e di sostanze organiche, che rappresentano condizioni simili a quelle del mondo reale, il nZVI@KGMC ha mantenuto un’efficienza elevata nell’arricchimento dell’U(VI), dimostrando una buona stabilità e capacità catalitica specifica.

I risultati ottenuti indicano che i gruppi ossigenati presenti sulla superficie di KGMC sono in grado di catturare e limitare efficacemente l’U(VI), mentre le particelle di nZVI riducono ulteriormente l’U(VI) adsorbito a U(IV) mediante il trasferimento di elettroni. Questa combinazione di adsorbimento e riduzione consente una rimozione efficiente dell’uranio dalle acque contaminate, il che è particolarmente promettente in ambienti ambientali complessi.

Questa ricerca ha quindi sviluppato un materiale di adsorbimento e riduzione adatto per il trattamento delle acque reflue contenenti uranio, che è altamente stabile e dispersibile, consentendo una gestione economica ed efficace delle acque radioattive. La combinazione di nZVI con materiali biologici, come KGMC, offre nuove soluzioni per il trattamento di acque radioattive in modo sostenibile e pratico.

Come l'Ingegneria dei Difetti nei Semiconduttori Può Migliorare l'Estrazione di Uranio

L'estrazione dell'uranio mediante fotocatalisi sta suscitando crescente interesse per la sua applicazione nella rimozione di U(VI) da soluzioni acquose, grazie alla capacità di ridurre l'uranio in una forma meno solubile, U(IV), tramite irraggiamento con luce visibile. I semiconduttori, come il TiO2, sono tra i materiali più utilizzati in questi processi grazie alla loro stabilità e alla loro capacità di assorbire luce visibile. Tuttavia, la loro efficienza può essere limitata da una serie di fattori, tra cui l'alto tasso di ricombinazione degli elettroni e la ridotta attività fotocatalitica. L'ingegneria dei difetti nei semiconduttori, in particolare l'introduzione di vacanze ossigeno e il doping con atomi eterogenei, ha mostrato potenziale per migliorare significativamente le prestazioni fotocatalitiche.

Iniziamo con le vacanze ossigeno. L'introduzione di vacanze ossigeno nei materiali semiconduttori non solo aumenta il numero di siti di adsorbimento per l'uranio (U(VI)), ma espande anche l'intervallo di risposta alla luce visibile, riducendo la larghezza del gap di banda e diminuendo la velocità di ricombinazione delle cariche. In sostanza, le vacanze ossigeno forniscono nuovi canali per la separazione degli elettroni e per il loro trasferimento verso l'uranio, favorendo la sua riduzione. Questo processo di ingegneria dei difetti si rivela fondamentale per aumentare l'efficienza dei semiconduttori nella cattura di uranio e nell'accelerazione delle reazioni fotocatalitiche.

Un altro aspetto cruciale per migliorare la fotoreduzione dell'uranio è l'incorporazione di atomi eterogenei nel materiale semiconduttore. Il doping con atomi di elementi differenti dal materiale di base migliora la separazione delle cariche fotogenrate e aumenta la capacità del semiconduttore di assorbire luce visibile. Ad esempio, il doping con atomi di azoto o carbonio nel TiO2 può portare alla formazione di nuove bande energetiche che permettono un migliore assorbimento della luce, specialmente nella regione del visibile. Questo fenomeno è essenziale per l'ottimizzazione delle reazioni di riduzione, poiché l'energia fornita dalla luce è direttamente coinvolta nel processo di riduzione dell'uranio.

Un altro importante meccanismo di miglioramento delle proprietà fotocatalitiche è la formazione in situ di gruppi M—O—H nei difetti di vacanza. Questi gruppi idrossilici aumentano l'idrofilicità del materiale e ne migliorano la capacità di riconoscere selettivamente l'uranio (U(VI)). La presenza di questi gruppi idrossilici rende la superficie del semiconduttore più reattiva verso l'uranio, accelerando così il processo di estrazione.

Inoltre, la metodologia di ricostruzione superficiale, combinata con altre tecniche come l'ingegneria dell'interfaccia e la ibridizzazione superficiale, può ottimizzare ulteriormente i percorsi di trasporto di elettroni e lacune. Questi approcci consentono una migliore separazione delle cariche, riducendo la ricombinazione e migliorando l'efficienza complessiva del fotocatalizzatore. L'ingegneria superficiale può anche migliorare l'adsorbimento e la reattività verso specifici reagenti, rendendo i semiconduttori più selettivi e attivi in presenza di uranio.

L'efficienza del processo fotocatalitico dipende anche da fattori come la struttura cristallina e la geometria del materiale. La modificazione della superficie e la progettazione di eterostrutture a più livelli possono favorire un migliore accoppiamento tra la luce solare e il semiconduttore. Queste modificazioni strutturali possono migliorare la raccolta e l'uso della luce visibile, nonché favorire la riduzione dell'uranio a U(IV), una forma più stabile e meno solubile.

Queste strategie, se applicate in modo sinergico, possono non solo aumentare l'efficienza della fotocatalisi per l'estrazione dell'uranio, ma anche favorire lo sviluppo di nuovi materiali fotocatalitici più economici ed efficaci per il trattamento di acque contaminate da uranio. La ricerca continua in quest'area promette non solo miglioramenti tecnologici, ma anche soluzioni pratiche per l'estrazione dell'uranio da fonti non convenzionali, come l'acqua di mare, contribuendo a garantire un futuro energetico più sostenibile.

L'importanza di una comprensione completa dei processi che avvengono a livello microscopico nei materiali fotocatalitici non può essere sottovalutata. La progettazione di nuovi semiconduttori richiede una comprensione profonda della fisica dei difetti, delle dinamiche di separazione delle cariche e delle interazioni tra la luce e il materiale. Pertanto, la continua ricerca in questo campo è essenziale per la realizzazione di tecnologie che possano ridurre in modo significativo la presenza di uranio nell'ambiente, fornendo al contempo una fonte di energia rinnovabile e meno inquinante.