I composti non stechiometrici rappresentano una categoria affascinante della chimica dello stato solido, nella quale la semplicità delle proporzioni intere tra gli atomi è abbandonata in favore di un comportamento strutturale molto più complesso. A differenza dei composti stechiometrici tradizionali, in cui il rapporto tra gli elementi è fisso e ben definito, nei composti non stechiometrici tale rapporto varia all'interno di un intervallo continuo, dando luogo a formule chimiche flessibili e a proprietà fisiche variabili.
Questa variabilità non è casuale, ma spesso legata alla capacità degli elementi metallici di esistere in più stati di ossidazione. L'esistenza di valenze variabili consente l’introduzione controllata di difetti strutturali: vacanze cationiche, anioni interstiziali o configurazioni elettroniche anomale, che modificano profondamente la struttura e il comportamento del materiale.
In passato, i difetti nei cristalli venivano considerati come punti isolati e distribuiti casualmente. Tuttavia, studi più recenti hanno dimostrato che nei composti non stechiometrici i difetti seguono spesso una distribuzione ordinata e cooperativa. L'uso della diffrazione di raggi X ha fornito una comprensione media della struttura cristallina, ma questa tecnica non è sufficiente quando si cerca di interpretare le microstrutture locali e l’ordine dei difetti. Per questo motivo, si utilizzano metodologie più sensibili alla struttura locale, come la diffrazione neutronica, la spettroscopia, la microscopia elettronica ad alta risoluzione (HREM) e misure magnetiche.
Dal punto di vista industriale, questi composti sono di particolare interesse grazie alla possibilità di modulare le loro proprietà elettroniche, ottiche, magnetiche e meccaniche semplicemente variando la composizione chimica. La loro utilità si fonda proprio su questa instabilità controllata.
Un esempio paradigmatico è quello della wüstitite (FeO), che cristallizza nella struttura del cloruro di sodio ma non esiste mai nella sua forma stechiometrica pura. L’analisi chimica accurata mostra costantemente una carenza di ferro. Come indicato nel diagramma di fase, la wüstitite non è stabile al di sotto di 570°C, dove si decompone in ferro α e magnetite (Fe₃O₄), mentre l’intervallo di stabilità aumenta con la temperatura.
La carenza di ferro può essere interpretata strutturalmente in due modi: o come vacanze cationiche, con formula Fe₁₋ₓO, oppure come eccesso di ossigeno interstiziale, FeO₁₊ₓ. La discriminazione tra le due ipotesi si effettua confrontando la densità teorica del cristallo perfetto con quella misurata sperimentalmente. Mediante il metodo di flottazione, si misura con precisione la densità di un cristallo sospeso in una miscela liquida di densità nota. Al confronto con la densità calcolata, risulta evidente che il difetto dominante nella wüstitite è la vacanza di ferro, confermando una formula empirica del tipo Fe₀.₉₄₅O.
È interessante notare che, pur cambiando la composizione, la lunghezza della cella elementare varia in modo continuo senza variazioni nella simmetria cristallina. Questo comportamento, descritto dalla legge di Vegard, è una caratteristica comune dei composti non stechiometrici.
Oltre alla descrizione geometrica e quantitativa dei difetti, è cruciale considerare l’equilibrio di carica nel reticolo cristallino. Quando un Fe²⁺ viene rimosso, il sistema compensa la carenza elettronica ossidando due cationi Fe²⁺ in Fe³⁺. Questo meccanismo è energeticamente più favorevole rispetto alla riduzione dell’anione ossigeno e rappresenta un principio generale nei solidi ionici: la non stechiometria è spesso accompagnata da cambiamenti negli stati di ossidazione dei cationi.
Nella struttura della wüstitite, i cationi Fe²⁺ occupano siti ottaedrici. Quando si crea una vacanza, essa è circondata da due ioni Fe³⁺, come dimostrato dalla spettroscopia Mössbauer. Questa redistribuzione elettronica conferisce al materiale proprietà magnetiche e conduttive del tutto peculiari, rendendolo un sistema modello per lo studio della non stechiometria nei solidi.
È fondamentale comprendere che la non stechiometria non è un’anomalia, bensì una caratteristica strutturale intrinseca in molti solidi inorganici, e la sua gestione consapevole è una chiave per il controllo delle proprietà funzionali dei materiali avanzati. Le tecniche sperimentali devono quindi andare oltre la descrizione media del reticolo cristallino e abbracciare la complessità locale dei difetti, della distribuzione elettronica e delle interazioni cooperative tra specie chimiche.
Quali sono le caratteristiche chiave dei MOF e le loro applicazioni emergenti?
I materiali MOF (Metal-Organic Frameworks) si distinguono per la loro capacità di adsorbire e desorbire CO2 in tempi ragionevoli, una proprietà cruciale per applicazioni ambientali e industriali. Grazie ai principi della sintesi isoreticolare, sono stati sviluppati MOF con alta selettività verso la CO2 in presenza di altri gas. Tra i più performanti si trova il Mg-MOF-74, che mostra un assorbimento del 27,5% in peso a temperatura ambiente, dovuto alla presenza di siti metallici coordinativamente insaturi. In particolare, il sito magnesio pentacoordinato lascia un sesto coordinamento libero per legare la CO2, grazie a una parziale carica positiva che conferisce carattere acido di Lewis. Questa caratteristica favorisce interazioni dipolo-quadrupolo, aumentando la selettività verso la CO2.
L’acqua, elemento indispensabile per la vita, si prevede sarà sempre più scarsa in molte regioni entro il 2050, non solo nelle aree desertiche ma anche in zone con precipitazioni elevate ma con difficoltà di accesso all’acqua potabile, aggravate dalla crescita demografica. L’estrazione dell’acqua dall’atmosfera rappresenta una soluzione promettente, ma spesso inefficace a basse umidità relativa. Alcuni MOF a base di zirconio studiati da Yaghi si sono distinti per la loro capacità di adsorbire e rilasciare acqua tramite un meccanismo cooperativo, che coinvolge gruppi ossidrilici e carbossilici. L’assorbimento avviene a livelli relativamente bassi di umidità e il rilascio a temperature contenute (circa 45°C), permettendo di raccogliere acqua durante la notte e rilasciarla col calore del giorno nei deserti. Il MOF-303 [Al(OH)(1H-pirazolo-3,5-dicarbossilato)] ha dimostrato la maggiore efficacia, con prototipi sperimentali capaci di produrre fino a 90 litri di acqua per chilogrammo di materiale in regioni umide come Chennai, India, e fra 7 e 20 litri in deserti estremi come Mojave e Atacama. Questi sistemi, riutilizzabili e a basso consumo energetico, aprono nuove prospettive per l’accesso globale ad acqua pulita.
Nel campo della catalisi, i MOF offrono un grande potenziale grazie alla loro modularità e alla presenza di siti attivi diversificati: centri metallici, leganti organici e pori. La struttura porosa consente una catalisi selettiva per dimensione e forma, similmente agli zeoliti. Tuttavia, i MOF soffrono di stabilità termica e idrolitica inferiori, perdita di cristallinità e possibile lisciviazione dei metalli, limitando la loro applicazione industriale in condizioni estreme. Nonostante ciò, mostrano promise in reazioni in fase liquida per la sintesi di prodotti fini, dove le condizioni sono meno aggressive rispetto a quelle industriali convenzionali. Ad esempio, alcuni MOF commerciali come Fe(BTC), Cu3(BTC)2 e Al(OH)(BDC) si sono rivelati efficaci nella idrogenazione selettiva dello stirene in etilbenzene, utilizzando idrazina al posto di gas idrogeno e raggiungendo conversioni e selettività superiori al 98%. La possibilità di modificare post-sinteticamente i MOF per ottenere centri catalitici chirali apre ulteriori applicazioni nella catalisi asimmetrica.
La luminescenza nei MOF deriva principalmente dai leganti organici, specie quando contengono sistemi π coniugati o aromatici, ma anche da trasferimenti di carica tra legante-legante, legante-metallo o metallo-metallo. Questi materiali trovano crescente impiego come sensori chimici, capaci di riconoscere biomolecole, esplosivi, tossine e ioni metallici attraverso variazioni dell’intensità luminescente in presenza dell’analita. Spesso si utilizzano centri Eu(III) e Tb(III) per emissioni rispettivamente rosse e verdi. I MOF a base di lantanidi presentano inoltre bassa citotossicità, rendendoli interessanti per applicazioni biosensoriali. La possibilità di modificare leganti e pori permette di adattare assorbimento, emissione e selettività per target specifici.
L’uso dei MOF nel rilascio di farmaci è un altro ambito innovativo. Le dimensioni nanometriche dei NMOF consentono di veicolare molecole terapeutiche con precisione, riducendo effetti collaterali e aumentando l’efficacia. La versatilità chimica dei leganti permette di incapsulare sostanze diverse come paracetamolo, 5-fluorouracile (chemioterapia), calceina (imaging), cidofovir (antivirale) e doxiciclina (antibiotico). I MOF sono inoltre utilizzati per la somministrazione controllata di ossido nitrico, agente antimicrobico, dimostrando capacità di rilascio prolungato in presenza di umidità, integrati in film polimerici per applicazioni topiche.
Una classe particolare di MOF, i zeolite-like MOF, come i Zeolitic Imidazolate Frameworks (ZIF), unisce la topologia degli zeoliti con la flessibilità dei MOF, grazie a metalli tetraedricamente coordinati e linker bidentati. ZIF-8 (Zn(2-mim)2, con 2-mim=2-metilimidazolo) si distingue per la sua elevata stabilità termica e chimica e grandi pori, preparabile con facilità da soluzioni di sali di zinco e 2-metilimidazolo. Questo materiale mostra un’alta capacità di adsorbimento CO2, dovuta a siti basici sugli imidazolati che interagiscono selettivamente con CO2. Le applicazioni di ZIF includono la rimozione di ioni pesanti, radionuclidi, molecole organiche come coloranti e antibiotici, nonché l’uso come anodi per batterie al litio, dove gli ioni Li si legano agli imidazolati.
Oltre a quanto già evidenziato, è fondamentale comprendere che la vera forza dei MOF risiede nella loro modularità chimica e strutturale, che permette una personalizzazione quasi illimitata per applicazioni specifiche, ma questa stessa complessità comporta sfide significative in termini di scalabilità, stabilità e costi di produzione. Per un impiego su larga scala, la ricerca deve concentrarsi sul miglioramento della robustezza dei materiali, la riduzione dei costi sintetici e lo sviluppo di tecnologie che ne facilitino il recupero e il riutilizzo. Solo integrando queste dimensioni si potrà sfruttare appieno il potenziale dei MOF in ambiti industriali e ambientali.
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