Il calcolo del volume totale richiesto per ciascun tipo di serbatoio di stoccaggio può essere effettuato utilizzando l'equazione 5.5 come segue: ρ = Mt s Vt. Ricordando che ogni metro cubo corrisponde a 1000 litri, la densità volumetrica diventa di 1360 kg/m³ per i serbatoi di tipo I e 920 kg/m³ per i serbatoi di tipo II. Sostituendo questi valori nell'equazione 5.5, otteniamo:

  • Tipo I: 195.150 / 1360 = Vt → Vt = 143,5 m³

  • Tipo II: 97.575 / 920 = Vt → Vt = 106,1 m³

Come si può osservare, i serbatoi di tipo II risultano più leggeri, con una massa inferiore e un costo di acquisto inferiore. Questo è principalmente dovuto alla loro densità di stoccaggio più alta e alla loro densità volumetrica inferiore, rendendoli più adatti per lo stoccaggio dell'idrogeno sul sito. Lo stoccaggio dell'idrogeno compresso è uno dei metodi più pratici ed economici per stoccare idrogeno per applicazioni su piccola scala, con un costo livellato di stoccaggio (LCOS) di $0,19/kg, previsto per scendere a $0,17/kg nel prossimo futuro. Tuttavia, questo metodo non riesce a fornire quantità sufficienti di idrogeno per applicazioni su larga scala a causa delle limitazioni volumetriche imposte dalle caratteristiche fisiche dell'idrogeno gassoso.

Pertanto, per immagazzinare in modo efficace l'idrogeno compresso per applicazioni su larga scala, sono stati fatti importanti sforzi ingegneristici per esplorare soluzioni innovative che possano superare la sfida del volume dell'idrogeno gassoso. Tra queste soluzioni, lo stoccaggio dell'idrogeno compresso in cavità sotterranee naturali o artificiali ha suscitato particolare interesse. Le cavità artificiali includono cavità saline, grotte in roccia dura e miniere abbandonate, mentre le cavità naturali comprendono acquiferi salini e giacimenti di petrolio/gas esauriti.

Le tecnologie di stoccaggio sotterraneo dell'idrogeno offrono vari vantaggi rispetto ad altri metodi di stoccaggio, tra cui una maggiore sicurezza e minori rischi di incidenti, un ridotto impatto sulla superficie terrestre e costi di investimento inferiori.

Le cavità saline sono cavità artificiali formate in depositi sotterranei di sale. Vengono create mediante la dissoluzione del sale rock attraverso il processo di lisciviazione, che consiste nell'iniettare acqua ad alta pressione per creare una cavità adatta per lo stoccaggio dell'idrogeno e di altri gas. Le cavità saline possiedono una bassa permeabilità grazie alla compattezza del sale e alla bassa porosità della roccia circostante, risultando in un tasso di perdite di idrogeno inferiore all'1%. Generalmente, le cavità saline hanno un'altezza che varia tra 300 e 500 metri e un diametro di 50-150 metri, con una capacità di stoccaggio che va da 50.000 a 1.000.000 m³ di idrogeno. La pressione dell'idrogeno stoccato in una cavità salina dipende principalmente dalla profondità della cavità e dalla pressione litostatica causata dalla roccia cap sopra la cavità. Sebbene non esistano equazioni matematiche precise per calcolare la pressione dell'idrogeno all'interno delle cavità saline, la pressione massima dell'idrogeno è tipicamente tra il 30% e l'80% del valore della pressione litostatica alla profondità del soffitto della cavità.

Le cavità saline sono serbatoi di stoccaggio ciclici che possono essere riempiti e svuotati 10-12 volte l'anno. L'idrogeno può essere riempito e scaricato dalle cavità saline utilizzando tecniche di iniezione e scarico a pressione variabile e costante. Nelle tecniche a pressione variabile, l'idrogeno viene estratto a diverse pressioni, causando una significativa caduta di pressione nella cavità, che può portare al fenomeno del "salt creep" (deformazione plastica permanente delle pareti saline dovuta allo stress accumulato). Per evitare il "salt creep", una parte dell'idrogeno deve essere mantenuta all'interno della cavità come gas cuscinetto, alleviando la differenza di pressione. Questo gas cuscinetto generalmente contribuisce a un terzo della massa totale di idrogeno stoccata nella cavità, specialmente nelle cavità profonde.

L'iniezione a pressione costante non richiede gas cuscinetto, in quanto l'idrogeno viene iniettato con acqua salata satura, riducendo così la caduta di pressione e sigillando completamente i pori della cavità. Questo metodo è più adatto per cavità a profondità di circa 2000 m o leggermente inferiori. I principali vantaggi dello stoccaggio in cavità saline includono una grande capacità di stoccaggio, un'efficace tenuta, perdite minime e un basso LCOS dell'idrogeno, che si prevede possa scendere a $0,11/kg. Tuttavia, gli svantaggi includono il carico operativo e ambientale legato alla gestione della salamoia e le limitazioni geografiche riguardo alla disponibilità di depositi salini adatti in tutto il mondo.

Le cavità in roccia dura, infine, sono camere scavate in formazioni rocciose di durezza elevata. Possono essere cavità rivestite (LRC) o non rivestite (URC). Le cavità rivestite, dotate di un sistema di rivestimento speciale, sono le più avanzate, mentre le cavità non rivestite dipendono dalla tenuta naturale delle formazioni rocciose, con una maggiore probabilità di perdite.

Il potenziale per lo stoccaggio sotterraneo dell'idrogeno in cavità saline è particolarmente elevato in alcune regioni, come il Nord America e il Medio Oriente. Ad esempio, paesi come gli Stati Uniti, l'Algeria e l'Iran possiedono un grande potenziale in termini di disponibilità di sali idonei. Tuttavia, nonostante la disponibilità di sali idonei in molte regioni, a livello globale solo pochi progetti di stoccaggio sotterraneo su larga scala sono stati attuati fino ad oggi. A partire dal 2022, infatti, solo quattro cavità saline sono utilizzate a questo scopo, principalmente negli Stati Uniti e nel Regno Unito.

Quali sono le caratteristiche e le potenzialità dei materiali per lo stoccaggio dell’idrogeno?

I materiali a base di carbonio come i nanotubi di carbonio e il grafene rappresentano soluzioni avanzate per lo stoccaggio dell’idrogeno grazie alle loro eccezionali capacità di adsorbimento. I nanotubi di carbonio, composti da numerosi atomi di carbonio collegati tramite legami singoli e doppi, possono essere singoli, doppi o multipli strati, e la loro densità di stoccaggio gravimetrica varia in funzione della dimensione, della curvatura del tubo e del metallo con cui sono combinati. Ad esempio, nanotubi combinati con alluminio raggiungono il 6,15% in peso, mentre quelli combinati con scandio arrivano a un valore massimo di 9,8% in peso. Il grafene, in particolare, si distingue per il più alto potenziale tra i materiali carboniosi, soprattutto quando associato a metalli come l’alluminio o il potassio, che possono portare la densità di stoccaggio fino al 20% in peso in casi di grafene drogato con boro e potassio.

I framework metal-organici (MOF) sono materiali cristallini porosi con una superficie specifica che può raggiungere i 4800 m²/g, costituiti da ioni metallici legati da leganti organici. Tra i più noti, il MOF-5 a base di zinco, sviluppato dal 2003, è capace di stoccare idrogeno sia a temperatura ambiente sia a temperature criogeniche, con una densità che varia dall’1% in peso a temperatura ambiente e 20 bar, fino al 4,5% a basse temperature e 1 bar. MOLTO più performante è il MIL-101(Cr), a base di cromo, con un’area specifica di 6240 m²/g e una capacità di stoccaggio che può arrivare fino al 17,6% in peso a temperature criogeniche e 80 bar. Tuttavia, i costi attuali di stoccaggio con MOF sono ancora elevati, con un costo livellato per kg di idrogeno superiore a 490 dollari, limitando l’applicazione pratica.

I polimeri microporosi intrinsecamente amorfi (PIM) rappresentano una categoria promettente, nonostante la debole interazione con l’idrogeno, con capacità di stoccaggio modeste (intorno all’1% in peso) a basse temperature e pressioni di 1 bar. La ricerca si orienta verso nuovi tipi di PIM in grado di aumentare le capacità a costi contenuti, sfruttando la disponibilità e il basso costo dei materiali di partenza.

I framework organici covalenti (COF), polimeri organici cristallini e porosi, si distinguono per una struttura altamente ordinata e una porosità permanente. COF-5 si mostra come la scelta migliore fra i COF, raggiungendo 5,5% in peso di stoccaggio a temperature criogeniche e pressioni intorno ai 100 bar. Sebbene inferiori a MOF come MIL-101(Cr), i COF offrono vantaggi in termini di costi più bassi, facilità di produzione e maggiore precisione operativa, grazie alla loro struttura progettabile.

Gli zeoliti, solidi microporosi tridimensionali di alluminosilicato, sono da tempo apprezzati per l’adsorbimento di gas. La loro capacità di stoccaggio dell’idrogeno avviene principalmente in due modi: a temperature criogeniche e pressioni moderate (es. NaX zeoliti con 2,55% in peso a 40 bar), oppure mediante “incapsulamento” a pressioni altissime (circa 900 bar) e temperature elevate (fino a 350°C), garantendo una conservazione stabile dell’idrogeno a temperatura ambiente senza rilascio significativo. Pur con capacità di stoccaggio limitate, zeoliti sono interessanti per il basso costo, la semplicità di produzione e la maturità tecnologica.

Lo stoccaggio per assorbimento, a differenza di quello per adsorbimento che si basa su deboli legami di Van der Waals, sfrutta legami chimici più forti tra idrogeno e materiale assorbente. Questo garantisce una stabilità maggiore nel tempo e in condizioni più varie di temperatura e pressione, a discapito però di un maggiore consumo energetico per l’assorbimento e il rilascio. Le tecnologie più promettenti includono il sistema ammoniaca-borano, vettori organici liquidi di idrogeno (LOHC), composti metallo-boro-nitrogeno-idrogeno e idruri metallici. Particolarmente studiato è lo stoccaggio tramite ammoniaca, ottenuta attraverso la reazione di idrogeno e azoto (processo Haber–Bosch), che funge da vettore efficace per l’idrogeno.

È fondamentale comprendere che la ricerca nel campo dei materiali per lo stoccaggio dell’idrogeno non riguarda solo l’aumento delle capacità di immagazzinamento, ma anche l’ottimizzazione della stabilità, della reversibilità, dei costi e della sostenibilità dei processi di produzione e utilizzo. L’interazione tra struttura molecolare, superficie attiva e tipo di legame con l’idrogeno determina l’efficacia complessiva del sistema. La sfida più importante resta quella di coniugare alte prestazioni con economicità e sicurezza, soprattutto per applicazioni industriali e di trasporto su larga scala.

Inoltre, la temperatura e la pressione operative rappresentano fattori critici da considerare: mentre alcune tecnologie performano solo a basse temperature criogeniche o ad alte pressioni, altre permettono condizioni più pratiche ma con capacità inferiori. Per l’adozione diffusa delle tecnologie di stoccaggio dell’idrogeno, sarà quindi necessario sviluppare materiali e sistemi capaci di funzionare efficacemente in condizioni più facilmente gestibili, senza compromessi sulla capacità e sulla sicurezza.

Quali sono le sfide e le opportunità nella costruzione di un’infrastruttura per l’idrogeno verde?

L’idrogeno verde sta assumendo un ruolo cruciale nel percorso globale verso la decarbonizzazione, offrendo una soluzione energetica pulita e versatile. La sua produzione si basa principalmente su fonti rinnovabili come vento, acqua e fotovoltaico, la cui distribuzione geografica non è omogenea. Questa disomogeneità impone la necessità di sviluppare sistemi avanzati di stoccaggio e trasporto per trasferire efficacemente l’energia dalla fonte di produzione fino all’utente finale. Il processo produttivo di idrogeno verde coinvolge un’intera catena del valore, dalla produzione alla distribuzione, fino all’uso finale, e richiede quindi un’attenzione dettagliata a ogni fase per massimizzare l’efficienza e la sostenibilità.

In Europa si prevede un aumento significativo dell’offerta di idrogeno verde che potrebbe superare la capacità produttiva interna, spingendo verso una regolamentazione rigorosa dei flussi transfrontalieri e della governance del commercio dell’idrogeno. A tal proposito, la costruzione di sistemi di monitoraggio affidabili diventa essenziale per assicurare la trasparenza e la sicurezza del trasporto internazionale.

Dal punto di vista energetico, l’idrogeno presenta caratteristiche peculiari: ha una densità energetica elevata in termini di massa, ma relativamente bassa se considerata in volume. Questa caratteristica impone tecniche specifiche per la compressione o la liquefazione, necessarie a rendere praticabile il suo stoccaggio e trasporto in quantità significative. In questo contesto, il trasporto dell’idrogeno è un tema centrale, che coinvolge un complesso sistema infrastrutturale costituito da pipeline, impianti di liquefazione, compressori, veicoli dedicati e depositi.

Le pipeline per l’idrogeno rappresentano una delle soluzioni più efficienti per trasporti su lunghe distanze, tuttavia il loro sviluppo presenta sfide tecniche rilevanti. Il fenomeno dell’“embrittlement” da idrogeno, ovvero l’indurimento e la fragilizzazione dei materiali metallici, può compromettere l’integrità delle tubazioni, richiedendo materiali e tecniche di saldatura specifici. Inoltre, l’alta permeabilità dell’idrogeno e la sua bassa densità volumetrica impongono un attento controllo delle perdite e della pressione all’interno delle reti di trasporto. Per questi motivi, le pipeline di idrogeno sono quasi sempre interrate per motivi di sicurezza e per minimizzare l’impatto ambientale.

La possibilità di riconvertire le infrastrutture esistenti, come quelle del gas naturale, per il trasporto di idrogeno è una soluzione promettente, ma non priva di complessità. Oltre ai problemi legati all’embrittlement, occorre valutare la compatibilità dei materiali e la necessità di modifiche tecniche per adattare le condotte a nuove condizioni operative.

Nel trasporto su strada, i camion rimangono un’opzione flessibile per il trasporto di idrogeno compresso o liquefatto su distanze medie, anche se i costi operativi e la capacità limitata rispetto alle pipeline ne restringono l’efficienza su larga scala. Per il trasporto a lungo raggio, forme di vettori energetici come ammoniaca e metanolo sono considerate valide alternative, grazie alla loro maggiore densità volumetrica e alla facilità di stoccaggio e manipolazione, benché richiedano processi di conversione per liberare l’idrogeno nei punti di utilizzo.

Un ulteriore aspetto da considerare riguarda la sicurezza delle reti di idrogeno. La sua natura altamente infiammabile e l’assenza di odore naturale richiedono sistemi di rilevazione sofisticati e procedure di odorazione, per prevenire incidenti e garantire un’efficace risposta in caso di perdite.

Il costo del trasporto dell’idrogeno è influenzato da molteplici fattori, tra cui la distanza, il metodo di trasporto, il tipo di infrastruttura e la quantità trasportata. Investimenti significativi sono necessari per sviluppare infrastrutture robuste e affidabili, soprattutto in aree strategiche come il Medio Oriente, dove l’abbondanza di risorse rinnovabili e l’interesse geopolitico spingono verso la creazione di hub di idrogeno a livello globale.

La comprensione di queste dinamiche è fondamentale per chiunque si avvicini al mondo dell’idrogeno verde, poiché la sua implementazione non riguarda solo l’innovazione tecnologica, ma anche aspetti regolatori, economici e di sicurezza che devono essere bilanciati con attenzione. La sfida è quindi quella di costruire una rete integrata e resiliente, capace di supportare una transizione energetica efficace e sostenibile.

È importante inoltre tenere presente come l’adozione diffusa dell’idrogeno verde richieda un sistema coordinato di politiche pubbliche, investimenti privati e ricerca continua, per risolvere le complessità tecniche e migliorare la competitività economica. Il ruolo delle infrastrutture di trasporto sarà cruciale per garantire l’accessibilità e la diffusione dell’idrogeno come vettore energetico chiave del futuro.