Nel contesto dell’analisi non lineare delle strutture intelaiate, l’accuratezza della soluzione dipende in misura decisiva dalla corretta implementazione della fase correttiva. A differenza della fase predittiva, che si basa su approssimazioni e serve unicamente a inizializzare l’iterazione, la fase correttiva interviene nel cuore del processo iterativo, correggendo progressivamente le discrepanze tra i carichi applicati e le forze interne sviluppate all'interno della struttura deformata. È in questa fase che si aggiorna la geometria degli elementi, si calcolano con precisione le forze interne e si valuta l’equilibrio della configurazione strutturale aggiornata.
A partire dallo spostamento incrementale Δu ottenuto per ogni elemento durante la fase predittiva, è possibile calcolare l’incremento delle forze Δf moltiplicando Δu per la rigidezza tangente , ottenuta come somma delle rigidezze elastica, geometrica e inelastica dell’elemento. Poiché gli spostamenti sono noti e piccoli, questo prodotto consente di ottenere una buona approssimazione del carico interno incrementale. L’aggiornamento delle forze interne elementari si ottiene sommando le forze del passo precedente con l’incremento Δf, portando così alla determinazione di , lo stato corrente dell’elemento.
Sommando tutte le forze interne elementari sull’intera struttura, si ottiene il vettore globale delle forze interne . La verifica dell’equilibrio avviene confrontando con i carichi applicati : la differenza rappresenta il residuo, o forza sbilanciata, che guida l’iterazione successiva. Questo vettore viene quindi trattato come un nuovo carico applicato nella successiva iterazione. Il criterio di arresto dell’interazione dipende dal raggiungimento di una soglia prefissata, sia in termini di incremento di forza che di spostamento.
Nel processo descritto, l’aggiornamento accurato della geometria è fondamentale. Per tralicci piani o spaziali, il procedimento è relativamente diretto. Gli spostamenti nodali incrementali vengono sommati alle coordinate originali per ottenere le coordinate aggiornate dei nodi. Da queste si derivano la nuova lunghezza dell’elemento e gli assi locali aggiornati. Le matrici di rigidezza degli elementi vengono poi riformulate in funzione delle nuove condizioni geometriche, e da queste si ricostruisce la matrice di rigidezza globale per il passo successivo.
Nel caso dei tralicci spaziali, la situazione è analoga ma con una complessità aggiuntiva nella definizione del sistema di riferimento locale. A partire dall’asse x, determinato dai nodi aggiornati, si ricavano gli assi y e z tramite prodotto vettoriale, garantendo un sistema ortogonale aggiornato coerente con la deformazione dell’elemento. Questo approccio consente di mantenere la coerenza geometrica nell’analisi tridimensionale.
Nel caso dei telai piani, la complessità aumenta ulteriormente a causa dell’inclusione delle rotazioni piane nei gradi di libertà nodali. L’aggiornamento geometrico richiede non solo la traslazione dei nodi, ma anche la rotazione delle sezioni. Anche se le proprietà della sezione trasversale vengono assunte costanti durante la deformazione (modulo di Young E, area A, momento d’inerzia ), la curvatura degli elementi durante il carico introduce la necessità di adottare un sistema convettivo per seguire le deformazioni. Tale sistema convettivo consente di aggiornare coerentemente la direzione dell’asse dell’elemento e di mantenere la validità delle ipotesi di rigidezza in presenza di grandi spostamenti.
La correttezza della fase correttiva è determinante: un calcolo inaccurato del vettore residuo R comporta la deviazione dell’intero processo iterativo verso soluzioni errate, anche se formalmente convergenti. Questo spiega perché nella letteratura tecnica molte analisi non lineari risultano incomplete o erronee: esse si arrestano alla formulazione delle equazioni di rigidezza, trascurando la complessità e l’importanza della fase correttiva. La maggior parte degli studi si concentra esclusivamente sulla fase predittiva, tralasciando la parte più delicata e influente dell’intero processo: l’aggiornamento della configurazione strutturale, la ricalcolazione delle forze interne e il bilancio delle forze.
È fondamentale comprendere che, in un'analisi incrementale-iterativa, la geometria
Qual è l'importanza della metodologia di controllo delle deformazioni e come influisce sull'analisi iterativa non lineare delle strutture?
La metodologia di controllo delle deformazioni rappresenta uno degli approcci fondamentali per l'analisi non lineare delle strutture, in particolare per quelle che subiscono carichi incrementali. Il principio di base, come descritto nell’equazione (7.26), si fonda sulla relazione tra le deformazioni non equilibrate, i parametri di carico e le variazioni di deformazione durante i passaggi iterativi. Il parametro di carico λij può essere risolto tramite l'equazione (7.27), che rappresenta un passo cruciale nell'iterazione di ogni incremento.
All'inizio di ogni ciclo incrementale, ovvero per j = 1, le forze non equilibrate {Ri 0} sono nulle. Inoltre, le deformazioni ΔŪ i qj scompaiono, come mostrato nell'equazione (7.22). Tuttavia, per i passaggi successivi (j ≥ 2), la deformazione di controllo ΔU i qj viene impostata a zero, come riportato nell’equazione (7.25). Ciò porta a una semplificazione del parametro di carico λij che diventa, come descritto nell’equazione (7.28), una funzione che si riduce a un confronto tra deformazioni di controllo.
Un aspetto importante da considerare riguarda la gestione dei carichi esterni, che non rimangono costanti durante il processo iterativo. Questo comporta alcune difficoltà, simili a quelle che si incontrano in metodi che iterano con carichi costanti, specialmente quando la deformazione controllata subisce inversioni improvvise tra i vari livelli di carico. Queste inversioni, come osservato in diversi studi (Ramm, 1981; Crisfield, 1981; Waszczyszyn, 1983), costituiscono uno dei limiti principali della metodologia di controllo delle deformazioni, particolarmente in strutture complesse con numerosi gradi di libertà. Un approccio alternativo, come il metodo dell'arco di lunghezza, può affrontare questa difficoltà, poiché incorpora tutti i componenti di deformazione per controllare la direzione dell'iterazione.
Il metodo dell'arco di lunghezza, introdotto da Wempner (1971) e successivamente sviluppato da Riks (1972, 1979), rappresenta una soluzione potente per evitare i limiti delle iterazioni con carico o deformazione costanti. L'idea principale di questo metodo si basa sulla condizione di restrizione che lega gli incrementi di carico e le iterazioni, come evidenziato nell'equazione (7.29), dove la lunghezza dell'arco ΔS rimane costante all'inizio del passo incrementale. Nei passaggi successivi, la lunghezza dell'arco diventa zero, il che porta a una condizione di ortogonalità che consente di determinare i parametri di carico λij.
Tuttavia, un punto critico del metodo dell'arco di lunghezza è la difficoltà di determinare il segno del parametro di carico λi1 all'inizio dell’iterazione, come illustrato nell'equazione (7.32). Inoltre, l'incoerenza nelle unità fisiche delle quantità coinvolte nelle equazioni (come le deformazioni e i vettori di rotazione) può comportare difficoltà numeriche. Per esempio, la grandezza λij appare come uno scalare, mentre i vettori di deformazione contengono grandezze che differiscono in unità fisiche e ordini di grandezza.
Il metodo del controllo del lavoro, proposto da Yang e McGuire (1985), offre una variante rispetto al metodo dell'arco di lunghezza. Si basa su una condizione di restrizione che lega l'incremento di lavoro ΔW all'incremento di deformazione, come mostrato nell'equazione (7.34). La principale differenza rispetto al metodo dell'arco di lunghezza risiede nel fatto che il parametro di carico λij viene determinato sulla base di un incremento di lavoro costante, e per i passaggi successivi l'incremento di lavoro è nullo, come evidenziato nell’equazione (7.37). Questo approccio è vantaggioso rispetto al metodo dell'arco di lunghezza in quanto le grandezze fisiche coinvolte sono più coerenti in termini di unità di misura, riducendo potenzialmente le difficoltà numeriche. Inoltre, il controllo del lavoro offre una maggiore flessibilità, in quanto può essere applicato sia a carichi concentrati singoli che multipli, adattandosi meglio a situazioni strutturali più complesse.
Per comprendere appieno il funzionamento di questi metodi, è fondamentale non solo avere familiarità con le equazioni matematiche, ma anche con i principi fisici che sottendono a ciascun approccio. Sebbene il metodo di controllo delle deformazioni sia un punto di partenza intuitivo per il controllo dei carichi, le sue limitazioni in contesti complessi richiedono un'analisi più approfondita e l'adozione di tecniche avanzate come il metodo dell'arco di lunghezza o il controllo del lavoro, che affrontano meglio le difficoltà numeriche e fisiche. Pertanto, la scelta del metodo da utilizzare dipenderà dalle specificità del problema strutturale in esame e dalla necessità di gestire in modo efficiente le iterazioni non lineari.
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