L'esperimento di John Law con la moneta cartacea in Francia rappresenta un capitolo fondamentale nella storia economica, offrendo lezioni cruciali per comprendere i pericoli di un uso improprio delle teorie economiche. La sua idea di aumentare l'offerta di moneta durante una recessione sembrava promettente, ma l'attuazione di tale teoria ha scatenato forze finanziarie che Law non poteva controllare. La sua proposta di legare il valore della moneta a un incremento artificiale della massa monetaria, senza un adeguato sistema di sostegno, ha portato a una crisi finanziaria devastante.
Nel 1719, Law, già noto per le sue teorie monetarie, ottenne il controllo della Compagnia del Mississippi, una delle più grandi imprese di speculazione di quel periodo, con l'obiettivo di colmare il debito pubblico della Francia. La Compagnia del Mississippi cominciò a emettere azioni, e queste azioni vennero rapidamente acquistate da investitori speranzosi di guadagni enormi. Tuttavia, la realtà economica non supportava la crescita illimitata dei valori azionari. L'illusione di una crescita infinita crollò quando le azioni della compagnia e la moneta cartacea cominciarono a perdere valore drasticamente. Nonostante gli sforzi di Law per convincere la popolazione che l'offerta di moneta fosse ancora in espansione, la fiducia venne meno, e la speculazione lasciò il posto alla rovina economica.
Nel 1720, la situazione raggiunse il punto di non ritorno: la popolazione si sollevò contro la politica economica di Law e la sua famiglia divenne oggetto di violenti attacchi. Law fu costretto a fuggire in Italia, e la Francia abbandonò l'esperimento della moneta cartacea, non riuscendo a riprenderne l'uso fino alla Rivoluzione Francese, più di cinquant'anni dopo. Un commissariato fu istituito per riacquistare le banconote e le azioni, ma la svalutazione era talmente grave che le persone recuperarono solo una frazione minima del loro investimento iniziale.
L'eredità della Bolla del Mississippi è una lezione sulle insidie che si nascondono quando le teorie economiche si scontrano con la realtà. Pur avendo delle intuizioni valide, come quella di aumentare l'offerta di moneta in tempi di recessione, le idee di Law erano incompleti e fondamentalmente errate. La sua convinzione che le azioni fossero equivalenti alla moneta si rivelò un errore fatale. La sua fallimentare esperienza dimostra anche i pericoli di impegni finanziari mal progettati che, pur essendo supportati da politiche innovative, possono sfociare in disastri quando non sono sorretti da un sistema economico solido e comprensibile.
La lezione principale che emerge da questo episodio non riguarda solo l'importanza di avere un sistema di supporto per le monete, ma anche l'importanza di comprendere le dinamiche finanziarie più profonde e le forze che alimentano la speculazione. John Law cercò di risolvere il debito pubblico della Francia con un approccio che mirava a stimolare la crescita attraverso la carta moneta e la speculazione azionaria. Ma ciò che non riuscì a prevedere fu l'inesorabile connessione tra la crescita finanziaria e il rischio: la promessa di ricchezza senza basi concrete si rivelò una trappola che travolse l'intera economia. La bolla esplose non solo per il valore sopravvalutato delle azioni, ma per l'incapacità di Law di garantire una base solida a quello che aveva creato. La crisi lasciò un'impronta indelebile sulla memoria economica collettiva, diventando un monito sul rischio di affidarsi a soluzioni finanziarie che ignorano le leggi fondamentali del mercato.
Tuttavia, sebbene il fallimento di John Law fu catastrofico per la Francia, il suo tentativo di innovazione non fu completamente privo di valore. Le sue idee sulle politiche monetarie, in particolare quella di stimolare l'economia aumentando la massa monetaria durante periodi di stagnazione, sono ancora oggi considerate teoricamente valide da molti economisti, in particolare quelli della scuola keynesiana. Ciò che però emerge dalla sua esperienza è la necessità di gestire con grande cautela l'implementazione di politiche economiche radicali, comprese le politiche monetarie, affinché non si trasformino in una bolla speculativa destinata a scoppiare.
Una riflessione fondamentale per il lettore riguarda il concetto di denaro stesso. Cos'è che realmente sostiene una moneta? E quali sono i rischi di un sistema che non ha un "oggetto" fisico a cui fare riferimento, ma si basa unicamente sulla fiducia? La lezione della Bolla del Mississippi va oltre l’economia della sua epoca e si estende fino ai sistemi finanziari moderni. La fiducia è il vero motore dell’economia, ma quando questa viene meno, l'intero sistema rischia di crollare.
Inoltre, è fondamentale capire che le crisi finanziarie non sono mai il risultato di un singolo errore o di una sola politica. L’intero sistema economico è una rete complessa di interazioni, e ogni decisione presa ha effetti a catena che si riflettono su vari livelli: dai piccoli investitori ai governi. La lezione più importante che questa storia ci offre è che, mentre le teorie econo
Perché la deregolamentazione delle banche di risparmio e prestito ha portato alla crisi: Analisi delle cause e degli effetti
La deregolamentazione parziale delle banche di risparmio e prestito ha dato vita a un nuovo problema. Il tentativo di attrarre nuovi depositi e mantenere quelli esistenti ha fatto lievitare notevolmente le spese per gli interessi, pur mantenendo relativamente stabile il reddito derivante dagli interessi. Questo fenomeno è accaduto perché gli attivi delle banche di risparmio e prestito erano costituiti principalmente da mutui concessi nei trent'anni precedenti, quando i tassi di interesse erano molto più bassi. E questi mutui erano a tasso fisso.
Prendiamo ad esempio una banca di risparmio che avesse concesso un mutuo nel 1966 con un tasso d'interesse del 6%. La banca avrebbe ricevuto pagamenti fissi a quel tasso fino al 1996, quando il mutuo sarebbe stato estinto. I mutui più recenti, invece, avrebbero generato un interesse maggiore, in linea con i tassi più elevati dell'epoca, ma i mutui nuovi rappresentavano solo una piccola parte del portafoglio complessivo di prestiti. In quel periodo, sia il mutuatario che il prestatore tendevano a mantenere lo stesso mutuo dall'inizio alla scadenza, che poteva arrivare anche a 30 anni.
Nel frattempo, i depositanti godevano di una maggiore flessibilità nel ritirare i loro risparmi e reinvestirli in qualsiasi momento, il che aveva portato a una significativa migrazione da conti di deposito a basso rendimento verso conti a più alto rendimento. Ciò comportava un notevole aumento dei pagamenti sugli interessi da parte delle istituzioni bancarie, che non riuscivano a ottenere lo stesso livello di reddito sugli interessi dai mutui.
Con il tempo, la differenza tra gli interessi che le banche di risparmio guadagnavano dai mutui e quelli che pagavano sui depositi si ridusse drasticamente, fino a diventare negativa. Questa compressione del margine di interesse ridusse in modo significativo la redditività del settore. Molte banche di risparmio e prestito iniziarono a registrare perdite. Nel 1980, circa un terzo delle circa 4000 banche di risparmio degli Stati Uniti dichiararono perdite. Alla fine del 1981, circa l'85% delle banche di risparmio erano in perdita, una situazione chiaramente insostenibile.
Se il problema era che le banche di risparmio non guadagnavano abbastanza sugli interessi dei mutui, perché non utilizzavano mutui a tasso variabile, il cui tasso di interesse sarebbe aumentato insieme ai tassi di mercato? La risposta breve è che le banche di risparmio non avevano il permesso di offrire mutui a tasso variabile. Sebbene nel 1980 fu loro concessa questa possibilità, ormai era troppo tardi. Anche se tutti i nuovi mutui emessi fossero stati a tasso variabile, la stragrande maggioranza degli attivi delle banche di risparmio erano legati a mutui a tasso fisso stipulati a tassi molto bassi fino a 30 anni prima. Non c'era quindi modo di aumentare i ricavi sugli interessi in tempi brevi.
Il Congresso e i regolatori federali erano ben consapevoli di questi problemi, che, in misura minore, colpivano anche le banche. Di conseguenza, presero misure significative attraverso il Depository Institutions Deregulation and Monetary Control Act del 1980, che segnò l'inizio della deregolamentazione bancaria su larga scala negli Stati Uniti. Questa legge eliminò i limiti sui tassi di interesse sui depositi, permise i mutui a tasso variabile e consentì alle banche di risparmio di espandersi in altri settori di attività.
Particolarmente importante fu la possibilità per le banche di risparmio di investire fino al 20% dei loro attivi in prestiti ai consumatori e in carta commerciale. Sebbene fosse un passo positivo, non bastò a risolvere i problemi: le perdite continuarono, e sembrava che l'intero settore stesse per affrontare una crisi.
Nel 1981, fallirono 34 banche di risparmio, numero che salì a 73 nel 1982. La situazione era preoccupante, soprattutto considerando che il fondo assicurativo del settore, la Federal Savings and Loan Insurance Corporation (FSLIC), non aveva molti fondi a disposizione. Era evidente che il FSLIC stava diventando tecnicamente insolvente, se non del tutto.
Per rispondere a questa crisi, il Congresso adottò il Garn-St. Germain Depository Institutions Act del 1982. Questa legge adottò un approccio in due direzioni che ebbe un impatto ancora più significativo sul destino delle banche di risparmio rispetto alla legge del 1980. La prima misura consistette nel rafforzare ulteriormente la deregolamentazione. Si pensava che le banche di risparmio non stessero evolvendo abbastanza rapidamente in ambiti di prestiti più redditizi, quindi l'atto innalzò il limite massimo di prestiti al consumatore e autorizzò le banche a destinare fino al 40% dei loro portafogli di prestiti a immobili commerciali. L'atto consentì inoltre alle banche di risparmio di investire in obbligazioni spazzatura, ovvero debiti a basso rating emessi da società con rating di credito basso. Questi strumenti finanziari, pur pagando tassi di interesse più elevati, comportano anche un rischio di insolvenza molto maggiore.
La seconda parte della legge riguardava una politica di tolleranza regolamentare sistematica, che prevedeva il non applicare severamente le normative esistenti e, in alcuni casi, di allentarle. I regolatori avevano già allentato le regole contabili per le banche di risparmio nel 1980 in modo da ridurre le spese dichiarate e aumentare i redditi riportati, rendendo così le banche di risparmio apparentemente più solide e in grado di evitare la dichiarazione di insolvenza. Inoltre, fu creato uno strumento finanziario chiamato "certificate of net worth", che veniva rilasciato a una banca di risparmio tecnicamente fallita per dichiararla miracolosamente solvibile di nuovo.
Nel frattempo, i rischi derivanti dalle nuove attività intraprese dalle banche di risparmio stavano iniziando a emergere. Molte avevano espanso con entusiasmo la loro attività nel settore degli immobili commerciali, supportate anche da un boom edilizio alimentato dal calo dei prezzi del petrolio negli anni '80. La riforma fiscale del 1981, che accelerava gli ammortamenti per gli investimenti in immobil
Che cosa trasformò una normale correzione di mercato nel crollo del 1987?
Nel mondo della finanza moderna, i futures sull’indice S&P 500 rappresentavano un surrogato praticamente perfetto per il possesso diretto di tutte le azioni dell’indice. Un gruppo ristretto di operatori, noti come arbitraggisti di indice, monitorava costantemente il prezzo di tali contratti e quello dei singoli titoli sottostanti, alla ricerca di discrepanze. Non appena si apriva una finestra, essi vendevano l’asset sopravvalutato e compravano quello sottovalutato, chiudendo rapidamente la distanza tra i due e garantendo che i prezzi tornassero allineati. Questo meccanismo di arbitraggio, perpetuamente in azione, mantenne un’alta efficienza tra i prezzi dei futures e quelli delle azioni, al punto che, in tempi normali, per un investitore non vi era differenza sostanziale tra detenere fisicamente l’indice e detenere un contratto future sull’indice.
Ma fu proprio questa meccanica di replica e simmetria che si rivelò il tallone d’Achille durante il crollo del 1987. La crescente complessità del mercato, combinata con un utilizzo sempre più diffuso del trading computerizzato, generò un ambiente in cui la velocità superava la comprensione. I cosiddetti assicuratori di portafoglio — gestori che offrivano una protezione contro il ribasso simulando l’acquisto di opzioni put — si affidarono a formule matematiche automatizzate, come quella di Black-Scholes, programmate nei computer per generare ordini rapidi e meccanici. In caso di ribasso, la formula imponeva la vendita di un numero crescente di contratti future sull’S&P 500, in proporzione diretta al calo dell’indice stesso.
Dall’inizio degli anni Ottanta, il concetto di assicurazione di portafoglio ebbe una rapida diffusione. Nel 1984, circa un miliardo di dollari in azioni era coperto da tale protezione; nel 1985 si era saliti a 15 miliardi, nel 1986 a 30 miliardi e nel 1987 si oscillava tra i 60 e i 90 miliardi. Due le ragioni principali: la prima, un’opportunità lucrativa per le istituzioni finanziarie che cominciavano a offrire questi servizi ai propri clienti; la seconda, un mercato azionario in pieno rally — con l’S&P 500 in crescita del 26% nel 1985, del 15% nel 1986 e del 39% nei primi otto mesi del 1987.
Ma a ottobre di quell’anno il clima cambiò. Nessun evento singolo fu sufficiente a spiegare la tensione crescente, ma una costellazione di segnali negativi si fece sentire: la Federal Reserve esprimeva preoccupazioni sull’inflazione, suggerendo rialzi futuri dei tassi d’interesse; in Congresso si parlava di deficit e potenziali aumenti fiscali; cresceva l’ostilità verso le fusioni aziendali, percepite come arricchimento degli insider a spese dei lavoratori. Il mercato, sovraccarico di incertezze, iniziò a perdere quota.
Nella settimana conclusasi il 16 ottobre, il Dow Jones perse il 10%. Gli investitori privi di copertura iniziarono a vendere. Ma anche chi disponeva di assicurazione di portafoglio non era al sicuro: il meccanismo di replica — che richiedeva vendite massicce di futures man mano che il mercato scendeva — stava innescando un processo non più controllabile. I dati ufficiali mostrarono che, in quella settimana, furono venduti futures per circ
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